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Autore: Callie_Stephanides    16/10/2011    12 recensioni
Leya di Trier ha sette anni, la notte in cui il Destino le regala un fratello: ha le pupille verticali e la coda di un rettile; nelle sue vene scorre il sangue degli uomini-drago. Due decadi più tardi, quando l’armata dei liocorni neri è ormai a un passo dallo stringere d’assedio la Capitale, l’inevitabile scontro tra gli ultimi discendenti di una stirpe perduta è solo l’inizio di un profetico riscatto.
(...) Per questo ora scrivo, in uno studio pieno d’ombra e all’ombra della mia memoria.
Scrivo perché nessuno possa celebrarmi per quello che mai sono stata: coraggiosa e nobile e bella.
Scrivo perché nessuno dimentichi di noi l’essenziale: che l’ho odiato di un amore dolcissimo e amato di un odio divorante.
Come un drago (...)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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8.
Il segreto di Leonar

A te che sfogli questa pergamena, a te che indaghi nel passato, perché il futuro ti sia meno grave, a te che per caso o per desiderio la mia voce è giunta, salute.
Il mio nome è Leonar, Ygeo di Trier. Scrivo nel dodicesimo secolo dalla morte del Lavran, nell’anno ottavo del magistero di Jürgen il Savio.
L’età mi ha incanutito e indebolito la vista, ma il mio intelletto è saldo come la mano chiamata a conservare la memoria di quest’ora.
Ho accolto il nemico in casa e fatta mia la sua progenie. Ho obbedito alla pietà o all’insania della notte?
Ho ascoltato il cuore o la voce acuta della ragione?
Freil ha bussato alla mia porta, onorando una promessa tanto antica che quasi l’avevo dimenticata.
Accadde a Cale, nel mio venticinquesimo anno, quando respirare sangue e polvere ancora non mi ripugnava; costruivo macchine di morte, perché lunga fosse la vita di Eleutheria e appagata la mia ambizione: comandavo al Fato e tanto bastava.
Freil, adolescente soldato, combatteva con la furia dissennata dell’età; i suoi occhi dorati brillavano del coraggio che non avrei mai avuto, e di una fame che niente avrebbe potuto saziare, se non la guerra stessa. Colpito, non abbandonava la spada, né il campo di battaglia: mi fissava a distanza, quasi volesse sfidarmi.
 
Chi sei, eleutheride, pavido burattinaio al riparo delle mura?
Che battaglia credi di vincere, se non conosci la voce di un’agonia?
 
Vidi un arciere puntarlo, ma gli assestai un colpo che deviò il dardo.
Lo feci perché mi piaceva l’orgoglio di quegli occhi: era vivo, come vivo non era più nulla nelle Midlands. Massacrandoci ogni giorno, eleutheridi e dracomanni, avevamo ucciso la terra.
Venne la notte, ma non il sonno. Fissavo il cielo da una torretta, contando stelle lontane e fredde come le ultime lacrime di Dendre.
Un fischio lacerò l’aria, attirando la mia attenzione. Avrei dovuto cercare un riparo o tremare, ma l’istinto mi confortava.
“Ti devo la vita, eleutheride,” disse Freil. “Perché?”
Non avevo una risposta da dargli, ma mille verità. Scelsi la prima.
“Perché vorrei che diventassi un uomo.”
Freil rimase in silenzio per qualche istante, poi donò al buio la sua risposta.
“Quel giorno, allora, busserò alla tua porta.”
E l’ha fatto, ma per morire.
Venusya è caduta. La clessidra ha già pianto i suoi grani due volte, da che ho ricevuto la nuova, eppure suona come una vuota eco al mio orecchio.
Mi domando quanto mostruosa possa essere una creatura in grado di distruggere gli ophelidi.
Mi chiedo, soprattutto, quanto mancherà perché divori Eleutheria.
Rael dorme tranquillo in una cesta accanto al fuoco. Freil mi ha pregato di crescerlo quasi fosse figlio mio.
“Sei un uomo giusto e coraggioso,” ha detto. “Voglio fidarmi di te.”
È evidente che non mi ha conosciuto per quel che sono davvero: un Ygeo, un ambizioso e un politico.
Potevo disperdere nel vento le sue ceneri mortali, ma l’ho sepolto in riva al fiume, affinché Rael sappia dove inginocchiarsi e piangere, se mai lo vorrà. Quando giungerà quel giorno, capirò che è diventato un dracomanno e, forse, un nemico.
Quel giorno, Rael mi chiederà del drago e non potrò mentire.

*

Sfioravo la pergamena con le dita, ma, soprattutto, la ascoltavo con il cuore: la voce di mio padre mi raggiungeva tra le volute d’inchiostro, appassionata e colpevole al contempo.
“Non sapevo che tenessi un diario,” dissi, “ma non mi sorprende. È degno di te.”
Leonar chinò il capo, quasi a fuggire il mio sguardo, e all’improvviso mi parve solo un patetico vecchio, indifeso e fragile: non potevo più chiedergli di proteggermi, perché quello era ora un mio ufficio.
Trier viveva sotto il magistero di Leya la Rossa, la Pazza, la Rocca.
Trier sarebbe sopravvissuta a tutto: l’avevo giurato.
“Perché me l’hai mostrato? L’hai scritto per Rael, non per me.”
Leonar si accarezzò la barba: un gesto che apparteneva ai suoi momenti d’intimità, di raccoglimento, di dubbio. “Forse è un’assoluzione preventiva che cerco.”
Dischiusi le labbra, ma non ne uscì un suono. La luce dorata del meriggio imbiondiva le carte e ammorbidiva i mille spigoli della mia invulnerabilità di facciata.
“Perché quando tuo fratello conoscerà la verità, forse dovremo rassegnarci a perderlo.”
Contrassi le dita. “È alla verità del drago che ti riferisci, vero?”
Leonar annuì. “Vi ho cresciuto nella menzogna, Leya, poiché io so che la bestia vive ancora.”
Sollevai un sopracciglio. “Di bestia ne conosco già una e avrò la sua testa.”
Ostentavo una sicurezza di rune per difendermi da quanto provavo davvero: disorientamento e incertezza. Radicata alla terra, avevo rinunciato al Mito, senza ricordare che la verità riposa spesso oltre il velo della metafora.
Mio padre mi guardò con tenerezza.
“Siete figli miei, Leya: un giorno o l’altro, la vostra curiosità avrebbe vinto la prudenza.”
Sorrisi. “Non dire sciocchezze.”
Non mentiva, invece, ma potevo ancora concedermi il lusso d’ignorarlo.
“Non pretenderai che io creda a…”
“Non l’ho visto, Leya, quello no… Ma ne ho letto.”
Politico di razza, mio padre sapeva come pungermi nel vivo: ero una cui riusciva più facile credere ai codici che non agli occhi. E un documento, ora, mi tradiva.
“È l’eredità di Rael.”
Trattenni il respiro.
“Freil non portò in salvo solo un cucciolo, Leya, ma ha trafugato il più prezioso tesoro di Lephtys.”
“Io… Non capisco…”
Leonar sospirò. “Credevo che quello di Freil fosse il vaneggiamento di un’agonia, finché, un mattino, non venne da me Luthien. Rael viveva con noi da quasi un mese ma il Consiglio mi aveva costretto a prolungate assenze e non mi ero più curato del cucciolo.”
 
Chiesi alla memoria di rievocare quei giorni: cosa ricordavo? Poco, troppo poco.
Avevo sette anni e non mi curavo dei dettagli, senza immaginare che ogni grano vomitato dalla clessidra di allora avrebbe deciso del mio futuro: avrebbe detto del mio amore e della morte, della perdita e della follia.
Avrebbe predicato della donna che sarei diventata e di un ranocchio che avrebbe sputato sangue per Eleutheria.
Il futuro mi sussurrava all’orecchio, ma non lo sentivo: l’aria era satura del pianto di Rael e dei miei bisogni infantili.
I miei occhi, avidi di tutto, erano ciechi davanti alle trame che dipingeva la Storia.
 
“Come ben sai, Luthien legge a fatica e non conosce il dialetto delle Midlands, dunque si rivolse a me.”
 
Avrei potuto interromperlo in quell’istante, poiché ora, finalmente, vedevo: coglievo, uno dopo l’altro, gli infiniti snodi che ci avevano condotto nel mio studiolo, a parlare di passato per salvare il futuro. Eppure non soffocai la sua voce, perché quella era la storia di Leonar, non di Leya: io, però, avrei dovuto raccoglierne il testimone.
 
“Prima di abbandonare Lephtys, Freil volle salvare dalla rovina di Venusya la pergamena detta Nornika, il più antico documento degli ophelidi.”
“Nornika?”
“Ne sentii parlare a Cale, quando ero ancora giovane e mi attraeva la vita avventurosa del confine. La Nornika era accessibile ai soli membri della famiglia reale ma Freil, come guardia scelta di Zauror, ne conosceva l’ubicazione. Quando Koiros aggredì il palazzo, è probabile che i luogotenenti abbiano sorteggiato il nome di chi avrebbe difeso il re, come di chi…”
“Avrebbe portato in salvo la Storia.”
Mio padre annuì.
“Per questo…”
“Freil non intendeva solo garantire un futuro a Rael, ma voleva che suo figlio possedesse uno strumento utile ad assicurargli vendetta.”
 
La mappa per raggiungere il drago.
La mappa per diventare un drago.
 
Chiusi gli occhi.
“L’aveva nascosta tra le fasce che avvolgevano il cucciolo, dunque fu Luthien a trovarla. Quando la ebbi, pensai di consegnarla al Collegio.”
“E non l’hai mai fatto.”
“No, non l’ho mai fatto.”
“Perciò… Quando dicevi che Rael poteva essere il drago che avrebbe salvato Elithia…”
Leonar chinò il capo.
La verità mi colpì come uno schiaffo: mio padre sapeva. Stringeva la chiave della salvezza persino il giorno in cui Lukas era morto sventrato, ma non l’aveva spesa perché…
“Non voglio che mio figlio si trasformi in una bestia.”
Le sue parole paralizzarono la mia rabbia.
“Speravo che la tua intelligenza e la sua forza bastassero; credevo che Koiros, o qualunque altro mostro fosse giunto dal Nord, avrebbe trovato ad aspettarli la volontà e il coraggio dell’uomo.”
 
E Lukas era morto.
Per salvare Rael, Leonar aveva ucciso me.
Aveva condannato…
 
“So cosa pensi, Leya, e…”
“No, tu non lo sai!”
Mi tremava la voce e avevo gli occhi pieni di lacrime. “Non puoi saperlo.”
 
Non ero lucida: quelle parole avevano riaperto tutte le mie ferite e m’impedivano di riflettere. Se l’avessi fatto, avrei individuato la piccola ma decisiva falla del racconto: una lacuna che, senza saperlo, Nephyl aveva già colmato.
Leonar aveva equivocato le intenzioni di Freil, perché non poteva fare altrimenti: il padre di Rael era morto sussurrando una profezia ambigua e monca.
La canzone del Norn, la stessa che il Generale mi aveva recitato, era l’ultima tessera di un mosaico che la Storia aveva disperso.
Voglio che il cucciolo viva, perché un giorno dovrà consegnare il Drago Bianco al suo destino: queste, forse, sarebbero state le ultime volontà di Freil, se il chioccio gorgoglio del sangue non le avesse trasformate in un rantolo.
 
“Ora sai perché dovevo parlarne con te, Leya,” riprese mio padre, “e perché è giusto che Rael sia messo a parte di quello…”
Gli diedi le spalle. “Fa’ come ti pare.”
Stavo per piangere come una bambina e me ne vergognavo, perché cedere non avrebbe reso più credibile la mia collera, né forti le mie ragioni.
“Ma di una cosa sono certa: Rael non seguirà quel cammino.”
“Lo so anch’io,” la voce di mio padre era appena un sussurro, “eppure devo, perché non puoi comandare al Destino senza conoscerlo.”
Trattenni a stento un singhiozzo.
“Se non hai altro da confessarmi, i miei uomini mi aspettano.”
 
Era una recita pietosa, ma senza quel copione maldestro mi sarei sgretolata – e no, una rocca non può crollare.
Mi asciugai le palpebre e raggiunsi la porta che affacciava sul lato settentrionale del barbacane.
La luce, ancora forte, imbiondiva ogni pietra quasi fosse bagnata d’oro.
 
I tuoi capelli sono un incendio che confonde.
 
Erano le parole di Lukas o di Jail?
Quante estati erano passate dai giorni in cui la vita era bella?
 
Risposi distratta al saluto di Nephyl, mentre mi compiacevo della perfetta esecuzione dei miei ordini: da ogni caditoia s’intravedeva un balestrone, mentre dalle merlature facevano capolino i telai delle lenti ustorie.
Erano armi da posta e avrebbero tenuto a bada le viverne.
Lethor delle falesie non mi spaventava, o forse non m’interessava come il nemico che mi ero scelta.
 
“Quanto tempo è trascorso dall’assedio?”
 
Le mie labbra si mossero da sole, formulando una domanda cruciale, perché decisivo ne era il corollario.
Com’era possibile che fossimo ancora tutti vivi?
Perché l’armata di Koiros non si risolveva a spazzarci via?
“Due settimane, Magistra.”
Il tono di Nephyl non tradiva emozioni, ma nei suoi occhi brillava una scintilla consapevole.
“E credo che ne avremo altrettante per prepararci a dovere.”
Lo fissai dubbiosa.
“Sarà una doppia condanna, e ha già scelto chi sacrificare.”
 
Dovevo arrivarci da sola: Koiros non traeva soddisfazione dalle conquiste scontate; se così fosse stato, nei fatti, avrebbe inghiottito l’Eumene con ridicola facilità. C’era, piuttosto, nella sua crudeltà, una vena sadica che si nutriva della prolungata agonia di chi avrebbe schiacciato.
Perché accelerare, se lo stillicidio dei giorni bastava a incoronarlo sovrano del terrore?
Caduta Eleutheria, non avrebbe avuto altro trastullo.
Caduta Eleutheria, avrebbe perso l’occasione di liberarsi una volta e per sempre di Vinus.
“Intendi?”
Nephyl sorrise. “Qualcuno ha pagato a caro prezzo la nostra salvezza e dovrà riscattarsi; finché non sarà in grado di guidare l’armata, dunque, potremo respirare. In questo momento più che mai, Magistra, il futuro dipende dai dracomanni.”
“No,” sibilai. “Dipende da quanto si desidera vivere.”
 
Ed io sì, lo volevo: ero affamata di vita come un condannato alla vigilia di un’esecuzione. Avevo perduto i miei giorni migliori, ma non avevo dimenticato il sapore di qualche ridicola, indimenticabile briciola di serenità.
Era un niente, ma era tutto: era quanto dava valore alla mia guerra e mi rendeva superiore a Vinus, perché il filo della spada di uno schiavo non poteva eguagliare il taglio di chi era nato libero e tale voleva restare. Come combatteva, però, chi non aveva più nulla da perdere, né da rimpiangere?
Ecco una buona domanda che dimenticai di pormi.
Una domanda che raccontava del mio peggior nemico, dei suoi fantasmi e di un incredibile potere.

*

Vinus rimase sospeso tra la vita e la morte per quasi due settimane ma Koiros non trasse dall’esemplare castigo infertogli alcuna soddisfazione. Nei suoi occhi, come in quell’ultimo, disperato rigurgito di orgoglio, aveva intravisto una creatura che lo spaventava, perché in luogo del cane aveva sfiorato il lupo.
Il cane puoi batterlo e ti leccherà ancora la mano.
Il lupo, no. Il lupo morde.
“Potevate eliminarlo, signore,” suggerì forse Lethor, strisciante come una serpe e altrettanto velenoso.
Immagino il sorriso di Koiros, il suo disprezzo. “Voi demoni… Così molli e stupidi da non intuire la pericolosità del martirio!”
L’ho detto: Koiros aveva il cervello di un uomo e una capacità di calcolo non inferiore ai nostri migliori strateghi.
Vinus aveva carisma e un forte credito presso i soldati; ucciderlo non avrebbe eliminato il pericolo di una defezione interna, al più l’avrebbe fomentata, e Koiros non poteva permetterselo. Non poteva perché aveva bisogno di uomini leali per conservare i confini di un impero ormai vasto come l’Eumene; e non poteva perché i dracomanni erano pochi ma pericolosi.
Se Vinus doveva morire, dunque, era meglio che lo facesse sul campo di battaglia; sotto le mura di Trier, proprio come Nephyl aveva previsto.
Quel che nessuno avrebbe potuto prevedere, tuttavia, era che Rael seguisse la voce del sangue e onorasse il compito per il quale era stato salvato: difendere il principe e farne un drago.

   
 
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