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Autore: waferkya    31/10/2011    1 recensioni
[2014!verse, gen, angst]
Per capriccio, Lucifer decide di riportare in vita John Winchester. John si adatta facilmente all'Apocalisse, ma non ha nessuna intenzione di starsene seduto a guardare il mondo sprofondare nell'abisso.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Adam, Castiel, Dean Winchester, Jo, John Winchester, Lucifero
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione, Nel futuro
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Allora, buongiorno. Lasciatemi spendere due o tre parole d'introduzione a questa storia, perché, ugh, temo che ce ne sia bisogno. Innanzitutto, è scritta per la challenge permanente di spn_purgatory; ho preso una tabella di dieci prompt, e ciascuno di essi mi ha ispirato un pezzetto di questo racconto, che, sinceramente? Mi piaceva di più com'era nella mia testa, ma oh, questo è quanto passa il convento.
La storia è divisa in capitoli, ma io sono chiaramente una donna incapace di costanza e vi accorgerete presto che sono di lunghezza molto variabile XD Sono incapace, vi ripeto, e sono pure alla mia prima prova con una long-fic o presunta tale. Quanto al resto, come dicevo nella presentazione, il tutto è ambientato nel 'verse del 2014, quello che ci viene gentilmente illustrato nell'episodio 5.04 "The End". E, insomma. Amo molto John, capitemi. Spero di non essermi data la zappa sui piedi andando tremendamente OOC.

~ Dreams we’ll never see.
1. Prologo
I’ve been looking at the sky ’cause it’s getting me high


La luce gli investe la faccia d’improvviso, calda e insopportabilmente gialla sulle palpebre serrate. John si scuote con violenza e non è più in catene, flette le dita, si costringe a tenere gli occhi chiusi. È come se fosse sdraiato su un prato in un pomeriggio tiepido di fine estate, col sole appeso alto nel cielo, l’erba un po’ bruciata dalla siccità, croccante sotto il corpo, una brezza leggera che gli s’intreccia gentile ai capelli.

Non ha senso.

All’Inferno non c’è un sole, non c’è un cielo, non ci sono prati e non c’è il respiro del vento e non c’è niente. È un deserto, coperto dalle pareti di una voragine che pulsa di magma rosso come sangue, e le rocce vecchie di millenni sono le croste rapprese dentro il corpo del mondo, e i demoni ne infettano la carne, stillandone un’emorragia di dolore.

Non ha senso, eppure quando John apre gli occhi – piano, pianissimo, e pronto a serrarli di nuovo in un attimo, se si dovesse rivelare soltanto l’ennesimo trucco di Alastair, – il sole è lì, il cielo è lì. Ci sono le nuvole, persino, sfilacciate e basse e bianche e l’odore di terra viva, dissodata di fresco.

«Buongiorno, dormiglione.»

La voce, quella voce, John la conosce, e gli ci vuole un momento, un momento, un momento per ripercorrere all’indietro l’eternità di torture, e tutte le grida di tutte le anime che l’Inferno ha mangiato, per ritornare a quei giorni lontanissimi, fragili come un castello di sabbia, quei giorni colorati in cui era vivo, lui, era vivo, e aveva dei figli.

«Sammy?» gracchia, sollevandosi a sedere, ma magari si sta immaginando tutto. È nel bel mezzo di un campo di grano, si accorge, scrutando sospettoso le spighe dorate che si sollevano contro l’azzurro quasi abbagliante del cielo. Se è un’illusione, il figlio di puttana che dirige la scena è uno che sa il fatto suo.

Con un attimo di ritardo, John si rende conto che, tutto intorno a lui e per almeno una mezza decina di metri, qualcosa ha come ritagliato un cerchio dal campo e l’ha rivoltato, appiattendo le spighe, snudando il terriccio pallido, qualche radice d’erba, mozziconi di sigarette rimasti sepolti chissà quanto a lungo.

E poi, con la coda dell’occhio, vede un lampo di bianco. Si volta di scatto, accovacciandosi su un ginocchio, pronto ad attaccare, i sensi all’erta come se fosse di nuovo un marine, come se fosse di nuovo un cacciatore, e poi sgrana gli occhi, perché aveva ragione, il suo maledetto cervello aveva ragione, c’è Sammy.

Sammy.

«Ciao, papà,» sorride suo figlio, torreggiandogli addosso ed è quasi ridicolo come riesca ad essere minaccioso da morire, in un innocente completo bianco da gelataio. John si alza in piedi con attenzione, saggiando la resistenza delle proprie ginocchia, e gli dispiace davvero, ma non riesce a non restare guardingo, una mano un po’ sollevata in avanti, tra lui e Sammy, per tenerlo a bada. È confuso, John, e comunque qualcosa non quadra.

«Sam,» ripete, la gola secca, la voce roca. Perché sembra così compiaciuto, il suo Sammy? «Che cosa hai fatto?»

Sam dà una risata senza allegria, vuota, quasi cattiva. A John viene la pelle d’oca, e sta cominciando, pian pianino, a farsi un’idea di che cosa è successo.

«Oh, andiamo, Johnny,» sogghigna Sam, facendo un passo in avanti, cui John risponde indietreggiando. «Sei più intelligente di così.»

«Chi diavolo sei?» ringhia John, allora, cercando di suonare più minaccioso di quanto non si senta, così disarmato e stanco e fuori posto com’è. Dio, ragazzi, ve l’avevo detto di farvi marchiare contro le possessioni, pensa, esasperato. «Azazel?» tenta, ma non è possibile, Dean l’ha ucciso e, oh, Dio, Dean. «Crowley?»

Sam – il demone che sta possedendo il suo corpo, – sorride, lo guarda da sotto in su quasi con malizia.

«No, e no,» dice, e solleva tre dita, ne abbassa due mentre parla, mostrandogli il medio. «Ti rimane un solo tentativo, John. Pensaci bene.»

E John ci pensa, ci pensa bene, ma non sa neanche da dove cominciare, a meno che, – giravano voci, in mezzo alle grida, giù all’Inferno, – a meno che, – della discesa degli angeli nel mondo, nei corpi degli uomini; dell’avvento dell’Apocalisse, dell’ascesa del Diavolo, – a meno che. A meno che.

Oh.

«Lucifer,» mormora John. Sammy sorride.

«Jackpot.»

John crolla al suolo, un unico, lancinante dolore a stremarlo da capo a piedi, come se si fosse buttato davanti ad un camion. Il cielo così azzurro da sembrare dipinto è l’ultima cosa che vede, ma non è poi tanto male.

  
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