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Autore: Fede_Cookie93    28/09/2011    3 recensioni
"Mai mi rendevo conto di quanto la mia bellezza fosse una condanna, più di quando mi ritrovavo ad affrontare uomini così testardi da non arrendersi al primo rifiuto, ma continuare imperterriti a provarci più e più volte... e mai uomo, o meglio, ragazzo in questo caso, fu più insistente ed esasperante di Hector Barbossa..."
Prima fan fiction che posto qui su efp, dettata dal mio amore incondizionato verso il personaggio della saga di Pirati che più stimo ed amo: Hector Barbossa. Spero che questa storia possa appassionarvi così come appassiona me nello scriverla e regalarvi un po' di sana avventura piratesca! Buona lettura! :)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hector Barbossa, Nuovo Personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Time for freedom


Cap. 1
Tortuga


L'aria afosa e calda del giorno incombeva ancora per gli stretti ed affollati cunicoli, senza accennare ad abbandonare le strade e le piccole piazze, penetrando umida e a fatica nei polmoni che invano avevano sperato in una frescura serale.
La presenza di quelle decine e decine di corpi caldi, ammassati ai tavoli della locanda e madidi di sudore, non facevano altro che peggiorare la cappa irrespirabile ed anche le fiamme tremolanti delle candele sembravano guizzare a fatica, lambendo avide l'aria satura dei pungenti miasmi dell'alcool, del tabacco e della pelle sudata.
I miei occhi scuri saettarono distrattamente, soffermandosi sul caos di gente brulicante, di uomini a cui il troppo bere aveva fatto perdere la concezione di sé ed urlavano a tutti i presenti i loro discorsi mentre altri ridevano sguaiatamente, mostrando le ugole lucide e i denti marci, o altri ancora si dilettavano nell'arte di ruvidi amanti, facendo cantare con urla assai poco pudiche certe mie “colleghe” - neanche si trattasse del teatro d'opera - cacciando i volti barbuti e segnati dagli scontri nelle scollature succinte ed invitanti delle donne, sollevandogli avidi le gonne.
Per deliziare ulteriormente quel branco di clienti dalla fama assai poco rassicurante, Chad, il proprietario della taverna, aveva ben pensato di riesumare tra i ranghi di canaglie e disgraziati che affollavano le strade della città, un paio di violinisti -abbastanza improvvisati a giudicare dalle stonature stridenti che di tanto in tanto sfuggivano dalle loro corde- ed un terzo uomo, adibito occasionalmente alla chitarra o alla fisarmonica.
Il baccano infernale che ne risultava avrebbe messo in soggezione chiunque non vi fosse abituato e fatto sfoderare parecchie manette tintinnanti se qualche pomposo ufficiale della marina vi avesse messo piede.
Il caos che regnava sovrano nell'ampia sala non era molto diverso da quello che vigeva lungo i vicoli tortuosi della cittadina: ad ogni angolo si potevano trovare uomini e donne in vena di peccaminose follie tra fiumi di rum e vino, o gruppi di canaglie intenti a giocare d'azzardo o a sfogare le mani in risse furiose, riempiendo l'aria di urla e spari. Ma, dopotutto, non ci si poteva aspettare nulla di diverso dalla città patria, tana e madre di ogni farabutto che si definisse pirata: Tortuga.
Qui vigeva l'anarchia assoluta ed il solo nome era capace di illuminare gli occhi di qualsiasi gentiluomo di fortuna, che vedeva quel luogo come una promessa di dolce perdizione nella quale abbandonarsi completamente, godendo del suo abbraccio sicuro, libero di consumare ogni vizio e desiderio nel budello di vie costellate di taverne e bordelli, rifocillando le membra dai lunghi mesi di mare.
Tortuga era la culla dove ogni sorta di follia e piacere trovavano libero sfogo, dove ogni pirata poteva trovare la risposta o l'inizio dei suoi problemi, il principio o la fine della sua carriera. Quel covo di canaglie era una contraddizione unica, dove qualsiasi persona poteva cadere vittima dei suoi abissi seducenti trovandovi la vita, o finire finire steso nel fango con una pallottola piantata in mezzo agli occhi con la stessa facilità. Tortuga era una dama dolce e crudele al tempo steso, capace di affascinare e stregare gli avventori di passaggio, catturandoli con il suo razionale caos. Ma se ai viaggiatori poteva apparire come un illegale paradiso, solo gli abitanti che trascorrevano ogni giorno a contatto con questa realtà conoscevano il vero volto di Tortuga...ed io ero una di queste.
Spesso mi chiedevo come mio padre, pur stando spesso fuori per portare in giro le sue merci, fosse riuscito a tenermi al sicuro, lontana dalle grinfie notturne della città...

- FARLOW!! - l'urlo di Chad mi strappò bruscamente dai miei pensieri, perforandomi quasi i timpani: con la stazza che si ritrovava possedeva un diaframma davvero notevole, tanto da poter sovrastare senza troppi problemi il baccano che regnava sovrano nella sala.
Non mi voltai nemmeno verso l'omaccione panciuto dal viso tondeggiante che teneva stratta tra i denti storti e gialli una bisunta pipa fumante; potevo sentire i suoi piccoli occhietti fissi su di me, lucidi ed iniettati di sangue, furiosi come sempre.
- Cosa ti urli, Chad? Nonostante il caos qui dentro, non sono ancora diventata sorda. - replicai svogliatamente, continuando a passare lo straccio sul legno lucido e levigato del bancone, pulendo le chiazze di liquidi alcolici e non sparse su di esso.
- Non fare la solita impertinente con me, Loren! - guaì irritato quello mentre il flaccido doppio mento dondolava frenetico sotto la foga di quelle parole - Vedi piuttosto di lavorare come si deve... Anzi, come dico io, dato che sono il tuo capo e a te serve questo maledetto lavoro! - soggiunse staccandosi la pipa dai denti, stringendola nella grassa mano mentre gesticolava, disegnando così forme diafane e tremolanti con il fumo che questa ancora emanava, puntandomela poi contro come per indicarmi con fare accusatore.
Chiusi un secondo gli occhi, sospirando profondamente, seccata dall'ennesima scenata che stava per esibire quel maiale burbero.
- Chad, per l'ultima volta: non ho intenzione di prostituirmi! E né lo farò mai - declamai quasi svogliata, non perché non fossi fermamente convinta dei miei ideali, ma piuttosto perché avevo ripetuto tante di quelle volte quella stessa identica frase, che oramai avevo smesso di tenere il conto, rinunciando a mettervi la solita convinzione: tanto non serviva a nulla.
Non lo aveva ancora degnato di uno sguardo, ma immaginavo bene come in quel momento gli stesse ridicolamente tremando il grasso mento, come sempre quando si arrabbiava sul serio. Mi afferrò violentemente il braccio con la sua mano unta e paffuta, voltandomi a forza verso di lui. Arricciai disgustata il naso quando il fetore del suo alito e della sua barba sudicia mi investirono il volto.
- Tu non hai alcuna volontà qui dentro, chiaro?! - mi sbraitò in faccia, sputacchiando nella foga della rabbia - E se io voglio che tu sia una puttana, tu lo sei e basta, senza fiatare!!
Assottigliai lo sguardo un istante prima di mollargli fulminea un tale schiaffo da allontanarlo da me, voltandogli la faccia con uno schiocco sordo: nei cinque anni passati in quell'infernale locanda avevo avuto tutto il tempo e le occasioni per diventare decisamente forte, specialmente sotto l'aspetto fisico, e parecchi uomini che avevano tentato di prendermi con la forza erano stati costretti a battere in ritirata con la coda tra le game, stringendosi doloranti i gioielli di famiglia, con le labbra sanguinanti o chiazze rosse che pulsavano dolorose dove li avevano raggiunti i miei ceffoni.
- Piantala una buona volta con queste follie!! - sbottai decisamente seccata, fissandolo con disprezzo - Sono cinque anni che ogni santo giorno mi fai questa predica senza ottenere nulla! Quando ti deciderai a rinunciare e metterti l'anima in pace?! - commentai retorica con un sospiro rassegnato mentre l'uomo si premeva la mano grassoccia contro la guancia dolorante, imprecando a denti stretti.
- Torna a lavorare, cagna! - ringhiò lui, ignorando come sempre le mie parole, cacciandosi la pipa tra i denti e sparendo nel retrobottega, continuando ad inveire irritato.
Scossi il capo mentre tornavo a dedicarmi alla pulizia del bancone, rassegnata. Gli avventori che affollavano la locanda non avevano fatto caso a quello scambio di battute, solo alcuni, nuovi di queste parti e abbastanza sobri per notarci, avevano allungato incuriositi il collo per osservare la scena. Oramai le urla assillanti dell'oste contro di me erano diventate una routine quotidiana tanto quanto le mie risposte non meno sentite, e tutti, a Tortuga, conoscevano il mio nome. La mia fama di donna bellissima ma intoccabile mi aveva procurato tanti favori quante seccature dato che, se da una parte quei lupi affamati avevano rinunciato al desiderio di far loro una delle donne più belle che avessero mai visto -così, almeno, mi ero sentita sempre definire da quei disgraziati- , dall'altra molte teste calde osavano sfacciatamente tentare là dove tutti gli altri avevano fallito, sperando di essere i primi “eroi” a conquistare l'ambita preda. La maggior parte di loro imparava la lezione a suon di calci e pugni, fortunatamente...
Penso fosse il sogno di ogni donna quello di essere assai bella e spesso le mie “colleghe” mi dicevano che la mia estrema beltà fosse una benedizione e che fossi una stupida a non sfruttarla. Si sbagliavano, tutte quante. Per me la bellezza è sempre stata la mia più grande maledizione. A causa sua ero costretta ogni giorno a lottare con le unghie e con i denti per preservare il mio corpo dal desiderio perverso e profanatorio di ogni uomo che posava gli occhi su di me... non era affatto bello come si credeva essere costantemente carezzate da occhi famelici che ti spogliavano avidi con lo sguardo, senza desiderare altro che le tue curve e la tua virtù, finendo per considerarti come un succulento pasto: un lauto premio carnale da sfruttare, goderne e poi gettare via una volta soddisfatto il desiderio, pavoneggiandosi con gli altri poveri sventurati che non avevano avuto la loro stessa fortuna.
Nonostante fossi nata e cresciuta a Tortuga e fin da piccola abbia dovuto fare i conti con le sue realtà, sono sempre stata una ragazza che credeva nel vero amore. Chiamatemi sciocca, chiamatemi illusa, come tutti mi hanno sempre definita: eppure non smisi mai, nemmeno per un secondo, di crederci... ed era proprio per questo motivo che ogni giorno lottavo contro i desideri esclusivamente carnali di quelle canaglie, trovando la forza per tenergli testa nelle parole che mio padre mi ripeteva sempre quando ero bambina e che mi portavo sempre nel cuore: “Sii come il mare, bambina mia, che ogni volta che si infrange sugli scogli, trova sempre la forza di riprovarci”, e io seguivo fedelmente quel dolce augurio.
Mai mi rendevo conto di quanto la mia bellezza fosse una condanna, più di quando mi ritrovavo ad affrontare uomini così testardi da non arrendersi al primo rifiuto, ma continuare imperterriti a provarci più e più volte... e mai uomo, o meglio, ragazzo in questo caso, fu più insistente ed esasperante di Hector Barbossa.
Aveva solo un anno più di me ed era approdato per la prima volta a Tortuga sedicenne, tre anni fa. La sua prima visita si prolungò per un'intera settimana nella quale si era stabilito giornalmente alla locanda, passando gran parte del tempo ad ubriacarsi e conquistandosi in pochi giorni la fama di amante capace e assai focoso tra le mie colleghe. Già dal primo giorno in cui aveva messo piede alla Sposa Devota mi aveva puntata, mettendosi in testa che la donna più bella di tutta Tortuga -sì: anche così mi ero sentita descrivere alle volte, purtroppo- dovesse essere sua.
Aveva cominciato a lusingarmi con le solite smancerie, provando inizialmente a prendermi con le buone, ma, dati i miei costanti e freddi rifiuti, aveva cominciato ad usare anche le maniere forti, specialmente nelle giornate in cui, anche negli anni a seguire, era più ardito e determinato delle altre volte. Ne usciva sempre con qualche forte schiaffo sulla guancia, stringendosi il cavallo dei pantaloni, dolorante, anche se raramente l'avevo sentito lasciarsi sfuggire un gemito di dolore alle mie botte, limitandosi ad abbozzare in silenzio.
Ogni volta che all'inizio di quei tre anni si presentava alla locanda e avanzava spedito verso di me, quasi stentavo a credere che potesse esistere un ragazzo così incredibilmente testardo. Col passare del tempo, però, cominciai a rassegnarmi alla sua costante insistenza, senza sorprendermi più quando si sedeva al bancone con il suo solito ghigno sfacciato e lo sguardo impertinente.
E così fu anche quella sera: si presentò con il consueto portamento fiero ed un ghigno a metà tra il trionfante e il malizioso, già pregustandosi la serata all'insegna di rum e donne che si prospettava. Portava la solita bandana verde a cingergli i capelli semi lunghi e mossi che gli lambivano le spalle, lisciandosi distrattamente i baffi chiari con un dito mentre i suoi occhi azzurri e penetranti scrutavano l'ampia sala. Notai che il pizzetto che solitamente portava era stato lasciato un po' crescere in un accenno di barbetta che gli ricopriva riccioluta il mento. Aveva anche un cappello nuovo: ampio, di feltro blu scuro con un paio di piume di fagiano leggermente spelacchiate ad adornargli il copricapo... di certo l'aveva rubato a qualcuno, dato lo stato palesemente già usato del cappello. Aveva anche rimediato un gilet di velluto rosso ed una fusciacca di un giallo acceso che gli cingeva i fianchi, assicurata ulteriormente dal solito cinturone di cuoio nero al quale teneva fissate la fedele spada e la lunga pistola.
Nonostante il suo carattere testardo e decisamente aitante da bravo diciannovenne, si poteva notare una certa raffinatezza nel suo abbigliamento... peccato che questo gusto raffinato non si riscontrasse anche nel suo modo di fare.
Come al solito sentii i suoi occhi fissarsi su di me e mi sfuggì un sospiro decisamente seccato: fui tentata di sgattaiolare via prima che le sue grinfie mi raggiungessero, ma desistetti dato che ero l'unica in quel turno a servire al bancone e non avevo voglia di disertare e ricevere le solite botte dall'oste quella sera.
Pur di farmi trovare impegnata, presi un boccale a caso dalla mensola, prendendo a pulirlo come se nulla fosse, osservandolo di sottecchi, irritata dalla consapevolezza di quanto mi attendeva di lì a poco.
Il ragazzo ci mise un po' a raggiungermi, perdendo tempo a salutare doviziosamente ciascuna delle mie colleghe che l'avevano accerchiato, attendendo con squittii impazienti ed occhiate invitanti che le labbra del pirata si posassero sulle loro in un bacio decisamente troppo passionale per trattarsi di un semplice saluto.
Le prime volte avevo sperato che quei baci distrassero a tal punto Hector, da farlo dimenticare di me, lasciandosi trascinare su qualche sedia a tirar su la gonna a qualcuna delle spasimanti presenti. Ma neanche una volta era capitato...purtroppo. Il ragazzo era uno di quei tipi che sanno bene chi e cosa vogliono e hanno una determinazione, o testardaggine in questo caso, tale da mettere in secondo piano tutto il resto. Ed io avevo avuto la sfortuna di diventare la preda più ambita di Hector.
- Buonasera Loren, mia cara. - mi salutò mellifluo, sottolineando marcato quel “mia” mentre, finalmente libero dalle grinfie delle altre donne, si era lasciato cadere seduto stravaccato sullo sgabello, chinandosi verso il bancone... era incredibile il suo senso di possesso nei confronti di cose e persone!
- Sempre in forma, vedo! - continuò poi al mio ostinato silenzio, sogghignando con fare divertito - Stai tenendo allenata la mano per clienti più fortunati del sottoscritto, eh! - commentò poi con un ghigno malizioso, alludendo al mio lavoro di ripulitura del boccale mentre schioccava le labbra con falso dispiacere.
- L'hai assaggiata parecchie volte anche tu, la mia mano, proprio sulla tua faccia! - replicai asciutta, degnandolo d'uno sguardo solo in quel momento, arricciando ironica le labbra mentre agitavo sarcastica la mano incriminata.
Lui l'afferrò fulmineo, approfittandone per tirarmi a sé, ad un nulla dal suo volto mentre ghignava maggiormente.
- Mi piacerebbe molto provare suddetta mano su altre parti, nei miei pantaloni... - mi sussurrò sfacciatamente sulle labbra, investendomi il viso con il suo fiato caldo che già sapeva di rum.
Arricciai irritata il naso mentre appoggiavo il boccale sul bancone, liberando l'altra mano per potergli dare lesta un bel ceffone. Ma il ragazzo fu altrettanto veloce, bloccandomi anche quella. Mi ritrovai così con entrambi i polsi ben stretti da Hector che ora mi guardava con un ghigno vittorioso, sebbene continuasse a mantenere uno sguardo decisamente languido.
- Permalosa come sempre, eh, bimba? - domandò poi canzonatorio sulle mie labbra, soddisfatto di quella situazione e facendomi arricciare disgustata il naso.
Digrignai appena i denti, piccata per essere stata braccata... oh! Ma non se la sarebbe di certo cavata con così poco! Gli diedi veloce una forte testata contro la fronte, cogliendolo di sorpresa quanto bastava per fargli mollare la presa sui miei polsi, liberandomi le mani ed indietreggiando svelta, lontana dalla sua portata prima che potesse riacciuffarmi.
- E tu sfacciato come sempre, eh, Heckie? - replicai seccata, ignorando il dolore pulsante alla testa nel punto che avevo usato per colpirlo: era un sacrificio che facevo volentieri pur di sfuggirgli.
Lui abbassò la mano che si era tenuto premuta sulla fronte dolorante, sfoderando il sorriso più strafottente che conosceva, come a confermare la mia domanda retorica.
- Ammettilo che mi adori proprio per questo: la mia sfacciataggine ti conquista. - insinuò mellifluo lui, scavalcando agilmente il bancone con un balzo, rischiando seriamente di urtare il boccale che avevo poggiato lì sopra.
Non feci nemmeno in tempo a sgattaiolare verso la porta del retrobottega, pronta a disertare il mio turno, rinunciando ai buoni propositi fatti prima e preferendo le botte dell'oste alle mani impertinenti del ragazzo, che questo mi aveva già raggiunto a grandi falcate. Mi spinse con tutto il suo corpo contro il muro, serrando nuovamente fulmineo le mani sui miei polsi, bloccandomi.
- Vai all'inferno, Hector... - ringhiai esasperata, divincolandomi sotto la sua stretta; mi teneva però schiacciata contro la parete con tutta la sua persona e anche muovermi sotto di lui mi risultava assai difficile.
Ghignò apparentemente divertito dalla mia uscita. Mi alzò le braccia sopra la testa, in modo da potermi stringere entrambi i polsi con una sola mano mente l'altra mi afferrava il volto, costringendomi a guardarlo dritto negli occhi color del mare. Si chinò sul mio viso ed il suo respiro mi accarezzò le labbra, facendomi arricciare il naso.
- Ma è proprio da lì che vengo, Loren... - esalò seducente al mio orecchio, strusciando con fare provocante il corpo contro il mio, premendomi quasi dolorosamente sulla parete alle mie spalle.
- ...Vedi di tornarci, allora! - sibilai a denti stretti, per nulla impressionata dalle sue parole, scoccandogli un'occhiata furiosa prima di alzare fulminea un ginocchio, picchiandolo senza pietà tra le gambe di Hector, strappandogli una smorfia di dolore.
Non appena il ragazzo staccò le mani dai miei polsi, mi affrettai a schizzare via, nel retrobottega, sperando che per quella sera ne avesse avuto abbastanza.
Mi credevo oramai fuori pericolo, al sicuro nella cucina affollata di cuochi e garzoni, quando la porta alle mie spalle si aprì con un tonfo sordo, segno che era stata spalancata con un calcio, mostrando un Hector ghignante e per nulla vinto dai colpi subiti. Sgranai gli occhi, sorpresa da tanta tenacia: fino ad allora non aveva mai osato seguirmi nel retrobottega, limitandosi ad attendermi fuori, pronto a tornare alla carica non appena avesi rimesso piede nella sala.
Quella sera doveva essere più esaltato del solito, a quanto pareva.
- E' inutile che tenti di continuare a fuggire, Loren! - esclamò lui sotto lo sguardo attonito ed incuriosito dei vari inservienti - Perché non ti arrendi al fascino della piacevole perdizione e non lasci che il più abile tra gli amanti ti illustri ed insegni i peccaminosi piaceri del campo? - domandò avanzando imperterrito verso di me, con fare ammaliante mentre gli occhi si posavano famelici sulla scollatura del mio vestito.
- E questo “più abile tra gli amanti” saresti tu? - domandai ironica, indietreggiando di qualche passo prima di schioccare seccata le labbra, voltandomi a dargli le spalle e allontanandomi veloce, facendomi agilmente strada tra le botti, le casse ed i sacchi che ingombravano la cucina.
- Ovviamente, piccola! - esclamò lui con un sorriso sardonico, gonfiando appena il petto come a darsi delle arie mentre mi seguiva lesto, saltando svelto gli ostacoli e pestando pesantemente gli eleganti stivali in pelle nera, seguendomi testardo.
- Io non ne sarei affatto sicura, se fossi in te. - replicai fredda,cominciando davvero a perdere la pazienza nel notare che Hector non demordeva, facendosi largo a spallate tra i garzoni pur di non perdere terreno.
Affrettai il passo, ritrovandomi quasi a correre verso la piccola porta di legno mezza sgangherata che conduceva sul retro; ma prima che la mia mano potesse chiudersi sul freddo e rassicurante metallo della maniglia, il ragazzo mi afferrò lesto le spalle, voltandomi di scatto verso di lui e spingendomi con la schiena contro il legno della porta che scricchiolò appena sotto il mio corpo.
- Puoi sempre constatare tu stessa sul piano pratico...- m'invitò in un sussurro sulle mie labbra, invitante, ritrovandomelo per l'ennesima volta ad un nulla dal mio volto... tanto vicino da poter sentire i riccioli della sua barbetta solleticarmi il mento.
- No, grazie, preferisco tenermi le mie idee senza controllare di persona. - replicai irritata, premendo maggiormente il capo contro la porta dietro di me nel tentativo di allontanarmi da lui.
Prima che avesse il tempo di commentare ulteriormente, allungai fulminea la mano alla maniglia alle mie spalle, spalancando di colpo la porta. Hector, che si teneva poggiato con l'avambraccio contro di essa, improvvisamente sbilanciato, capitombolò in avanti, finendo faccia a terra mentre io ero sgusciata prontamente di lato in modo da sottrarmi alla traiettoria di caduta del corpo del ragazzo.
- Vedi ora di tornartene dalle tue spasimanti, prima che qualche altro “abile amante” te le occupi! - gli suggerii ironica, osservandolo mentre si rialzava imprecando tra i denti.
Feci per chiudergli la porta in faccia, ma mi bloccai di colpo quando un suono simile ad un rauco rantolo mi giunse alle orecchie.
-Che aspettino pure: io ho altro che bramo da conquistare. - replicò lui osservandomi intensamente con gli occhi che brillavano di un desiderio quasi ossessivo, dettato dalla caparbia testardaggine di voler ottenere ciò che si era convinto dovesse essere suo. A quanto pareva non aveva sentito quel rantolo.
Mi sporsi di lato, aggrottando preoccupata le sopracciglia: avevo cominciato a distinguere un respiro rauco, raschiato, come qualcuno che stesse soffocando. Scattai svelta avanti, ignorando completamente Hector e dirigendomi verso la pila di casse, illuminata dalla fioca luce delle lampade ad olio appese al muro scrostato del retro, dietro la quale sembrava provenire quel lamento.
Il ragazzo mi seguì con lo sguardo, sorpreso e forse quasi offeso dalla mia totale mancanza di attenzione alla sua ultima uscita, tanto che tentò di fermarmi afferrandomi con una mano che io però scacciai con un gesto sbrigativo.
- Hector, fermo un attimo: mi pare ci sia qualcuno che si lamenta lì dietro. - borbottai mentre mi avvicinavo cauta alle casse.
Una volta arrivata a distanza di pochi passi, il mio sguardo fu catturato da un bagliore rossastro sul suolo umido e sudicio. Mi fermai a guardare meglio ed il mio cuore ebbe un sussulto: sulla terra fangosa si allargava lentamente una chiazza vermiglia di sangue caldo, facendo capolino da dietro le casse.
- Ai poveri diavoli che ti corrono dietro non li degni nemmeno d'uno sguardo... ma a quelli feriti ti precipiti subito a soccorrerli, eh? - commentò con fare di scherno Hector alle mie spalle, per nulla toccato dalla notizia, probabilmente fin troppo avvezzo a situazioni simili in combattimento – Va a finire che dovrò squarciarmi il ventre per poter ricevere un po' delle tue “cure amorevoli”. - sogghignò poi mentre sentivo il tonfo ovattato delle suole dei suoi stivali avvicinarsi dietro di me.
Non badai minimamente alle sue parole, decidendomi finalmente ad aggirare le casse. Sussultai vivamente quando vidi un corpo riverso a terra in un lago di sangue: aveva due profonde ferite ai fianchi che avevano inzuppato interamente la camicia e il gilet di cuoio del liquido vermiglio. Era disteso supino sulla terra molle e quando mi vide arrivare fece saettare il debole sguardo su di me, muovendo freneticamente le labbra come se cercasse di dire qualcosa. Uno spettacolo simile non era affatto raro a Tortuga e ne avevo visti conciati peggio, ma non potevo evitare di provare compassione per quegli sventurati che, per debiti, per ripicca o per sbaglio, si erano guadagnati una pallottola o uno squarcio sul corpo.
Mi inginocchia accanto a lui, senza curarmi del sangue che impregnò la stoffa della mia lunga gonna e la mia mano quando andai a scostargli delicata il tessuto della camicia per constatare l'entità dei danni mentre gli sollevavo la testa sulle mie ginocchia.
Notai che, a giudicare dai suoi capelli radi e dalla barba parecchio brizzolati e la rete di rughe che gli correva lungo il volto, doveva aver passato da un po' la cinquantina.
- ...Gawn...Da...ga...- lo sventurato era riuscito ad articolare qualche suono comprensibile tra un rantolo e l'altro, fissandomi con gli occhi vitrei spalancati in un'espressione di ansia e dolore.
Sentii Hector schioccare le labbra con fare di noncuranza allo stato del ferito.
- Non vi agitate, è meglio se risparmiate il fiato per respirare... - gli suggerii io osservando preoccupata le ferite; purtroppo non c'era molto da fare: era stato colpito ad entrambi i fianchi, appena sotto la cassa toracica con qualche lama decisamente lunga... probabilmente con qualche misericordia.
L'uomo mi afferrò di scatto il polso, sgranando maggiormente gli occhi, quasi spaventato di non riuscire a dire quanto voleva.
- Da...Daga...Dagawn... - riuscì ad esalare in un rauco sussurro, con le labbra tremanti per lo sforzo – Doh...erty...Doherty...
Sentii Hector fermarsi di colpo nella sua passeggiata alle mie spalle ed avvicinarsi frettolosamente, accigliato.
- Cos'è che ha detto? - domandò in un sussurro al mio orecchio: di colpo aveva perso ogni nota maliziosa nella voce, facendosi improvvisamente interessato.
Mi voltai appena a guardarlo, lanciandogli un'occhiata interrogativa a tutto quell'interesse. Dischiusi le labbra, facendo per rispondergli, ma il moribondo mi precedette, serrando maggiormente la presa già debole sul mio polso.
- Doherty!...Boh...Bonaire!!- gemette in un rantolo, con tanto slancio che sembrava trattarsi di una questione vitale - ...Chapman. - con quest'ultimo nome spirò, lasciandomi di colpo il braccio, rovesciando gli occhi al cielo mentre la scintilla vitale lo abbandonava.
Osservai perplessa il cadavere che giaceva con la testa ancora poggiata sulle mie ginocchia. Due di quei nomi mi suonavano familiari, anche se il terzo non l'avevo mai sentito prima d'ora. Hector, ancora chinato al mio fianco, si era fatto terribilmente serio, osservando con sguardo indecifrabile il corpo inerme steso a terra. Poi, senza aggiungere una parola, si raddrizzò, allontanandosi a grandi falcate verso la piccola porta del retro, sparendo nuovamente nelle cucine diretto probabilmente alla sala principale.
Gli scoccai un'occhiata furtiva: non ricordavo dove avevo già sentito quei nomi, ma se Hector aveva reagito in quel modo, doveva trattarsi di qualcosa di davvero importante.


  
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