L’ho dovuto uccidere, non mi ha lasciato altra scelta. Come poteva continuare a vivere dopo quello che aveva fatto? Dopo che aveva derubato i miei genitori di tutto ciò che possedevano? E come loro, molte altre persone erano state spogliate di tutto da quell’usuraio senza scrupoli. È vissuto da vampiro ed è così che doveva morire: un paletto nel cuore ha posto fine ai suoi giorni maledetti.
Erano le due di notte, forzare la finestra fu un gioco da ragazzi; eccolo, era lì che dormiva tranquillo senza sospettare che quelli sarebbero stati i suoi ultimi minuti. Mi avvicinai silenziosamente al letto ed estrassi il paletto di pino cui avevo lavorato per giorni e giorni e che avevo intinto in un potente veleno. Alzai il paletto, stavo per colpire quando il latrato di un cane squarciò il silenzio. Aprì gli occhi di scatto e appena mi vide un lampo di terrore illuminò il suo sguardo. Non ebbe neanche il tempo di gridare; gli affondai il paletto nel petto con tutta la forza che avevo e attesi immobile che il veleno facesse effetto. Il suo corpo si contorse per il dolore per qualche minuto e, finalmente immobile, esalò il suo ultimo sospiro.
Dopo essermi accertato della sua morte, rovesciai la tanica di benzina che mi ero portato appresso su corpo letto e pavimento, accesi un fiammifero e lo lanciai sul cadavere.
Si scatenò l’inferno; uscii di corsa dalla finestra e nel farlo l’orologio da taschino, che mio padre mi aveva regalato poco prima di buttarsi giù da un ponte oppresso dai debiti e distrutto per la morte di mia madre, mi scivolò dalla tasca. Mi voltai per recuperarlo, ma le fiamme lo avevano già inghiottito: questo è il mio unico rimpianto.
Voltai le spalle al fuoco che si stava lentamente impossessando della casa e mi addentrai sommessamente nella buia notte senza luna di Londra del 1875.