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Autore: Walpurgisnacht    10/09/2011    0 recensioni
Primo EIP tra Kaos e Nyappy.
Storia a quattro mani via Skype, un pezzo ad ognuno, senza nessun tipo di controllo post-scrittura.
Michele lavora in un gay-bar ed è sempre andato d'accordo con suo fratello. Franco e Kevin sono suoi amici.
Alessandro è un prete, Giulietta una prosperosa, giovane donna.
Cos'hanno in comune?
...magari sono tutti killer mafiosi.
Beh, può essere la risposta giusta.
E Seth Wolfgang chi è in tutto questo?
[Surrealtà, bizzarrie e sane dosi di nonsense delirante compresi nel prezzo]
Genere: Azione, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giuseppino sudava. Era riuscito, per puro miracolo, a tornare a casa senza che nessuno... facesse quel che non doveva fare.
Stava appoggiato al muro, appena entrato nell'ingresso del suo appartamento. Respirava a fatica. Era stata un'impresa che non avrebbe mai potuto ripetere in mille altri tentativi. Una cosa sovraumana, per certi versi.
Si asciugò la fronte imperlata, badando bene a non allontanarsi più del dovuto dalla parete. C'era ancora pericolo, nonostante tutto. Non abitava da solo, ahilui.
"C'è qualcuno?" urlò per cercare una conferma sull'eventuale presenza di altre persone. Alla mancata risposta tirò un breve sospiro di sollievo. Forse era salvo, almeno per il momento.
Si staccò con lentezza dal muro. Ebbe l'idea di andare a versarsi qualcosa da bere. In caso di culo insperato c'era ancora della birra in frigo.
"Giuseppino! Sei tornato!" disse una voce alle sue spalle.
Lui rabbrividì.
Era Michele.
Giuseppino si voltò, scostandosi i ricci dagli occhi. Ancora lui no. Fu tentato di ignorarlo, ma Michele gli si avvicinò ancheggiando. Era sempre così Michele. Si riempiva le labbra di rossetto e si piastrava i capelli Dio sapeva perché, ma non riusciva mai a nascondere le spalle larghe.
"Che diavolo vuoi?" gli chiese Giuseppino ancora senza fiato.
Michele gli sorrise.
"Soldi. La mamma non mi rifornisce più."
Inultandolo mentalmente, Giuseppino tirò fuori dal portafogli una banconota da cinque euro, chinandosi in basso per porgerla al fratello.
"Che ti bastino." lo rimproverò.
Stupido nano effemminato.
"Ma levati dalle palle, in fretta" proseguì, concitato.
Il suo dolce fratello, però, si trovò incuriosito dall'irritazione e dall'ansia che trasparivano chiare dalla figura non troppo muscolosa di Giuseppino.
Non che fosse mai stato un modello di sicurezza e baldanza, per capirsi. Ma un conto è il suo solito atteggiamento, forse non carismatico e da figo ma comunque sempre sufficientemente tranquillo e deciso, e un conto... questo.
Gli pareva, anzi, di vederlo tremare.
"Qualcosa non va? Stai male?" gli chiese, un po' preoccupato e tanto voglioso di sfotterlo.
"Non sono cazzi tuoi. Smamma, sgorbio" rispose quello di rimando.
E vabbe', si disse Michele. Fatti suoi.
Quando lo superò per dirigersi al bagno, però, notò una cosa davvero... strana.
Inclinò il capo, sfiorandosi con il dito le labbra sporche di rossetto.
Dal basso del suo metro e dieci centimetri riusciva a vedere chiaramente i jens di Giuseppino imbrattati di una sostanza scura -olio?
...sangue? Naa, impossibile. Era Giuseppino, quello dal nome tanto carino che andava ancora a trovare il nonnino.
Rise tra sé per la battuta, avvicinandosi. Il fratello stava per chiudere la porta quando Michele la bloccò con il piede, avvicinando il viso alle gambe dell'altro.
Erba. E sangue. Trattenne il respiro. Giuseppino?!
Giuseppino non ebbe il minimo dubbio: sferrò un diretto sul volto del fratello. Quello, colto completamente di sorpresa dall'azione che mai e poi mai si sarebbe aspettato da quel pezzo di pane, non riuscì neanche a far finta di ripararsi.
Ci fu un *crack* che rieccheggiò per l'intero ingresso.
Un piccolo corpo che rotolò all'indietro.
Una faccia da pazzo omicida:
"Cristo! Che male! Cazzo fai, demente?" urlò Michele. Si tastò il naso e lo sentì... accartocciato.
Glielo doveva aver rotto con quello sgnassone.
"Ti avevo detto di farti i cazzi tuoi, sgorbio!" rispose ancora più forte. "Quando imparerai a non ficcare il naso dove non devi sarà sempre troppo tardi! Vai a succhiare il latte da mamma, và!".
E se andò sbattendo la porta, lasciando un Michele esterefatto e col naso a pezzi lì per terra, come se fosse l'ultimo dei pezzenti.
Si liberò del corsetto di pelle, asciugandosi le labbra lucide di rossetto sul polso. Giuseppino voleva la guera?
L'avrebbe avuta.
Marciò sui tacchi a spillo fino alla sua camera, liberandosi delle scarpe con malagrazia. Queste finirono a terra, vicino all'armadio. Michele non si accucciò nemmeno per raggiungere lo scomparto segreto del comodino vicino al letto.
Dietro al mobiletto, appoggiato alla parete. Solo lui sapeva della sua esistenza.
Infilò una mano dentro al cassetto, scostando appena il comodino per farcela.
Le sue dita si strinsero attorno al metallo freddo, le sopracciglia contratte, i denti stretti.
Giuseppino si sarebbe rimesso in riga, sissignore.
Dov'è finito quel sacco di merda? Dov'è finito? Gli pianto il coltello in mezzo agli occhi. Questo e altri pensieri simili, non riportabili in nessuna sede, attraversavano la mente di Michele e le stanze di casa loro.
In grandi falcate fece sopralluoghi un po' ovunque, aprendo ogni volta la porta con un calcio. Non si curava del dolore al naso, troppo preso dalla voglia di appendere il fratello a testa giù con la gola tagliata fuori dal terrazzo.
Quando finalmente lo trovò, in cucina a bere una birra appena tirata fuori dal frigo, gli si avventò addosso senza neanche il tempo di dire "bah".
Sapeva che in un confronto diretto la sua costituzione minuta, a voler esser gentili, non gli avrebbe dato scampo. Pertanto cercò di buttarla sulla velocità e cercò in un paio di occasioni di aprirgli la giugulare.
Purtroppo per lui non ebbe successo. Un calcio in pancia lo allontanò di un paio di metri e diede a Giuseppino il tempo di estrarre qualcosa da sotto la giacca.
Una pistola. Che ora lo guardava chiedendogli "sei tu quello che devo ammazzare, adesso?".
Un nano con un coltello ed un ventenne sfigato con una pistola in mano.
Michele era fritto. Sollevò subito le mani, senza mollare il coltello.
"Ehi..." provò con tono amichevole, tentando un sorriso.
Giuseppino non mosse un muscolo, l'espressione identica a quella di prima.
"Dai, metti giù la pistola." riprovò Michele, allentando la presa al coltello.
Le dita erano pronte a stringerlo ancora, le ginocchia flesse in caso avesse bisogno di gettarsi di lato.
Una pistola. Come aveva fatto Giuseppino ad ottenere una roba del genere?
"Hai tentato di sgozzarmi, nano del cazzo." notò l'altro, il tono di voce piatto.
Non si era mosso, non aveva nemmeno accennato ad un ghigno, nulla. Sembrava una marionetta, una di quelle stupide bambole assassine che si vedevano nei film.
Michele si ricordò del sangue sui jeans del fratello.
Possibile...? Non l'aveva mai visto così.
"Era uno scherzo." tentò di sorridere, sforzando i muscoli delle guance.
"Muori."
*BANG*
Il muro accanto a Michele prese a fumare dal nuovo buco che vi era appena stato creato. Il nano poteva sentirne chiaramente il calore. "Che... che..." balbettò, spaventato come non lo era mai stato in vita sua.
Giuseppino sbuffò, uno sbuffo rassegnato e un po' mesto: Mentre abbassava la pistola mormorò qualcosa su come fosse troppo buono di cuore.
Buono di cuore? L'aveva quasi ammazzato, per Diana!
Ripose l'arma nella fodera. Si sistemò alla bell'e meglio i capelli, rifiatò due secondi e poi si rivolse al fratello, lo sguardo di ghiaccio: "Ascoltami bene, sgorbio: quel che è successo oggi non deve uscire dal recinto che ho appena tracciato. Qualunque cosa tu possa aver visto, o pensi di aver visto, non è accaduta. I pantaloni che sto indossando in questo momento verranno bruciati. Se becco mamma, papà o qualunque altro essere umano fare mezzo accenno su questa cosa ti butto ai cani. Mi sono spiegato?".
Michele si gettò a terra e scoppiò a piangere, giurando e spergiurando che avrebbe tenuto la bocca chiusa.
Suo fratello era un fottuto assassino.

*due giorni dopo*
Aggrottò le labbra, avvicinandole allo specchio.
Pescò dal comodino un rossetto scarlatto e lo stappò, passando con il pennellino la sostanza cremosa.
Quando fu soddisfatto dell'opera, Michele si guardò negli occhi.
"Tuo fartello è un assassino e tu sei il suo complice" si disse guardando le sue iridi di un banale marrone.
Stringendo le labbra tornò al trucco, strizzato nelle calze a rete con gli autoreggenti in pizzo nero.
Il mascara era già aperto davanti allo specchio ovale -lo afferrò, chiudendo un occhio.
"Tuo fratello è un fottuto assassino, tu sei il suo complice e hai paura dell'INferno."
Non ci aveva mai nemmeno pensato. L'inferno. Dio.
La sua vita era sempre stata tranquilla, tra un club ed una discoteca, fenomeno da baraccone per tutti gli spettacoli gay della zona.
L'aveva accettato -era il suo punto di forza. La gente lo amava per quello.
Non aveva mai pensato a Dio, al Diavolo o altre porcate religiose del genere.
Eppure adesso... "Finirò all'Inferno per questo? Se non racconterò alla Polizia quello che è successo sarò dannato per sempre?"
E sapeva che quello era un comportamento da ipocrita -pensava a Dio e angeli solo nel momento del bisogno.
Esatto, era così.
Aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
Si ricordò all'improvviso della serie sui frati con Greggio. Ma certo, i preti avevano l'obbligo del segreto, anche con la Polizia.
Doveva raccontare tutto quello a qualcuno e salvarsi.
Aveva trovato come fare.
Sì, ma... sapeva dov'era la chiesa? Era talmente tagliato fuori da quello stile di vita che non si era mai interessato neanche di striscio di cose tanto banali.
Avrebbe dovuto chiedere. O girare alla cieca come un cretino finché non ci fosse capitato davanti per sbaglio. Che palle.
"Vabbe', poteva andarmi peggio" mormorò a mezza voce. Per precauzione. Si era trovato spesso, negli ultimi giorni, a buttar lì frasi interrotte a metà e a controllare cosa dire e come dire. E questo non gli piaceva, per niente. Era sempre stato un dandy senza peli sulla lingua, sentirsi costipato in questo modo lo maldisponeva parecchio.
Oh beh. Andiamo a vedere se qualcuno degli elementi del Mikonos Fun ha idea di dove possa dirigermi.
Uscì di casa con passo svelto. Era tutto il giorno che non vedeva Giuseppino e da quando avevano questo segreto i loro rapporti si erano raffreddati in maniera esponenziale. Solo brutti sguardi e continui segnali codici per ricordargli che doveva starsene buono buono e non tentare colpi di testa strani.
Giunse, dopo una breve camminata, di fronte al suo solito bar. Vedeva gente entrarvi ed uscirvi, alcune facce note e altre sconosciute.
"Ehi, Kevin!" disse per richiamare l'attenzione di uno dei suoi più vecchi e cari amici.
Kevin era uno di quegli uomini che non sembravano invecchiare mai. Nonostante i vent'anni suonati ne dimostrava sì e no quindici, quindi era particolarmente indicato per attirare i clienti più maturi e con esigenze particolari.
"Ehi, Miché" lo salutò questo. Si era tagliato ancora i capelli biondi, sistemandoli con il gel. Sembrava ancora più giovane.
Michele sollevò il braccio per battergli il cinque. Nonostante i tacchi vertiginosi non superava il metro e cinquanta.
"Come va?" gli chiese Kevin.
Lui prese un respiro profondo prima di sfoderare il suo miglior sorriso.
"Tutto bene. Entriamo? Ho bisogno di chiederti una cosa."
*
"Ahahah!" Kevin stava ridendo a crepapelle, il bicchiere di birra quasi vuoto, la schiuma bianca che gli colava dal mento.
Michele lo guardò storto, rimproverandosi mentalmente.
Beh, sì, la delicatezza non era mai stata il suo forte.
"Non sai dov'è la chiesa? Miché, ce ne sono quattro!" singhiozzò Kevin riprendendo a ridere.
Non credeva nella sua conversione improvvisa evidentemente.
Tzk.
"Paghi tu." Michele scese con attenzione dalla sedia, poggiando prima le punte dei piedi strette nelle scarpe di vernice nera, poi mollando i braccioli della sedia.
Si allontanò sculettando, deciso a trovare una benedetta chiesa, confessarsi e scaricare tutta l'ansia che lo attanagliava ad un prete che gli avregbbe dato certamente della "creatura infernale, sodomita" e altri deliziosi epiteti.
Finalmente, dopo un'estenuante ricerca e grazie alle indicazioni del suo caro socio, trovò ciò che cercava: una bella chiesa gotica.
Si fermò un istante prima di entrarvi. Non si era mai, mai reso conto di quanto un simile edificio potesse incutere stupore in chi lo guardava. Risplendeva di luce in ogni angolo, le alte guglie lo guardavano severe forti del tempo che era dalla loro parte e un senso di maestosità, austera ma giusta, gli arrivava forte sul viso.
Si massaggiò il naso, fasciato un po' a caso e che non aveva smesso di dargli noie da quando Giuseppino gliel'aveva fracassato. Sarebbe stata ben più dura di un mucchio di cartilagine e ossa sfasciate.
Mise piede dentro. Il luogo, con le sue belle panche di legno tutte allineate ordinatamente, sembrava deserto.
'Sticazzi, pensò. Non sono qui per vedere il pubblico pagante.
Cercò la zona per le confessioni. Ebbe un po' di difficoltà a trovarla ma, finalmente, si trovò seduto dentro questo cubicolo non troppo accogliente.
"Padre" cominciò incerto "devo... confessarmi".
Nessuno rispose. Eppure la porta era chiusa.
"Padre?" chiamò incerto.
Oh, perfetto. Non solo si era girato mezza città con il caldo, ora il prete aveva pure voglia di scherzare.
Fece per andarsene quando sentì dei rumori: ok, il padre c'era davvero.
Lo chiamò di nuovo, il tono tornato ansioso.
In risposta qualcosa sfregò contro la grata metallica che separava i due. Inclinò il capo per controllare e intravide la canna di una pistola.
"Quella puttana di tua madre"
"Cosa ti era stato detto, sgorbio? Non dovevi farne parola ad anima viva". Un cazzotto gli avrebbe fatto meno male.
"Ma... ma... ma..." fu tutto quello che riusciva a dire. Il suo cervello si era scollegato e stava facendo i bagni termali, probabilmente. Stronzo, trovò la lucidità di pensare.
"Vieni fuori, và. Dobbiamo fare una chiacchierata".
Un momento. Riacquistò abbastanza facoltà intelletive da riconoscere quella voce come non appartente a Giuseppino.
E allora chi cazzo poteva mai essere?
"Vuoi uscire, sacchetto di merda? L'idea non mi entusiasma ma non mi farei problemi ad ammazzarti qui".
"Arrivo, arrivo!" rispose trafelato e uscì dalla cabina di confessione. Senza neanche pensarci si voltò alla sua sinistra per vedere chi era il gentiluomo con cui aveva scambiato le ultime battute.
Un tizio mai visto prima, alto all'incirca uno e settantacinque, il viso coperto da un cappello a tesa larga e qualcosa che si allungava fuori dalla tasca del gessato grigio che indossava.
Ho visto abbastanza film da sapere cos'è, si complimentò con se stesso.
"Passa fuori, sgorbio".
"Sissignore" rispose meccanicamente. Era meglio non farlo incazzare, non ci teneva a sperimentare la sua non riluttanza a sparargli lì, in chiesa.
In cosa si era invischiato? Mafia?
Deglutì riumorosamente e si maledisse.
"Va' avanti." ordinò l'uomo a bassa voce, la debole eco che risuonò per le altissime volte della chiesa, tra le statue degli angeli e gli stucchi dorati.
Se solo il tempo si fosse fermato, se avesse potuto continuare a fissare uno per uno i dettagli infiniti di quella chiesa...
Camminò a fatica, i tacchi a spillo che pestavano sul marmo colorato. Possibile che non arrivasse nessuno?
L'ombra dell'uomo, altissima, lo copriva ogni volta che superava una colonna, le loro figure illuminate nella penombra dalle candele elettriche.
Giusto, le candele.
Lanciò unocchiata alla destra, dove tra il marmo riposavano nelle nicchie diverse statue.
Ai loro piedi, come altari, file di candele elettriche da cinquanta centesimi.
Poteva prenmderne una e colpire l'uomo, sì, poteva...
Coninuando a camminare si diede dello stupido.
Sarebbe morto prima.
Iniziò a torturare il reggicalze sotto la minigonna, realizzando solo in quel momento quanto davvero l'altro uomo fosse alto.
E se... no. Impossibile. Erano in una chiesa, no?
Anche se non credeva, non avrebbe mai fatto certe cose lì.
"Fermati" parlò l'uomo e Michele si arrestò subito.
Era davanti alla porta che dava a quella zona con il noem strano, sacrestia? O era con la G? Non lo sapeva.
Ma era a conoscenza di una cosa: una volta entrato, nessuno sarebbe accorso ad aiutarlo.
Poteva... forse poteva... sì, poteva...
Si diede mentalmente dell'idiota. Non poteva fare un bel cazzo di nulla. Si passò un braccio sulla fronte, piena di sudore. Gli si sarebbe sciolto il trucco.
Oh beh, ci metteranno quattro secondi invece di tre a identificare il cadavere.
"Molto bene, sgorbio. Adesso voltati. Lentamente".
Ubbidì senza un fiato.
"Adesso dimmi, cosa devo fare io con te? Potrei piantarti una pallottola qui e chiudere il discorso, ma poi il mio capo mi cazzierebbe perché ho ucciso quella checca di suo fratello in territorio consacrato. E non mi va di farmi cazziare, sa essere molto... brutale".
Capo? Quel mentecatto di suo fratello era il capo di 'sto ceffo? Ma pensa te. Non si finisce mai di scoprire cose strane, a questo mondo.
"Pertanto, visto che l'eliminarti qui è fuori discussione, facciamo un piccolo discorsetto". E detto questo estrasse l'arma dalla tasca e la tenne, mollemente, sul fianco.
"Ora voglio che tu sia rapido nelle risposte. Perché sei venuto qui?".
Non intendeva dargli pretesti per cambiare idea. Disse, tutto d'un fiato: "Ero... spaventato e il peso... mi schiacciava, sì. Volevo... solo confessarmi perché... perché sono stato involontario complice di un omicidio, o qualcosa del genere. I preti hanno... il segreto confessorio, no? O come diavolo si chiama. Non intendevo fare la spia, giuro".
L'uomo si grattò il mento con aria distratta e lo sguardo di un maestro che sta rimproverando un bambino dispettoso.
"Dimmi perché dovrei crederti, sgorbio".
"Era alla TV e" esitò "pure in quella serie con pediatre lesbiche e bambini e" prese coraggio "l'ho pure sentito al telegiornale!" terminò cercando di apparire convincente, un sorriso forzato in viso mentre si torceva le mani, grattando la pelle con le unghie smaltate di nero e argento.
"Bella risposta" lo lodò l'uomo "Hai ragione"
Si scostò casualmente il bavero della giacca lunga che portava e Michele sbarrò gli occhi.
Un colletto da prete.
No, non ci stava più capendo nulla.
Suo fratello Giuseppino -Giuseppino! Quello che andava ancora a trovare i nonni all'ospizio- capo di una gang, quel prete con la pistola da cowboy appoggiata sul fianco, quella chiesa enorme e buia che sembrava inghiottirlo, il sapore acre del rossetto in bocca.
"Continuiamo. QUANTO sai di questa faccenda?"
IL fatto che fosse un prete non rendeva le cose più facili, anzi, le complicava ancor di più.
A Michele vennero in mente nuovi scenari, gli occhi ormai abituati alla penombra che continuavano ad indugiare sulla pistola del prete. L'avrebbe davvero ucciso? Magari era tutto un bluff. Però...
"Mio fratello aveva i jeans sporchi di fango. Ha cercato di uccidermi." rispose telegrafico come una macchina, mentre continuava a pensare alle sue possibilità "Lì ha bruciati"
"Sì, Renzo era proprio uno stronzo grosso." notò l'uomo accarezzandosi il fianco con la pistola.
"Prossima domanda. Hai due possibilità." Michele tese le orecchie. "O ti uccido..."
DEglutì.
"Oppure..."
"Oppure..." ripetè come se fosse in un telefilm, per dare maggiore enfasi a quanto stava per dire "... mi aiuti a far fuori tuo fratello".
Che? Cosa?
Michele, in un gesto assolutamente genuino e non premeditato, si pulì le orecchie come un dito. Aveva sentito male. Doveva aver sentito male.
"Sgorbio, hai sentito benissimo. Ne ho i coglioni pieni di quella mezza tacca di Giuseppino che sta al posto dove sta senza alcun merito particolare ma solo per una serie di botte di culo che neanche il buon Gesù sarebbe stato in grado di inanellare. Voglio il suo scalpo e il suo posto nell'organizzazione. E tu mi aiuterai, se non vuoi che trovino quel che resta di te dopo che ti è passato sopra un treno. Hai capito, sgorbio?".
Mani nei capelli e terrore manifestato tramite brividi inconsulti, sudorazione a diecimila e il tacco delle sue scarpe che continuava a battere fortissimo per terra.
"Piantala. Stai facendo casino nella casa del Signore e questo non si fa" sentenziò l'altro, accarezzando con un gesto plateale la pistola.
Michele tentò di recuperare un minimo di contegno ma sapeva di star fallendo clamorosamente. A quanto pareva, però, il prete killer sembrò soddisfatto del tentativo.
"C-c-cosa... d-d-devo... fare?" trovò la forza di chiedere.
"Cazzo ne so?" rispose l'altro con totale nonchalance. "Avvelenagli la carne, fallo sbranare dal vostro cane, qualcosa. Insomma, sei tu che ci abiti assieme da quando sei nato, lo conoscerai ben meglio di me voglio sperare".
   
 
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