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Autore: Lushia    12/09/2011    0 recensioni
==Riscritta e migliorata==
Tre ragazze, tre creature diverse, con passati differenti, amici differenti e caratteri differenti.
Sceglieranno la loro strada, affronteranno la loro vita alla ricerca di un luogo dove potranno essere tranquille e dove potranno vivere senza preoccupazioni.
Ma saranno davvero loro a poter decidere il loro destino?
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guarda la Opening (Happiness Carnival, by Stardust Reverie)
Guarda la Ending (Diamond Whispers, by Black Dia)

Bonus Stage - Invidie e Rancori ( Parte I )

 

Arricciandosi con le dita i suoi bei capelli color rossiccio/castano, una bambina di otto anni era seduta sul muretto nel cortile della scuola, osservando con ansia dei bambini che giocavano poco più in là. L'aria era frizzante, calda, pareva che l'estate non si sarebbe fatta attendere.
L'estate, la stagione più bella dell'anno, quando tutti si riunivano a giocare nel laghetto, nuotando e cantando assieme come tanti sciocchi. Eppure, quei giochi così umili sembravano essere divertenti e appassionanti. Voleva farli anche lei.
Quando vedeva dei bambini era elettrizzata dalla voglia di avvicinarsi e di chieder loro di diventare suoi amici. Ne voleva tanti, uno per ogni giorno, così non si sarebbe mai annoiata.
Una bambina per giocare alle principesse, un bambino con cui correre nel cortile, altri bambini per fare un teatrino delle bambole. Era un sogno.
Ma scosse il capo e tornò alla crude realtà. Nonostante fosse pieno giorno si trovava all'ombra, dove faceva nettamente più fresco e dove poteva osservare nascosta i quattro bambini che giocavano poco distanti da lei.
Odiava nascondersi, lei doveva risaltare: era la migliore, la più bella, quella dalle grandi idee. Senza di lei nessuno si poteva divertire.
Avrebbe voluto avvicinarsi, voleva chiedere ai bambini di giocare con loro ma nessuno le avrebbe dato retta e nessuno sembrava accorgersi di lei.
Era ovvio, andava sempre così.
Sapevano tutti che lei era sempre così possessiva con gli amici, così gelosa e così egoista. Lo dicevano tutti, ma in realtà voleva solo assicurarsi che rimanessero sempre suoi amici. Non faceva nulla di male, perchè se la prendevano con lei?
All'inizio, quando provava a fare amicizia con loro i bambini erano felici di parlarle, ma appena iniziava a dare ordini, si allontanavano tutti da lei.
Eppure voleva solo avere degli amici, cosa c'era di così complicato? Voleva che i bambini giocassero con lei anche a costo di costringerli. Era questo lato di lei che spaventava tutti e li allontanava. Ma non poteva farci nulla, li voleva per sé, per non sentirsi sola, per sentirsi amata. Non sapeva come cambiare, era sempre stata così, viziata e coccolata, le veniva dato tutto ciò che voleva. Essere figlia del sindaco la aveva resa una privilegiata.
Aveva vestiti, giocattoli, dolci, tutti gli adulti erano sempre accanto a lei ma i bambini no. I bambini alla fine scappavano. Era una cosa che la infastidiva non poco.
Già, si sentiva tremendamente sola.
Nonostante la maestra Keine le si avvicinasse spesso, le chiedesse se stava bene, si preoccupasse per lei, tutto ciò le pareva assai superfluo. Non voleva un'altra adulta che si preoccupasse per lei ma che i bambini le stessero accanto, facessero quello che voleva. Li voleva tutti per sé.
Al diavolo, ci doveva riprovare, le era stato insegnato che i sogni si costruiscono pian piano, dopotutto, e lei aveva urgenza di costruire il suo.
Si alzò e si avvicinò a due bambini e due bambine che giocavano al salto della fune. Un bambino aveva un cappellino di paglia, un'altro portava gli occhiali. Le due bambine erano simili, avevano i capelli molto scuri, ma ce n'era una più piccola e bassa.
Sembravano far parte della bassa borghesia, non portavano kimono di seta costosa e non erano molto ben acconciati, però non le interessava purchè avesse avuto degli amici. Non le erano mai interessate le classi sociali, alla fine era solo lei la più importante.
Appena i bambini la videro si voltarono, curiosi. La prima bambina diede una gomitata a quella più piccola.
-E' lei, Kaname!- le sussurrò. La bambina più piccola non si scompose e attese che la bambina dai capelli amaranto si avvicinò al gruppetto.
La gomitata era stata meschina, sembrava la stessero indicando come se fosse uno youkai, tuttavia cercò di essere più gentile e dolce possibile. Se faceva la dolce e la timida tutti quanti le cadevano ai piedi.
-Posso giocare con voi?- chiese, muovendosi leggermente per l'imbarazzo e guardandosi i piedi.
Il bambino con il cappellino di paglia sorrise, annuendo, ma quello con gli occhiali gli tirò la maglia, scuotendo il capo. Anche la bambina più grande sembrava essere d’accordo con quest'ultimo.
Kaname fissò i quattro con sguardo triste: sapeva che stavano confabulando sul fatto che non fosse una buona amica anche se alla fine non era così, eppure non poteva evitarlo. Poteva gridare che in realtà era una brava persona e stava offrendo loro una grande occasione, ma si trattenne, dato che la bambina più piccola sembrava volesse dire la sua.
-Possiamo provare... no?- disse lei. Gli altri tre si guardarono tra di loro ed evidentemente decisero di tentare, per cui diedero una parte della corda alla bambina appena arrivata per tornare poi a giocare.
Kaname afferrò tremante la corda, osservandola con emozione.
Nonostante tutto era andata bene e adesso aveva dei nuovi amici. Stavolta doveva sforzarsi per far loro capire che li voleva bene, che li voleva così tanto bene da proteggerli da altre persone che volevano essere loro amici. Adesso doveva decidere come fare per tenerseli sempre per sé.
Venne il suo turno e saltò.
Si stava divertendo un mondo, tanto che iniziò a ridere. Un salto e poi un altro, canticchiando una canzoncina stupida ma coinvolgente. Era questo che voleva fare poichè era questo che tutti facevano e lei, prima di tutti, avrebbe dovuto farlo. Perchè lei doveva avere tutto e doveva poter fare tutto prima degli altri. Era così felice che le venne spontaneo chiedere ai bambini se volevano andare a casa sua dopo la scuola.
Accettarono e si incontrarono nel pomeriggio per giocare nell'enorme villa dove abitava la piccola Kaname.
Eppure non durò, nemmeno questa volta.
Kaname pretese che andassero sempre da lei, ogni giorno, e che restassero fino a tardi per farle compagnia.
Era così felice di avere degli amici, di nuovo, che voleva essere sempre con loro, solo con loro, solo lei e i suoi nuovi quattro amici. Se tardava anche solo uno di loro, usciva di casa e bussava alla sua porta finchè l'amico non le apriva e non la seguiva. Si accertava che fossero sempre uniti ed insieme, sempre. era eccitante, era stupendo. Le piaceva da impazzire avere degli amici per stare sempre con loro.
Ma ben presto, quando in un normale giorno di scuola si avvicinò a loro nel cortile come era solita fare appena arrivata, loro si allontanarono col capo chino, senza rivolgerle la parola.
Restò immobile, quasi shockata. Fissò tremante i quattro allontanarsi, senza che le vollero parlare. Si morse le labbra che quasi non uscì sangue, strinse i pugni fino a formare i solchi delle unghie nella pelle. La sua espressione si tramutò in disgusto.
No, non di nuovo, maledizione.
Maledetti. Per quale ragione? Perchè non capivano che voleva bene loro?
Poco distante, un'altra bambina si avvicinò ai suoi quattro amici con un aquilone. La bambina era molto bella, aveva i capelli molto chiari e gli occhi di colore diverso: sembrava quasi non essere umana.
Quando la bambina chiese loro di giocare, i quattro sembrarono fissarsi impauriti ma poi, osservando il dolce sguardo supplichevole della bambina, sorrisero e acconsentirono, seguendola e lanciando assieme l'aquilone, correndo per tutto il cortile tenendo salda la presa sulla fune.
Seguì con lo sguardo la scena. Il disgusto era salito alle stelle e tremava ancora dalla rabbia. Una mocciosa dai capelli bianchi che sembravano quelli di una nonnina si era avvicinata con tranquillità ai suoi amici e li aveva convinti a seguirla per giocare con lei.
Come si era permessa? Chi diavolo era e perchè i suoi vecchi amici l'avevano seguita senza pensarci su? Cosa aveva quella mocciosa che lei non aveva? Aveva un mediocre aquilone? Aveva degli occhi insoliti che avevano dapprima spaventato ma poi incuriosito i bambini? Aveva uno sguardo più dolce e amabile del suo?
Presero la rincorsa per far volare l'aquilone. Si alzò in aria, così soave e leggiadro, sembrava un uccello che spiccava il suo primo volo. Era bello e libero e sicuramente amato, a differenza sua. Kaname si mosse e corse loro dietro, inseguendo quell'aquilone. Lo voleva, voleva strappargli le stecche di legno e ordinargli di smetterla di volare, non poteva volare ed essere felice più di lei.
Mentre correva, però, scivolò nel fango e cadde a terra a pancia in sotto, sporcandosi tutta di terriccio.
I cinque bambini si fermarono, avendo sentito un tonfo dietro di loro. Nonostante il bambino con gli occhiali e la bambina più grande restarono fermi reggendo l'aquilone con freddezza, l'altro bambino si avvicinò a Kaname, seguito dalla bambina più piccola e dalla bambina dai capelli chiari.
Kaname alzò il viso, sporco di terriccio. Vide sfocati i bambini che si erano avvicinati a lei e la bambina strana. L'aquilone era volato a terra, così come lei poco fa. Ma lei era sporca, adesso. Aveva sporcato il kimono di seta che le aveva comprato suo padre, aveva il viso sporco di terra e fango e i capelli in disordine. Così nessuno poteva pensare che lei fosse una persona importante e nessuno le avrebbe mai portato rispetto. La regola numero uno era quella di essere carina e presentabile, la sua domestica glielo ricordava ogni volta che non voleva lasciarsi pettinare o che non voleva farsi il bagno.
La stavano vedendo conciata come una contadina: sporca e sudicia. Le vennero le lacrime dalla rabbia, e tutto per colpa di un aquilone, dell'aquilone così bello che l'aveva distratta, di quel giocattolo inutile che aveva allontanato da lei i suoi vecchi amici.
Li odiava di più.
Alzò lo sguardo solo per rendersi conto della bambina strana che aveva teso una mano verso di lei. Le voleva dare una mano, le stava dando la sua pietà.
Che schifo.
-No, Mitsuki-chan, Kaname non vuole essere mai aiutata...- disse il bambino accanto alla bambina dai capelli bianchi.
-E perchè mai? Guarda, è tutta sporca, perché non la aiutiamo a rialzarsi e a pulirsi? Poverina!- disse lei, osservando Kaname con sguardo pietoso. Le sorrise, cercando di aiutarla ad alzarsi e Kaname si issò sulle ginocchia senza rendersene conto, fissando ancora la bambina con sguardo vacuo e pensieroso. -ti sei fatta male? ...Kaname, vero? Vuoi che chiamo Keine-sensei?- le chiese, cercando di essere d'aiuto.
Kaname mise a fuoco la situazione in cui si trovava. Fissò i bambini accanto a lei e quelli in lontananza, tutti avevano uno sguardo pietoso e provavano compassione per lei, anche se solo quella bambina la stava aiutando. Sguardi pietosi, sguardi di compassione, come se fosse la povera figlia di un calzolaio rimasto senza lavoro. Non si meritava quegli sguardi, era forse una punizione divina?
Eppure guardavano in quel modo lei, la grande Kaname.
E quella stupida bambina dagli occhi strani le stava tendendo una mano con stampato in viso uno stupido sorriso insensato, quasi vittorioso, forse perchè voleva pavoneggiarsi di fronte ai suoi amici del fatto che Kaname aveva fatto una brutta figura e lei faceva la parte della bambina gentile d'animo nobile che la voleva aiutare.
Chi era la figlia del sindaco tra le due? Non lo era forse lei? Quella che aveva davanti a sé e che insisteva per porgerle il suo aiuto non era forse una inutile e stupida mocciosa?
Kaname non doveva essere compatita né aiutata, non ne aveva bisogno, lei era superiore a tutto.
Magari doveva essere lei, mossa da compassione, ad aiutare chi era in difficoltà e ad essere elogiata per questo, come accadde qualche tempo fa con una triste bambina che perse la sua bambola e piangeva, quando Kaname decise di regalarle una delle sue per renderla felice e tutti i presenti si complimentarono con suo padre per la bontà di sua figlia, affermando che sarebbe diventata una bella signorina dall'animo nobile e generoso.
Ma allora perchè si trovava così, sporca, inginocchiata a terra, sotto lo sguardo pietoso dei suoi vecchi amici e con una bambina molto bella che cercava di aiutarla?
Diede uno schiaffo alla mano tesa, alzandosi da sola. Le ci volle un grande sforzo per trattenere le lacrime. Era imbarazzata, afflitta, arrabbiata, nervosa e disgustata da quella situazione e ancor di più da quella bambina.
-Chi sei? Che vuoi da me? Io non ti conosco, perchè vuoi aiutarmi se non sei mia amica?- le chiese, con fare altezzoso. Non si sarebbe dovuta permettere di metterla in ridicolo davanti a tutti.
-Io sono Mitsuki, volevo solo aiutarti... se vuoi diventiamo amiche!- rispose, sorridendole e allungando di nuovo la mano, ma Kaname la schiaffeggiò ancora.
-Non voglio il tuo aiuto, non ti ho chiesto di essere mia amica! Puoi essere mia amica solo se te lo ordino io, capito?- le urlò, strofinandosi il viso con la manica ma ottenne solo di sporcarsi ulteriormente, cosa che la fece infuriare di più. Si passò una mano pulita sul viso, notando quanto fosse caldo. Era imbarazzata, stanca e probabilmente rossa. Non poteva pensare di essere davvero caduta così in basso, cosa avrebbero pensato di lei?
-Perchè dici così? Gli amici non si hanno se ordini a loro di diventare tuoi amici! Gli amici diventano amici tutti assieme!- cercò di spiegare l'albina, ma Kaname scosse il capo, irritata sempre di più.
-No, sono io che decido, perchè io sono la figlia del sindaco! E loro dovevano giocare con me e non con te!- disse, indicando i quattro bambini che, sentendosi presi di mira, distolsero il capo guardando ognuno in direzioni diverse. -Non avevo detto che potevano giocare con altri bambini, dovevano essere solo i miei amici! Ma invece sei arrivata tu e li hai convinti a giocare con te con la cattiveria!- urlò ancora, agitandosi.
-Io non ho fatto cattiverie, perchè dici queste brutte cose?- chiese Mitsuki, incredula.
-Sei cattiva, sei una youkai cattiva! Io lo so!- le urlò, indicandola come se fosse un'assassina. Le osservò il viso disteso, calmo anche se un po’ nervoso. Era davvero bella e tranquilla e i suoi amici erano dalla sua parte: come poteva averli ingannati? Con qualche potere soprannaturale? Di certo non era normale che una persona avesse i capelli così chiari a parte i nonnini. I suoi occhi erano disgustosi, le mettevano una tremenda ansia, doveva essere quello il suo potere, grazie a quelli poteva smascherare i suoi terribili malefici. -Si vede dai tuoi occhi, tu non sei normale! Sei diversa!- disse, indietreggiando. Non voleva che facesse qualcosa anche a lei, non doveva finire nella sua trappola.
Intanto, altri bambini curiosi avevano fatto capolino dal portone e dalle finestre della scuola dopo aver sentito le urla e stavano assistendo al litigio.
-Ma che dici!- obiettò l'albina, ma Kaname non riusciva a star lì sotto gli occhi di tutti e in quello stato: sarebbe diventata lo zimbello del villaggio.
-Aiuto, questa youkai vuole incantare anche me!- urlò, voltandosi e scappando via, piangendo.
Uscì dal cortile prima che la maestra Keine potesse vederla e tornò a casa, sporca e disperata.
La sua badante, una donna dalla carnagione un po’ scura e dai capelli corvini, che con lei era buona anche se abbastanza severa, la aiutò a svestirsi e a darsi una pulita.
-E' stata cattiva, cattiva!- disse Kaname, ancora rodendo di rabbia. Quella mocciosa era riuscita a rovinarle una intera vita. Non sarebbe stata più lodata, avrebbero riso di lei al suo passaggio, non avrebbe avuto più amici. Avrebbero preferito il bel visino di quella strana bambina e i suoi occhi dai poteri oscuri alla dolce e piccola Kaname.
A causa sua aveva fatto una brutta figura e non sapeva come fare per tirarsene fuori.
-Chi, signorina?- le chiese la sua badante, mentre la aiutava a rivestirsi.
-Quella bambina dai capelli quasi bianchi e dagli occhi diversi!- urlò Kaname. -E' una youkai cattiva, è venuta per portare via tutti i bambini e mangiarli!- continuò, cercando di trovare una scusa per l'accaduto, gettandosi sul letto e tuffando il volto nel cuscino, rimuginando. La sua badante la guardò perplessa.
-... La bambina con i capelli quasi bianchi... e occhi diversi?- ripetè pensierosa -Forse... è quella bambina che sopravvisse alla tragedia?- chiese. Kaname alzò la testa dal cuscino, fissando la sua badante con curiosità.
-La tragedia?- chiese.
-Si, quattro anni fa dieci bambini uscirono dal villaggio a causa della svista di un contadino che lasciò aperto un passaggio. Nove di loro morirono a causa degli youkai ma una sopravvisse.- raccontò la badante -Me lo ricordo, mia sorella maggiore perse sua figlia in quella situazione e odiava quella bambina perchè era rimasta viva. Al tempo la credevano tutti una youka poiché era davvero incredibile che fosse sopravvissuta una giornata intera nella foresta senza che nessuno youkai la trovasse.- spiegò, sedendosi sul letto accanto a Kaname che fissò la badante con curiosità sempre maggiore, tanto che si mise a sedere con una enorme sete di sapere.
-E perchè adesso non pensano sia una youkai cattiva? Io lo penso, è una youkai ed è venuta per ucciderci!- disse Kaname, chinando lo sguardo e apparendo triste. Se quella bambina aveva un passato nascosto poteva tornarle a suo vantaggio, doveva solo iniziare a convincere qualcuno che lei avesse ragione.
-Beh, Keine-san assicurò che quella bambina, Mitsuki Shiroyume, era sicuramente figlia degli Shiroyume, rispettabilissimi lavoratori e cuochi da generazioni che mandano avanti il White-Dream Reastaurant da secoli- disse la donna, che accarezzò i capelli della bambina.
Si scansò, pensierosa: Keine-sensei, c'era sempre lei di mezzo. Odiava come si preoccupava della sua solitudine, non voleva fosse un problema che la gente doveva sapere. Perchè aveva protetto quella bambina? Era sicuramente un mostro, figlia o meno di umani.
Ma quegli occhi, quegli schifosissimi occhi...
-Ma non è normale, no. Io l'ho vista negli occhi, ha uno sguardo malefico! Devono essersi impossessata di lei quando gli altri nove sono morti, è così che è andata!- disse Kaname, talmente sicura di sé che la sua badante sembrava quasi nervosa. -E' una youkai crudele, non gliela farò passare liscia, mai!- asserì, pensando all'accaduto: poteva togliersi da guai, poteva sistemare tutto, forse non era tutto perduto. La rabbia pian piano scemò e la bambina si tranquillizzò.
-Forse hai ragione....- disse la badante, pensando alla sorella e alla sua povera nipote. -Dopotutto è pur sempre strano che lei si sia salvata nonostante l’accaduto...- aggiunse, congiungendo le mani a mo’ di preghiera. -Quella bambina non è normale, no.-
Kaname sorrise trionfante.

   
 
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