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Autore: Miriam85    03/07/2006    12 recensioni
Una fan fiction sul genio più giovane del mondo criminale, una storia che ipoteticamente si pone un paio di anni dopo la fine del terzo libro, narrando un misterioso e per certi versi abominevole caso di ingegneria genetica.
Spero di riuscire a scrivere una bella storia; gradisco certamenti commenti ma soprattutto suggerimenti per migliorarmi ogni giorno di più...
Genere: Azione, Avventura, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Uhm... sarà... un anno, che non aggiorno? Se non lo è, ci manca poco.
Chiedo perdono, ma ho sempre paura quando metto mano a questa storia. Spero che prosegua sempre secondo il vostro gusto.



CAPITOLO TERZO

Spinella Tappo. Audace, brillante, fidato capitano. Secondo l’opinione Julius Tubero.
Spinella Tappo. Folle, incontrollabile, sanguinaria elfa. Oltre che schizofrenica. Secondo l’opinione della maggioranza del Popolo.
Poliedro non faceva parte di questa maggioranza; anzi. Riteneva quella creatura dai brillanti occhi nocciola sua fidata amica, oltre che membro insostituibile della LEP. Forse il suo sentimento era una conseguenza di quel senso di vicinanza che tende a nascere tra creatura sostanzialmente atipiche, solitarie: lui, centauro dal cervello vasto come un pianeta; lei, la sola femmina nel corpo della LEP. Spinella era unica, come lui. Per questo aveva chiamato lei. Anche perché la Spinella lo avrebbe aiutato a sopportare il caro Comandante Julius Tubero.
“Eccomi” sbuffò la signorina Tappo, lasciando che le porte automatiche si richiudessero alle sue spalle. “spero per te che sia una cosa urgente, perché…” non appena levò il capo, bloccò ogni lamentela.
Tubero possedeva in tutto tre espressioni: quella usuale, un misto tra il tranquillo poliziotto ed il maniaco omicida, quella furiosa, una specie di rosso pomodoro con naso e occhi, prossimo all’esplosione, e, infine, quella nervosa, che lo faceva somigliare ad un palloncino in procinto di atterrare su un cactus.
Al momento il comandante, intento a fumare il suo solito sigaro, stava sfoggiando proprio l’ultima. La più preoccupante. Era un’espressione che prometteva guai, ma, perlomeno, non erano guai causati da lei. Forse.
“Spinella!” tuonò Tubero, in quello che sarebbe dovuto essere un gentile saluto. “Ehi, tu: aggiornala.”
Ehi tu: aggiornala. Polledro quasi s’imbizzarrì d’indignazione, al sentire un simile comando: non aveva ancora presentato una richiesta ufficiale per divenire l’obbediente barboncino di Tubero, eppure certe volte lui sembrava considerarlo tale. Anzi, forse avrebbe trattato un barboncino con maggior riguardo.
Rimandò le sentite proteste, in uno sforzo di coscienza: vi era un problema ben più grosso da affrontare.
Trottò verso la plancia del suo computer, ove fece danzare le delicate dita, in una sinfonia a lui solo conosciuta.
“Ricordi il satellite che abbiamo messo in orbita da poco?” domandò, rivolto a Spinella.
“Satellite? Quello che il consiglio ha considerato inutile, costoso e parto di una mente paranoica?” s’informò cortesemente l’elfa, attendendo che egli giungesse al nocciolo della questione.
“Quello.” confermò Poliedro, con un tono di voce talmente roco da illustrare alla perfezione cosa egli pensasse delle opinioni del consiglio, o dove, secondo lui, i membri stessi potessero ficcarsi le suddette opinioni. “Come saprai, basa la sua ricerca sull’individuazione a distanza del DNA... “
Oh, no. Adesso partiva. La Spiegazione.
Spinella cercò una poltrona ove accomodarsi, sospirando affranta.
“Codesto tipo di ricerca è assai importante, per individuare nostri membri sfuggiti al controllo, forse in difficoltà…”
Spinella sbadigliò. Tubero alzò gli occhi al cielo, o meglio al soffitto, dove trovò una piccola crepa che destò il suo interesse.
“…Il satellite riesce a smistare dodicimila individui al secondo, muovendosi alla velocità di…”
Spinella avvertì le proprie palpebre farsi terribilmente pensanti; ma che cavolo, era o non era un’agente della LEP? Aveva superato prove ben peggiori. Decise di resistere stoicamente.
Tubero, dal canto suo, cominciò ad assumere la famigliare sfumatura rossastra.
“… Ovviamente, ho due speciali centrali operative che si occupano di…”
“Polledro! Il punto! Vedi di arrivare al punto!” sbraitò finalmente il comandante, salvando la povera capitana dal letargo.
“Il punto?” cadde dalle nuvole il centauro.
“Sì, il punto! Hai presente?”
“Oh, certo. Il punto!” Polledro smise di carezzare amorevolmente i suoi cuccioletti informatici, dedicando interamente la sua attenzione al capitano. “Il punto è questo: ho individuato un'inconfondibile traccia di dna di fata in superficie.”
“Direi che è normale; in questa stagione sono tutte a danzare nude sotto il…”
“Non normale affatto.” Polledrò premette un pulsante, aprendo una schermata. Schermata raffigurante una piantina che la capitana ben conosceva. “Indovina dove questa traccia è stata individuata…?”
“Oh, no.”

“Oh! Un’amichetta!” La signora Fowl, intenta a spiare l’ingresso dalla fessura di una porta socchiusa, si trattenne a stento dal saltellare tutta eccitata.
“Dici sul serio?” Suo marito – quel marito dapprima perduto e poi ritrovato – le si fece vicino, azzardando timidi passi sulla protesi che gli sostituiva quella gamba perduta in un brutto incidente navale.
“Sì, sì! Ha portato a casa un’amichetta!”
“Ma è meraviglioso!”
Angeline uscì radiosa dalla stanza che aveva appena usato per osservare di nascosto l’enorme l’anticamera della loro villa, raggiungendo a braccia protese il figliolo appena tornato a casa. Ignorava che il piccolo Fowl avesse appena preso tre aerei, viaggiando per tre ore consecutive: non era nei programmi di Artemis far conoscere ai genitori le proprie idee criminali. Avrebbero avuto il pessimo gusto di disapprovarle, ne era certo.
“Artemis, bentornato!”
Lui le rivolse un sorriso. Un sorriso che avrebbe forse voluto essere caldo, ma che invece risultò freddo come un iceberg.
La fanciulla, dal canto suo, quella mezza fata schiava, si fece piccola dietro a Juliet, osservando con curiosa diffidenza la nuova arrivata. Arrivata che sfoggiava un alquanto preoccupante sorriso.
“Buongiorno, madre.”
Sapeva che ora lei lo avrebbe accolto in un abbraccio affettuoso, e le sue due metà ripresero a litigare. La prima, quella che la sua mente visualizzava come un bambino dall’espressione mogia, strillava di gioia all’idea di quella vicinanza; la seconda, chissà perché dall’aspetto di un sanguinario gangster, rimase impassibile. Angeline lo strinse fra le proprie, morbide braccia, e per un attimo la prima parte di lui ebbe il sopravvento; solo per un momento.
“E questa…” azzardò Angelina, staccandosi dal figlio e riservando uno sguardo gentile alla piccola fata.
La osservò. Era deliziosa, certo. Un po’ sporca, vestita di stracci; ma assolutamente deliziosa.
“Lei è…” ben sapendo che il luogo più sicuro ove nasconderla sarebbe stata Casa Fowl, Artemis aveva preparato una scusa risolutamente inespugnabile: quella fanciulla, così sporca e malconcia, l’aveva raccolta per la strada, intenerito dalle sue condizioni.
“Oh, anche se è povera, l’accoglieremo ugualmente con gioia!” cinguettò la madre. “Ciò che importa è l’amore!” Per la prima volta nel giro di un anno, il fanciullo rimase decisamente interdetto. Nonché senza parole. Suo padre decise che quello era il momento buono per sbucare e salutare tutti, saltellando non certo come un morto tornato in vita.
“Piacere di conoscerla…” canticchiò, esibendosi in un inchino tanto profondo, da mettergli in predicato la protesi. "Con chi ho l'onore di...?"
“Ma no padre, lei è…” Ad Artemis parve chiaramente di sentire Juliet sghignazzare alle proprie spalle.

  
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