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Autore: xlairef    09/10/2011    0 recensioni
Tra i ghiacci del Mare Ultimo, sulle rotte dei pirati, nelle mani di Sedna, nella sorte di due capitani, negli occhi rosso sangue giace il destino di Ferenc, a bordo della Dragonfly
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Piccola nota per precisare: questa storia si è classificata terza (su quattro ^^') al Pirates Contest indetto da vibs88, e ci sarebbe anche un banner, prodotto da MyPride (lode e onore a te!) ma non riesco a caricarlo, per cui se qualche anima pia legge e sa come fare, me lo dica, please!Ecco tutto...^^ Ferenc non credeva nei miracoli, ma non ne aveva colpa: nemmeno sua madre, abituata al duro lavoro, ci aveva mai creduto molto.
Perciò, nel momento in cui il fuoco si propagò alla vela maestra della fregata, non sprecò il poco tempo che gli rimaneva in vane speranze di soccorso, ma afferrò una sciabola dalle mani ormai rigide del suo tenente e si preparò a morire come un buon marinaio, assieme alla sua nave.
Non c’era bisogno di riflettere molto per capire che la battaglia stava per finire: il fuoco aveva avvolto la coperta della nave, e iniziava ad infilarsi nei boccaporti; l’odore nauseabondo di catrame e di sangue bruciati si univa alle urla di rabbia degli ultimi compagni di Ferenc, e agli ululati di vittoria della ciurma pirata, che stava rapidamente terminando il saccheggio.
I grandi iceberg che si innalzavano per centinaia di piedi sul livello del mare, incombendo sulle due navi avversarie, riflettevano i bagliori dell’incendio, il quale aveva fatto assumere ai ghiacci una tinta sporca, come se fossero anch’essi insanguinati. Sembrava quasi che immense torri stillanti sangue assistessero all’inevitabile destino della nave sconfitta.
Non appena il fuoco avesse raggiunto la santabarbara, l’esplosione avrebbe cancellato ogni traccia dell’esistenza della Flare, e con essa quelle del suo sfortunato equipaggio.
Per questo Ferenc non ebbe esitazioni, e nonostante le ferite si lanciò contro gli ultimi saccheggiatori, cercando una morte onorevole e rapida nella difesa della sua nave, il che era una cosa abbastanza insolita per un semplice mozzo.
Tra il fumo e il fuoco si batté con ostinazione, gettandosi contro i predoni che avrebbero preferito affrettarsi a mettere una buona distanza tra sé e la nave sul punto di esplodere, non curandosi del dolore che le ferite sempre nuove gli infliggevano, né della condensa dovuta al clima gelido, una nebbia che odorava di morte.
“Spostatevi.”
Il ringhio sommesso ebbe l’effetto di far sparire gli avversari di Ferenc, che si guardò intorno, cercando di distinguere il proprietario della voce. Una lama insanguinata sibilò velocemente davanti al suo naso.
Ferenc si scostò di lato, inciampando nei suoi stessi stivali: tentò di rispondere ai colpi del suo invisibile avversario, ma dopo poco era a terra, finalmente, e i suoi occhi furono rapidamente coperti da un velo di sangue.
Forse fu per questo che la sagoma che avanzò verso di lui nel momento della fine gli parve dello stesso colore maledetto.
“Che cosa abbiamo qui?”
La voce era roca, ma il mozzo non riuscì a distinguere il suo proprietario, il quale parve aver ottenuto la risposta che desiderava: “….ci serve uno nuovo…” Le sillabe divennero indistinte nella mente di Ferenc. Prima di sprofondare nel buio, sentì che qualcuno lo sollevava, poi il dolore ebbe la meglio: l’ultima cosa che vide fu un volto senza lineamenti, rosso come il sangue.
I miracoli a volte avvengono davvero.
 
 
 
 
“Pesn’samana…”
Una cantilena incessante fu ciò che Ferenc ricordò in seguito del suo lungo viaggio tra la vita e la morte.
Le sillabe, sussurrate una dopo l’altra, erano come colpi di un martello sulla zona che (a poco a poco se ne rendeva conto) era la sede del cuore, dell’anima, del cervello, delle gambe…Con la consapevolezza arrivò il dolore, e di nuovo tutto fu rosso.
 
 
 
“Yao…Chi yao…”
Fu svegliato da un gracidio e da uno sputacchio.
Il primo provvide a perforagli la testa, facendogli capire di averne ancora una sulle spalle; il secondo contribuì a inumidirgli il viso, portandolo a comprendere che, dopotutto, era ancora nel solito, vecchio mondo.
“Zaogao de haizi…cai chi chuang le….” Gracchiò qualcuno, e altra saliva lo raggiunse.
Ferenc aprì con fatica gli occhi: una lama di luce ferì la sua vista, ma gli consentì di scorgere qualcosa davanti alla sua faccia.
Un mostro.
“Yahhhhhh!!!!!” Il ragazzo si liberò della pelliccia che lo copriva e saltò indietro, terrorizzato: subito una fitta di dolore lo percorse dalla cima della testa alla punta dei piedi.
Il mostro rugoso allungò un artiglio, e parve inquietarsi.
“Biè…Biè…”
Cercò di avvicinarsi a Ferenc che, in preda al panico, afferrò la prima cosa che gli capitò sottomano, e si ritrovò a minacciare l’essere spaventoso con quello che sembrava essere un gambo di sedano, piuttosto appassito.
“Ehilà! Ti sei svegliato!” Un’altra voce, e il suono di alcuni passi che scendevano sottocoperta. (“Una nave...” Si rese conto Ferenc.) “In piena forma, a quanto vedo…Su, su: non è il caso di sventolare le medicine di Ma Cheng sotto il naso di Ma Cheng…” Una mano dalla presa sicura tolse il sedano dalla stretta di Ferenc. “…Soprattutto se devi a lei la tua salute, non trovi?”
Ferenc si girò, e si trovò ai piedi di un uomo magro, dal viso affilato, vestito con (e qui il mozzo sbatté le palpebre per essere sicuro)  una casacca di lana scintillante.
Rosa.
“Orbene, immagino che ti sentirai ancora stanco, provato, debilitato, e così via, giusto?” Senza curarsi dello sguardo stralunato del ragazzo, l’uomo in rosa lo afferrò per la collottola e lo alzò in piedi. “Bene, come dire? Non ha la minima importanza!” Esclamò allegramente, e diede a Ferenc una manata sulla spalla che mandò il ragazzo di nuovo lungo disteso a terra.
“Tutto bene?” Si informò l’uomo, mentre Ma Cheng, infagottata nelle proprie pellicce, agitava minacciosamente una serie di amuleti e di talismani nella sua direzione.
“Se tu non tentassi di uccidermi ancora una volta, forse si…” Biascicò il mozzo, scostandosi i capelli biondi dagli occhi e rialzandosi a fatica.
“Un fine umorista, a quanto vedo…Abbiamo fatto un vero affare questa volta con la tua nave…”
“Cosa…Che cosa intendi dire?”
 L’uomo continuò senza badargli: “Che bottino, signori miei, e con che facilità…”
Non poté continuare, perché Ferenc gli saltò al collo con un grugnito di rabbia: dopo pochi istanti il ragazzo era di nuovo a terra, questa volta sanguinante.
“Ascoltami bene ragazzo.” L’uomo socchiuse gli occhi, gelido. “Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte, eccetto che a trenta piedi sott’acqua.”
“La mai nave…avete ucciso i miei compagni…Tutti…”
“Quella nave non esiste più: ora sei parte dell’equipaggio della Dragonfly, e prima lo capirai meglio sarà.” L’uomo lo guardò, ora meno minacciosamente. “E, credimi, poteva andarti peggio…”
“Quale sarebbe stato il peggio?” Domandò ironico Ferenc, rimettendosi in piedi.
L’uomo allargò le braccia e sorrise.
“Mai sentito parlare di esche vive?”
 
 
 
“I tuoi compiti saranno due.” Enumerò l’uomo in rosa, salendo sopraccoperta con Ferenc alle spalle. “Ramazza.” E ne lanciò una dietro di sé, colpendo dritto in faccia il mozzo. “ E secchio.” Concluse, ripetendo il movimento, con il risultato che, girandosi, poté ammirare Ferenc del tutto zuppo d’acqua sporca, completo di secchio rovesciato sulla testa.
“Non gingillarti e seguimi.” Ordinò poi, non appena il mozzo aprì la bocca per protestare.
Il ragazzo mise a tacere la rabbia, e controvoglia salì in coperta: non appena emerse con la testa la gelida brezza del vento polare lo colpì in pieno, causandogli una fitta di dolore alle ferite non ancora rimarginate totalmente.
Sbattendo gli occhi per contrastare il baluginio bianco del cielo e del mare, osservò per un istante le grandi vele spiegate,  indistinguibili dal paesaggio circostante, prima di essere trascinato via dalla sua guida.
“…E quello è Ben, il timoniere, sente la rotta con il naso…” Ferenc si accorse di aver perso buona parte del discorso. “Questione di fiuto, penso. Ah, ecco Herald, il carpentiere. Herald, ti presento il mozzo.” Un uomo immenso e rubizzo passò loro accanto con un grugnito. “Brav’uomo, ma beve come un porco…” Confidò l’uomo in rosa a Ferenc. “Liam è il cuoco: non sa cucinare, per cui vedi di arrangiarti a pescarti la cena. Asa, laggiù, quello nero, è il capocannoniere, mentre il capelli verdi accanto a lui è il quartiermastro, Van: non chiedergli nulla riguardo ai merletti, mi raccomando…”
“Perché proprio sui merletti?” Chiese Ferenc, suo malgrado incuriosito, ma l’uomo proseguì imperterrito.
“Ecco, Terent non fa altro che pensare alla madre lontana, ma è uno degli uomini più feroci in combattimento: stagli distante, in quei momenti…Puoi cominciare da qui.” Disse, fermandosi all’improvviso.
Ferenc per poco non andò a sbattere contro la casacca rosa.
“Ci sono domande, prima che me ne vada? No, non puoi dar fuoco alla nave; no, non puoi bere né giocare d’azzardo prima e dopo il coprifuoco, non puoi andare a puttane se non nei porti e non puoi disobbedire agli ordini di un tuo diretto superiore, ovvero tutti, su questa nave…”
“E tu chi saresti per dirmi tutto questo?” Sbottò infine il ragazzo.
L’uomo si colpì la fronte con la mano: “Perdona la maleducazione: io sono Phineas, il secondo. Piacere di conoscerti e tutto il resto. E ora, al lavoro.” E fece per andarsene, ma la domanda di Ferenc lo bloccò.
“Chi sono quelle?” Chiese il mozzo, stupefatto, guardando il castello di prora. “Donne a bordo? Ma le donne non…”
Phineas si girò di scatto, e gli abbassò la testa.
“Ma che cos…?”
“Non dire niente di cui potresti poi pentirti, ragazzo.”
“Il mio nome è Ferenc.” Digrignò i denti lui.
“Ferenc. Loro sono i capitani della Dragonfly.” Disse il secondo, e allentò la presa sulla testa di Ferenc: i due osservarono assieme le due donne. Una di loro, avvolta in una pesante cappa blu come la notte polare, era immersa in una cupa contemplazione del cielo lattiginoso. Il suo volto era sfregiato da lunghe cicatrici rossastre, che andavano dalla fronte al mento. Le armi che spuntavano da ogni angolo della sua giacca non aiutavano a renderla meno inquietante.
La donna in rosso invece, diversa dalla prima come il giorno dalla notte, con un sorriso malizioso, si voltò verso il secondo, salutando lui e il nuovo mozzo con la mano. Le trecce color papavero le piovvero sul volto, nascondendone per un istante l’incredibile capacità di apparire estremamente giovane un momento, tremendamente maturo l’attimo successivo.
 Il secondo rispose al saluto.
“Sai, qui tra la ciurma esiste un detto…” Commentò poi, vedendo lo sguardo di Ferenc fisso sull’ultima donna. “Se stai combattendo, e intendi annientare tutti i tuoi avversari, chiama Capitan Mary…” e indicò la donna rossa. “Ma se intendi salvarti la pelle, dopo, prega il cielo che Capitan Sue passi di lì in tempo…” E indicò la donna blu.
“Che cosa intendi dire?”
“Stai lontano da Capitan Mary e non dovrai scoprirlo….Benvenuto sulla Dragonfly.”
 
 
 
 
 
 
 
  

  
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