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Autore: lullaby_89    30/08/2011    1 recensioni
Ebbene ci sono di nuovo, nuovo nome, nuovo titolo, ma i personaggi sono gli stessi!
Una storia d'amore e d'amicizia senza troppe pretese. Tra lacrime, sorrisi, incomprensioni, errori e scelte sbagliate Edoardo e Giulia cercheranno di capire qual'è il confine tra amore e amicizia!
“Sono libera di scegliere ciò che voglio senza che tu mi faccia da supervisore lo sai?”
Al contrario di Niccolò, con Edo non riuscii a mantenere un contatto visivo. I suoi occhi chiari mi schiacciavano a terra senza via di fuga.
“Io voglio solo vederti felice” accarezzò la mia spalla nuda portandomi più vicina “non raccattare il tuo cuore a pezzi” [...]
“Quando troverai un ragazzo mi lascerai da parte vedrai…” sorrise nervoso e mi posò una mano sulla mia "Un giorno ti dimenticherai di me"

- probabilmente scriverò dei capitoli extra per i missing moment a rating rosso -
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Qualcuno dirà "ma come? un'altra volta?" ebbene sì, ci risiamo!
Ho riscritto la storia, modificando due cosette, ma questa volta ci siamo! il tempo è sempre poco, ma i capitoli che ho scritto sono già 14...cercherò di postare ogni settimana, al massimo 10 giorni!
Se leggete fatemi sapere cosa ne pensate ^^ fa sempre piacere!

Era bello stare avvolta nella più assoluta pace della natura, sdraiata su una coperta sopra quel parco verde. L’odore dell’erba di luglio dopo una giornata di pioggia era magnifica. A quell’ora la Cascina era vuota, solo pochi appassionati del jogging venivano a correre prima di cena. L’unico rumore era quello dei fagiani che passeggiavano cercando del cibo raspando a terra con i piccoli artigli.

Ad occhi chiusi tutto era più nitido: la tranquillità di quel posto, un piccolo paradiso in quella vita caotica.

Il liceo era finito, maturità conclusa, all’inizio del primo anno quel traguardo sembrava così lontano da non arrivare mai, invece eccomi qua, matura. Una scelta da fare, la più difficile probabilmente: l’università. Ero decisa, nella mia vita non c’era mai stato alcun dubbio, avevo fatto il liceo per prepararmi meglio ed in quel momento la mia iscrizione era sulla scrivania della mia camera. Architettura.

Il vento iniziò a fischiare tra gli alberi, erano le sette di sera e nuvole grigie venivano trasportate prospettando un nuovo acquazzone estivo.

Erano belle le piogge improvvise, dopo tanto caldo vedere la pioggia per me era rilassante, la brezza leggera che l’acqua portava con sé era qualcosa di unico.

Mi tolsi gli occhiali da sole dato che ormai i raggi solari erano filtrati dalle fronde degli alberi all’orizzonte e mi alzai a sedere riponendoli nella custodia dentro lo zaino.

“Bella addormentata ci sei allora?” ironizzò il ragazzo al mio fianco. Era disteso con le mani dietro la testa e un’espressione beata sul volto.

“Sempre simpatico tu” risposi a tono.

“Permalosa come sempre” mise il broncio e si tirò su voltandomi le spalle. Risi e mi trovai a pregarlo di smettere di farmi il solletico. Era così tra di noi, facevamo i finti imbronciati e poi scoppiavamo a ridere come due bambini.

“Smettila ti prego!” urlai esasperata cercando di spingerlo via,  inutilmente dato che era più alto di me di dieci centimetri buoni ed il suo fisico era uno dei più invidiabili; calciatore dall’età di sei anni.

Rimasi con il fiato corto a terra e lo stomaco dolorante per le risate mentre lui afferrava la coperta e con uno strattone mi ritrovai con la faccia sull’erba.

“Sempre delicato” sbuffai alzandomi e dandogli una pacca sulla nuca scherzosamente.

“Dobbiamo andare, non siamo in bici, a piedi ci vuole una trentina di minuti per arrivare al parcheggio” disse serio ripiegando la coperta e infilando tutto nello zaino, prese una sigaretta e l’accese per poi guardarmi con la sua solita aria indecifrabile.

“Andiamo” lo assecondai mettendomi la borsa a tracolla. Camminammo al fianco in silenzio, era tipico di noi, stavamo interi minuti senza dirci una parola, ci guardavamo ogni tanto e il nostro sguardo riprendeva subito il suo posto davanti a sé.

La sigaretta che teneva sulle labbra ciondolava come stanca, la prese e soffiò il fumo creando una nuvoletta grigia chiara sopra la sua testa. Odiavo l’odore del tabacco, lui lo sapeva, ma nonostante tutte le mie preghiere e suppliche per convincerlo a smettere lui continuava promettendo ogni giorno che quella sarebbe stata l’ultima della serata.

La luce del giorno ormai era svanita dietro le colline e le chiome degli alberi, tutto il cielo era viola ed arancione e le nuvole incombevano sempre più cariche, grigie e voluminose. Dietro di noi ombre lunghe seguivano i nostri passi sulla ghiaia del lungo viale confinante con il Golf Club delle Cascine.

“Sei silenziosa oggi” ruppe il silenzio guardandomi con i suoi occhi verde mare, era difficile decifrare quel colore particolare, un misto di verde chiaro a un celeste ghiaccio, incredibili.

“Come te del resto” risposi.

“Giusto, ma sai cosa mi turba, invece non so cosa hai tu” mormorò fissandomi ancora.

“Niente di particolare, tu invece devi fartene una ragione” brutto argomento, sapevo che quando iniziavamo poi finivamo per litigare, ma mi dava sui nervi la sua rassegnazione.

“Sai che non posso”

“Puoi eccome...” scossi la testa esasperata, in un anno avevo ripetuto quelle parole fino allo sfinimento, uomini cocciuti “non puoi continuare così, lei non è pronta per impegnarsi, ha paura! Mettitelo in quella zucca bacata, se stai con lei accetti le sue condizioni…altrimenti ci sono altre mille ragazze ad aspettarti! È la mia migliore amica e le voglio bene, però so quanto può essere difficile starle vicino” sospirai guardando il suo volto farsi cupo e lanciare la sigaretta lontano sul cemento del parcheggio. La seconda in mezz’ora.

“Stare con lei mi far star male…non averla anche” parole ancora una volta sentite e risentite.

“Io non posso decidere per te” poggiai una mano sulla sua spalla teneramente “la decisione è tua, ma non venire da me quando sarai ancora una volta distrutto” invece sapevo benissimo che lo avrebbe fatto e io lo avrei consolato come sempre rimettendo tutto a posto.

“Per adesso sta andando bene” sussurrò a testa bassa.

“Sì, e io sono felicissima per voi, siete entrambi miei amici e mi fa piacere che questa storia continui Edo, ma vederti così mi fa star male lo sai” lasciai scivolare la mano e misi la borsa in macchina.

“Io senza di te non saprei come fare” lo sentii dire mentre richiudevo lo sportello per voltarmi a guardarlo. Era poggiato sul tettino della macchina con le braccia incrociate e le mani a pugno a reggersi il volto, quello di un diciottenne, bello come un angelo.

Già, io lo chiamavo angelo, forse per i capelli biondi, forse per gli occhi azzurri o semplicemente perché aveva un viso angelico, impossibile arrabbiarsi con lui e consapevole ne approfittava.

“Lo so!” mi atteggiai a donna importante e lui rise mentre entrava in macchina.

Entrai anche io ed uscimmo dalla Cascina imboccando la strada principale, abitavamo poco distanti da lì, soprattutto casa mia era molto vicina, entrò nella strada senza sfondo in cui abitavo e spense la macchina.

Lasciò scivolare le mani dal volante e mi guardò pensieroso, quelli erano i momenti imbarazzanti in cui aveva timore di chiedermi qualcosa che poi si rivelava sempre la stessa.

“Secondo te...” ecco che prendeva fiato “sto facendo la cosa giusta a stare ancora con lei?”

Lo fissai dolcemente dandogli al solita risposta di sempre “lo puoi sapere solo tu...io non mi intrometterò mai nella tua vita, ad ognuno le sue scelte”

“Mi darai mai una risposta diversa?” domandò esasperato.

“Non credo” sorrisi e afferrai la borsa uscendo dalla macchina prendendo la chiave del cancello. Damon venne verso di me scodinzolando, aprii il cancello e subito uscì in strada abbaiando al mio migliore amico.

“Sai, a volte penso che il tuo cane mi odi” scherzò uscendo e accarezzando la testa del mio husky, che come al solito smise di abbaiare come un pazzo e si lasciò grattare la testa “è lunatico” rise lasciandolo andare.

“Ma no, ti vuole solo bene, è il suo modo di salutarti” dissi accarezzando le orecchie morbide di Damon che compostamente si era seduto al mio fianco aspettando che entrassi in casa.

“Con te non fa così” brontolò fissando il cane al mio fianco tranquillo.

“La tua cara Luna non fa che ringhiarmi contro ogni qual volta le si presenta l’occasione” brontolai.

“Lo sai, è gelosa delle altre donne” rise montando in macchina e il primo lampione si accese nelle strada seguito a ruota dagli altri “si è fatto tardi, ci vediamo domani Giulia” mi avvicinai al finestrino e lo abbassò del tutto per permettermi di dargli un bacio sulla guancia a cui seguì un ringhio di Damon.

“Pure lui geloso...” sbuffò Edoardo con un sorriso e messo in moto se ne andò.

Entrai in giardino con il cane al mio fianco, chiusi e entrai in casa, lanciai la borsa da una parte ed andai nella cucina dove ovviamente trovai mia madre a cucinare e la nonna a leggere il giornale.

“Sera” dissi prendendo un bicchiere di acqua fresca.

“Ciao tesoro” mi salutò mia nonna alzando gli occhi da sotto gli occhiali.

“Dove sei stata fino ad ora?” domandò mia madre guardandomi come per studiarmi.

“In Cascina con Edo, te l’avevo detto no?” mi pareva di averlo detto eccome, ero uscita di casa urlandolo ad alta voce.

“Soli?”

“Sì” risposi non capendo il senso di tutte quelle domande “che c’è di strano? Lo conosco da 8 anni” precisai non trovando necessario quell’interrogatorio.

“Sì, ma per cinque anni non vi siete mai visti e ora siete diventati inseparabili” posai il bicchiere sul lavello e mi sedetti alla tavola. Dove voleva arrivare?

“Bè, ci siamo persi di vista per un po’ è vero...” risposi dopo un po’ “ma adesso siamo di nuovo amici è normale che ci vediamo no?” alzai le spalle involontariamente e aspettai una risposta.

“Giusto, solo che…” ed eccoci con le solite preoccupazioni da mamme “non c’è altro sicura?”

“Sicurissima, amici stretti e basta” sorrisi e mi alzai “sai che ti dico sempre la verità” baciai la sua guancia con uno schiocco di labbra e la feci ridere.

“Va bene” annuì.

“Che male ci sarebbe?” intervenne mia nonna “è così un bravo e bel ragazzo”

Non mi trattenei dal ridere sotto i baffi. Mia nonna aveva sempre avuto un debole per Edoardo e sperava sempre di vederlo al mio fianco e non solo come amico.

“Nessuno…” rispose mia mamma “Stasera pasta fredda, va bene per te?” cambiò discorso.

“Perfetto mamma” mi lavai le mani e aiutai a preparare la cena, come facevo ormai da qualche giorno, ero in vacanza e senza compiti estivi, una nota positiva della fine del liceo.

 

Mangiai in fretta come sempre per poter uscire, non volevo più stare chiusa in casa dopo mesi di reclusione per causa esame di maturità, volevo stare all’aria aperta il più possibile anche solo per portare a spasso Damon.

Avendo ormai intuito che anche quella sera l’avrei portato fuori nel parco Damon mi scodinzolava dietro con il guinzaglio di cuoio in bocca con gli occhioni azzurri puntati su di me. Era un animale estremamente intelligente, testardo e frenetico come era consono nella sua razza, ma soprattutto molto dolce. Afferrai il guinzaglio prendendo con me solo il cellulare e le chiavi di casa, feci scattare il moschettone sul collare rosso di Damon e aprii il cancello con il pulsante per uscire fuori nella penombra di quel momento che precede la notte dove i lampioni sono accesi, ma la luce del sole si intravede ancora tinta di rosa e arancione.

Ispirai profondamente guardando la strada deserta, Damon mi pregava disperato di incamminarmi tirando come un matto, aveva una forza disumana quel cane anche se aveva solo 2 anni. Lo accontentai e presi a camminare con lui al mio fianco.

Solitamente quei momenti erano dediti al libero svago del mio pensiero, quella sera presi in considerazione le parole di mia madre e mi sentii veramente stupida. Credevo che il mio rapporto di amicizia con Edoardo fosse evidente, non c’era niente di più, lui mi considerava un’amica fidata, al massimo una sorella a cui raccontare i suoi pensieri, lui sapeva tutto di me e io tutto di lui.

Era vero che dopo cinque anni nessuno avrebbe pensato che l’avrei rincontrato e sarebbe nato questo legame speciale. Già, alle medie eravamo amici, ma lui faceva parte del mio gruppo, niente di più, ero legata a Edo come ero legata agli altri ragazzi, ma adesso era diverso.

Che c’era di strano tra l’amicizia tra un ragazzo ed una ragazza? Nessuno ci credeva, quando ci vedevano insieme pensavano subito a qualcosa di più, tante volte ci eravamo trovati in imbarazzo di fronte a queste domande, e noi con una risata smentivamo tutto.

Poi ci pensavamo, e storcevamo il naso solo all’idea di stare insieme, scherzavamo solo sul nostro matrimonio, scommettevamo che ci saremmo sposati prima o poi e io ridevo rispondendo che mai e poi mai avrei potuto stare con lui.

Pensare che in terza media mi ero presa una cotta assurda, ma ovviamente, come era sempre stato nella mia vita, lui non ricambiava, era il suo migliore amico ad aver avuto una cotta per me, e io stupida l’avevo liquidato perché pensavo che magari qualcosa sarebbe successo. Adesso lo avevo capito, le storie tutte zucchero e coccole non esistono o almeno non per me.

Mai qualcuno mi aveva detto “ti amo” e mai lo avevo detto io. Mi aveva usata, sfruttata per poco più di una settimana in quella maledetta gita a Barcellona e poi? Finito tutto con un semplice -è stato bello, ma finiamola qua. Non ho la testa per avere una ragazza fissa- ancora non trovavo il senso di quelle parole.

Ero stata male, mi aveva letteralmente spezzato il cuore, strappato violentemente e gettato in un baratro senza fondo.

La mia vita sentimentale era un disastro! Al contrario di quella della mia migliore amica, in quel momento ragazza del mio migliore amico, che strana la vita. Non si rendeva conto della fortuna che le era capitata, non avrebbe mai incontrato qualcuno che la amasse più di Edoardo, che lasciasse scorrere tutti i suoi capricci, i suoi errori e lei non lo capiva.

Scossi la testa spostandomi il ciuffo caduto sul viso con la mano sinistra, Damon mi fissava mentre mi buttavo sulla panchina in legno con la grazia di un rinoceronte, perché proprio questi pensieri dovevo fare?

Mi facevo del male da sola, Stefano non l’avrei rivisto, o almeno non tutte le dannate mattine, in quell’aula piccola e troppo stretta perché io potessi sentire tranquilla. Ogni mattina quando entrava dalla porta a vetri il mio cuore aveva un sobbalzo e lui lo sapeva, il suo sorriso compiaciuto ne era la prova. Sapeva che il mio cuore era ancora suo, mi ero innamorata in una settimana di una persona che non era reale, lui non era così, almeno non più, quel ragazzo dolce e romantico di Barcellona non era lo stesso che tutti i giorni mi salutava con uno sciatto ciao quasi sforzato.

Basta distruggersi per il passato, ciò che è stato è stato e niente e nessuno può cambiarlo. Il futuro, quello si cambia, ci si crea e la prima cosa da fare era dimenticarlo, poco importava che il mio cuore reagiva ancora alla sua vista, lui non era più mio e probabilmente non lo era mai stato.

Seduta sulla panchina tolsi il guinzaglio a Damon che agognava di scorrazzare libero per il parco annusando qua e là. I giardini erano deserti perciò non c’era pericolo che qualche genitore si lamentasse di un cane di 40 kg, più somigliante ad un lupo famelico che ad un cucciolo, libero di azzannare i loro figli, anche se non aveva mai torto un capello nemmeno ad un gatto.

Il telefono vibrò nella tasca dei jeans: messaggio.

 

Edoardo 

Giulina dove sei?

Come al solito Gemma

mi ha dato buca.

Ho bisogno di te..

 

E ti pareva, mi sembrava di essere una ruota di scorta, lei non c’è ci sono io; avrei voluto rispondergli di no, che non avevo intenzione di uscire di casa, ma poi me ne sarei pentita, lo sapevo, ero troppo buona, troppo “predisposta verso gli altri” come diceva lui. Odiavo essere buona!

Risposi velocemente dicendogli di venire ai giardini dietro casa mia, schiacciai invio e rimisi il telefono in tasca buttando la testa all’indietro.

Le stelle stasera erano tutte nascoste, la luna si vedeva sfocata dietro quella coltre grigiastra, io adoravo la luna d’estate, chissà perché mi sembrava più grande e luminosa.

Un guaito mi riportò a sedermi normalmente, Damon stava di fronte a me con un bastone tra i denti affilati, ma poteva stare calmo almeno un secondo quella peste di lupacchiotto?

“Damon non ne ho voglia” dissi accarezzandogli il muso.

Mugolò ancora posando la testa sul mio ginocchio, poverino, lui infondo non c’entrava nulla con i miei problemi. Presi il bastone che aveva in bocca e mi alzai sorridendo e correndo con lui dietro che saltellava per afferrare il legnetto che tenevo in alto.

Lo lanciai con troppa forza e finì sul marciapiede, dove Edoardo si affrettò a raccoglierlo e lanciarlo verso di me mentre Damon stizzito camminava verso il bastone indignato perché qualcuno aveva interrotto il suo gioco.

“E poi ti lamenti perché ti ringhia contro” dissi io salutandolo.

Indossava un paio di jeans neri e una polo rossa. Gli stava da dio il rosso. I capelli sempre spettinati erano invece tirati indietro e composti. Io sembravo una barbona, una coda alta e solo jeans e maglia a maniche corte viola lunga fino a metà coscia, certo dovevo portare a spasso il cane non andare in qualche posto in particolare.

Veniva verso di me calpestando l’erba umida che al suo passaggio si appiattiva e lasciava impronte scure, dietro di lui una coppia con due bambini in bici entrava nel vialetto.

Richiamai Damon con un sonoro fischio che fece ridere il mio amico, con lui ero me stessa, poco importava se mi dava del maschiaccio.

“Ciao demonio” disse accarezzando il manto nero di Damon mentre lo legavo alla zampa della panchina e per niente contento di essere costretto in quel piccolo spazio.

“E ciao anche a quella disgraziata di padrona che ti ritrovi” scherzò sedendosi sulla panchina invitandomi a fare lo stesso.

“Ciao Edo” lo salutai sedendomi al suo fianco e guardandolo intensamente, senza che domandassi nulla iniziò a spiegarmi come mai non era uscito con Gemma.

“Te ne rendi conto che non sapeva come fare ad uscire perché io suoi non credevano che era con te? Non aveva la macchina, potevo passare a prenderla io, ma no! Altrimenti i suoi genitori potevano vedermi! Dio a volte mi sembro un fantasma! Che tristezza...” disse tutto d’un fiato mormorando le ultime parole sconsolato, gli occhi bassi e tristi, quegli occhi sempre luminosi era parecchio che li vedevo così spenti.

“Perché mi voglio così male? Non è normale essere così masochisti...” continuò voltandosi verso di me “a volte vorrei essere quello di prima” sbuffò.

“Sei masochista al limite del decente. Ma più che altro sei stupido!” sbraitai dopo mesi di quelle lamentele, sempre uguali, sempre le stesse cose “te l’ho già detto, lei non dirà mai niente ai suoi genitori, sarebbe come essere legata, imprigionata e lei non vuole, tu puoi sperare..sognare...ma lei non farà mai ciò che vuoi!” mi alzai di scatto dandogli le spalle, potevo immaginare il suo sguardo rivolto verso il basso, l’avevo colpito come al solito nel suo punto debole, ma doveva imparare “se ti va bene stare così ok…ma finiscila di lamentarti, sai cosa devi fare se non vuoi soffrire”

Mi girai incrociando i suoi occhi lucidi e disperati, lo vidi aprire la bocca sospirando, e prima che potesse parlare continuai “non dirmi che stai peggio senza di lei, lo dici tutte le volte e poi non è così!”

“Perché mi dici questo?” domandò triste, non mi aspettavo questa domanda, di solito mi dava ragione anche se poi dieci minuti dopo continuava ad avere la sua idea, non aveva il coraggio di lasciarla. Lo aveva fatto, ma poi tornava su suoi passi e la perdonava.

“Perché ti voglio bene e vederti così mi fa stare malissimo...”

Tornai a sedere e sostenni il suo sguardo intenso “faccio stare male anche te e non lo meriti, prometto che non dirò più niente, hai ragione, infondo il mal voluto non è mai troppo” alzò le spalle e sorrise.

“Sai che puoi dirmi tutto, ma sai qual ‘è la soluzione perciò non parlarmene più, lei è la mia migliore amica e non voglio intromettermi” sospirai “non farmi dire cose di cui potrei pentirmi” lo supplicai, e questa volta ero io a supplicarlo con gli occhi tristi.

La situazione era assurda e io non riuscivo a gestirla, sapevo che lei era così, la persona più buona e dolce del mondo, ma l’idea di avere un ragazzo fisso le faceva venire il panico, aveva paura di perdere gli amici, cosa che non sarebbe mai avvenuta, paura di innamorarsi, questa secondo me era la verità e non lo ammetteva. Lui era innamorato e non lo nascondeva, avrebbe fatto tutto per lei, soffriva per il fatto di non essere corrisposto come voleva.

“Scusami” mormorò “ma sei l’unica di cui mi fidi, l’unica con cui riesco a parlare” mi posò una mano sul ginocchio affettuosamente.

“Ho pensato un po’ stasera…” ruppe il silenzio voltandosi nella mia direzione. Stava già per rompere la promessa fatta cinque minuti prima.

“A cosa?” sapevo benissimo quale fossero stati i suoi pensieri, ma se non avessi chiesto niente lui non si sarebbe mai aperto.

“Non è quella giusta per me” sospirò passandosi una mano fra i capelli “io non sono giusto per lei. Insomma sembriamo quasi due estranei a volte, mi conosci più tu di lei” esclamò tristemente.

Le avevo sempre pensate queste cose, ma non avevo mai avuto la pretesa di intromettermi in quel rapporto già complesso di suo. Io sapevo cosa odiava, cosa amava, quello che gli dava fastidio e quello che gli faceva piacere. Gemma invece non se ne preoccupava quasi mai, non che lo facesse per cattiveria, era semplicemente fatta così. Poche volte mi aveva anche solo detto “ti voglio bene” e ormai erano tredici anni che eravamo amiche. Sapevo com’era fatta e l’accettavo così com’era.

Per Edoardo non era facile quanto per me, non era un rapporto d’amicizia il loro, era amore. O almeno lui l’amava, lei non l’avevo mai capito bene e ovviamente quando facevo la fatidica domanda lei riusciva sempre a rispondere in modo da non dire né sì né no.

“Ma tu l’ami?” domandai sapendo già la risposta.

“Lo sai…” borbottò “Però amare e non essere ricambiato di risucchia l’anima. Devi compensare anche l’amore che lei non ti dà e alla fine non ce la fai più e preferisci soffrire un po’ piuttosto che perire sperando in qualcosa che non avrai mai.”

Era la prima volta che lo sentivo parlare in quel modo. Sconsolato, persino arrendevole. Edoardo non era mai stato così, lui pensava positivo, sorrideva anche di fronte alle difficoltà e le affrontava come sfide da superare.

“Hai ragione…ma…” che cosa avrei voluto dire? Lei ti ama? Avrei mentito forse, non lo sapevo con certezza.

“Forse è giunto il momento di chiudere questa storia assurda una volta per tutte” sospirò.

Perché mi sembrava di rivivere un flash-back? Probabilmente perché questa sarebbe stata la decima volta che quei due si sarebbero lasciati, per poi tornare insieme puntualmente due giorni dopo. Ma diversamente dalla altre volte adesso c’era un’espressione diversa sul volto di quel ragazzo al mio fianco: rassegnazione.

“Fai ciò che ti senti Edo, io non posso decidere per te e nemmeno dirti se stai per fare la cosa giusta o quella sbagliata” non lo stavo aiutando, ma non avevo il diritto di dire la mia.

“Puoi e devi. Sei la mia migliore amica…dimmi cosa ne pensi ti prego”

Posò una mano sulla mia, che tenevo rilassata sulla gamba e mi guardò speranzoso e come sempre non potei negargli la sua richiesta.

“Hai ragione su tutto” sospirai togliendo la mano da sotto la sua, che rimase lì dov’era.

“E…?” mi spronò.

“Ed è una scelta tua, mi dispiace. Voglio solo vederti felice, quindi per me va bene qualsiasi cosa tu ritenga migliore per te”

Era la verità, ma i suoi occhi sembravano delusi da quella risposta, sembravano volerne avere avuta una completamente differente.

“Hai ragione, non posso scaricare tutto si di te” un sorriso dolce si disegnò sulla sua faccia.

Perché pensavo al bene di Edoardo e non a quello di Gemma? Non avrei dovuto preoccuparmi anche della sua reazione? Era difficile da spiegare, ma sapevo bene che lei avrebbe affrontato il tutto con razionalità ed in più sarebbe stata una prova: se l’amava veramente sarebbe tornata da lui e avrebbe raccontato tutto ai suoi, senza più trattarlo come il fantasma che era in quel momento.

“Anche se finirà tutto noi saremo sempre amici?” domandò puntando i suoi occhi nei miei.

“Certo” annuii.

Passò una mano intorno alla mia vita e mi portò vicino a lui. Ne rimasi sorpresa, ma sapevo che quel momento non doveva essere facile per lui, aveva mille cose in testa e non sapeva quale strada scegliere, tutte si mostravano poco agibili e doveva solo sperare di prendere quella che poi si sarebbe trasformata in una tutta in discesa.

“Senza di te non saprei che fare…” sussurrò sui miei capelli.

“Non esagerare” scherzai dandogli una pacca sul petto, che lo fece almeno ridere un po’.

“Dico sul serio, ti faranno santa solo per essermi sempre stata vicina”

“Forse hai ragione” ridacchiai.

Un attimo dopo Damon se ne stava di fronte a noi e guaiva disperato con il solito legnetto stretto fra i denti. Lo avevamo completamente ignorato e questa cosa non gli andava giù.

“Ci gioco un po’ e poi torno a casa. Vai anche tu e dormici su prima di fare qualcosa di avventato ok? Promesso?” dissi guardandolo seriamente mentre cercavo invano di afferrare il bastone dalla bocca del mio cane dispettoso.

“Ovvio, anche perché stasera non saprei come fare a vederla” scherzò un po’ teso.

Era incredibile come riuscissi a capirlo anche solo guardando i suoi movimenti o dal tono della voce. Praticamente capivo più lui di me.

“Buona notte Giuli” si sporse quel tanto che bastava per darmi un leggero bacio sulla guancia e poi mi lasciò lì un po’ confusa. Era la prima volta che mi salutava in quel modo, solitamente ero io quella più affettuosa.

Ormai ne ero certa: quei due mi avrebbero mandata al manicomio. Forse una loro rottura mi avrebbe portato un po’ di pace, anche se avrei dovuto trovare il modo di vedere entrambi separatamente. 

Non avevo intenzione di perdere nessuno dei due.

Chissà se sarebbe stato veramente possibile.

 

La mattina seguente mi svegliai che era già l’ora di pranzo, forse avevo un po’ troppo sonno arretrato a causa dello stress per l’esame di maturità e stavo recuperando veramente bene, facendo delle dormite assurde.

Quando sentii il cellulare vibrare e guardai lo schermo però capii che non tutti si rilassavano come me e che qualcuno non aveva cambiato idea dalla sera prima.

Avevo circa cinque chiamate perse di Gemma e due suoi messaggi, più uno di Edoardo. Ancora assonnata mi precipitai a leggere i messaggi, dopo avrei chiamato entrambi. La mia migliore amica si era solo limitata a dirmi che Edo l’aveva per l’ennesima volta chiesto di impegnarsi a fare la vera fidanzata e non solo la bambolina che era sempre stata e che se non l’avesse fatto l’avrebbe lasciata. La conclusione? Era stata lei a liquidare lui.

L’altro messaggio era solo un “ma dove sei dormigliona?”.

Sbuffando gettai le coperte a terra e presi il cordless per chiamarla. Rispose dopo un solo squillo, quella ragazza viveva in simbiosi con il suo cellulare secondo me.

“Ciao, mi sono svegliata ora…” sbadigliai senza volere.

“Ma quanto dormi?” chiese ridendo.

Rideva. Come previsto non le era poi importato molto di aver perso il miglior ragazzo del mondo. Non se ne era mai accorta dopotutto.

“Molto…su dimmi che hai combinato” la esortai alzandomi per andare ad aprire la finestra.

In poche parole raccontò quel che aveva riassunto nel messaggio aggiungendo qualche particolare. Una rottura consenziente da parte di entrambi a quanto pareva. Edoardo era partito con l’idea di lasciarla, ma poi aveva tentato un’ultima volta di ottenere qualcosa di più da Gemma. Tentativo fallito.

“Quindi questa è l’ultima volta?” chiesi io scettica.

“Direi di sì. Avevi sempre avuto ragione tu…” sussurrò e sono sicura che le costò darmi ragione “non era amore, gli volevo bene, ma niente di più”

In quel momento se fossi stata lì con lei le avrei tirato un macigno in testa. Aveva quasi giocato con lui per mesi e ora se ne usciva con quell’affermazione. Santa pazienza che qualcuno mi aveva gentilmente donato, pensai. Se non fosse stata per quella l’avrei strozzata con le mie mani.

“Gemma fammi un piacere, non lo illudere di nuovo ti prego” mormorai esasperata.

“Tranquilla”

Non ero tranquilla per niente. Innamorato com’era Edo se ne sarebbe tornato anche in ginocchio ai suoi piedi pur di riaverla.

“Giulia gli voglio bene, non sono così stronza” disse stizzita.

“Lo so, sei un tesoro quando vuoi” le dissi sapendo che era la verità “Gemma lasciagli vivere la sua vita e tu vivi la tua, siete sempre stati troppo diversi per stare insieme.”

“Penso proprio che per un bel po’ non vorrò avere storie, non sono fatta per quelle a lunga durata, mi sento oppressa” confessò.

“Te l’ho sempre detto” scherzai.

Lei era nata per stare libera e solo un vero uomo, magari anche più grande di lei, l’avrebbe potuta avere per sé. Le serviva qualcuno con la testa sulle spalle e Edoardo, anche se era maturo, non lo era abbastanza per lei.

“Sai che vado a Milano domani?” disse tutta euforica.

Decisamente non l’aveva presa male. Mi preoccupavo solo di come poteva stare Edo.

“Vai da Camilla?” chiesi.

“Sì, visto che non ci vediamo da un po’ salgo su e sto una notte da lei. Mi ha chiesto se vuoi venire anche tu. Vieni?”

“No Gemma, penso che andrò qualche giorno al mare…di stare in città non mi va”

Era luglio e la prospettiva di stare in una città come Milano mi faceva venire l’orticaria solo al pensiero. Magari non era vero che sarei partita per il mare, ma meglio stare a casa mia che in quella metropoli.

“Va bene. Non insisto tanto so che non cambi idea”disse sicura, conoscendomi veramente troppo bene “Ci vediamo domenica quando torno”

“Ok. Un bacio e divertiti” risposi.

“Anche a te. Ciao sorellina”

Agganciai e mi lasciai cadere sul letto per prepararmi alla seconda chiamata, sicuramente più difficile, ma prima volli leggere il messaggio.

 

Edoardo 

Posso venire da te questo

pomeriggio? Sto bene, ma

ti devo chiedere un favore...

  
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