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Autore: Emily Alexandre    26/09/2011    4 recensioni
È strano come il destino si diverta a giocare con le nostre vite, mescolando e confondendo le carte di un’eterna partita di cui noi, alla fine, non siamo nè vinti nè vincitori. O forse siamo entrambi.
Un antico castello scozzese, un ritratto ed un diario, una donna dimenticata ed una verità da portare alla luce.
Chi era la donna del quadro? Joséphine non può fare a meno di chiederselo: ha il suo stesso nome, le somiglia in maniera impressionante e, soprattutto, sembra essere scomparsa nel nulla senza lasciare tracce. E così inizia una caccia al tesoro dai risvolti inaspettati che porterà una sola risposta e infinite domande.
Una mini long sospesa tra un passato avvolto dal mistero ed un presente assetato di risposte.
"Mi sedetti sul letto e aprii finalmente il pacchetto: conteneva un ciondolo. Lo riconobbi subito: era quello del quadro, stessa grandezza, stesso colore, stessa forma a goccia. Lo posai con cautela accanto a me e aprii il libro con mani tremanti: era il diario di Joséphine. Con il cuore in gola per l’emozione cominciai a leggere."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Joséphine era mia figlia, la mia ultima figlia, quello che rispecchiava cosa sarei stata se non avessi sposato Robert, sottomettendomi a lui. Bellissima, allegra, ma soprattutto libera… Teneva fede ai suoi impegni, ma, allo stesso tempo, faceva ciò che voleva. A quindici anni fece il quadro da appendere nella Sala: Robert aveva calcolato tutto quando era nata, persino quel dettaglio, ma qualcosa nel suo disegno era andato storto. Non aveva immaginato, mio marito, che la sua figlia più piccola potesse innamorarsi, ricambiata, del pittore.
Non è stata più la stessa: era più bella, più solare, anche quando lui è scomparso per due mesi; poi è ritornato ed hanno cominciato a vedersi tutti i giorni. Mio marito ha cominciato a sospettare qualcosa, e per porre fine a quella tresca, come la chiamava lui, ha fatto frequentare Joey con Phillip, con l’intenzione di farli sposare. Ma la mia bambina aveva occhi solo per Jack. Ed era felice. Come non lo era mai stata.
Finché una sera Jack è morto ed io ho visto, impotente, la mia bambina spegnersi a poco a poco; volevo stringerla tra le mie braccia, come quando era piccola, ma ormai era una donna; volevo vederla sfogare il suo dolore tra le lacrime, invece che così impassibile, sola…
Avrei dovuto fare qualcosa per impedire a Robert di dirle del matrimonio, ma non ho fatto niente, neanche quella volta.
Appresa  la notizia della sua unione con Phillip, ho visto il terrore, lo smarrimento, negli occhi della mia bambina, e una muta richiesta d’aiuto.
Poi più nulla, il silenzio, fino a quell’ultimo maledetto istante... L’ultimo ricordo che ho di lei è il suo corpo ai piedi di una scala.
Esanime.
Svenni e al mio risveglio Robert mi disse che, da quel momento, Joséphine non sarebbe più esistita. L’aveva disconosciuta. Con le lacrime agli occhi per la morte di mia figlia e per la crudeltà di mio marito, andai alla finestra e vidi un piccolo gruppo di persone sotto il grande albero; si stava svolgendo il funerale della mia bambina, fuori dal cimitero perché non faceva più parte della famiglia.
E forse non lo era mai stata.
Li raggiunsi e trovai Margaret, Louis, Vincent e anche Phillip: la bara era aperta e Joséphine indossava il vestito rosso, regalo di Jack, i capelli le scendevano morbidi sulle spalle e tra le dita incrociate teneva un piccolo ritratto,ma non seppi mai di chi fosse.
La seppellimmo vicino all’amato, la sua tomba era una misera croce. Louis tenne la messa, piangevamo tutti, anche Phillip che amava Joey e si sentiva in qualche modo responsabile della sua morte.
Vidi la mia bambina per l’ultima volta, il giorno dopo Robert fece sparire tutto ciò che riguardava Joséphine e chiuse la sua torre. Volevo impedirlo, avrei voluto impedire molte altre cose, ma non l’ho mai fatto, non ho fatto niente per impedire che mia figlia morisse.
Aveva la felicità e noi gliela abbiamo portata via.
Solo ora, quando mi accingo a passare ad una vita che spero migliore, mi accorgo di come la morte di Joséphine sia stata causata anche dalla mia passività e, dopo quindici anni, vivo ancora di rimpianti.
Christine"
 
Non capivo... Le scale? Cosa le era successo? Un tragico incidente?
Guardai Will che mi sorrise. Mi faceva bene averlo vicino a me.
 
"Mia sorella Joséphine è sempre stata l’anima della famiglia: era bella, elegante, spiritosa, ma soprattutto aveva tanta voglia di vivere e forza di ribellarsi. Amata da tutti, la prediletta di mia madre, non era invece molto ben vista da mio padre, che mi preferiva perché, al contrario di lei, io mi facevo sottomettere. Ad ogni modo, pur non essendo una figlia modello, non ha mai dato problemi, finché non ha incontrato Jack, un pittore; fu amore a prima vista. Poco dopo l’incontro lui sparì per due mesi non si videro e io ero troppo impegnata con i preparativi delle mie nozze per accorgermi di qualcosa, ma poi lui tornò e cominciarono gli incontri segreti; Joey cercò di non farci capire, ma io, mamma e Luis sapevamo tutto.
Le giornate procedevano e noi ci chiedevamo per quanto sarebbe durato, finche, un diciotto marzo di tanto tempo fa, Jack è morto di tubercolosi. Per Joey è stata la fine. Il colpo di grazia glielo inflisse mio padre dicendole che, presto, si sarebbe sposata. Joséphine ha guardato me, Louis, Vincent e infine la mamma, poi è corsa via. Provai a parlarle, ma lei era impenetrabile, si agirò per una notte intera nel giardino, ma mattina dopo la ritrovammo ai piedi di una scala, priva di vita. Nostro padre l’ha disconosciuta, la sera ci sono stati i funerali, il giorno dopo tutto ciò che riguardava Joey era sparito.
Ora, per volere di mamma, la ricordo e, mentre guardo i miei tre piccoli e aspetto la nascita del quarto, penso alla gioventù di mia sorella, finita così presto. Mia piccola Joséphine…
MARGARET"
 
Quando Margaret scrisse quella lettera era incinta della nonna; anche quello era un segno? Continuai a leggere...
 
"Mi trovo nella mia cella in convento e mi è appena arrivata una lettera di mia madre che mi chiede di ricordare, prima della sua morte, Joséphine. Se ne stanno andanto tutti, mio padre ci ha lasciati da qualche mese, mia sorella ormai quindici anni fa.
Sono stato io a proporre Jack per fare il ritratto di Joséphine; lo conoscevo, apprezzavo le sue doti artistiche e la sua purezza d’animo. Ma certo non mi sarei mai aspettato quello che successe il primo giorno dell’anno: Jack venne da me e mi disse: -Aiutami; devo sposare tua sorella-.
Io gli risposi che non poteva perché  Margaret doveva sposare Vincent, e non pensai neppure per un attimo che potesse riferirsi a Joey. Cercai di dissuaderlo ma capii che erano sforzi vani, così, appresi i reali sentimenti d’amore di Joey e Jack, decisi di aiutarli purché mia sorella non venisse a saperlo.
Trovai lavoro a Jack per due mesi in Italia, in modo da guadagnare abbastanza soldi per partire entrambi per l’America, lì mio padre non avrebbe potuto impedire il matrimonio. Per quei mesi io ho continuato la mia vita da neo-prete e Joey la sua. Quando il ragazzo tornò cominciarono gli incontri segreti tra i due; mio padre sospettava qualcosa, così ha cominciato a progettare un matrimonio tra lei e Phillip.
Ma non era questo che mi dava preoccupazione perché speravo che, per quella data, mia sorella sarebbe stata già in America. Piuttosto mi preoccupava di più la salute malferma di Jack; lui cercava di non mostrarlo, veniva da me a confidarsi, ma di andare dal medico neanche a parlarne. Quando finalmente ci andò i risultati non furono piacevoli: tubercolosi. Jack continuava a ripetere che si sarebbe curato e che sarebbe andato tutto bene, cercava di convincere me e se stesso. Prima di partire decise di fare un ritratto a Joey, ma fece appena in tempo a finirlo perché, di lì a cinque ore, morì.
Il ricordo di quel corpo sofferente disteso sul letto che, con le ultime forze, mi pregava di occuparmi di Joséphine mi perseguitò per molte, molte notti; la sua ultima parola fu il nome di mia sorella.
Quando tornai a casa diedi la notizia a Joey, il giorno dopo ci furono i funerali celebrati da me; poco più tardi mio padre comunicò alla ragazza del matrimonio.
La mattina dopo la ritrovai esanime ai piedi di una scala e mi accorsi di ciò che Josèphine aveva fatto in quelle ore di tacito silenzio che erano seguite alla morte di Jack: stringeva tra le mani erbe velenose, in quantità sufficiente per provocare la morte.
Era davvero ciò che stava facendo? Ciò che stava cercando?
Angosciato da questa scoperta nascosi tutto, era inutile infliggere dolore al dolore, mia madre all’idea che la sua bambina volesse suicidarsi sarebbe impazzita: la morte di Joséphine, dopotutto, era stata causata realmente da una caduta.
Seppellire un amico è stata dura, seppellire una sorella solo poche ore dopo, lo è stata ancora di più; nostro padre la escluse dal cimitero di famiglia, ma feci il possibile per salutarla in maniera adeguata. Era mia sorella, una persona dall’animo infinitamente buono. La seppellii con il piccolo ritratto che le trovai nascosto nel vestito: Anna Bolena, con al collo lo zaffiro che mio padre aveva regalato a lei.
La notte, mentre in preda all’insonnia giravo nelle mie vecchie stanze, trovai una lettera di mia sorella. Tremai, all’idea di cosa potesse esservi scritto, e tentennai a lungo prima di leggerla... Quando infine lo feci trovai la pace, per quanto possibile.
«Louis, sono venuta qui a prendere della dulcamara; le bacche verdi sono le più tossiche, vero? Ho pensato davvero di porre fine alla mia vita, di smettere di soffrire. Perchè fa male, Louis, tanto male. Ma non ce la faccio. Partirò comunque, andrò in America... Non seguirmi, non fermarmi, sai che è la cosa giusta. Non ti restituirò le erbe, prima di partire le porrò sulla tomba di Jack, come promessa: ho scelto di vivere, per entrambi. Ti voglio bene, J.»
Quanto ineluttabile sa essere il destino? La mia piccola Joséphine, quel cuore coraggioso, aveva scelto di vivere, ma qualcosa di più grande della nostra mera volontà ci controlla.
Il giorno dopo, nei sotterranei, mio padre fece un rogo su cui bruciò tutto quello che riguardava Joséphine, dopo averla disconosciuta; il secondo quadro, però, e il ciondolo non furono mai trovati.
LOUIS"
 
Ecco ricomposti gli ultimi pezzi della storia. Stavo piangendo pensando al dolore che avevano provato tutti, il padre avrebbe voluto che fosse cancellata per sempre, ma loro avevano voluto che la memoria della mia antenata vivesse per sempre. Chiusi gli occhi e immaginai Joséphine,  Jack, Margaret, Louis e Christine pieni di vita in quel luogo magico; quando li riaprii Will mi strinse a sè. Non fece domande e lo amai ancora di più per questo.

Il vento si trasformava in musica tra le foglie del grande albero. Avevano trovato la pace? Sapevo che era morta, l’avevo sempre saputo, ma il modo in cui era successo mi straziava: Joséphine aveva pensato di uccidersi e quanto coraggio vi è in un gesto simile? Era sopraffata dal dolore, dalla perdita, dal desiderio di non tornare alla vita che c’era prima di conoscere lui e aveva deciso di far cessare i battiti del proprio cuore. Ma poi aveva preso una decisione ancor più coraggiosa: lasciare tutto, cominciare da zero con il ricordo di Jack come unica compagnia, lontano da casa e da tutto ciò che conosceva.

Non era destino.
Joséphine non doveva vedere l’America. Il destino aveva compiuto ciò che lei aveva deciso di non fare.

Rimasi abbracciata a Will fino a quando l’oscurità ricoprì tutto. Sentivo i nostri cuori battere all’unisono. Non volevo lasciarlo, avevo bisogno di lui.
Per i seguenti tre giorni non riuscì a pensare ad altro se non a Joséphine e a Will… non uscii più con i miei.
Quando lui non c’era l’unica persona con cui avevo voglia di stare era Hermione: parlammo di Will bambino, di mia nonna, della Scozia.
Il discorso non andò mai a finire su Joséphine e Jack. Rispettava il mio silenzio, il mio lutto, perchè in fondo era così che mi sentivo. In lutto.

La notte prima della partenza la sognai. Era buio e si trovava nella torre: la vidi chiudere la cassapanca dove probabilmente aveva appena nascosto ciondolo, diario e quadro, poi uscì stringendo in mano delle erbe. I capelli erano scomposti, gli occhi cerchiati la larghe occhiaie ma nel suo sguardo vi era la fermezza di chi ha preso una decisione e non vuole tornare indietro. D’un tratto prese una scala secondaria che portava in giardino, dal lato dove era sepolto Jack. Un gradino dopo l’altro. Lentamente. Era bella, nonostante il dolore, nonostante la stanchezza. Era bella perchè aveva deciso di vivere. Fu l’orlo della veste a farle perdere l’equilibrio: tentò di reggersi da qualche parte, ma i muri erano lisci, non c’erano appigli. Cadde. Un gradino dopo l’altro. La folle discesa si arrestò alla fine della scala. Una lacrima le rigò la guancia prima che la vita abbandonasse quel corpo.

Mi svegliai in lacrime, singhiozzando, e chiamai Will che rimase un’ora al telefono con me cercando di calmarmi; il resto del tempo, finchè non arrivò l’alba, lo trascorremmo a chiacchierare di qualsiasi cosa, cercando di ignorare ciò che sarebbe successo di lì a poche ore.
Quando staccammo sapevo che non sarei riuscita a dormire, infilai i jeans e una felpa e scesi in giardino, diretta alle tombe; rimasi a contemplarle finchè non fu ora di colazione, nonostante le membra intorpidite dal freddo... Non riuscivo a dirle addio.

Alla fine tornai in camera, chiusi i bagagli e nascosi il diario e le lettere nella cassapanca; tentennai per quanto riguardava il ciondolo, pur non essendo superstiziosa quella collana trasudava morte e fui tentata di liberarmene, magari seppellendolo vicino alle tombe... Al tempo stesso, però, non volevo ischiare andasse perduto, era prezioso, così alla fine decisi di riporlo dove l’avevo trovato. Infine raggiunsi in miei genitori alla macchina. Eravamo tutti tristi all’idea di lasciare quel posto, ma mia madre ci promise che vi saremmo ritornati a Natale... Dopotutto, sarebbe stato bello vedere la Scozia bianca per la neve.
Il saluto più triste fu quello con Hermione;  mi strinse forte e mi guardò - Non piangere, piccolina. Questa è casa tua e noi tutti saremo qui ad aspettarti ogni qual volta vorrai tornare-
Annuii con un nodo in gola, poi mi allontanai e aspettai di vedere Will.
Ma lui non arrivava… sentivo la voce di mio padre che mi diceva di sbrigarmi o avremmo perso l’aereo, vedevo mia madre e i miei fratelli in macchina, tutti gli occhi fissi su di me.
Alla fine stavo per salire con loro, rassegnata a non salutarlo, quando lo vidi correre verso di me.
-Scusami- mi disse col fiatone
Gli sorrisi -Ci vedremo a Natale.. mi aspetterai?-
-Certo che lo farò- sentii che mi doveva dire qualcosa così lo incitai -Beh, ecco, è che… Vedi, ho vinto una borsa di studio e probabilmente proseguirò l’università a Roma-.
Non riuscivo a crederci: a Roma! Il suo sogno. E anche il mio, in fondo: lo avrei avuto con me.
Gli saltai in braccio ridendo e piangendo nello stesso tempo, i miei dovevano avermi presa per pazza.
Alla fine salii in macchina e guardai il castello finchè non sparì dietro la curva.
Sapevo che quando sarei tornata sarebbero stati lì ad aspettarmi.  Will, Hermione e  Joséphine.


Note: il mio eterno dilemma... C'è più coraggio nello scegliere la morte o la vita? Potrei argomentare entrambe le tesi parlando per ore, mi rendo conto di essere piuttosto macabra, però è il risultato di chi cresce con Will ed Emily Bronte. Certe domande te le poni inevitabilmente...
Svelato, alla fine, il mistero di Joséphine. Ve lo aspettavate? Come pensavate finisse?
Non ho molto da aggiungere se non grazie a chi mi ha fatto compagnia fin qui... Come dicevo è la mia prima storia per cui sono molto affezionata.
Grazie mille davvero...
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Con la speranza di ritrovarvi in qualche altra storia...
Emily Alexandre

   
 
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