Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Shu    29/08/2011    4 recensioni
L'ospite di oggi del negozio ha lunghi boccoli scuri, un kimono bianco da giovane signora, ed è venuta a chiedere di essere liberata dalla sfortuna che porta agli altri.
Missing moment, tentativo di dare un senso ad un particolare importante che non ci è stato spiegato. SPOILER per chi non ha finito il manga.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Himawari Kunogi , Kimihiro Watanuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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[Questa storia nasce come tentativo di giustificare uno dei tanti buchi di trama di quella cosa insensata e imperdonabile che è l'arco "Rou" di "xxxHOLiC". Non so come la pensiate voi, ma per me le CLAMP hanno snaturato e annullato tutta la struttura e i significati di una delle loro opere più riuscite. Insieme allo stravolgimento dei personaggi di Watanuki e Doumeki, non mi è andata proprio giù la totale scomparsa di quello di Himawari. E l'assurdità del menzionare, così, en passant, che si è sposata. Ci saremo tutti chiesti come abbia fatto visto il suo piccolo problema. Questo è il mio tentativo di risposta, l'unica possibilità che mi sia venuta in mente; spero di poterne leggere altre.

Partecipa al contest indetto da Harriet "Wordsmith"; come prompt, la citazione che trovate qui sotto, e come difficoltà aggiuntiva la menzione di un rito religioso -in questo caso, il matrimonio.

Dedico questa storia a Potterwatch, per tutto l'amore con cui ha voluto onorare i miei piccoli lavori su questo manga. Grazie a lei, e a voi.]

 

 

 

And I loved you when our love was blessed
and I love you now there's nothing left
but sorrow and a sense of overtime
and I missed you since the place got wrecked
And I just don't care what happens next
looks like freedom but it feels like death
it's something in between, I guess
it's closing time.

 

-Leonard Cohen, "Closing Time"
 

 

 

 

 

 

 

 

L’ospite di oggi del negozio ha lunghi boccoli scuri, un kimono bianco da giovane signora e un sorriso ancora da ragazza. Ha ciglia che si abbassano in un modo che lui ricorda alla perfezione, e mani che non riconosce, dalle lunghe unghie dipinte, ed è venuta a chiedere di essere liberata dalla sfortuna che porta agli altri.

“Lo sai che… non è possibile.” boccheggia lui, dopo i lunghi minuti di silenzio che hanno come dilatato lo spazio che li separa, inginocchiati l’uno di fronte all’altra in una posa perfetta e dignitosa, lei, lui teso e confuso con le vesti che allargano scomposte sui tatami.

“Sicuro?” chiede lei, e la piega delle labbra è serena come sempre. “O forse è il prezzo che è troppo alto?”

Lui non risponde, lo sguardo scuro, altrove.

“Tutta la mia felicità futura, aveva detto Yuuko-san, non è vero?”

“Come… come lo sai?” scatta lui, ma lei si limita a spostarsi un ricciolo dietro le spalle, gli occhi di nuovo socchiusi nella grazia del sorriso.

“A me va bene.”

Fuori, è una giornata di sole. Il silenzio dei due si riempie dello stormire degli uccelli fra gli alberi, delle chiacchiere di una coppia che passa davanti al cancello del negozio. Lei ora guarda dalla finestra, negli occhi il riflesso della luce.

“Non penso esista un potere in grado di non farti sentire bene quando… il cielo è azzurro, o qualcuno ti fa un complimento, o senti una battuta che ti fa ridere. Penso che Yuuko-san parlasse di qualcos’altro. Tutta la mia felicità futura… quella vera.”

“Perché?” chiede semplicemente lui.

“Mi sposo.” risponde lei, altrettanto semplicemente.

Il movimento brusco del ragazzo rovescia le tazze di tè poggiate a terra, e la macchia comincia ad allargarsi sui tappeti, avvicinandosi pericolosamente alla stoffa bianca del kimono. Ma mentre lui raccoglie le tazze, in un fruscio agitato di vestiti, si scusa, cerca di rimediare, lei resta perfettamente immobile.

“Non vedi come tutto torna? Se voglio poter stare vicino agli altri, a qualcun altro, devo… rinunciare ad essere felice. Ad essere felice veramente. A quella che sarebbe stata, io credo… la realizzazione della mia vita.”

E questa volta si guardano.

“Non posso più aspettare.” Le sue labbra sono dolci come quella volta che gli aveva detto addio, ma adesso si schiudono solo per un sussurro. Non una decisione d’impulso, ferma, definitiva, una fuga precipitosa, ma pensata per anni. Un addio infinitamente più lungo.

Lui si alza in piedi, raccoglie le tazze, rassetta le vesti. “Lo so. Non ha… nessun senso.”

E tutti e due lo sanno che il senso ci sarebbe, che ci sarebbe il senso, il motivo più alto del mondo. Ma non sempre l’amore ti porta da qualche parte. A lui, a loro, li aveva tenuti immobili, legati ad una casa che aveva cento, mille anni, ciechi, bendati, ossessionati da un unico pensiero.

E forse è il momento che, almeno in quello, smettano di essere egoisti. Negli occhi che hanno voluto chiudere, nel far finta di nulla, nel loro girare una vita attorno a un punto vuoto, non sono riusciti a fare niente l’uno per l’altra. Forse è l’ora di fare qualcosa per qualcun altro –per quella terza presenza che si è insinuata tra di loro, anonimo, sottile come fumo, e insieme forte della stessa concretezza delle cose belle o tristi della vita.

Una presenza che –Watanuki stringe i pugni nella rabbia- non c’era, maledizione, non c’era alle feste tenute in quella casa, seduta con loro ai banchi di scuola, non c’era nei momenti importanti, a urlare in mezzo allo schianto di vetri di una finestra, né nel sussurro delle promesse. E non c’era mai stata nemmeno nelle loro telefonate, nei singhiozzi o nelle risate di lei dall’altro capo dell’apparecchio, in tutti i compleanni passati insieme. Un fantasma.

Che coraggio, però, ci vuole –parlare lui, di fantasmi. Lui che di certo non c’era alla cerimonia del suo diploma, né sul treno che la portava al nord, a nessun compleanno, mai l’ha portata fuori la sera, mai l’ha vista arrabbiarsi, annoiarsi, divertirsi, piangere. Il fantasma, l’ombra senza nome che si agita da qualche parte dietro le spalle di lei, è anche lui.

Lo sconosciuto impegno che la fa tornare a casa ogni primo d’aprile. La voce che la fa piangere al telefono. Una fotografia sbiadita su un comodino, forse; l’estraneo… il passato.

E allora, quando ritorna nella stanza, è con compostezza che le siede di nuovo davanti, ferma è la mano che spinge verso di lei un minuscolo cofanetto intarsiato, e lo apre.

“Immagino… che ora non ci vedremo proprio più.” Si concede di guardarla ancora una volta, e un breve sorriso, anche se un po’ triste.

“Immagino.” risponde lei, ma poi alza la testa –e sono gli occhi di una ragazzina a cui piacciono i dolci, e i fiori, e scherzare con i suoi amici, una cascata agitata di riccioli, e quel suo sorriso, quel suo sorriso tutto sole. “Ma non si sa mai… In fondo, io ce l’avrò sempre, un desiderio…”

   
 
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