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Autore: Miki_TR    20/08/2011    1 recensioni
Albus, Gellert e cose che è meglio lasciare dietro alle porte chiuse.
"-Temo siamo privi di porte chiuse, al momento- disse, indicando vagamente il bosco che li aveva accolti.
Gellert rise, sollevando la testa e catturando un raggio di sole tra i riccioli biondi."

Questa fic ha partecipato al primo turno del Grindeldore Chantest, indetto da aGNeSNaPe sul Forum.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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The love that dare not speak its name

E tutto cospira a tacerci, un po’ forse per vergogna
e un po’ per indicibile speranza.
(Rainer Maria Rilke, seconda Elegia Duinese)

1. Bathilda

La mattinata era insolitamente calda, anche per quel periodo dell'anno. Il vento, che di solito spazzava le strade strette di Godric's Hollow e sfidava l'afa estiva, quel giorno taceva; e il sole impietoso costrinse Bathilda a rientrare dal mercato prima di quando avesse previsto, per non rischiare un malanno. Alla sua età un colpo di sole poteva essere veramente fastidioso.
Sui gradini davanti alla porta la strega si attardò un istante a guardare in alto, verso la finestra della stanza degli ospiti; sorrise vedendo gli scuri aperti: suo nipote era in casa.
-Gellert!- chiamò, nell'ingresso.
Posò la borsetta sul tavolino e costrinse le sue gambe affaticate su per le scale. Un gradino alla volta, tenendosi bene al corrimano; non era ancora così vecchia da non farcela, ma l'artrite si faceva ormai sentire anche in estate, ed era meglio andarci cauta.
Dalle scale non vedeva la porta della stanza di Gellert, ma le parve di sentire un suono concitato di passi ed un sussurro soffocato; quando giunse sul pianerottolo, suo nipote l'aspettava affacciato alla porta, con i capelli scompigliati e sudati, come se avesse corso.
-Sei tornata presto, zia- le disse il ragazzo, un po' nervoso.
Bathilda sorrise; quel nipote sveglio e grazioso stava rapidamente diventando la luce dei suoi occhi, a prescindere dalle ragioni che l'avevano condotto da lei per quella vacanza.
La vecchia strega, comunque, non credeva a quanto aveva sentito dire sul conto di Gellert; ripeteva a chiunque che il suo era un bravo ragazzo, solo un poco avventato, e che probabilmente qualcuno in quella scuola di invidiosi temeva di venir messo in ombra dal suo potere e dalla sua brillante intelligenza. Nel suo intimo pensava che in tutta quella storia scandalosa Gellert fosse stato tirato dentro; dopotutto aveva solo sedici anni, sicuramente era un ragazzino ingenuo, e non deviato fino al punto che era stato insinuato quando l'avevano espulso.
-Al mercato faceva troppo caldo- disse Bathilda. - Allo spaccio ti ho comprato la pergamena che mi avevi chiesto, comunque. Cosa dovrai scrivere di così importante da finirla ogni due giorni lo sa solo Merlino- aggiunse, e Gellert arrossì leggermente.
Da dietro le sue spalle arrivò una risatina, malamente soffocata.
Bathilda rimase un attimo stupita.
Gellert le fece uno dei suoi sorrisi più luminosi. -C'è Albus, zia- le disse, aprendo la porta e rivelando il giovane Dumbledore, seduto alla scrivania.
Il giovanotto allampanato, sempre così beneducato, si alzò e le fece un piccolo inchino; Bathilda sorrise e si avvicinò per baciarlo sulla guancia, come fosse anche lui suo nipote. Era sempre stata molto affezionata a quel ragazzo serio e cortese. Ed era sinceramente felice di avergli fatto conoscere Gellert; ancora le sembrava incredibile che in sole due settimane avessero costruito una così bella amicizia.
Dumbledore si lasciò baciare con un sorriso; Bathilda gli diede un buffetto sulla guancia, e la sentì calda e sudata.
Non la stupì; la stanza degli ospiti era esposta ad est, e anche con la finestra aperta era una fornace. Sulla schiena di Gellert, che stava raccogliendo dei libri da terra, si allargava una macchia scura di sudore. Scosse la testa.
-Potreste lasciare aperta la porta, ragazzi- li rimproverò affettuosamente. -Si creerebbe almeno un po' di corrente-.
Gellert fece per dire qualcosa, ma Albus fu più veloce.
-Stavamo per uscire, in verità- disse. Gellert annuì.
-Molto bene,- rispose Bathilda, -ma state attenti a non prendere troppo caldo, mentre passeggiate-.
Gellert ridacchiò. -Promesso, zia- disse, abbracciandola rapidamente per salutarla.
Bathilda li osservò mentre se ne andavano, ridendo e scherzando come se non avessero nessuna preoccupazione al mondo.
Si facevano bene a vicenda, pensò. Albus non era mai stato così sereno, nemmeno prima che la povera Kendra morisse; e sperava sinceramente che Gellert dimenticasse qualsiasi cosa gli fosse accaduta a Durmstrang grazie alla compagnia del suo nuovo amico.

2. Albus

-L'avevi già fatto?- chiese Albus, incuriosito, e Gellert annuì.
-E' una lunga storia- disse, -e non credo che tu voglia sentirla-.
La radura appartata era il posto migliore che avessero trovato per stare soli, dopo la spiacevole interruzione di quella mattina.
Godric's Hollow non aveva una foresta degna di questo nome nelle vicinanze, con gran dispiacere di Gellert, che adorava gli alberi secolari ed il profumo della resina. Ma c'era un piccolo bosco un paio di miglia a nord del paese, troppo insignificante perché i cacciatori ne disturbassero la quiete; Albus c’era già andato qualche volta, le estati precedenti, per starsene in pace da solo, e poter riflettere all'ombra degli alberi. Vi aveva portato Gellert, quella mattina, sperando esattamente di trovare la tranquillità che evidentemente nelle loro case era irraggiungibile.
Gellert gli sorrideva; ad Albus faceva l'effetto del sole negli occhi, tanto era abbagliante. Eppure nulla poteva spingerlo a distogliere lo sguardo; era una visione incredibilmente bella e dolce, quel sorriso.
Si chinò sull'amico steso tra l'erba alta e gli baciò la bella bocca morbida.
-Io voglio sapere tutto- gli disse.
Gellert rise, sottraendosi giocosamente alle sue labbra e mettendosi a sedere.
Non si preoccupò di coprirsi; sembrava a suo agio nonostante la nudità, come se lui ed Albus fossero amanti da anni, e non da meno di un'ora. Albus sorrise.
La pelle bianchissima di Gellert lo incantava; sembrava impossibile che fosse pronta ad arrossarsi sotto le sue mani e lo sfregare della sua barba, solo poco prima, per poi tornare morbida e chiara come quando l'aveva scoperta tra le pieghe dei suoi vestiti.
-Albus?- lo richiamò Gellert.
Il ragazzo si riscosse dalla sua contemplazione; arrossì solo un poco quando Gellert lo guardò interrogativo, imbarazzato per essere stato sorpreso ad osservarlo.
-Ti ho chiesto perché- ripeté pazientemente Gellert, prendendo le dita dell'amico e giocherellandoci distrattamente, incurante dell'effetto che quel gesto aveva su Albus. -Perché ti interessa sapere tutto di me?- chiese, di nuovo.
Albus rimase un attimo in silenzio. Non lo sapeva esattamente; sentiva un'attrazione fortissima per Gellert. Era a causa della sua bellezza, senza dubbio, del suo odore e del calore del suo corpo, poco prima, mentre facevano l'amore. Ma ancor prima era dovuta alla perfetta corrispondenza delle loro menti. Era meraviglioso e sconcertante insieme muoversi con Gellert per le tortuose vie di un'idea ed inseguirla ovunque li portasse. Voleva così tanto, semplicemente, avere Gellert in ogni modo possibile: tra le braccia o tra le righe di una lettera, purché fosse suo.
-So così poco di te- disse alla fine, sconfitto davanti alla difficoltà di esprimere tutto quello che provava a parole, nonostante la sua abituale eloquenza. -Mi incuriosisce qualsiasi cosa tu abbia fatto. Ma se non vuoi raccontarmi questa in particolare, parliamo d'altro-.
Gellert annuì, fissandolo. -Sei sempre così educato, Albus?- chiese, senza ironia. -Non cercherai di convincermi a dirtelo?-
-Naturalmente no- rispose Albus, stupito. -E' una domanda molto personale. Ti capisco, se preferisci non parlarmene- disse.
Gellert abbassò la testa; giocava ancora con le sue dita, casualmente, come se lo aiutasse a riflettere.
-Non è che non voglio parlarne con te- disse, alla fine. -Ma penso che certe cose sia meglio tacerle; lasciarle dietro le porte chiuse-.
C'era qualcosa di amaro nel suo tono, che lasciò Albus interdetto. Sentendo l'atmosfera farsi grave, sorrise all'amico.
-Temo siamo privi di porte chiuse, al momento- disse, indicando vagamente il bosco che li aveva accolti.
Gellert rise, sollevando la testa e catturando un raggio di sole tra i riccioli biondi.
-La natura mi piace. E' nostra amica, e non ci giudica- disse. Poi tese la mano, e sfiorò la guancia di Albus con le dita, con la delicatezza di chi tocca qualcosa di fragile e prezioso, molto diversa dalla passione di poco prima. -E' stato molto bello, Albus- disse, guardandolo negli occhi.
Gellert aveva detto di non essere inesperto, ma Albus non era da meno; eppure non aveva previsto, pur con tutta la sua intelligenza, di sentirsi tanto emozionato dal più semplice gesto di Gellert. Un languido desiderio di baciarlo si affacciò tra i suoi pensieri, ed Albus lo lasciò crescere, dedicandosi per qualche momento ancora alla contemplazione del suo amico, del suo amante, seduto sull'erba a guardarlo.
-Lo è stato per entrambi- confermò.
Le cicale frinivano dolcemente. La mattina stava avanzando, sfumava nell'ora in cui sarebbero dovuti rientrare per il pranzo, e separarsi. Tuttavia Gellert si distese nuovamente sull'erba, senza curarsi della contemplazione di Albus, fissando il poco cielo che faceva capolino tra le fronde degli alberi. Come se anche lui non volesse andarsene, rientrare e spezzare quel momento magico.
-Gellert?- chiese Albus, dopo un poco. -Era quello che volevi anche tu?-
Gellert non rispose. Staccò un filo d'erba da terra e se lo rigirò tra le dita, davanti al volto. Albus attese, pazientemente.
Non lo turbava che la risposta tardasse; Gellert si prendeva spesso tempo per pensare dove lui avrebbe risposto d'istinto, e allo stesso tempo trovava soluzioni rapide e naturali a domande che lasciavano Albus inquieto per notti intere, a rigirarsi nel letto.
Si stupì solo un poco quando Gellert si alzò, spolverandosi le cosce dall'erba, e lo abbracciò, spingendolo a terra e distendendosi sopra di lui.
Si lasciò baciare dolcemente, quietando le sue domande per un lungo momento, perdendo la concezione di tutto nella bocca morbida di Gellert.
-Sì- lo sentì sussurrare. -Sì, assolutamente-.
Albus sorrise, e rimandò i suoi dubbi e le sue costanti preoccupazioni ad un momento meno intenso, rilassandosi sotto le dita e la bocca di Gellert Grindelwald.

3. Aberforth

-Lui ti sta corrompendo!- gridò Aberforth, battendo i pugni sul tavolo.
Albus lo guardava sconcertato. La cucina era vuota, a parte i due fratelli, immersi nel loro litigio. Ma Grindelwald non era ancora abbastanza lontano: Abe aveva visto l'occhiata che si erano scambiati lui ed Albus, ed era sveglio abbastanza da sapere che il tedesco stava probabilmente origliando fuori della porta.
Ariana per fortuna dormiva; e fu solo pensando a non turbarla ulteriormente con quello che stava accadendo che Aberforth abbassò la voce.
-Non lo vedi, Albus?- disse, cercando contro ogni logica di far ragionare il suo intelligentissimo fratello su quel che stava facendo a tutti loro l'uomo che si fingeva suo amico. -Ti ha sedotto con le sue belle parole. E non solo- aggiunse, velenoso. Sorrise, vedendo Albus sussultare appena, qualcosa di impercettibile per la maggior parte della gente; ma non per un fratello minore, che a quei gesti segreti era abituato sin dalla nascita.
Albus tentò di scuotere la testa. -Non ha mai detto nulla che io già non pensassi- gli disse. Sembrava calmo e controllato, mentre Aberforth sembrava impazzito; eppure era lui a ragionare, per una volta, non Albus.
-E' disgustoso- disse Aberforth, storcendo il naso. -Credi che non veda come ti tocca, quando pensa che siate soli? Ti ha già fatto diventare uno come lui?- chiese.
Albus non aveva mai tollerato bene quel tipo di pesante ironia. Aberforth lo vide avvampare e stringere i pugni, un attimo appena.
-Cosa ti fa pensare che io non lo sia sempre stato?- gli chiese poi, con un sorriso strano, più simile a quello del tedesco, stonato sul suo volto.
Aberforth strinse i denti fino a farli stridere.
-Mi disgusti- gli rispose. -Mi disgustate entrambi-.
Albus fece per parlare, ma Aberforth lo zittì. -Ma se fosse questo il problema, ti direi di starmi lontano. E' quel che dice, Albus. E' quello che ti fa dire, e fare- disse.
-Non sono affari tuoi- sbottò Albus. -Sei solo un ragazzino; non capisci nulla di queste cose. E quello che io dico, e faccio, è quello che penso e voglio-.
Aberforth scosse la testa. Era nauseato da quella conversazione, nauseato da suo fratello, nauseato dalla presenza di Grindelwald sotto il suo tetto.
-La mamma ti avrebbe ucciso- sputò. Era crudele, ma sperava di colpire Albus al punto di farlo rinsavire, con quella frase. Suo fratello aveva sempre tenuto particolarmente al giudizio della loro madre.
-La mamma lo sapeva- disse Albus, gelido. Aberforth lo guardò; ma non aveva l'aria di uno che mentiva. -Come ti ho detto, non è iniziato con Gellert. Sono sempre stato così- aggiunse.
Quella freddezza faceva quasi paura; Aberforth realizzò per la prima volta da quando conosceva e litigava con suo fratello di non avere nessuna speranza se Albus avesse estratto la bacchetta per fargli del male. Improvvisamente sembrò possibile, persino, una cosa del genere. Sentì i peli rizzarglisi sulla nuca, come un animale davanti ad un pericolo.
Poi quel momento passò. Albus sembrò ricordarsi di avere davanti il suo fratello minore, e le sue spalle si abbassarono, mentre la rabbia scemava rapidamente come era arrivata.
-Mi dispiace che tu non capisca, Abe- disse, con un tono di vaga rassegnazione. -Forse un giorno cambierai idea-.
Aberforth lo fissò negli occhi. -Io spero che sarai tu a cambiarla, prima che sia troppo tardi- disse lentamente, prima di uscire dalla porta sul retro per andare ad occuparsi delle capre.
Non gli importava, decise. Albus poteva fare quel che voleva, capire quello che voleva delle sue parole, e tenersi il suo nuovo amico. E strozzarsi con il suo tono conciliante, anche. Per quel che importava ad Aberforth di quei due, potevano andarsene anche subito.

4. Gellert

Gellert aveva origliato alla conversazione tra i due fratelli.
Non si sentiva particolarmente disonesto; in fondo lo riguardava molto da vicino.
Pensare che tutta quella lite era derivata dal loro ritardo, e confrontare quell'astio insopportabile con quello che l'aveva causato, quelle splendide ore nel bosco, lo irritava profondamente.
Quando Aberforth se ne era andato sbattendo la porta, però, Gellert aveva abbandonato il corridoio per salire indisturbato nella stanza di Albus. Sapeva che l'amico l'avrebbe cercato lì; già diverse volte in quei giorni d'estate avevano convenuto che in casa Dumbledore fosse l'unico luogo in cui potevano stare un po' in pace; e questa grazia l'avevano solo per merito dell'incantesimo sulla porta, che teneva fuori chi non fosse stato invitato da Albus.
Gellert amava quell'incantesimo. Sfortunatamente, se lui avesse fatto qualcosa del genere sulla porta della sua stanza, sua zia avrebbe pensato che le nascondeva qualcosa; e comunque, lui era un ospite, in casa di Bathilda.
Albus lo raggiunse qualche minuto dopo, trovandolo steso sul letto a fissare il soffitto. Gellert non disse nulla quando lo sentì entrare.
-Mi dispiace- disse Albus chiudendo la porta.
-Ti dispiace quello che abbiamo fatto stamattina?- chiese Gellert, senza mostrare nessuna emozione. Non avrebbe biasimato Albus, se dopo tutta quella scena si fosse tirato indietro.
Ma lui scosse decisamente la testa. -Mai- rispose, sicuro. -Mi stavo scusando per il comportamento vergognoso di mio fratello- disse.
Gellert si sollevò a sedere. Per quel poco che conosceva Aberforth, non lo stupiva quell'astio. Ma Albus aveva un'espressione delusa sul viso. Era amareggiato.
Che ingenuo, pensò Gellert, con un moto di affetto. Pensava davvero che Aberforth avrebbe capito? Nessuno era così aperto. Ma Albus lo aveva sperato, era evidente dalle linee del suo volto. Gellert gli accennò di avvicinarsi, e gli prese la mano quando Albus si sedette di fianco a lui sul letto.
-Come pensavi che potesse capire?- chiese, sinceramente curioso. -Chi non è come noi non lo accetterà mai- disse.
-E' mio fratello- ribatté debolmente Albus. -Speravo...-
Gellert scosse la testa. Sollevò la mano libera e spostò una ciocca dei lunghi capelli di Albus che si era impigliata nei suoi occhiali.
-E' una cosa solo nostra- disse Gellert. -Tra di noi. Nessuno lo deve sapere; un giorno forse cambieremo le leggi e le menti degli uomini, ma per ora comprometterebbe qualsiasi cosa decidessimo di fare. Guarda Aberforth, guarda come ha reagito. Te l'ho detto: è una cosa da tacere-.
Albus lo guardò, pensieroso.
-Perché dici così?- chiese alla fine. -Non è solo per quel che ha detto mio fratello, vero?-
Gellert sospirò.
-No- ammise, alla fine. -Quando ero a Durmstrang avevo molti amici. Nessuno di loro era come te; nessuno di loro mi capiva, ma erano affascinati dalle mie idee. Mi avrebbero seguito. E ho rovinato tutto- disse.
Si sentiva ancora incredibilmente stupido, a pensarci. Un solo errore aveva compromesso completamente la sua carriera; anche se per quello che sognava di compiere non occorreva un diploma scolastico, fino a qualche mese prima aveva pensato di tentare una presa di potere politica, partendo dalla Germania, una volta rintracciati i Doni. Si era giocato quella possibilità quando era stato espulso.
Gli seccava raccontare quella storia, ammettere la propria stupidità; ma Albus doveva essere avvertito, perché non avrebbero dovuto mai permettere a quello che c'era tra loro di uscire allo scoperto e distruggere i loro sogni.
Albus lo ascoltava; Gellert chiuse un istante gli occhi, e si decise ad essere sincero.
-Mi ero invaghito di uno di loro; un ragazzo bellissimo, ovviamente- aggiunse sorridendo, ed Albus ricambiò il sorriso.
-Eravamo amanti; ma ero stupido, e mi sentivo sicuro di avere l'approvazione dei miei compagni, al punto che non mi importava che trapelasse. E si venne a sapere. Il mio amante era intoccabile; la sua famiglia era una delle più potenti della nostra zona, e praticamente la scuola andava avanti grazie alle loro donazioni. Ma io non ho mai avuto contatti così in alto- disse, scuotendo le spalle.
-E' per questo che sei stato espulso?- chiese Albus.
-No- rispose Gellert. -Non so come siano le leggi qui in Inghilterra, ma in Germania sarei finito in prigione, se si fosse arrivati ad un atto formale per quell'accusa. Il Ministero Tedesco non ha un suo codice per i reati comuni al mondo Babbano; si rifà a quello dell'Impero-.
Gellert storse il naso al pensiero. Limitare dei maghi con delle leggi babbane era assurdo; una delle prime cose che avrebbero cambiato, molto presto.
-Alla fine solo due dei miei compagni mi accusavano; non formalmente, ma sapevo che aspettavano solo l'occasione per trovare delle prove. Non mi ero mai accorto di quanto fossero invidiosi; ero ingenuo, e pensavo che mi seguissero perché li avevo convinti. Invece volevano solo cogliermi in fallo, ed io avevo dato loro le armi perfette per danneggiarmi, senza nemmeno accorgermene- disse.
-Cosa successe?- chiese Albus, quasi rapito dalla storia.
Gellert lo fissò in viso. Non era sicuro che fosse il caso di dirgli tutta la verità. Poteva... turbarlo.
-Feci loro del male- glissò, alla fine. Ricordava le loro facce orripilate, con un misto di disgusto e fierezza. -E mi assicurai che sapessero che sarebbe capitato di peggio, se mi avessero denunciato. Ma commisi un altro errore; non nascosi i segni del mio operato- disse.
Albus annuì, e gli strinse la mano. Gellert si rilassò un poco; non era sicuro di come l'amico avrebbe preso quella parte del racconto.
-Fui accusato dei danni che avevo provocato; mi difesi, inventando un esperimento andato male, e gli altri, per paura che potessi arrivare anche a loro, decisero di reggermi il gioco. Ma nessuno poteva evitarmi l'espulsione, non con danni così evidenti-.
Gellert strinse i denti; era stato umiliante.
-Ti hanno spezzato la bacchetta?- chiese Albus, con qualcosa che poteva sembrare pietà ed ammirazione, insieme.
Gellert rise. -No- disse. -Per Merlino, in Inghilterra lo fate ancora? E' una pratica barbara; come se senza la bacchetta non avessi più poteri-.
Albus annuì. -L'ho visto fare, una volta- disse. -E' orribile-.
-Una bacchetta è qualcosa di vivo- disse Gellert.
Annuirono entrambi; come al solito erano d'accordo. Gellert provava un'incredibile gratitudine verso il destino che gli aveva permesso, pur attraverso tante esperienze dolorose, di trovare Albus. Insieme erano semplicemente perfetti; ed Albus non era nemmeno fuggito con orrore da lui quando aveva scoperto cosa aveva fatto a Durmstrang.
Anzi, pensò Gellert, quando Albus lo abbracciò. Sembrava capire e condividere quella parte di lui, come tutte le altre.
Gellert se lo tirò contro, sul letto. Gli baciò la bocca; giovane ed innamorato com'era dimenticò i suoi stessi consigli di discrezione, e lasciò che sul letto di Albus si consumasse per la terza volta il simbolo più piacevole di quel meraviglioso legame.

5. Ariana

I passi dei piedi scalzi di una ragazzina non facevano rumore, sul pavimento di legno. E Ariana era brava, a non fare rumore, soprattutto in una buona giornata, quando non le sembrava di perdersi nella vaghezza della magia, ed era riposata e ben consapevole di quello che capitava in casa.
Albus e Aberforth avevano litigato, qualche ora prima; questo la rendeva triste. Ma poi Abe era uscito ad occuparsi degli animali da cortile, come gli era sempre piaciuto fare, ed era tornato sereno. Ariana era contenta. Ariana era contenta quando tutti, in casa, erano felici.
Albus non era stato felice per moltissimi giorni, prima che arrivasse il suo bel ragazzo biondo. Ma improvvisamente lo era di nuovo; Ariana lo vedeva chiaramente nel suo sorriso, e lo sentiva nel suo buongiorno, la mattina. Se il ragazzo biondo faceva felice Albus, Ariana semplicemente voleva bene anche a lui; e quindi voleva che anche lui fosse felice, allo stesso modo. La sua era una logica semplice.
E il ragazzo biondo, che aveva detto di chiamarsi Gellert, era contento con Albus.
Quindi Ariana sorrise, mentre scivolava come un sogno nella stanza di suo fratello.
Ormai era notte fonda, e forse sarebbe piovuto, perché l'aria si era fatta fredda d'improvviso e fuori c'era odore di umidità.
Albus e Gellert avevano lasciato la finestra aperta; Ariana sapeva da prima che si sarebbero dimenticati di chiuderla. Si erano addormentati abbracciati sul letto, e così nudi avrebbero di sicuro preso freddo.
La ragazzina avanzò nella stanza, il più silenziosamente possibile. Osservò per un attimo i due giovani addormentati, felice dei sorrisi tranquilli che il sonno e la vicinanza avevano dipinto sulle loro facce. Così andava bene, pensò; non i litigi, non le urla, non la paura; solo tutti felici.
Con delicatezza, Ariana stese un lenzuolo su suo fratello e sul suo amico che riposavano tranquilli; piano, per non svegliarli, si sporse sopra la scrivania per chiudere la finestra e ripararli ulteriormente dall'improvviso freddo della notte.
Poi, soddisfatta del suo lavoro, tornò tranquillamente a dormire.


Note noiose:
- Quando Gellert dice che se si fosse saputo della sua relazione con un giovane compagno di scuola sarebbe stato arrestato, secondo le leggi dell’epoca nell’Impero Germanico, non sta affatto esagerando; tutta la parte di storia che riguarda l’espulsione di Gellert si rifà ad una legge veramente esistente, chiamata Paragrafo 175. Questa legge, che rende gli atti omosessuali un reato penale, è stata in vigore in Germania (in diverse forme) fino al 1994. Il Paragrafo 175 ha anche fatto sì che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i prigionieri detenuti nei lager per omosessualità non potessero accedere ai rimborsi previsti per i perseguitati dal regime nazista senza rischiare di fatto di essere nuovamente imprigionati; come del resto è capitato a moltissimi prigionieri, che sono stati liberati dai campi di concentramento solo per finire di scontare in prigione la loro pena. Inoltre, sia a livello carcerario che successivamente nei lager, i detenuti per omosessualità avevano il tasso di mortalità tra i più alti in assoluto. Paradossalmente all’epoca Gellert avrebbe corso meno rischi se fosse stato accusato formalmente di lesioni o aggressione, che di omosessualità.
- La frase che fa da titolo è il verso di chiusa della poesia “Two Loves”, di Lord Alfred Douglas. “L’amore che non osa dire il suo nome” è un’espressione comunemente usata ancora oggi per definire l’omosessualità; l’ho usata per la vicinanza tematica con la citazione che apre la fic, che era il mio prompt, (e che non conoscevo prima di cimentarmi in questo contest) ma che me l’ha subito ricordata. E’ abbastanza plausibile che Albus e Gellert la conoscessero, per altro; deve la sua fama all’essere stata usata pochi anni prima dell’estate di Godric’s Hollow, nel 1895, durante il processo ad Oscar Wilde; Lord Alfred Douglas, più noto come Bosie, era all’epoca l’amante di Wilde.

 


Infine, quello che segue è il giudizio ottenuto dalla fic nella prima fase del "More than two months of insanity - Grindeldore Chantest", indetto sul Forum da aGNeSNaPe.

Miki - The love that dare not speak its name

Grammatica 2/2
Stile 1.5/2
Caratterizzazione e IC 2/2
Originalità 2/2
Prompt 1/1
Gradimento personale 1/1

9.5

Dunque. Grammatica impeccabile come al solito. Lo stile zoppica un po’ al secondo punto, ma nemmeno più di tanto. La caratterizzazione e l’IC sono perfetti, come sempre; ho adorato l’ultima parte, con Ariana che si preoccupa dei due senza curarsi del tipo di amore che stanno vivendo. Appena una nota, ma bellissimo, il fatto che Abe si sfoghi con il lavoro; l’ho trovato profondamente IC. L’originalità deve il suo punteggio, oltre che alla dolcissima scena finale, al racconto di Gellert, che suggerisce il motivo della sua cacciata da scuola. Anche il muoversi sulla tematica dell’amore omosessuale è perfetto: non è facile parlare di questi temi, ma tu ci sei riuscita con la solita leggerezza (non nel senso di superficialità, ma come contrario di pesante). Bello a questo proposito anche la premura benpensante di Bathilda, che si convince che il suo ragazzo è stato trascinato in questa brutta storia da altri. Per quanto riguarda il prompt, ottimo! Mi è piaciuta molto l’interpretazione che ne hai dato; presumo che la “vergogna“ di cui parla Rilke non sia altro che riserbo, ma è bello come l’hai letta in chiave “caccia agli omosessuali”.
Brava Miki!! :D

 

  
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