“In
Giappone si dice che ogni persona quando nasce porta un filo rosso
legato al
mignolo della mano sinistra.
Seguendo questo filo, si potrà trovare la persona che ne porta l'altra estremità legata al proprio mignolo:
essa
è la persona cui siamo destinati, il nostro unico e
vero amore, la nostra anima gemella.
Le due persone così unite, prima o poi, nel corso della loro vita, saranno destinate ad incontrarsi,
e non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che ciò avvenga, o la distanza che le separa,
perché quel filo che le unisce non si spezzerà mai,
e
nessun evento o azione potrà impedire loro di ritrovarsi,
conoscersi, innamorarsi.”
Capitolo 1
Era
una strana creatura Emile. Ma l’amavo. L’amavo con
tutta me
stessa.
E
amavo il suo nome francese, unico lascito di una madre che si era
arresa tropo presto alla depressione, dimenticandosi di tutto e di
tutti,
vivendo un’esistenza grigia
dove il
figlio e il marito erano ombre ai margini della sua coscienza. Ma pur
vedendola
così assente, Emile amava immensamente sua madre: in passato
era stata una
cantante di discreto successo, poi si era innamorata ed era fuggita via
col suo
uomo, abbandonando “momentaneamente” la carriera,
convinta di poterla recuperare.
Invece la casa discografica non
gradendo questa fuga, le rescisse il contratto, lei rimase incinta e
d’un
tratto il suo mondo cambiò. Pensò di potersi
dedicare anima e corpo alla nuova
vita che cresceva dentro di lei, già si vedeva madre felice
ricolma d’amore e
già pensava ad un rilancio della sua carriera… ma
la depressione post partum
l’aveva travolta e non ne era più uscita.
Emile
era cresciuto ascoltando la voce di sua madre: aveva la musica
nel sangue e prima ancora di saper parlare, già cantava.
Perciò non c’era da
stupirsi se a 22 anni era un prodigio nel canto e un polistrumentista
talentuoso che nel suo piccolo faceva parlare di sé.
Lo
conobbi durante un concerto: ero con i miei amici, felice come una
Pasqua perché eravamo riusciti a portarci tutto il nostro
gruppo (cosa molto
rara!), persino
quella gran poltrona di
Sofia che non si schiodava mai da casa propria e dal suo mondo
interiore. Io
amo circondarmi delle persone care, amo riempirmi la vita di emozioni
condivise, di dolori vissuti in gruppo e di gioie amplificate e questo
era il
concerto di uno dei miei gruppi preferiti, i TresneT:
ascoltare dal vivo la
loro musica era già un’esperienza travolgente per
me, ma riuscire a
condividerla con tutti i miei amici più cari, cantare
insieme le loro canzoni,
sarebbe stato indimenticabile!
E
in effetti fu così… ma non nel senso che
immaginavo! Mentre facevamo
la fila per accedere al luogo in cui si sarebbe tenuto il concerto, ero
a dir
poco su di giri, mi muovevo in continuazione parlando a raffica con
tutti,
tessendo le lodi del
gruppo e
raccontando la storia della vita di ogni componente: dal batterista con
un
passato da
alcolista, passando al
bassista ex violinista per finire al cantante appena uscito da una
crisi
d’identità, che gli era valsa la scrittura dei
brani dell’ultimo album… Ero nel
pieno del mio papiro elogiativo quando le mie orecchie iniziarono a
sentire un
brusio di fondo che stonava con la mia composizione: c’era
qualcuno che stava
criticando i TresneT! Al loro
concerto! Mi stizzii immediatamente, pietrificata al solo pensiero che
tra noi
ci fosse qualcuno che non li venerasse e a quanto sembrava, era proprio
così!
Nella
fila accanto alla mia, ma indietro di due posizioni, un tipo
alto e magro, con i capelli rossi, corti ma lasciati più
lunghi sulla parte
superiore della testa a formare un piccolo cespuglio riccio e una fila
di
piercing all’orecchio destro,
stava
parlando con altri due ragazzi: aveva il viso volto in un atteggiamento
di
disprezzo, agitava una mano mimando un accordo di chitarra/basso (da
cui capii
chi stava criticando) e non si faceva scrupoli ad alzare la voce. I
suoi amici invece,
qualche scrupolo se lo facevano, dato che uno dei due lo guardava
sorridendo
con imbarazzo mentre l’altro era totalmente a disagio, ma a
quanto pareva, il
tipo sprezzante non ne teneva
affatto conto, perché continuò imperterrito nella
sua sequela.
Mi
fumavano le orecchie per la rabbia, che doveva essere ben evidente
sul mio viso, dato che Margherita mi prese il braccio guardandomi
preoccupata
mentre Stefano diceva a Federico:
«Ecco che Testarossa
parte, ci sarà da divertirsi!»
“Testarossa”
era il soprannome che mi aveva dato Sté quasi in
un’altra
vita: mi conosceva praticamente da sempre, eravamo stati compagni di
classe
alle medie e alle superiori (ovvero fino all’anno precedente)
e sapeva
benissimo quanto poco ci mettevo a scaldarmi quando mi toccavano
qualcosa a cui
tenevo con tutto il cuore. Da qui il soprannome di Testarossa,
come quella di un fiammifero e non per il colore dei
capelli, che invece erano di un nero cupo dai riflessi blu; una specie
di
Morticia Addams col caschetto, ma senza il suo charme! E la suddetta
mancanza
si mostrò proprio in quell’occasione, nel momento
in cui persi le staffe ed
iniziai a ribattere ad una conversazione a cui non ero stata invitata a partecipare.
«Scusami ma
perché
sei venuto a questo
concerto se i TresneT non ti
piacciono?! Non ti
accorgi che le tue critiche stanno dando fastidio a tutti? È
come se arrivasse
un prete in una riunione di Mussulmani a dire “State
sbagliando fede”: chi ti
dà il diritto di venire a rovinarci il concerto?!» sentii il silenzio che si
era formato d’un tratto nelle
nostre due file: stavo dando spettacolo e la folla era in attesa della
risposta
per sapere se avrebbe ricevuto un bell’intrattenimento
nell’attesa di entrare.
Sentivo
Stè che ridacchiava alle mie spalle mentre gli altri si
tendevano in preda al disagio… Sofia di sicuro si stava
pentendo amaramente di
essere venuta!
Ma
tutto questo contorno di persone m’interessava ben poco:
ormai ero
lanciata nella mia battaglia personale in difesa dei miei eroi e non
volevo
uscirne sconfitta in alcun modo, tutto il mio essere era pronto a
ricevere la
risposta del rossino che mi stava guardando interdetto.
O
almeno lo era stato per i primi secondi, mentre ascoltava
l’intro
della mia arringa. Ma mano a mano che parlavo, ho visto il suo volto
mutare dal
sorpreso al sarcastico.
«Ecco perché non
sopporto voi fans esagitati, come sentite un minimo di critica
costruttiva
rivolta ai vostri idoli senza macchia, dimenticando che sono comuni
esseri
umani, partite in quarta pronti all’attacco senza nemmeno
sapere di cosa si
tratta!»
Esagitata
a me? Beh sì, in effetti lo ero, ma come si permetteva lui,
che nemmeno mi conosceva?! Nell’arco di due minuti aveva
offeso i miei dei
della musica e anche la sottoscritta, questa era un’onta che
andava lavata via
col sangue!
«Potrò anche
essere
esagitata, ma almeno non mi presento ad un concerto di un gruppo che
evidentemente disprezzo, con il solo scopo di criticarlo e dar fastidio
a chi
invece l’apprezza! Sembra quasi che tu ne sia invidioso e sia
venuto qui per
infangarli come la volpe con l’uva!»
feci un sorrisetto soddisfatto, occhio per occhio, offesa per offesa!
Ma la mia
soddisfazione durò poco, quello lì era un osso
duro!
«Un altro motivo per
cui non sopporto i fans esagitati: non avendo argomenti plausibili,
mettono in
mezzo il solito discorso dell’invidia. Se proprio ci tieni a
saperlo sono qui
perché mi hanno invitato, non avrei mai speso un soldo di
mia volontà per
assistere ad un concerto di una boyband
dalle ore contate e non sono venuto qui con lo scopo di dar fastidio,
dato che
conversavo tranquillamente con i miei amici e non ero di certo a tenere
un’arringa pubblica, come sta facendo qualcun altro in questo
momento!»
Mi
guardò con aria di sufficienza e un sorriso soddisfatto: era
riuscito a stravolgere la situazione, ero io ora ad apparire la
disturbatrice
che monopolizza l’attenzione e disturba il pubblico in
attesa! E aveva dato
della boyband ai TresneT!
Oddio come non lo sopportavo!
«Io non sto
disturbando proprio nessuno, difendo il gruppo che amo e se non te ne
fossi
accorto, non sono l’unica qui che è venuta per
ascoltarlo e non per criticarlo!
Eri liberissimo di non accettare l’invito se ti fanno tanto
schifo o non avevi
nient’altro di meglio da fare?»
Oh,
l’avevo messo a posto, Testarossa=2, Rossino Odioso=1!
Vidi
il suo sguardo lampeggiare per un momento, ma all’improvviso,
campeggiò un sorriso astuto sul suo volto, come per un
ripensamento repentino:
«Considerato che
volente o nolente, sto dando spettacolo e sto anche pagando per farlo,
a questo
punto ti lancio un invito ad ascoltare la vera musica: se sei
così convinta che
i tuoi idoli siano il miglior gruppo del mondo, domani sera vieni al Dada alle 22:00, così capirai
cosa
significhi ascoltare un vero gruppo! Anzi venite tutti, visto che ci
siamo!»
A
queste parole si alzò un polverone di domande: erano tutti
curiosi
di sapere chi si sarebbe esibito, incuranti delle ripetute offese date
al
nostro amato gruppo: quel tipo terribilmente irritante aveva
approfittato della
caciara per fare pubblicità a qualche gruppetto di belle
speranze ed era
riuscito ad attirare l’interesse di tutta la sua fila!
Miscredenti!
Ed
io che avevo lottato anche per loro!
A
quel punto ero rossa di rabbia ed ero stata battuta, perché
non
avevo più possibilità di replicare, visto il
vociare che si era creato intorno
a lui. Sentivo Stè che rideva a crepapelle, divertito come
non mai dal mio
spettacolo: era uno dei miei migliori amici e forse l’unico
che non mi faceva
pesare questo carattere impulsivo che mi trovavo, essendo sempre
divertito
dalle mie “passionali argomentazioni”, come le
chiamava lui ed era una panacea
per me, che spesso mi pentivo di aver parlato un po’ troppo.
Mi alleggeriva il
senso di colpa per non aver tenuto la bocca chiusa e mi faceva sentire
meno sbagliata.
Ma in quel momento l’avrei fucilato! Ero troppo arrabbiata e
mortificata per
soprassedere a ciò che era appena accaduto e le sue risate
mi facevano sentire
ancora più ridicola!
«Che ti ridi tu
stupido!? Potevi anche parlare e aiutarmi, non piacciono forse anche a
te i TresneT? O sotto sotto anche
tu sei come
quell’imbecille lì e vieni solo per criticare?!»
Ero
al culmine della rabbia e sentivo già
l’umidità salirmi negli occhi,
quando Margherita mi prese per le spalle e riuscì a placare
il fuoco che mi
stava divorando.
«Calmati
Pasi, ti stai agitando troppo e ti stai rovinando la
giornata, vuoi dargliela vinta in questo modo? Ora rilassati e
dimenticalo, sei
con i tuoi amici e stai per ascoltare il tuo gruppo preferito, dieci
minuti fa
eri al colmo della gioia, torna in quello stato d’animo e non
pensare più ai disturbatori
fastidiosi.»
Margheritina
mia, menomale che c’era lei! Con la sua calma mi
riportava sempre a ragionare e a non farmi arrivare ad un passo
dall’ulcera,
era la mia medicina personale!
«Hai ragione Rita,
ora mi calmo, non vale la pena rovinarsi una giornata splendida per un
deficiente!» Caricai
l’ultima parola di tutto il mio
disprezzo, prima di fare un respiro profondo
per ritrovare la calma, come mi aveva insegnato Sofia, che
praticava yoga
ormai da anni e spesso ci dava dimostrazioni pratiche di quanto una
respirazione regolare e profonda potesse calmare l’animo
più sconvolto.
Dopo
quest’avvenimento a dir poco fastidioso, cercai di non
pensare
più a quel tipo odioso e di godermi la giornata: la fila
iniziò a scorrere più
velocemente (e non poteva farlo prima?!), i cancelli si aprirono e fui
proiettata
nel mio piccolo Paradiso! Il concerto fu bellissimo ed io me lo godetti
tutto,
ma ogni tanto mi saliva alla mente quello che avevo sentito dire da quel tipo
insopportabile prima di
infuriarmi: “Due accordi ripetuti continuamente cambiando
solo il background
non sono musica, è commercio spietato”,
questa frase mi rimbombava nella testa ogni volta che
sentivo il
chitarrista o il bassista e iniziai a sentire i brani in modo critico.
La
musica era sempre stata sinonimo di trasporto emotivo per me, mi
appassionavo
ad un brano quando mi trasmetteva emozioni, quando senza nemmeno
capirne il
testo, sentivo un magone improvviso, oppure avevo voglia di gridare al
mondo la
mia felicità. Ma ora quel tipo iniziava a farmi percepire la
musica da un punto
di vista tecnico più che emozionale: era così che
la percepiva lui? Sentiva
solo la tecnica senza farsi trasportare dalle emozioni? Che razza di
musica
ascoltava allora? Magari era un fissato di robetta classica o di
strumenti
suonati in modo improbabile pur di sembrare dei geni creativi! Ed io mi
stavo
perdendo il concerto per pensare a certe cose!
Alla
fine della serata, Stè esordì con:
«Allora Testarossa,
a che ora vengo a prenderti domani?»
Lo
guardai interdetta, non avevamo parlato di uscire, né
avevamo alcun
appuntamento…
«Di cosa stai
parlando Testa di Paglia?»
La
mia originalissima contromisura al soprannome di Stè: aveva
i
capelli biondissimi, tant’è che alle medie lo
prendevano in giro chiamandolo
svedese e siccome non era facile trovare capelli così chiari
intorno a noi, quando
iniziò a chiamarmi “Testarossa”, decisi
di controbattere con la stessa moneta,
criticando il colore dei suoi capelli. Ok, è vero che la sua
era stata una
trovata più originale, rispetto alla pura critica fisica, ma
ad una ragazzina
di undici anni colta nel suo punto più debole e facile a
perdere le staffe
senza ragionare, al momento non venne nulla di più originale
in mente! E poi
quell’anima sempre allegra di Stè non se la prese
minimamente, anzi, ci fece
una risata su e accettò il soprannome di buon grado.
Così in classe iniziarono
a chiamarci Le Teste di Fuoco, e
diventammo una coppia indivisibile!
«Sto parlando
dell’invito del tuo nuovo fan, l’esibizione di
domani al Dada alle 22:00»
Sgranai
gli occhi per lo sbigottimento: Stè voleva dare
soddisfazione
a quel tipo! E si aspettava che ci andassi anche io!
«Ma
dico stai scherzando vero?! Non darò una soddisfazione
simile a quello lì nemmeno se mi pagano! Non
andrò a sentire un gruppetto da
quattro soldi facendo il suo gioco!»
Stè
mi guardò divertito, come qualcuno che ti conosce talmente
bene
che sa già cosa farai prima ancora che tu stessa ci abbia
pensato.
«Ok, allora passo a
prenderti alle 21:00, così arriviamo presto e non ti perdi
lo spettacolo!» e
come al suo solito, si fece una
bella risata. Margherita, Fede e Sofia non furono minimamente
interpellati
perché sapevamo che non sarebbero venuti: Sofia
ci aveva già donato la sua uscita settimanale e
mai sia che facesse bis,
Rita era “super impegnatissima” come diceva lei,
tra università, palestra e
lavoro part-time (persino il suo nome preferiva accorciarlo in qualcosa
che
fosse sbrigativo e facesse perdere meno tempo!), Fede aveva il lavoro
nella
comunità che era la sua vita, quindi come al solito,
rimanevamo io e Stè, Le Teste di
Fuoco, sempre pronti a fare
casino quando ce n’era occasione. E
tutto sommato era vero, volevo andarci per sentire che razza di gruppo
stava
promuovendo quel tipo!
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NDA
Questa è la prima storia che pubblico che non sia una one-shot. Finalmente, a quanto pare, la mia ispirazione sembra essere un pò più duratura, per cui sono altamente felice di poter iniziare a pubblicare qualcosa che non si fermi ad un solo capitolo!
Perciò, al di là del riscontro che potrà avere con i lettori, sono davvero felice e soddisfatta per averle dato la luce. Ovviamente spero che la mia piccola creatura possa piacere e che lasci qualcosa ai lettori, come sta facendo a me che la scrivo.
Ringrazio come sempre la mia Tomodachi, Iloveworld, perchè è diventata la mia Beta Reader, perchè mi ha spronato a scrivere qualche mese fa quando ci siamo conosciute e perchè lo fa tutt'ora col semplice fatto di esserci. :*
Grazie mille per essere passati da qui ^ ^