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Autore: LawrenceTwosomeTime    28/10/2011    2 recensioni
Quante volte vi siete ritrovati/e di fronte a una reinterpretazione del celeberrimo "Alice nel Paese delle Meraviglie"? Ecco, qui si tratta proprio di questo. Ma, sperando di incontrare i vostri gusti, prometto una reinterpretazione singolare, disturbante e giocosamente anticonvenzionale. Leggete!
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le luci si abbassavano. Presto la penombra avrebbe invaso la sala. Come un organismo vivo che cessi le sue funzioni, il museo metteva a tacere le fonti di calore, gioie di plastica, lanterne artificiali.
Celia ciondolava ancora sopra un espositore ronzante, e aveva perso i genitori da più di un'ora, ma non se ne curava. Era nell'età in cui smarrirsi riesce più facile, ed era quella una perdizione casta al cui abbraccio ci si abbandona inconsapevoli.
La mostra chiudeva ai visitatori, il mostrato sarebbe rimasto confinato nel buio per vivere la propria vita segreta, e Celia si domandò se era il caso di cercare l'uscita.
Uscì dalla stanza dei tabernacoli ed entrò in quella delle sagome cartonate. Deserta. "Saranno passati attraverso una porta segreta?", disse a sé stessa.
"Che strano…". Non le pareva di aver mai visitato quella sala. Era insolitamente grande e le fece venir voglia di tornare sui suoi passi. Ma dietro di lei era già buio pesto, e non poté più deviare dal percorso.
C'era un grande volatile preistorico che galleggiava in un angolo, simile a una manta e forse a un gallo. Aguzze creste frastagliate gli ornavano la testa, le ali membranose del colore del divano di casa lo facevano assomigliare a un animale impagliato a postumi.
"C'è qualcuno?", domandò al nulla.
Qualcosa rantolava tra le silhouette e il corteo di luci azzurre che riportavano alla mente l'angusto livore di una cella frigorifera.
Celia cavalcò incontro ai singhiozzi spezzati e inumani; non erano grida di pianto; forse spasimi di aspettativa o forse il respiro di una creatura le cui azioni – anche il semplice atto di respirare – repellevano alla vista.
Poi una macchia bianca e rosa le schizzò sul volto, oltrepassandola, e si arrestò ai margini del salone. Celia stropicciò gli occhi inumiditi dal sentore di acredine che emanava la bestia, la pancia come piena di topolini affogati.
Aveva il pelo lurido di viscidumi neri e due lapislazzuli iniettati di sangue a mo' d'occhi. Era alto quasi quanto lei, ma il suo erigersi sulle zampe posteriori non appariva naturale, come pure il modo affettato con cui giungeva gli sgraziati arti superiori, quasi a imitare un'antica serigrafia.
Il sesso glabro e gonfio spiccava come una gomma da masticare nella neve.
Quando la fissò senza fissarla e parlò rivolgendosi a sé stesso, divenne chiaro che gli incisivi sovraesposti rappresentavano un impedimento, che quel nasino dilatato, con i suoi spasmi, reclamava la ritmica prolissità di un'esistenza più semplice.
"Sono tremendamente in ritardo. Oh, com'è tardi"
E pareva la voce di un serpente. Un serpente nascosto sotto una pelliccia morbida.
Con un balzo fu oltre la porta, scomparve alla vista.
Celia sapeva di volerlo dal momento in cui le era sfilato sul volto, non per possederlo, no. Ciò che contava era prenderlo. L'avrebbe seguito solo in funzione del fatto che credeva di raggiungerlo, prima o poi.
E poco importava se quella messinscena era stata orchestrata apposta per lei: era una bambina, non una stupida.
Gli corse dietro nell'oscurità che sapeva di stoffa. Dietro di lei si udì un tonfo.
Immobile dentro al buio, sentiva come un cigolare di ingranaggi, rischiarato di quando in quando da una nota acuta e penetrante. Pesanti chiavi di ferro venivano girate da una bimba che non era lei, o da una vecchia che credeva di poter nascondere ciò che era stata. Il pozzo scavato in quel tappeto non rifletteva il bagliore di qualche mondo sotterraneo: balenava di una luce propria, incerta ma costante. A Celia ripugnava il contrasto tra il familiare odore di moquette e quel lezzo di clorofilla, radici agre e terra umida. Il verdume luminoso bombava le spire del budello, che si contorceva come in preda a convulsioni telluriche.
Ma raccolse le gonne e abbracciò il vuoto.
Quando la sua figurina si fu persa nel riverbero, due mani dalle dita nodose si infilarono sotto la moquette e la divelsero. La arrotolarono. E la luce era sparita.
  
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