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Autore: G_Elizabeth    20/08/2011    4 recensioni
Il mio nome è Edelweiss ed ho provato un odio viscerale verso l’estate che solo l’amica neve può comprendere.
L’ho provato, davvero... Almeno fino a quel giorno. Fino a che non conobbi lui.
O per essere più precisi, fino a che lui non mi uccise.
[...]
"L’Inverno ora giace sul suolo bruciato.
L’estate ora danza, e il vero amor ricambiato."

Storia/favola, ispirata dall'Estate stessa, quindi... Signori e Signore di ogni età! Accorrete numerosi! Il cantastorie è pronto per raccontare ciò che fu e che tutt'ora vive.
A voi. Vostra, El.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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_______________ Edelweiss

_______________ Edelweiss

________________________ Stella Alpina

 

 

 

 

 

Il mio nome è Edelweiss ed il mio animo era freddo, come il mio nome… Come il ghiaccio e le bufere di neve in pieno inverno, quando anche muovere un dito è faticoso, quando il freddo penetra dentro. Egli è sottile, abile come serpenti d’acqua.

Il mio nome è Edelweiss ed odiavo l’estate. Il Sole era come acido sulla pelle, corrodeva e non lasciava spazio per le lugubri ombre, corvine, sensuali. Io ero sua nemica e lui era sempre sorridente nel riscaldarmi.. Nello sciogliermi, nell’ustionarmi meglio che poteva.

Il mio nome è Edelweiss ed ho provato un odio viscerale verso l’estate che solo l’amica neve può comprendere.

L’ho provato, davvero... Almeno fino a quel giorno. Fino a che non conobbi lui.

O per essere più precisi, fino a che lui non mi uccise.

 

 

***

 

 

La neve quella notte scendeva ferocemente agguerrita, sulle ali del vento glaciale proveniente da Nord, si aggrappava a qualsiasi cosa incontrasse. Gli alberi erano muti quella sera, non un sibilo leggero, nemmeno un mormorio, non un respiro. Sembravano morti, ma lei sapeva che preferivano rimanere silenziosi, immobili si lasciavano ricoprire di vesti bianche e pure. Quando questi erano troppo stanchi o non erano inclini a parlare, erano suscettibili al minimo rumore. A Edelweiss questo dava noia, erano buoni conversatori quando più gli aggradava, essi avevano pazienza; ma erano testardi quasi quanto la roccia: semplicemente inamovibile.

Il Sovrano di Ghiaccio quell’inverno aveva disposto fino all’ultimo le sue volontà e con o senza l’antica arte degli alberi di far compagnia alle anime più solitarie, non restava che ubbidire; non importava se per riuscire ad adempiervi bisognava morire, anche la morte stessa poteva divenire un ordine, nonché un onore per le Creature dell’Inverno.

Quella notte il vento portava un solo messaggio, arpie dalla voce tagliente riferivano le stesse parole del Re tra grida di dolore e sadismo:

 

Che l’ira del reame glaciale sia funesta,

che le ultime tenebre non abbiano sosta.

Lugubre nero e bianco candor,

il Sole è nemico, trafiggetelo al cuor.

Ora Streghe, Ninfe e creature incantate,

ghiaccio infernale e null’altro lasciate!

 

Erano le ultime ore di vita che rimanevano a Padre Inverno, fra non più di qualche ora le creature che erano al lavoro in quella notte febbrile e oscura sarebbero dovute fuggire... O i Figli di Regina Estate le avrebbero trovate, catturate, probabilmente torturate e uccise.

Edelweiss era fra queste. Forse non era una delle Ninfe più belle e graziose, ma era sicuramente una delle più glaciali, decise e spietate. Soprattutto con le creature raggianti e solari di Estate, soprattutto con gli Adoni di fuoco e oro che vagavano per i boschi lì vicino, pronti a dar battaglia e usurpare senza ritegno i loro territori: monti, valli e distese di ghiaccio a perdita d’occhio.

Tra gli alleati che Estate poteva vantare vi era Primavera, frivola Regina con più ninfette stupide e giocose che sudditi realmente leali. L’amore nell’aria che portavano con i loro canti e balli faceva ribollire il sangue nelle vene alla ninfa che stava percorrendo gli irti sentieri della Valle del Risveglio. Riusciva a sentirli in lontananza, quelle risate leggere e quella musica allegra e spensierata che profumava di rinascita e calore… Per lei significava solo disfatta e se era fortunata esilio o morte, se lo era meno e la fortuna l’aveva abbandonata lasciandola sola col suo stesso fato, significava tortura.

L’abbandono di questo mondo sarebbe stata cosa da niente a confronto delle torture tra carboni ardenti e fenici di fuoco.

Edelweiss richiamò alla memoria Autunno, egli era loro alleato ma ormai era passato il tempo in cui combattevano insieme, e fra poco sarebbe arrivata l’alba, la fine dell’inverno era vicina, spaventosamente vicina.

Ad ogni passo che compiva altra neve si posava al suolo su quella che lentamente andava sciogliendosi, la temperatura scendeva vertiginosamente e stelle alpine dai petali morbidi e leggeri ma taglienti come lame affilate crescevano tutt’intorno alla sua figura. I lupi la seguivano, fedeli, feroci e in quel momento estremamente bramosi di carne fresca, sentivano l’odore delle ninfe e dei satiri; Edelweiss poteva sentire la loro fame come se fosse la propria e sarebbe stata la prima a dargli in pasto quelle miserabili gioiose creature, ma stava diventando debole e sempre più stanca. Era la terza volta che aveva dovuto fermarsi, gli occhi le bruciavano, lacrime che poco dopo gelavano sulla sua stessa pelle brillavano come diamanti alle prime luci dell’alba e lei era troppo stanca per andare avanti, ma lo era anche per tornare indietro.

Le rimaneva poco da fare se non appoggiarsi al tronco di un albero e lasciarsi scivolare giù, sull’immacolata neve soffice e aspettare. Che cosa? Il Sole, i satiri, la Primavera e l’Estate insieme, le ninfe dei boccioli e dei primi germogli… Che importanza aveva ormai? Qualsiasi cosa aspettasse per lei non ci sarebbe stato un altro Inverno. La morte sarebbe stata il culmine di una secolare vita di ghiaccio e fiori incantati, lacrime cristallizzate all’interno di un’anima fiera, ma sola, estremamente vuota. Tutto considerato, a lei andava bene così: forse la Dea del Non Ritorno avrebbe avuto pietà di un’anima come la sua… Aveva sempre pensato di trovarsi dalla parte sbagliata, la sua stessa pelle la costringeva e opprimeva, a volte togliendole il respiro, ma non era la sua natura ad aver commesso i peccati di cui si era macchiata. La speranza era l’ultimo sentimento a cui si aggrappava, il desiderio di essere perdonata era diventato devastante per Edelweiss: aveva fatto sì che molti villaggi venissero distrutti, diviso famiglie, devastato focolari d’amicizia e dolcezza, aveva ucciso persone innocenti, colpevoli unicamente di essere troppo deboli per resistere al suo gelo… Eros l’aveva trafitta con le sue frecce d’amore innumerevoli volte, e innumerevoli erano le volte che aveva sofferto per le perdite che si susseguivano nel tempo: poiché ogni suo amante, era mortale.

Edelweiss era quel fiore che non sarebbe mai morto con l’amore ancora fresco fra le labbra.

Sulle sue spalle si aggrappavano spettri con artigli affilati, era da più di trecento anni che le stavano scorticando l’anima, pezzo per pezzo, inesorabilmente.Petalo per petalo.

L’Immortalità era una maledizione, lo era sempre stata: le creature incantate, gli Dei, gli Spiriti della Natura… Erano tutti dannati, fin dall’alba dei tempi.

Intanto nella Valle, al limitare del bosco, i lupi le rimanevano accanto, cercavano di rasserenarla, rincuorarla come meglio potevano, ma ormai era tardi e lei non voleva più essere salvata. Andava bene così.

 

Quel giorno, in quell’alba neonata,

incontrò colui che avrebbe posto fine al suo tormento

e al suo esser glaciale creatura incantata.

 

Chiuse gli occhi, le sembrava di sentire fiamme ardenti penetrarle nelle iridi glaciali, la pelle che era esposta al Sole si ustionava; le sembrava che milioni di fuochi prendessero vita ovunque, le membra sembravano ardere imperterrite anche all’interno del suo corpo e riusciva a sentire quell’odore di carne alla brace che le provocò un forte senso di nausea. Voleva risparmiare le forze, voleva cercare l’ombra, non avrebbe mai immaginato che la sua morte sarebbe stata così ardente e disonorevole.

In quel momento, però, qualcosa cambiò, e lei lo percepì chiaramente. Quella sensazione era così forte che sentì vibrare anche le più piccole particelle di nuova vita, scrollarsi il gelo di dosso e abbracciare il calore.

I suoi polmoni si riempirono dell’odore del Sole, di spighe di grano, fiori di campo, germogli e muschio, di luce intensa, nuvole e oceano: una Creatura dell’Estate.

Le palpebre le dolevano per il bagliore troppo intenso, non riuscivano a proteggerla, portò una mano al viso per poter riaprire gli occhi… Se la morte era venuta a prenderla, voleva vedere chi le avrebbe tolto quel poco che le rimaneva.

I lupi cominciarono a ringhiare, mostravano i denti e suoni spaventosamente gutturali si accrescevano nell’aria, uno sopra l’altro. Per Edelweiss era un crescendo di rumori, odori ed emozioni; il cuore le batteva ad un ritmo rapido e vertiginoso e quando vide chi si stava avvicinando si tirò su in pochi secondi e fece materializzare una lancia di ghiaccio tra le sue mani mettendosi in posizione di attacco, lo sforzo di pochi istanti prima le aveva provocato un giramento di testa. Si sentiva talmente calda che pensava potesse prendere completamente fuoco e tramutarsi in cenere da un momento all’altro.

Anche se soffriva il suo viso rimase fiero e non l’ombra di una smorfia comparve a spezzare quella maschera di gelo; nel mentre, i lupi si misero davanti al suo corpo, ma con un semplice gesto gli ordinò di andarsene. Loro non centravano, Edelweiss voleva semplicemente salvarli da morte certa… Lui, quella solare creatura, non ne avrebbe fatto altro che pellicce e trofei per il suo ego, ne era convinta.

Ubbidirono restii e quando li sentì abbastanza lontani la sua concentrazione si fissò sulla figura maschile che ormai era a pochi passi da lei. Una cosa gliela doveva comunque: morire per mano di una creatura tanto celestiale poteva non essere così spaventoso come credeva. Ma era un nemico e non lo doveva dimenticare, e lei voleva combattere per la sua morte, era una guerriera, in fondo… Voleva almeno credere che fosse una giusta causa per dar battaglia.

Non doveva dimenticare che era un nemico nemmeno quando i suoi occhi incontrarono quelli di Edelweiss, erano argento, puro argento fuso, disciolto in due pozzi di astri dai mille riflessi. Non lo doveva dimenticare nemmeno quando guardò la sua setosa e ribelle chioma bruna, il colore dei tronchi e della terra rovente, calda… Non lo doveva dimenticare nemmeno quando vide la perfezione dei suoi lineamenti, il suo corpo marmoreo, i muscoli tesi e ben in vista, le mani grandi e forti. Era così piacevole guardarlo che dovette concentrarsi a fondo per visualizzare ciò che doveva fare: impugnare con fermezza la lancia e ucciderlo, squarciargli la gola o trafiggergli il cuore, anche se pensava che deturpare cotanta bellezza sarebbe stato davvero un violazione della natura, e non dimenticando: sempre se non l’avesse uccisa prima lui.

Ma non c’era spazio per la paura o l’insicurezza, non in quel momento. Lui stava portando l’estate con prepotenza e arroganza: fiori dai colori vivaci spuntavano dove prima candida neve era posata affabilmente, gli alberi… Poteva sentirli risvegliarsi e gioire, i piccoli roditori, le cerve con i loro piccoli…

Persino quelle meravigliose stelle alpine stavano appassendo per il troppo calore.

«Fuggi» Disse. Edelweiss sorrise e strinse con più forza la sua arma.

«Mai. Dovrai mandarmi negli Inferi se vuoi che me ne vada».

«Rimembra quando sarai giunta lì che hai deciso da sola il tuo destino, Ninfa di Ghiaccio».

«Edelweiss, se permetti la precisazione».

La ninfa lo raggiunse in pochi istanti e fece per affondargli la lancia nel torace, ma in un battito di ciglia era stesa a terra, la splendente creatura era stesa sopra di lei, la lancia evaporò e si ritrovo un pugnale puntato alla giugulare. I loro occhi erano incatenati, la pelle doleva terribilmente quando veniva sfiorata dall’altra, così incandescente… Così glaciale.

«Fallo… Ti prego» Edelweiss lo voleva, voleva che quella lama la trapassasse. Una lacrima le scese lungo la guancia, evaporò subito. Un rivolo di sangue scarlatto scese per la pressione dell’arma tagliente sulla sua gola. Allora la creatura alzò il braccio per l’affondo finale, ma quella lama non raggiunse mai il corpo di Edelweiss, qualcosa negli occhi di quel giovane uomo si era accesso, chiunque avrebbe potuto scambiarla per una stella cadente. Egli si alzò e con rapidi gesti quanto inaspettati, si ricompose e le voltò le spalle.

La ninfa rimase scioccata tanto che per qualche secondo non riuscì a muovere un muscolo, appena si riprese si mise in ginocchio, reggendosi a stento con le braccia, stremata.

«…Perché?!» Gridò con tutto il fiato che aveva in gola «Perché mi risparmi? Non… Non capisco. Chi sei?».

«Helios, questo è il mio nome. Io sono uno dei quattro Spiriti di Vita Eterna, Massimo Consigliere di Regina Estate».

«Uccidimi». La sua, era una preghiera anche se suonava più come un ordine. In realtà era solo una supplica a uno Spirito.

Sapeva che per quanto forte potesse essere, non avrebbe mai potuto, e non lo voleva, vincere contro di lui, era un Dio. Non puoi uccidere un Dio, per lo meno, quando sei una Ninfa… E questo Edelweiss lo sapeva benissimo.

«No. Non sarò io a porre fine alla tua vita». Lo sguardo di Helios era severo, ma non crudele, non c’era odio né rabbia in lui. I suoi occhi erano così limpidi che lei non riusciva nemmeno a sostenerli. Guardò le sue mani, così malconce e doloranti e pensò che se lo meritava, meritava ogni singola ustione.

«In questo caso… Voglio che tu sappia, Helios, che tra le ninfe sono una delle più forti e combattive. Non ti lascerò andare così facilmente. Abbiamo regole ferree che dobbiamo rispettare. A costo della vita!» Edelweiss si alzò, sapeva che non era del tutto vero, ma poco importava. Le gambe tremavano sotto il suo peso, ma il suo sguardo era più fermo che mai.

Helios la osservò: era una figlia dall’aspetto piuttosto giovane di Padre Inverno, anche se alle sue spalle sapeva avere molti più anni di quelli che dimostrava e anche molte più sofferenze di quanto qualsiasi umano potesse sopportare. Era forte, non c’era dubbio, dura ed estremamente fragile; ma era una Stella Alpina e lui un Raggio di Sole, sarebbe morta se si sarebbero scontrati ancora, lo sapeva. Il Sole l’aveva già avvelenata prima che lui potesse arrivare per poter fare qualsiasi cosa.

La ninfa riformò una lancia di ghiaccio e si lanciò in un disperato attacco contro il Dio, finalmente avrebbe avuto la sua punizione definitiva, aveva provato molte volte a uccidersi, e sempre con scarsi risultati.

Nella sua mente una bufera di neve con queste parole trascinate dal vento dei suoi pensieri continuavano a turbinare:

 

Raggio di Sole dal cuore gentile,

estirpa con grazia il fiore e ringrazia

la musa di ghiaccio che il cuore

gli dona con lacrime amare e ferite d’amore.

 

L’Inverno ora giace sul suolo bruciato.

L’estate ora danza, e il vero amor ricambiato.

 

Queste piccole composizioni poetiche venivano narrate alle giovani ninfe neonate come ammonimenti. Edelweiss non sapeva perché gli fosse venuto in mente proprio quel verso, ma lo stava ripetendo come un mantra, con un filo di voce, mentre si stava avvicinando sempre di più ad Helios, che restava immobile, come una statua di marmo.

Provò un affondo e come era prevedibile andò a vuoto, gli arti erano pesanti e nemmeno la fresca neve che ancora resisteva ai caldi raggi di Sole leniva il bruciore che sentiva in tutto il corpo. Attaccò ancora, e ancora… Tutti i colpi che sferzava finivano con lei ansante e lui splendente nelle sue vesti che la osservava, un velo sugli occhi di pietà e misericordia, le sembrò di catturare ammirazione e rispetto ma sapeva che li stava scambiando con semplice stupore.

«Tu mi hai chiesto perché ti risparmio. Io ora ti chiedo: perché vuoi morire per mano mia?» Era malinconia quella che sentiva nella sua voce? Edelweiss si appoggiò alla sua arma prendendo grandi respiri, non le erano rimaste più forze, la gola ardeva come se l’aria stessa si fosse trasformata in lava.

«Ho fatto cose miserabili nella mia esistenza, i miei peccati sono innumerevoli e le mie mani imbrattate di sangue puro, sangue innocente. Come tu ben sai, le Ninfe non muoiono anche se esposte al Sole. Dolori atroci attendono le creature dell’Inverno che vengono torturate in questo modo: il Fuoco Eterno brucia il corpo e la mente. Ma questa non è morte».

«Edelweiss, tu vuoi morire per porre fine al tuo dolore. Sei sicura che Morte saprà lenire ciò il Tempo non riesce a risanare?».

«Ho amato. Amato forse frivolamente, ma ho amato esseri umani che Tempo mi ha poi portato via. Sono un’anima sola e fredda, lo so… Ed è la solitudine senza le radici di un amore puro a punirmi. Voglio solo che tutto questo finisca». Edelweiss cadde a terra, non riusciva più a reggersi in piedi e quando Helios la prese tra le sue braccia si preparò a sentire dolore, ma di fatto non sentì nulla se non un dolce torpore, le sembrò semplicemente di evaporare.

«Helios… Ti prego, salva ciò che rimane di me … O poni fine a tutto, poni fine a… Me». La ninfa non avrebbe mai pensato di supplicare nessuno, men che meno un Dio dell’Estate. Era d’animo forte ma desiderava il perdono. Desiderava un amore caldo, un amore puro. Un amore che in vero, riusciva a intravedere nel Dio.

Se solo non fosse appartenuto alla Corte dell’Estate…

Tuttavia, avrebbe voluto poter sfiorare quella perfezione celestiale, avrebbe davvero voluto condividere ogni respiro con lui.

Sorrise amara, la morte sarebbe stata dolce e tiepida, dopotutto.

Eros aveva un senso dell’umorismo a scegliere i suoi amanti davvero non trascurabile.

«Ti salverò, Edelweiss». Con queste ultime parole, che forse la ninfa non udì, la fragile Stella Alpina cadde in un sonno profondo abbandonandosi completamente fra le braccia del Figlio del Sole che lentamente si chinò sul suo corpo esanime e la baciò con quanta più grazia possedesse.

Allora capì ogni cosa, capì chi lei fosse e chi sarebbe diventata.

E sorridendo cantò al vento caldo la lieta notizia mentre fra le sua braccia si compiva l’Antica Profezia.

 

Un’anima per i peccati commessi pagherà,

un’anima fragile d’amore soffrirà.

La freccia scoccata con ali d’argento

Trafiggerà quel cuore gremito di tormento.

E la pace su candidi petali si poserà…

e il fiore sterile nuovi figli genererà.

 

Quel giorno la Morte arrivò su ali di tiepido calor, nebbiose e impalpabili come preghiere nel vento. Scura in viso guardò il Dio prima di procedere con l’esecuzione, egli sicuro fece cenno d’assenso e in pochi istanti la rossa e tagliente falce recise ogni legame che la Ninfa avesse mai avuto con la Corte d’Inverno.

Niente sarebbe mai stato più come prima, forse nemmeno l’essenza stessa della Natura.

Helios rimase lì, a cullare la dolce ninfa che piano piano moriva nel suo abbraccio…

Rimase lì, ad attendere e pregare il risveglio della sua Sposa.

 

 

***

 

 

Il primo aroma che Edelweiss percepì fu l’odore del Sole, un profumo che scoppiettava di vita e calore, frizzante e puro. Semplice.

La prima cosa che sentì fu delle braccia che strette la proteggevano, le mani grandi posate sul suo ventre. Poi una carezza fra i capelli e un bacio sulla fronte.

Il primo suono che udì fu il canto delle fenici, potente e aggraziato, come inni di gioia e risurrezione.

La prima cosa che vide fu il volto del suo amante, ne aveva la certezza. Non seppe dire come ne venne a conoscenza, ma era qualcosa che sentiva inciso dentro, come mai nulla prima di allora…

Quando il suo compagno le sorrise ricolmo di felicità, il primo sapore che provò sulla punta delle labbra, fu l’Amore.

Un amore così incontaminato che lacrime dorate le caddero senza che se ne accorgesse.

Il Perdono le fu finalmente concesso.

 

 

***

 

 

Passarono molti Inverni, e molte Estati.

Bufere di neve e tormente. Tifoni e acquazzoni dalla violenza inaudita.

Ma Helios e la sua Edelweiss rimasero insieme, fino alla fine dei tempi… Ed io lo so.

Passarono gli anni e i secoli, forse anche i millenni… Ma quando li vidi insieme fu una tale gioia ritrarli che quella tela fu per me la realizzazione di un sogno: in una vallata di spighe di grano, il canto dell’oceano racchiude luce e fiori variopinti. Allora ninfa sterile, ora futura madre poggia la mano sul grembo gonfio e sorride radiosa, occhi dalle iridi glaciali ma ricolmi d’affetto guardano in lontananza, e le dita protratte nel vento sfiorano il Compagno seguite da un tenero bacio a fior di labbra, appena accennato.

L’Estate è rinata.

 

 

***

 

 

Questo è il mito di Edelweiss ed Helios.

La storia di una fragile Stella Alpina che al fiorire dell’Estate trovò il suo Raggio di Sole.

 

In fondo, io sono solo un cantastorie, colui che tutto osserva in silenzio e che narra ai popoli di terre lontane.

Solo un umile pittore al servizio del Ricordo e della Memoria.

Io sono al servizio di me stesso e di tutti voi perché nessuno dimentichi ciò che fu e che tutt’ora vive dentro la stagione che il Sole stesso ha per Consorte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notes________________

Non sono pienamente soddisfatta, sono più “donna dalla tragica fine”.

Ma ad Edelweiss e Helios ho concesso il lieto fine, forse è l’Estate a rendermi più dolce, chi lo sa.

Ho pochi chiarimenti in realtà da fare, più che altro sui nomi:

Edelweiss: Stella Alpina

Helios: Figlio o Dono del Sole.

Forse era chiaro, ma volevo sottolineare più che altro che non sono stati scelti a caso.

Un’ultima cosa: le micropoesie. Spero siano quantomeno accettabili.

Grazie infinite per la vostra attenzione! J

El.

   
 
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