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Autore: Mala Mela    15/09/2011    7 recensioni
Al mondo ci sono solo tre cose che Annabeth Gallagher desidera con tutta se stessa: la prima è un contratto a tempo indeterminato presso la casa editrice in cui lavora come schiava; la seconda è vedere il proprio capo, Caleb Sheridan, bruciare tra le fiamme dell’inferno in preda a strazianti dolori; la terza è avere finalmente ai propri piedi quel meraviglioso paio di Jimmy Choo che costa approssimativamente quanto l’affitto mensile del suo appartamento a Tottenham.
All’improvviso le si presenta l’incredibile possibilità di esaudire sia il primo che il terzo dei suoi desideri, il tutto ad un piccolo prezzo: aiutare il proprio insopportabile capo a risolvere dei problemi… non proprio legali.
E nonostante Annabeth sia davvero disposta a tutto per quel paio di Jimmy Choo, scappare dalla Yakuza, fingersi un’affascinante spia russa, ricucire ferite con ago e filo interdentale al mentolo e cedere al fascino di Caleb non rientrano esattamente tra i suoi piani.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per un paio di Jimmy Choo

 

 

 

 

 

 

Campagna nei pressi di Hungerford, notte inoltrata

 

 

<< Svetlana? Svetlana?! >>
<< Avevi per caso un’idea migliore? >> chiese Annabeth con sarcasmo, sedendosi alla guida del furgone che lei e Caleb avevano appena “requisito”.

<< Migliore di fingersi una spia russa, senza nemmeno saper parlare russo? Certo che avrei avuto un’idea migliore! >> 

<< E dimmi, sarebbe stata grandiosa come quella che ci ha trascinati in questa situazione? >>

Caleb la fulminò con lo sguardo. Avrebbe dovuto lasciarla dov’era: il mondo era pieno di assistenti editoriali capaci, la morte di Annabeth Gallagher non sarebbe stata una grande perdita.
<< Forse tu non avresti dovuto ficcare il naso negli affari altrui >> la accusò.
 Annabeth cercò di reprimere la rabbia, mise in moto il veicolo e sfrecciò lungo la strada extraurbana, cercando di allontanarsi il più possibile da quel magazzino abbandonato.
 << Stai cercando di scaricare la colpa su di me? >> gli chiese infine, premendo con violenza il piede sull’acceleratore.
Caleb Sheridan aprì la bocca per rispondere a tono, ma non riuscì a terminare la frase. L’airbag gli esplose letteralmente in faccia: un enorme fuoristrada privo di targa li aveva tamponati, spedendo il furgone oltre il guardrail.

 

 

 

 

 

 

Londra, una settimana prima

 

Nonostante fossero scoccate da poco le sette e trenta del mattino, la stazione della metropolitana di Seven Sisters era già intasata da un cospicuo numero di pendolari. Notando la folla, Annabeth Gallagher soffocò un’imprecazione piuttosto colorita, poi si lanciò a capofitto lungo le scale che portavano al tunnel. Barcollò sgraziatamente sui propri tacchi, cercando di superare i pedoni più lenti, trattenendosi dal colpirli furiosamente con la propria ventiquattrore, riuscendo infine a gettarsi nella carrozza poco prima che le porte si chiudessero alle sue spalle.
Era in ritardo di ben dodici minuti sulla propria tabella di marcia, tabella opportunamente programmata al fine di farla arrivare ovunque con un anticipo di almeno un quarto d’ora rispetto al proprio capo. A causa di un contrattempo avrebbe rischiato di incontrarlo nella hall del Morgenstern Building, palazzo che ospitava gli uffici della casa editrice Keyworth&Sons, o peggio: il cervello di Annabeth si rifiutava perfino di concepire un’ipotesi in cui lei arrivava in ritardo.
Sospirò lasciandosi andare contro il finestrino, cercando di respirare nonostante la ressa all’interno del vagone.
Lavorare a stretto contatto con Caleb Sheridan era considerato un vero onore nel mondo dell’editoria, ma lei avrebbe preferito sia l’onore che uno stipendio decente. E, a dirla tutta, le sarebbe piaciuto anche potersi permettere quel meraviglioso paio di Jimmy Choo che aveva visto la settimana prima in un negozio in centro.  Oh, e ovviamente non avrebbe disdegnato un capo meno psicopatico.
Non che fosse esattamente pazzo, questo no. Era solo… completamente privo di emozioni umane, una glaciale macchina da guerra disposta a tutto pur di aumentare il proprio prestigio e il fatturato della Keyworth&Sons. Una volta, mentre percorrevano insieme un corridoio pieno di specchi, ad Annabeth era sembrato di non scorgere il riflesso di Caleb accanto al suo: le erano venuti i brividi.

Abbandonò gli inquietanti pensieri legati al suo superiore e, non appena le porte si riaprirono, si lanciò nuovamente nella fiumana di pendolari che affollavano Oxford Circus.  Frugò nelle tasche alla ricerca del BlackBerry e, sempre camminando speditamente verso la Central Line, controllò le mail ricevute: fortunatamente ancora nulla. Probabilmente si stava fasciando la testa ancor prima di romperla.

 

Annabeth attraversò l’atrio del Morgenstern Building con relativa calma, dopotutto erano solo le otto e venticinque. Fece scorrere il badge lungo il dispositivo d’identificazione ed entrò nel primo ascensore libero, aspettando tranquillamente che si riempisse.
Aveva appena cominciato a distendere i nervi, quando un uomo in un completo scuro fece il suo ingresso nella cabina e, non appena scorse la presenza di Annabeth, le rivolse uno sguardo carico di disappunto.
Era Caleb Sheridan, e i suoi occhi innaturalmente chiari –come se fosse morto da giorni, pensò Annabeth con astio- sembravano rimproverarla per il ritardo.
Il percorso fino al decimo piano le parve interminabile: Sheridan le aveva voltato le spalle, infatti ora poteva solo intravedere la sua chioma corvina attraverso la piccola folla ammassata nell’ascensore. Ebbe inoltre tutto il tempo per programmare almeno una ventina di piani di fuga differenti, e ben più della metà sembravano comprendere sia una morte molto cruenta per il proprio capo, che la necessità di documenti falsi per continuare a condurre una vita normale da qualche parte nei pressi dell’Ecuador.
Arrivati al nono piano, nell’ascensore erano rimasti solamente Annabeth e Sheridan.
<< Sei in ritardo >> le fece notare l’uomo, senza nemmeno voltarsi a guardarla. Lei roteò gli occhi, contenta che Caleb non potesse vederla.
<< Sono in anticipo di cinque minuti >> si schermì.
<< No >> replicò lui con veemenza. << Io sono in anticipo di cinque minuti. Tu dovresti già essere in ufficio a contattare quella piccola casa editrice di Bimingham per l’acquisizione >>.
Annabeth avrebbe voluto rispondere che no, non avrebbe contribuito all’acquisizione di quella piccola casa editrice a conduzione familiare, devastata dai debiti, solo per permettere che lui la smembrasse e mettesse in cantiere la distribuzione in massa di un nuovo best seller americano, ma non appena le porte scorrevoli si aprirono, Sheridan scomparve dalla sua vista.
Si avviò verso il proprio ufficio scuotendo la testa, a volte si chiedeva come aveva fatto in quei mesi a non perdere la sanità mentale. “Abbandonate ogni speranza o voi che entrate alla Keyworth&Sons” pensò, poi accese il computer e si preparò a compiere i misfatti quotidiani.
Mise tutto in stand-by poco prima di pranzo, non senza aver ricevuto una decina di chiamate da parte di Caleb che le chiedeva, nell’ordine, del tipico Matcha giapponese –evidentemente il caffè era troppo mainstream per lui, mentre il l’Earl Gray non abbastanza introvabile-, di presenziale in sua vece al compleanno della madre, di licenziare quattro dei loro migliori curatori editoriali. E non erano nemmeno le tredici!
Decise di rispondere all’ultima telefonata interna, poi si sarebbe concessa trenta minuti di calma totale per rifocillarsi e recuperare le energie.
<< Pronto? >>

<< Annabeth? Sono Rebecca >> la voce della receptionist la raggiunse della cornetta.

<< Sì, dimmi pure >>

<< E’ arrivato un pacco per il signor Sheridan, evidentemente il servizio postale deve averlo consegnato al piano sbagliato >>.
Perfetto, si disse Annabeth, il mio pranzo dovrà aspettare ancora.

<< Non c’è nessun problema, Rebecca >> la rassicurò. << Arrivo subito e lo prendo io. Sheridan non si accorgerà nemmeno del ritardo >>

 

Il pacco era leggero ma piuttosto voluminoso, sigillato ermeticamente e con fin troppa cura perché potesse contenere un normale manoscritto. In un primo momento Annabeth pensò di lasciarlo semplicemente sulla scrivania di Sheridan, dal momento che il destinatario era espressamente lui, ma lo scatolone recava anche un adesivo con la vistosa scritta “urgente”.
Dopotutto, in qualità di assistente, aprire i pacchi rientrava tra le sue mansioni, ragionò. Si armò quindi di taglierino ed aggredì lo scatolone.
La prima cosa che notò, fu un pungente odore ferruginoso che riusciva a penetrare i numerosi strati di carta plastificata. Leggermente perplessa cominciò a scavare tra i fiocchi di polistirolo, fino a quando la sua mano non toccò una superficie morbida, fredda e umida.
Si allontanò di scatto dalla scrivania, osservando ora le dita che parevano sporche di… sangue?
Annabeth impallidì, ma si avventò nuovamente sulla scatola, la afferrò con entrambe le mani e ne svuotò il contenuto sul pavimento dell’ufficio.
Quando lo vide, trattenne un urlo: sulla moquette blu scuro, tra pezzi di carta e polistirolo, giaceva ora quello che sembrava un cuore umano ancora ricoperto di sangue.
Istintivamente Annabeth afferrò il cestino della carta e vomitò la colazione: quel giorno arrivare a sera si stava rivelando più arduo del previsto.



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Ho avuto dei piccoli problemi con il mio account, ma sono riuscita a risolvere tutto <3
Sostanzialmente non ho nulla da dire, quindi taccio.


Mela

   
 
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