Cap.
3
Alleanze
Mi
tastai distrattamente i baffi sopra le labbra, assicurandomi in quel
gesto veloce che fossero ancora ben attaccati al loro posto. L'aria
pungente della notte m'investì il viso in una dolce carezza,
regalando un po' di sollievo al mio corpo accaldato finalmente libero
dall'atmosfera opprimente della taverna. Un sorriso trionfante mi
distese inevitabilmente le labbra mentre mi voltavo a guardare
l'ingresso di quell'infernale locanda, chiuso per sempre alle mie
spalle tanto letteralmente, quanto effettivamente nella mia vita.
Dopo cinque, lunghissimi anni ero riuscita a trovare l'occasione per
abbandonare quell'orribile posto che mi aveva schiacciata, umiliata e
sfruttata, punendomi ogni qual volta che volevo far valere i miei
ideali, la mia opinione. Mi passai istintivamente una mano dietro la
schiena, in corrispondenza delle sottili cicatrici che la
tempestavano, memorie tangibili delle percosse dell'oste eseguite a
suon di bastone e bottiglie. Quasi una volta alla settimana ero
costretta a chiudermi nella mia camera, passando ore ad estrarre le
schegge di vetro dai tagli, lasciati sulla mia pelle come castigo dei
miei continui rifiuti a prostituirmi.
Scossi appena il capo, come
a scacciare quei dolorosi ricordi: era tutto finito. Per quanto la
mia scelta mi avesse messo in una difficoltà e in un pericolo
forse anche maggiori, introducendomi in una ciurma di pirati sotto
mentite spoglie maschili, preferivo di gran lunga correre il pericolo
di un destino peggiore di quello della semplice sgualdrina,
rischiando di morire, sì, ma libera, piuttosto che marcire
lentamente, a poco a poco, costretta a schiantarmi ogni giorno
dolorosamente contro le sbarre di ferro della gabbia impostami
dall'oste.
Spesso in quegli anni mi ero chiesta cosa fare, dove
poter fuggire per trovare la libertà a cui anelava tutto il
mio corpo, stanco dei continui soprusi e di quella vita piatta e
monotona. Mi ero detta che avrei potuto seguire le orme di mio padre
e cercare di entrare nell'ambito commerciale; oppure andare lontano,
in qualche altra isola caraibica e sperare di trovarvi un trattamento
più umano rispetto alla mia città natia. Ma sapevo bene
che nulla di tutto questo mi avrebbe mai dato ciò che cercavo
davvero. Ero cresciuta guardando ogni giorno quelle maestose navi,
montate da orde di anime scavezzacollo, attraccare e ripartire dalla
baia ed ogni qual volta il mio sguardo si fermava ad accarezzare il
legno intagliato dello scafo e la stoffa ruvida delle vele, sentivo
un brivido d'emozione solleticarmi le membra, infiammandole di un
desiderio incontenibile di salire anch'io a bordo di una di quelle
signore del mare che beccheggiavano cigolanti ed invitanti ai moli
del porto. Ero stata abituata sin da piccola a fermarmi ad ascoltare
incantata le incredibili storie che le bocche salmastre dei vecchi
lupi di mare declamavano con estrema enfasi, catturando subito
l'attenzione di una giovane come me, facendomi scintillare ammaliata
gli occhi a quei racconti che narravano di pericoli, misteri, tesori
inestimabili, situazioni mozzafiato tra la vita e la morte che come
amanti esperti mi sussurravano allettanti alle mie orecchie,
seducendomi al loro irresistibile richiamo di libertà ed
avventura, portandomi a sognare ed anelare ogni giorno di più
quella vita. Non avevo dubbi che l'unica esistenza che desiderassi
davvero e che mi avrebbe potuto dare ciò che cercavo era
quella da pirata. Non ero però una sciocca: ero conscia di
tutte le difficoltà e i rischi che comportavano una scelta
simile. Sapevo del pericolo delle bonacce che potevano durare anche
settimane, lasciando morire come mosche sui ponti delle navi gli
sventurati marinai che v'incappavano; delle tempeste capaci
d'inghiottire nei cavalloni ruggenti ciurme intere; delle malattie
che circolavano come viscide serpi nel ventre dei velieri decimando
gli equipaggi; dei combattimenti che, nel migliore dei casi, finivano
con qualche morto e altrettanti feriti, inondando il ponte e la
batteria di sangue; della ciurma stessa che tra scommesse,
superstizioni e ripicche rischiava di piantarti qualche pugnale nella
schiena o buttarti a mare quando il capitano e gli ufficiali non
guardavano.
Ero ben consapevole di tutti questi rischi e ancor di
più lo ero del codice dei pirati, secondo il quale, se un
membro dell'equipaggio portava a bordo una donna travestita da uomo,
questo sarebbe stato punito con la morte... tecnicamente nessuno mi
stava portando segretamente a bordo, il che faceva di me l'unica
colpevole di tale azione, accaparrandomi così tutto il diritto
di subire io stessa la condanna in vigore. Ma non ero stata nemmeno
così stupida da non cercare di limitare almeno in parte questo
rischio: avevo avuto modo di conoscere personalmente il capitano
Sterling, chiacchierandoci di tanto in tanto quando Hector decideva
finalmente di lasciarmi in pace dopo i suoi soliti assilli; era un
uomo con un senso d'umanità abbastanza sviluppato nella media
piratesca ed ero certa che, anche se mi avesse scoperta, non sarebbe
ricorso ad un gesto così drastico per punirmi togliendomi
addirittura la vita.
Immersa così nei miei pensieri mi ero
incamminata verso il porto, gustandomi la piacevole e trionfante
sensazione di allontanarmi una volta per tutte da quell'infernale
locanda, pestando fiera e soddisfatta gli stivali nel fango molle e
umido delle strade tortuose, ancora affollate di gente nonostante
l'ora tarda. Mi feci largo tra la folla, evitando pratica ed agile
gli spari e le bottiglie che volavano nell'aria afosa, lanciate dagli
esaltati di turno e accompagnate da urla e risate. In mezzo a quel
baccano si poteva anche udire il suono strimpellante di qualche
chitarra o il miagolio di qualche violino.
Finalmente superai
quell'ammasso di persone, arrivando al porto che appariva calmo e
deserto a confronto del centro cittadino: la stragrande maggioranza
dei pirati aveva accuratamente abbandonato le rispettive navi per
gustarsi del sano divertimento dopo le settimane trascorse in mare,
lasciando così il molo popolato esclusivamente dagli uomini
addetti ai turni di guardia sui ponti dei vari legni. Solo alcuni
gruppi di uomini intenti a caricare e stivare le provviste facevano
eccezione, rompendo quel silenzio placido con il cozzare di casse ed
il rotolare dei barili.
Avanzai decisa lungo il molo, fermandomi
davanti ad un galeone sul quale svettava a caratteri serpeggianti il
nome “Nemesis”.
La conoscevo già bene quella nave: per quanto non vi fossi mai
salita a bordo, avevo avuto modo di studiarla diverse volte
dall'esterno. Non era di certo tra le più belle che avevano
sfilato in quel porto, anzi, sembrava quasi un mezzo relitto, dove i
pezzi di ricambio fissati alla meno peggio spiccavano rispetto alle
parti originali palesemente più malandate. Nonostante
quell'aspetto “rattoppato”, aveva l'aria di una nave che
sapeva il fatto suo, come un'anziana saggia, non più forte
come un tempo, forse, ma con tutta l'esperienza necessaria per tirare
ancora egregiamente avanti.
Alcuni pirati stavano già
caricando a bordo i rifornimenti: doveva mancare oramai veramente
poco al momento della partenza.
Tutta quella fretta di levare
l'ancora non voleva dire che una sola cosa: Hector doveva aver
riferito al capitano la notizia appresa dal moribondo. In un primo
momento non ero riuscita a ricordare dove avessi già sentito
due di quei nomi, ma, mentre ero intenta a lavarmi via il sangue del
morto dalle mani, mi era tornato in mente: si trattava di una
leggenda che circolava come tante altre tra i pirati.
Si narrava
che Blaze Chapman, un famoso capitano pirata assetato di sangue e
denaro, avesse assaltato per anni le ricche navi da trasporto
spagnole, prendendo sempre di mira solo quelle con il ventre rigonfio
e carico dell'oro e dell'argento proveniente dalle miniere delle
colonie americane. Aveva così nel tempo accumulato un
patrimonio quasi inestimabile. Quando poi un giorno fu ferito
mortalmente in un combattimento, si raccontava che avesse tenuto duro
alla dipartita fino al momento in cui non si fu rifugiato, insieme a
tutta la sua ciurma, nel covo dove aveva nascosto tutti i suoi lauti
bottini. Qui, prima di spirare, aveva fatto esplodere una granata
all'entrata del nascondiglio in modo da renderlo introvabile e
condannando tutto il suo equipaggio a morire rinchiuso con lui
all'interno di esso, esalando l'ultimo respiro su un tappeto d'oro
scintillante. In questa maniera Chapman si era voluto assicurare che
il segreto dell'ubicazione del tesoro morisse insieme a loro,
impedendo così che qualcuno potesse approfittarsene dopo la
sua scomparsa. La leggenda voleva però che un solo membro
dell'equipaggio fosse riuscito a sfuggire a quel tragico destino: il
suo nostromo, Dagawn Doherty. Questi sarebbe poi fuggito nei meandri
dei Caraibi, dove nessuno potesse trovarlo e sfruttarlo per
raggiungere il famoso tesoro del suo capitano. Questa era la storia
così come mi era stata raccontata e nessuno era mai riuscito a
scoprire dove si trovasse il nostromo o il bottino... fino a quel
momento. Bonaire doveva trattarsi del luogo in cui si trovava
Doherty, a giudicare dal numero di volte che il moribondo aveva
ripetuto quel nome.
Dei passi in avvicinamento mi destarono dalle
mie riflessioni, portandomi a rivolgere lo sguardo verso il gruppo di
pirati che avanzava lungo il molo. In testa alla combriccola vi era
Sterling, il volto teso e serio che mi rendeva chiaro fino a che
punto avesse preso sul serio la questione e ci tenesse ad alzare i
tacchi da lì il prima possibile. Dietro lo seguivano due
figure a me note: un giovane ragazzetto alto e biondo ed un ragazzo
basso e tarchiato, rispettivamente Ragetti e Pintel. Avevo avuto modo
di parlarci qualche volta, specialmente con il più giovane
che, data la sua età e il carattere più mite rispetto
agli altri, aveva imparato a guardarmi con occhi quasi rispettosi e
non più impertinenti, specialmente dopo le mie forti
strigliate quando aveva provato ad imitare Pintel nei suoi modi rudi
e maliziosi. Alle loro spalle scorsi anche Sam; un paio di volte
aveva tentato di sedurmi anche lui ma, a differenza del suo amico
testardo, gli erano bastati due calci ben assestati tra le gambe per
farlo desistere dai suoi intenti. Hector camminava al suo fianco,
parlottando con il compare sottovoce con aria distaccata.
- Animo
uomini!! Levate l'ancora, issate tutte le vele! Veloci! - si mise ad
urlare ordini Sterling, una volta giunto accanto alla nave, mentre la
ciurma scattava svelta ai propri posti.
Feci per voltarmi,
sbrigandomi ad avviarmi su per la passerella quando una stretta forte
si serrò sulla mia spalla, fermandomi.
- Ehi, ragazzo, dove
credi di andare? - la voce seccata e al tempo stesso incuriosita di
Sam mi fece girare verso di lui.
Stavo per rispondergli ma il
capitano mi precedette.
- Lascialo stare, Sam: è il nuovo
cuoco di bordo. - gli spiegò ridacchiando, facendogli cenno di
lasciarmi.
Il giovane osservò prima l'uomo poi me, con un
sorrisetto soddisfatto, staccando la mano dalla mia spalla.
- Oh,
ma davvero? Mi auguro che questo voglia dire pasti commestibili per
tutti, allora! - commentò con fare compiaciuto mentre sentivo
gli occhi di Hector, accanto a lui, studiarmi attentamente.
- Vi
assicuro che non rimarrete affatto delusi dalla mia cucina! -
esclamai con decisione, il tono privo di alcun dubbio, sforzandomi di
ricorrere al timbro di voce più maschile di cui ero capace.
-
Trovare un buon cuoco, di questi tempi, è come trovare un
tesoro... - commentò improvvisamente una voce ruvida e
profonda alle nostre spalle.
Ci voltammo tutti verso i nuovi
arrivati, interdetti da quell'intromissione. Due uomini sulla
trentina d'anni stavano ritti sul molo, fermi a fissarci con un
ghigno divertito sulle labbra: a giudicare dai capelli corti e
spettinati di un rosso acceso, visibili sotto gli sfarzosi cappelli,
e dalla spruzzata ben evidente di lentiggini sugli zigomi, sembrava
trattarsi di irlandesi. Avevano la corporatura massiccia e muscolosa
ed i lineamenti molto simili tra loro... a quanto pareva dovevano
essere parenti.
Notai Sterling e gli altri squadrare con fare
sospettoso e minaccioso i due nuovi arrivati, mentre Hector si era
limitato ad inarcare appena un sopracciglio a quell'apparizione
inaspettata, mantenendo per il resto la solita espressione fredda e
distaccata.
- A proposito di tesori... - fece poi l'altro uomo,
riservando un sorriso mellifluo al capitano – Ci è
giunta voce che voi ne siete alla ricerca di uno... - insinuò
mentre tutta la ciurma presente si voltava all'unisono a fissare
truce Ragetti, sospettando che fosse stato lui, data la sua ben nota
sbadataggine, a spifferare involontariamente tutto.
L'incriminato
sussultò, colpito quasi fisicamente da quegli sguardi carichi
di rimprovero, facendosi piccolo piccolo e mettendosi sulla
difensiva.
- Perché guardate me?! Io non c'entro nulla... -
piagnucolò, guaendo come un cane bastonato.
- Chi siete
voi? - domandò il capitano, ignorando la protesta di Ragetti,
squadrando storto di due nuovi arrivati così come il resto dei
suoi uomini.
- Capitan Belock e George O'Ryan per servirvi! -
rispose quello più energumeno tra i due, indicando prima sé
e poi il compare.
Il cognome in comune confermava la mia
supposizione sul loro legame di parentela e, data la grande
somiglianza, dovevano essere fratelli.
- ...Mai sentiti. -
s'intromise Hector con fare di scherno ed un ghigno sarcastico,
osservandoli distaccato, come se quella notizia non lo avesse
impressionato minimamente.
I due gli scoccarono un'occhiata di
sbieco, arricciando irritati il naso avendo colto la frecciatina.
-
Invece noi abbiamo ben sentito che voi siete alla ricerca del tesoro
di Chapman. - lo informò con un sorrisetto divertito Belock,
soddisfatto nel veder sparire l'espressione canzonatoria dal volto
del ragazzo a quelle parole.
- E che siete venuti a conoscenza di
un'informazione molto importante, nevvero? - domandò poi
retorico George, squadrando tutti i presenti con fare ironico.
Vidi
Sterling irrigidirsi a quell'uscita, lanciandosi fulmineo un'occhiata
attorno come a controllare che non ci fossero altre orecchie
indiscrete nei paraggi; ma le uniche anime presenti erano le nostre
ed il resto del molo era deserto, avvolto in un quieto silenzio rotto
solamente dal cigolio delle navi ancorate che dondolavano al ritmo
delle onde. Avanzò di un paio di passi verso i due uomini,
scrutandoli intensamente.
- Cosa volete da noi? - domandò
in un sibilo che aveva un ché di minaccioso e rassegnato al
medesimo tempo: aveva capito chiaramente a cosa miravano.
I due
inarcarono con falsa sorpresa le sopracciglia, lanciandosi
un'occhiata con fare esageratamente sorpreso, manifestando così
tutta l'ironia e lo scherno che si celavano dietro quel gesto.
-
Unirvi a voi, ovviamente! - esclamò logico Belock, allargando
appena le braccia a sottolineare l'evidenza della risposta.
- Per
una proficua ricerca che, di certo, in tre compiremo assai meglio,
non trovate? - gli fece poi osservare retorico l'altro fratello, le
labbra inarcate in un sogghigno irritante.
Avevano la classica
espressione strafottente di chi sa di avere il coltello dalla parte
del manico... e Sterling ne era ben conscio. Li fissò
intensamente, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro dei
capitani: era certo che, se anche avesse solo provato a rifiutare,
quei due gli avrebbero strappato a forza l'informazione che cercavano
a suon di minacce o peggio.
- Avanti, Capitan Sterling... Non
vorrete che la notizia giunga alle orecchie di tutta Tortuga ancor
prima che salpiate, no? - lo spronò a rispondere con fare
lezioso George, sorridendo eloquente: se gli altri pirati che
bazzicavano a Tortuga, non meno avidi di succulenti bottini, fossero
venuti a conoscenza di quel fatto, a centinaia gli avrebbero dato la
caccia fino in capo al mondo pur di ottenere la collocazione del
vecchio nostromo di Chapman.
I pirati di Sterling lanciarono
un'occhiata significativa al loro capitano: adesso avevano davvero
fretta di salpare, ed era meglio che l'uomo prendesse la giusta
decisione per evitare situazioni spiacevoli come quella appena
menzionata dall'irlandese.
Il capitano esitò un ultimo
istante sotto lo sguardo attento e freddo di Hector, poi annuì
appena, rassegnato alle minacce dei due fratelli: non aveva altra
scelta.
- E sia... seguirete la nostra nave, stando dietro la
nostra rotta. - concesse infine con lo sguardo duro e frustrato di
chi è stato appena costretto a sottomettersi – Ma il
luogo rimarrà per voi un mistero finché non vi
approderemo. - aggiunse poi fissandoli intensamente, ora a testa alta
– Prendere o lasciare.
I due fratelli si scambiarono
un'occhiata, come a consultarsi prima di annuire.
- D'accordo, vi
seguiremo fino a destinazione. - concesse Belock, allungando una mano
in direzione di Sterling.
Questo la strinse, ripetendo poi lo
stesso gesto con George, sancendo così il patto dall'alleanza
con i due irlandesi. Un ghigno discretamente soddisfatto distese le
labbra dei due fratelli una volta concluso l'affare, mentre Sterling
e i suoi li squadravano con aria palesemente risentita.
-Le
nostre navi sono la Dreadful
e la
Ramisham,
vi seguiremo non appena avrete raggiunto il largo della baia. - lo
informò poi George, dopodiché, senza nemmeno aspettare
un cenno d'assenso da parte del capitano, i due si toccarono gli ampi
cappelli in segno di saluto e si dileguarono, silenziosi così
come erano apparsi, tra la folla di navi ancorate ai moli.
Nonostante
la scomparsa dei due fratelli, l'atmosfera non aveva perso poi molta
della sua tensione che era aleggiata durante il negoziato dei tre
capitani: nessuno dei presenti era contento della piega che avevano
preso gli eventi, specialmente per il fatto che tutti, me compresa,
sapevano fin troppo bene che non ci si poteva mai fidare di
un'alleanza con i pirati.