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Autore: Astrid 5E    08/09/2011    2 recensioni
Chi non ha mai pensato al fatto che Peach si faccia prendere troppe volte da quel furbone di Browser? Ebbene, non siamo gli unici. C'è anche un' altra persona che la pensa allo stesso modo. Una persona con uno strano cappello in testa ...
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo EXTRA.
… Ehi! Avevo detto piccolo!

 
Sono nato quasi per scherzo, per un gioco.
Un gioco finito male.
<< Sta lontano da lui, per carità! Non guardarlo negli occhi! >> .
Mia madre era bellissima.
<< È lui? >> .
<< Sì, sì, proprio lui! Allontanati, prima che sia troppo tardi!  >> .
Mio padre … mio padre era mio padre.
Era abituata a cantare, mia madre; cantava sempre.
Non che l’avessi mai sentita. Si diceva in giro.
<< Perché continua a farsi vedere ancora qua? >> .
<< Figliolo, è meglio che tu te ne vada >> .
Averlo saputo non mi ha aiutato affatto. E la cosa più sconcertante e che lui non abbia neanche cercato di fermarmi.
Lui. Lui, che era stato la causa di tutto.
Lui, che la causa l’aveva affibbiata a me.
<< Padre … perché? >> .
<< Florence … >> .
Aveva pronunciato quel nome sforzandosi.
Il nome di mia madre.
<< È colpa tua. >> .
Fu solo questo che mi disse, come motivo.
All’inizio pensavo fosse vero.
Voglio dire, il fatto che tutti in giro ne fossero al corrente e che mio padre  sembrasse così afflitto, mi spingeva a crederci.
Finché non ragionai più del dovuto e non capii come stesse veramente la situazione.
Ciò che gli abitanti sapevano e ciò che sapeva mio padre … erano diversi.
<< Padre! Non è vero! Non è stata colpa mia se mamma …! >> .
<< Florence! … Florence è … morta >> .
Il suo sguardo fiammeggiante, praticamente come il mio, mi fissava con odio.
 << È morta … dandoti alla luce >> .
Le ultime parole con mio padre, furono queste.
Da quel breve discorso, capii tutto.
Capii che mio padre mi odiava.
Capii che la gente del posto pensava avessi ucciso mia madre.
E capii anche che a diffondere quelle voci … era stato mio padre.
 
Scappai di casa. Non avevo più nessun motivo per rimanere ancora in quel villaggio.
Sapevo anche dove rifugiarmi.
Lontano dal resto della civilizzazione, al centro di una foresta sempre oscurata da nuvoloni neri, si trovava un castello quasi diroccato, costruito secoli e secoli fa.
Sembrava perfetto per me.
Ancora non sapevo di chi fosse.
Giunto al castello, mi accorsi con un certo sollievo che la costruzione era deserta, abbandonata da tutti.
Entrato, le stanze erano buie, sporche e impolverate.
Chissà da quanto tempo non ci entra più nessuno qui.
 
Per la precisione, sembrava come se gli abitanti del castello fossero scappati in fretta e furia da quel posto, improvvisamente.
“ Fifoni … “ .
Mi giunse all’orecchio quella voce melodica. Melodica e malinconica.
“ Siete tutti quanti dei fifoni. Questo qui non è un mostro … “ .
Continuando ad esaminare il palazzo, giunsi in una sala enorme, coperta di tappeti e tende un tempo brillanti di un rosso vivo, ormai spenti e strappati.
Qui, sopra una scalinata, si ergeva un piccolo trono il legno intagliato, con su scritto qualcosa.
Sopra di esso, un enorme quadro.
Mi avvicinai per osservarlo meglio. Non c’era abbastanza luce.
Socchiusi gli occhi … e finalmente la vidi.
Vidi mia madre.
Nel quadro, la dolce signora con i capelli rossi, sorrideva  con occhi felici.
Teneva il grembo fra le mani, dolcemente, accarezzandolo piano.
“ Non è un mostro. È mio figlio “ .
Piegai le ginocchia a terra.
E piansi.
Piansi come non avevo mai pianto in quella manciata di anni che era stata la mia vita.
Mia madre era morta, dandomi alla luce.
Quel tenero fiore primaverile, aveva perso i petali per far nascere lo strano essere che ero io.
L’essere che eraanche mio padre .
<< È colpa tua >> .
Non proprio. Se qui c’è qualcuno che ha colpe, quello sei tu.
 
Passarono gli anni e ricostruii alla meno peggio, il castello di mia madre.
Ci tenevo. Volevo che ritornasse il castello che era una volta.
Questo era il mio obbiettivo.
Aprii le finestre che erano state sigillate, le porte chiuse a chiave; pulii le cantine dalle ragnatele, cacciai i topi.
Pian piano ci feci l’abitudine e quel castello divenne anche la mia casa.
Nonostante non mi fossi fatto più vedere da tutti, pare che le dicerie su di me non fossero cessate, anzi.
Con la mia “ fuga ” o come la chiamavano loro, le voci si erano fatte più forti.
Non si faceva altro che parlare di quanto fossi malvagio, senza scrupoli, di quanto volessi conquistare il mondo e altre favole del genere …
Naturalmente false. Ma la gente ci credeva.
 
Fu così che ben presto, alla mia porta giunsero strani personaggi.
Uno dei primi ad arrivare fu uno strano Troopa incappucciato, con uno scettro in mano.
Cercava di apparire un duro, ma guardandomi da sotto le spesse lenti, non riusciva a non tremare.
<< Vorrei far parte del tuo gruppo >> diceva.
<< Conquisteremo tutto con la nostra malvagità! >> .
“ La nostra , aveva detto.
D’un tratto mi venne un’idea.
Se tutti credevano fossi malvagio, allora lo sarei stato veramente.
Accontentarli avrebbe  significato sì ammettere che avevano ragione -nonostante non fosse così – ma anche  rientrare in quel mondo da cui ero scappato.
Così pensavo.
E mi sbagliavo.
Sì, perché le voci su di me aumentavano sempre più, tanto quanto accresceva il mio potere e la mia malvagità.
Quello strano Troopa portò dalla nostra parte molti dei suoi coabitanti, trasformati dalla magia.
Erano i tartosso o come li chiamava lui; seguivano gli ordini, ma sembravano come privi di vita.
Ben presto avevo sotto il mio controllo un intero esercito che si divertiva a devastare villaggi e a derubare i cittadini.
Non ebbi più notizie di mio padre e forse era meglio così; se mi fosse capitato di fronte dopo tutto questo tempo, non sarei riuscito a guardarlo in faccia.
Come lui non sarebbe riuscito a guardare me.
C’era ben poco da fare.
Da mia madre avevo preso il colore dei capelli.
Da mio padre … tutto il resto.
 
 
La via del male mi divertiva, lo ammetto, più di stare nell’ombra in un castello buio, ma non risolveva tutto.
La solitudine, infatti, non mi aveva abbandonato. Ironia della sorte.
Potevo avere tutto il denaro che volevo, assediare tutti i paesi, distruggere tutte le case.
Ma alla fine, quello che volevo veramente non l’avevo ancora avuto.
I miei sudditi, mi temevano, così come tutti.
Insomma, non era cambiato niente.
 
 
<< È lui? >> .
<< Sì, è lui. Allontanati subito! >> .
<< … Non sembra cattivo … >> .
 
Tra le varie voci che mi giungevano all’orecchio seppi che quell’anno era stato incoronato un nuovo sovrano al paese dei Toad.
Ah. E che mio padre era morto lo stesso anno, nell’odio e nella vergogna.
La notizia non mi smosse di un millimetro.
Lo avevo abbandonato anche io, come lui aveva fatto con me.
 
La mia vita, in fondo, che direzione stava prendendo?
Ero sopraffatto dal potere, dal male e dalle voci che giravano.
Mi ero fatto trasportare da loro, lasciando che le dicerie costruissero la mia vita al mio posto.
Ormai, anche se avessi voluto, non riuscivo più a tornare indietro.
Anche se lo volevo, non ci riuscivo.
Fino a quando non arrivò lei …
 
<< … Non mi sembra tanto cattivo … >> .
<< C … cosa dici?! Smettila di scherzare! Non si comporta così una vera principessa! >> .
 
La prima volta fu quando sentii bussare alla porta, un giorno in cui ero rimasto da solo.
Urlai di entrare, seduto sul trono.
E lei entrò, senza paura.
Fu uno strano giorno, quello, e pensai di essermi sognato tutto.
Il giorno dopo, però, lei ritornò. E così a venire.
 
 
*toc  toc*
Abbasso lo sguardo dal ritratto di mia madre, per posarlo sul portone.
<< Avanti >> .
Con il solito cigolio una delle ante si apre lentamente.
<< Eccomi, Bowser. Scusa il ritardo >> .
Nonostante non sia la prima volta, non riesco a non essere sorpreso e a spalancare gli occhi.
Stupito di quanto sia stupida quella ragazza.
Stupito di quanto sia sincera. …
<< … Peach >>
Una  ciocca bionda e il diadema brillano alla luce del sole che splende nel cielo.
<< Grazie … >> .
 
Alla fine non so chi tra mio padre e me avesse ragione.
So solo che entrambi  volevamo incolpare l’altro, nascondendo la nostra tristezza in una bugia.
Perché in fondo eravamo entrambi colpevoli. …
 
 
E finalmente ce l’ho fatta! Piccolo breve commento (l’ispirazione è venuta proprio nel momento sbagliato).
Avrei voluto approfondire il personaggio di Bowser anche nel capitolo precedente, ma alla fine non ce l’ho fatta. La storia della tartarugona è effettivamente un po’ triste, ma è così che me la sono immaginata.
“ Perché Bowser è così cattivo? E perché Peach on fa altro che essere catturata da lui? ” . Ecco, da queste domande è nata tutta questa storia che, con un fondo di tristezza, ha voluto comunque cercare di farvi ridere, per tutto questo tempo.
La nostra storia quindi finisce qui, per il momento. Ancora un saluto a tutti e grazie, grazie, grazie per essere arrivati fin qui! (che faticaccia, eh?). Ciao a tutti!! Astrid 5E! ^W^/
  
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