Duelling Club
Il primo lampo rosso distrusse quasi completamente il bidone dietro cui si
era rifugiato, costringendolo a saltare via come un gatto, rotolando sulla
schiena e sparando a caso uno, due, tre Schiantesimi non verbali di fila, senza
nemmeno prendere la mira, sperando solo di colpire per caso qualcuno nel mucchio
di quelli che lo inseguivano.
Qualcuno imprecò, il che probabilmente significava che almeno uno degli
incantesimi era andato a segno. Cercò di riprendere fiato prima dello scatto
successivo, ma un secondo incantesimo lo mancò di pochissimo e dovette alzarsi,
schivare un terzo raggio di luce e riprendere a correre. Tutto quasi in un solo
movimento.
Il quarto lampo lo vide schiantarsi poco davanti a lui. Era verde; Sirius
ghignò, sentendo l’eccitazione della battaglia e della fuga che gli scaldava il
sangue. L’odore del pericolo era più forte di quello di marcio e urina quando
svoltò nel vicolo poco illuminato: inebriava Sirius quanto le tracce degli
animali nella Foresta avevano sempre attratto inesorabilmente Padfoot. Non ne
aveva mai abbastanza.
Svoltando aveva distanziato i suoi inseguitori abbastanza da guadagnarsi qualche
secondo lontano dal raggio di azione delle loro bacchette, ma non si concesse il
lusso di rallentare: aveva fatto saltare qualche cappuccio, pochi momenti prima,
e intravisto Rabastan e Rodolphus tra i suoi inseguitori; con loro alle spalle
Bellatrix non poteva essere lontana. Sirius aveva imparato tempo prima quanto la
cugina corresse veloce e quanto buona fosse la sua mira. Ma sapeva anche di
essere una preda piuttosto ostica e il fatto che quella situazione lo esaltasse
tanto gli dava un netto vantaggio: non lo guidavano né la rabbia dei Mangiamorte
alle sue spalle, né la disperazione di chi li trovava sulla propria strada.
L’adrenalina lo rendeva lucido e concentrato, come quando giocava a Quidditch.
L’istinto prendeva il sopravvento e ogni istante sembrava lunghissimo, come se
avesse tutto il tempo del mondo per scegliere cosa fare, e farlo con precisione.
Eppure la sua corsa sembrava un volo folle, impossibile da interrompere.
Sirius amava combattere, anche cinque - forse quattro, se lo Schiantesimo era
andato a segno - contro uno. Anche quando si trattava di fuggire in un vicolo
sudicio nel centro di Londra, rischiando la pelle per tenere i Mangiamorte
lontani dalla ritirata degli altri ancora un po’, qualche secondo ancora…
Una mano spuntò fuori dall’oscurità, afferrandogli il polso.
Il tempo, che sembrava fino ad un attimo prima sorridere a Sirius, permettergli
di agire più veloce di chiunque altro, tornò bruscamente ad accelerare, nel suo
normale corso. L’aggressore lo strattonò, facendogli perdere l’equilibrio; un
secondo braccio gli strinse il collo e la mano che lo aveva afferrato gli lasciò
il polso, posandosi sul suo viso e tappandogli la bocca prima che potesse
emettere qualsiasi suono.
I passi dei Mangiamorte in arrivo rallentarono: stavano svoltando nel vicolo, e
Sirius era bloccato, prigioniero e perduto. Qualche istante e l’avrebbero visto,
sempre che il suo assalitore non decidesse di annunciare prima la sua cattura.
Sirius fece appena a tempo a sentirsi un’idiota per essere caduto in una
trappola così banale, prima che la stretta attorno alla sua gola aumentasse,
quasi soffocandolo e trattenendolo contro qualcosa - qualcuno - che aveva un
odore familiare…
«Materializzazione congiunta, ora!» ordinò la voce dell’uomo che l’aveva
catturato, la voce di…
Il mondo girò su se stesso, vorticosamente. Per un istante gli parve di sentire
l’imprecazione di Rodolphus e vide chiaramente avvicinarsi a loro il raggio
verde di una Maledizione che non li avrebbe colpiti, perché un istante dopo
semplicemente non erano più lì.
Sirius perse l’equilibrio quando si Materializzarono nel bel mezzo del
salotto; il braccio che l’aveva sostenuto lo lasciò non appena i loro piedi
ebbero toccato terra; anzi, gli diede anche una spinta per buona misura e Sirius
cadde a terra, battendo il sedere sul pavimento come un idiota.
«Ahi!» protestò. «Che ti prende?»
«Moody ha chiamato la ritirata dieci minuti fa» ringhiò Remus, da qualche parte
dietro di lui.
Sirius si girò senza alzarsi da terra, e lo vide armeggiare con il barattolo di
Polvere Volante sul camino del loro appartamento.
«E allora?» chiese, stizzito. Remus si voltò appena per fargli cenno di fare
silenzio, un attimo prima che la testa di James Potter comparisse nel loro
camino.
«L’ho trovato, sta bene» disse subito Remus, rivolto a James.
«Perfetto,» rispose lui, «adesso spostati, Moony, vengo lì e lo uccido con le
mie mani».
Remus ridacchiò. «Ci penso io, Prongs» rispose. «Tu avvisa Peter, per favore».
La conversazione surreale si interruppe per un attimo, mentre James e Remus si
scambiavano un’intensa occhiata il cui significato era del tutto incomprensibile
per Sirius.
«State bene davvero?» chiese alla fine James. Remus annuì. «Salutami Lily»
disse, e Prongs annuì prima di scomparire senza nemmeno aver rivolto un cenno di
saluto al suo migliore amico. Remus si alzò da terra, spolverandosi i pantaloni;
poi si girò verso Sirius, passandosi una mano tra i capelli sudati e guardandolo
con un'aria di preoccupata commiserazione che aveva il potere di fargli perdere
le staffe ogni volta, immancabilmente.
«E allora?» chiese di nuovo, in tono arrogante, come se la comparsa di James nel
camino non avesse interrotto la loro conversazione.
Remus strinse i denti così forte che Sirius li sentì stridere.
«E allora, pezzo di cretino,» disse, fulminandolo con un’occhiataccia, «immagina
come ci siamo sentiti io, James e Peter quando ci siamo Materializzati al
Quartier Generale per scoprire che tu eri tra quelli che non erano rientrati».
«Che cosa vuol dire fra quelli...» cominciò Sirius, ma Remus lo interruppe con
un gesto stizzito della mano.
«Ho pensato per cinque interi minuti che tu fossi morto» continuò Remus,
guardandolo come se fosse una specie di Vermicolo molesto. «Ogni secondo che
passava speravo di sentire il rumore della tua Materializzazione, ma qualcosa
continuava a ripetermi che non l’avrei sentita, perché tu ti eri fatto
ammazzare».
«Ma non sono morto» provò ad obbiettare Sirius, anche se lo sguardo di Remus e
le sue parole lo stavano facendo sentire sgradevolmente in colpa.
«Ma non ti sei nemmeno Materializzato al punto di ritrovo, come avresti dovuto»
gli ritorse contro Remus. «Sono stati cinque minuti infiniti. Riesci ad
immaginare che cosa ho pensato, immaginando di tornare sul luogo della
battaglia, domani, per recuperare il tuo cadavere?»
Suo malgrado, Sirius ci riusciva. L’idea di attendere per ore il ritorno di
Remus per poi scoprire che non sarebbe tornato mai più era uno dei suoi incubi
ricorrenti, ogni volta che restava a casa mentre lui era in missione. Tuttavia
non l’avrebbe ammesso in quel momento, non con Remus pronto a sbranarlo vivo.
«Non sarebbero mai riusciti a farmi fuori» disse, ostentando un ghigno
arrogante, sperando che Moony ridesse e lo rimproverasse ironicamente per essere
un pallone gonfiato, come faceva di solito quando Sirius se ne usciva con cose
del genere.
Ma Remus fece una smorfia.
«I Prewett sono morti» disse, senza preamboli.
Sirius sentì il pavimento che gli mancava sotto i piedi, e fu felice di essere
ancora seduto a terra.
«Gideon e Fabian?» domandò, incredulo. Remus annuì, ma non era possibile… i
fratelli Prewett erano tra i membri più forti dell’Ordine, quelli che nessuno
poteva abbattere, quelli che riuscivano a ridere e a combattere come se fosse la
cosa più naturale del mondo, scherzando anche davanti ad una fila di
Mangiamorte, prima di Schiantarli uno per uno. «Non è possibile».
«Malocchio era lì, li ha visti» rispose Remus. «Li hanno circondati in cinque e
nessuno è riuscito ad intervenire in tempo. Gideon è caduto per primo; crediamo
che sia stato Dolohov. Fabian si è distratto quell’istante che è bastato ad un
altro dei loro per ucciderlo».
Sirius scosse la testa. Era un colpo terribile per l’Ordine; le ripercussioni di
una cosa del genere sarebbero state enormi e Sirius si rese conto che, malgrado
tutti i loro sforzi, i Mangiamorte potevano segnare quella battaglia come una
vittoria.
«Nessuno sapeva dov’eri» continuò Remus, riportando l’attenzione di Sirius sulla
sua ramanzina. «Nessuno ti aveva visto cadere, ma neanche uscirne vivo».
Sirius scosse di nuovo la testa. «Ma tu mi sei venuto a cercare».
«Non credere che non ti avessi dato per morto» rispose Remus, freddamente. «Ma
poi ho incrociato Aberforth, che ha detto di averti visto scappare verso sud,
inseguito da un gruppetto di Mangiamorte. Pensava che ti fossi già
Smaterializzato da un pezzo, ma mi ha dato da pensare, e sono venuto a
controllare».
«E mi hai trovato» rispose Sirius, scrollando le spalle. «Stavo cercando di
creare un diversivo».
«Un diversivo un corno» lo interruppe Remus. «Ne avevi quattro alle calcagna;
non riuscivo a capire perché non ti trasformassi in Padfoot per seminarli».
Sirius sollevò gli occhi al cielo: a volte Remus era completamente incapace di
comprendere la logica della guerra. «Se li avessi seminati sarebbero tornati
indietro» spiegò.
Remus chiuse gli occhi e si strinse la radice del naso tra il pollice e
l’indice, come se volesse trattenere il mal di testa. Con aria stanca si lasciò
cadere su una poltrona del salotto, appoggiando la testa su una mano e guardando
Sirius, che era ancora sul pavimento.
«Avevamo già evacuato la zona, Sirius. Non c’era più nessuno da salvare facendo
l’eroe come uno stupido, sai?»
«Io non lo sapevo!» protestò Sirius.
«Moody aveva dato l’ordine di ritirarsi. Tutti hanno obbedito, tranne te».
Sirius aveva esaurito le scuse. Abbassò la testa, lasciando che i capelli gli
coprissero il viso; in genere, se si mostrava dispiaciuto all’apparenza, Remus
la piantava di rimproverarlo, credendolo pentito. Ma quella sera, evidentemente,
nemmeno quella solita scena bastava.
«Io non posso crederci» continuò Remus, imperterrito. «Gideon e Fabian sono
morti, James e Lily si sono trovati faccia a faccia con Voldemort, e tu sparisci
chissà dove a giocare al duellante con quattro Mangiamorte».
«Cinque» lo corresse Sirius, prima di poterselo impedire, per rimarcare che
almeno uno l’aveva messo fuori combattimento. Poi le parole di Remus acquisirono
significato. «Lily e James hanno incontrato Voldemort?» chiese. Per sua sfortuna
non era mai stato bravo a fingere, e Remus sentì chiaramente l’ammirazione e
l’invidia nella sua voce. L’espressione da ramanzina rassegnata sparì dal suo
viso, sostituita di nuovo dalla rabbia.
«Per te è tutto un gioco, Sirius?» chiese, fissandolo.
Sirius arrossì. Non era un gioco, ma ci andava maledettamente vicino; Sirius non
era un idiota ed era conscio del pericolo. Non pensava nemmeno di essere
immortale. Ma stare ad un passo dalla morte lo faceva sentire incredibilmente
vivo e felice. Era nato per stare in mezzo al rischio, evidentemente, per
spendere nell’emozione del duello tutte le sue energie, fino a non averne più
nemmeno per alzarsi dal pavimento di casa sua e affrontare la rabbia del suo
ragazzo in piedi, come un uomo.
Ma la domanda di Remus non era retorica; Sirius alzò gli occhi su di lui e lo
vide fissarlo, intensamente, come se sperasse di risolvere quella questione in
quel momento, e insieme di capire, finalmente, cosa si agitava nella mente di
Sirius quando faceva sciocchezze di quel genere.
«No» rispose alla fine. «È solo che… non è più come quando eravamo a scuola,
Remus. Ti ricordi che quando uscivamo di notte nei corridoi non volevo mai usare
il Mantello di James? È il rischio che mi manca di quei tempi. La sensazione di
poter essere beccati da Gazza in qualsiasi momento, l’emozione quando correvamo
a nasconderci… ti ricordi?»
Remus scosse la testa. «Ma questa è una cosa maledettamente seria, Sirius»
rispose Remus. «I Prewett sono morti, non sono finiti in punizione con la
McGranitt. Tu non vedi la differenza, e questo mi spaventa».
Sirius avrebbe voluto spiegare che capiva la differenza, ma che non aveva molta
scelta, se sentiva il bisogno di emozioni per sentirsi vivo. Ma sapeva che Remus
l’avrebbe interpretata come una critica, come se lui non amasse la loro vita
insieme, senza capire che erano due cose differenti, nella mente di Sirius. Così
reagì come meglio sapeva: facendo dello spirito.
«E non è questo, il mio fascino?» chiese, tentando uno dei suoi ghigni
seducenti.
Remus non si lasciò incantare. Non lo faceva quasi mai. «No, è quello che ti
farà ammazzare» rispose.
Poi, come se la conversazione fosse finita, si alzò e si andò a chiudere in
camera.
Sirius pensò di seguirlo. Ma l’adrenalina della fuga di prima gli faceva ancora
tremare le gambe e litigare con Remus non l’aveva certo aiutato a calmarsi.
Decise di concedersi una tazza di tè al miele prima di raggiungere Moony in
camera per fare la pace. La bevanda calda lo aiutò a calmarsi e a schiarirsi la
mente; o forse fu il dito di scotch che vi versò dentro ad aiutarlo, ma Sirius
non era pratico di bevande babbane abbastanza da saperlo.
Quando alla fine entrò in camera da letto, Remus dormiva già, avvolto nelle
coperte e occupando rigorosamente la sua metà del letto. Sirius valutò di
svegliarlo per continuare la conversazione, o per fare pace, o per fare l’amore.
Ma la serata era stata lunga ed intensa; gli occhi gli bruciavano e l’azione
combinata di alcol e tè caldo gli dava una piacevole sonnolenza. Fece appena in
tempo a mettersi il pigiama prima di crollare di fianco a Remus ed addormentarsi
di botto.
Sirius aveva tanti difetti.
La mattina appena sveglio, con gli occhi ancora quasi chiusi, allungava la mano
verso il barattolo degli spazzolini da denti e, se il primo che incontrava era
quello di Remus, si lavava i denti con quello. Quando usciva di casa dimenticava
sempre le chiavi, rifiutava di mettersi il casco per andare in moto e aveva il
vizio di tappezzare di poster le pareti di qualsiasi stanza abitasse, senza
alcun rispetto per i gusti di chi doveva conviverci.
Però, a differenza di quanto tentava spesso di far credere agli altri, non era
un idiota ed era capace di ascoltare la voce della ragione, o almeno quella di
Remus.
La conversazione della notte della battaglia continuò per un pezzo a rigirargli
nella mente.
Ci pensò ai funerali di Fabian e Gideon; lo turbò vedere Molly, la loro temibile
sorella maggiore, stringersi in lacrime al marito e baciare il legno scuro delle
bare, dove si trovavano le fronti dei suoi fratelli. Immaginò Remus nella stessa
situazione, e l’immagine non gli piacque. Il pensiero contrario, di essere lui a
doversi disperare al funerale di Remus, gli provocava talmente tanta angoscia
che non ci si soffermò: non sarebbe successo.
Ripensò alle parole di Remus anche quando, due giorni dopo, durante una delle
cene settimanali a casa dei Potter, Lily annunciò loro di essere incinta. L’idea
di una nuova vita, così piccola e fragile che un minuscolo errore poteva
distruggerla prima ancora che iniziasse, gli fece riconsiderare diverse cose che
aveva dato per scontate.
Gli era sempre piaciuto fare il bastian contrario. Imporgli un limite, in
genere, era utile solo a spingerlo a superarlo. Ma forse un pochino stava
crescendo, perché della ramanzina di Remus gli rimasero impresse diverse cose,
non tutte piacevoli; cominciò a rendersi conto che se fosse morto da eroe, o da
cretino, Remus avrebbe sofferto. Si sforzò, quando usciva a combattere o si
lanciava in qualche rischiosa missione, di considerare la sua priorità non più
rimandare a Voldemort quanti più Mangiamorte possibile in posizione orizzontale,
ma farlo e poi tornare a casa da Remus.
Si sforzò per un mese intero e gli sembrò che lo sforzo fosse evidente.
Ma non poteva dire che il brivido non gli mancasse: si sentiva quasi soffocare e
tutta quella prudenza gli dava sui nervi.
Sirius entrò in casa sbattendo la porta. Lanciò il giubbotto sul divano e
calciò via in malo modo i suoi fedeli anfibi sfatti; una delle sue scarpe
atterrò in malo modo sulla scrivania che Remus usava per lavorare, sparpagliando
pergamene ovunque e rovesciando la boccetta dell’inchiostro, che solo per
fortuna in quel momento era chiusa. Sirius non ci fece nemmeno caso; scalzo,
attraversò il soggiorno per sparire in camera, con tutta l’intenzione di
sbollire la rabbia e la frustrazione con un sonnellino.
«Come è andata?» chiese Remus, affacciandosi alla porta della cucina con
un’espressione cauta sul viso e un panino in mano.
«Uno schifo» sbottò Sirius. «Ciao, comunque».
«Ciao» rispose distrattamente Remus. «È successo qualcosa di grave?»
«Tutti vivi» rispose Sirius, laconico. Non era dell’umore per il secondo
rapporto della serata, dopo quello che aveva appena fatto a Moody, ma si sforzò
di non rifarsi su Remus. «Ma non ne abbiamo preso nemmeno uno».
«Neanche una cattura?» chiese Remus, stupito. Era il lavoro che Sirius faceva
meglio, per l’Ordine. Si era sempre sentito molto fiero che ben pochi
riuscissero a mettere all’angolo un Mangiamorte, ad impacchettarlo per gli Auror
e a consegnarlo velocemente come lui. Eppure negli ultimi tempi stava diventando
frustrante; quella sera ancor di più, perché tra quelli che gli erano sfuggiti
c’era Greyback, e sarebbe bastato inseguirlo quando era scappato… ma poteva
essere una trappola, e Sirius aveva esitato un momento di troppo, senza finire
il lavoro.
Remus diede un morso al suo enorme panino, masticando pensieroso e guardando
Sirius, in attesa.
«Mi è sfuggito» ammise lui alla fine, passandosi una mano sugli occhi per
cercare di cacciar via la frustrazione.
«Greyback era là?» chiese Remus. Un secondo morso di panino seguì quella domanda
apparentemente casuale; eppure Sirius sapeva che la questione era personale ed
importante.
«Mi è sfuggito per un soffio» ripeté Sirius, scuotendo la testa. «Almeno adesso
sappiamo che chiunque sia il poveretto che tiene d’occhio i licantropi per
Dumbledore sta facendo un buon lavoro».
«Davvero» commentò casualmente Remus. Sirius apprezzò che non gli facesse pesare
la sconfitta, ma quella tranquillità non bastava a rendergli il buon umore.
«La prossima volta che lo incontro, Moony, ti giuro che…» cominciò, ma Remus lo
interruppe.
«La prossima volta vorrei esserci anch’io» disse, facendo una smorfia. «Se fossi
venuto, stasera…»
Sirius scosse la testa. «Il giorno dopo la luna piena? Ti saresti fatto
ammazzare».
Remus lo guardò con curiosità, inclinando il capo di lato. Il suo sorrisetto era
vagamente divertito.
«Stai parlando a me di prudenza, Padfoot?» chiese. Sirius ridacchiò. «Greyback è
un problema mio» aggiunse Remus, più seriamente.
«Quello che è tuo è mio» rispose Sirius. Sapeva che Remus considerava la
licantropia un suo problema che non doveva essere scaricato sugli altri, ma le
cose stavano diversamente, per lui.
«Stronzate» disse Remus, serio. Sirius, nonostante il cattivo umore, decise che
non aveva la minima voglia di litigare con Moony, cosa che succedeva fin troppo
spesso negli ultimi tempi. Era il momento di sdrammatizzare à la Sirius Black.
«Quello che è tuo è mio» disse di nuovo, solennemente. «Ad esempio quel panino.
Me ne dai un morso?» scherzò.
Remus rise. «Mai, Padfoot» rispose. L’atmosfera si alleggerì di colpo, e una
briciola del malumore di Sirius sembrò sciogliersi nel sorriso di Remus, quando
lo vide aprirsi. «Ma se ci tieni tanto, ce n’è un altro uguale in cucina, pronto
per te».
«Fantastico,» rise Sirius, «mi piace quando passi il tuo giorno libero a cercare
modi per viziarmi!»
Remus gli passò un braccio attorno alle spalle, spingendolo piano verso la
cucina. Sirius si premurò di fare una gran scena davanti alla magnificenza del
panino che gli aveva preparato, per farlo ridere di nuovo, e sperò che
l’atmosfera allegra di una cena con Remus riuscisse davvero a coprire il
nervosismo che in quel periodo sembrava non volerlo proprio lasciare in pace.
«È laggiù!» gridò Sirius, cercando di sovrastare il caos della battaglia
scatenata. Qualcuno si voltò a guardarlo, e Sirius indicò freneticamente un
edificio rosso poco lontano e la figura che correva verso la sicurezza della sua
porta aperta. «Prendetelo! Possiamo farcela!» gridò, con quanto fiato aveva in
corpo.
Era di fondamentale importanza che lo ascoltassero, che capissero: non stavano
dando la caccia ad una preda qualunque. Era Voldemort quello che stava scappando
dalla battaglia più sanguinosa che avessero mai visto. E James aveva spezzato la
sua bacchetta, Sirius l’aveva visto: non avevano mai avuto un’occasione del
genere.
Qualcosa saltò in aria silenziosamente alla sua destra. Moody volò via, come un
fuoco d’artificio, e pezzi sanguinolenti della sua gamba piovvero su tutti loro,
insozzando la strada di sangue; era talmente tanto che formava piccole onde
rosso scuro, come sulla riva del lago, ad Hogwarts.
«Prendetelo!» gridò di nuovo Sirius, disperatamente. Frank e Lily seguirono con
lo sguardo il suo braccio e videro Voldemort che cercava di mettersi in salvo;
ma entrambi guardarono Sirius, scuotendo la testa, e tornarono a combattere.
Voldemort fuggiva e nessuno faceva nulla. Sirius voleva inseguirlo, ma aveva
promesso a Remus…
Una Maledizione passò vicinissima alla sua testa, e Sirius si voltò a schiantare
il Mangiamorte che l’aveva colpito. Era Regulus, senza maschera, che rideva
mentre schivava il suo Schiantesimo; poi Sirius vide suo fratello voltarsi,
dargli le spalle nel bel mezzo della battaglia.
«Non riusciresti mai ad uccidermi» lo sentì dire, prima di osservarlo impotente
mentre alzava la bacchetta e colpiva James alla schiena con un incantesimo verde
come una Maledizione. James cadde a terra faccia avanti, immerso nel sangue,
senza un suono. Poi Regulus rise e prese a correre, veloce e leggero come se
volasse, nella stessa direzione in cui stava fuggendo il suo Signore.
Sirius non poteva lasciarli andare. Semplicemente doveva rischiare la vita: ne
valeva la pena per Voldemort e per Regulus che aveva appena ucciso James. Ma il
sangue di Moody che si raccoglieva attorno alle sue caviglie gli impediva di
correre. Sollevò la bacchetta verso la schiena di Voldemort, mirando.
Una mano spuntò fuori dall’oscurità, afferrandogli il polso.
«Non puoi» disse Remus, contro il suo orecchio. «James ti ucciderà se ti metti
nei guai, e anch’io».
Sirius cercò di divincolarsi. «È Voldemort!» gridò. «E Regulus ha appena ucciso
James!»
«Gideon» lo corresse Remus. «Quello che non sappiamo è chi abbia ucciso Gideon,
non James».
Sirius guardò il cadavere riverso nel mare del sangue di Moody, poco lontano, e
riconobbe i capelli rossi: era Gideon, non James. Odiò l’idea di sentirsi
sollevato. Ma Voldemort continuava a scappare.
«Moony dobbiamo… Voldemort è disarmato, sta scappando!»
Remus scosse la testa. «Tu non puoi, Sirius» rispose. «È troppo pericoloso fare
l’eroe. Riesci ad immaginare come mi sentirei a dover baciare la tua bara?»
Sirius cercò di liberarsi, ma qualcosa lo bloccava; non poteva muoversi: l’aria
era vischiosa e la voce di Remus lo intrappolava. «Remus, ti prego… Remus!»
«Remus!» gridò, scattando a sedere e cercando a tentoni la bacchetta, nel
buio.
Al suo fianco, Remus si mosse velocemente.
«Che succede?» bisbigliò, teso. «Lumos!»
La luce della bacchetta di Remus rischiarò immediatamente la loro camera da
letto. Non era abbastanza potente da illuminarla a giorno, ma era più che
sufficiente per vedere chiaramente che non c’era nessuna minaccia in agguato,
solo il loro normale caos. Sirius chiuse gli occhi, respirando pesantemente.
Era stato solo un sogno. Vivido, reale, ma nulla di più che uno dei suoi soliti
incubi. Ne aveva spesso, di recente, anche se molti non erano così intensi.
Remus capì velocemente che il pericolo che l’aveva svegliato esisteva solo nella
mente di Sirius.
«Era solo un incubo» gli disse, per tranquillizzarlo. Sirius, ancora madido di
sudore e ansante per lo sforzo nel sogno, annuì, chiudendo gli occhi. Vedeva
ancora il lago di sangue nel rosso dietro le sue palpebre, e li riaprì subito,
guardando invece Remus che gli sorrideva.
«Vuoi dirmi cosa hai sognato?» gli chiese, prendendogli una mano.
Sirius avrebbe voluto, ma i contorni del sogno stavano sfumando, diventando
incerti. Stava cercando di inseguire qualcosa, ma cosa?
«Regulus ha ucciso Gideon» disse, alla fine. Era l’unico particolare che
ricordava. Gideon, non James, era quello che Sirius non aveva avuto il coraggio
di salvare. «E io non potevo muovermi».
Remus gli strinse la mano. «Era solo un brutto sogno» disse di nuovo. Sembrava
vagamente preoccupato. «Sei sicuro di star bene?» gli chiese. «Da qualche tempo
hai molti incubi, e sei sempre nervoso».
Sirius scosse la testa. «Credo che sia questa maledetta guerra. Moony, mi sento
così… impotente!»
Si accorse del doppio senso di quello che aveva detto non appena vide
l’espressione di Remus cambiare di colpo, trasformandosi in quella ironica che
riservava ai lapsus più eclatanti.
«Posso fare qualcosa per dimostrarti che non lo sei?» chiese Remus, ridacchiando
e lasciando la mano di Sirius per potergli accarezzare una gamba. Il suo sorriso
era scherzoso, ma solo in parte: il sesso era un ottimo modo per dimenticare gli
incubi, almeno per Sirius.
«Sarebbe molto carino da parte tua» rispose con un piccolo ghigno, ancora
leggermente tirato per via dei residui di angoscia del sogno. «Posso avanzare
una richiesta?»
Remus rise. «Vediamo se ti conosco bene. Tu stenditi e lascia fare a me»
concluse, prima di chiudere la bocca a Sirius con un bacio e di trascinarlo
molto lontano dal ricordo del suo incubo.
«… Sarebbe molto meglio, secondo me, che Dumbledore la piantasse con tutti
questi misteri e ci dicesse che cavolo fanno i nostri alleati quando spariscono
per giorni e giorni. Insomma, tutta questa segretezza non fa altro che renderci
sospettosi, costringendoci a guardarci alle spalle… Sirius, ma mi stai
ascoltando?» chiese James.
Gli occhi di tutta la tavolata si spostarono su di lui, e Sirius scrollò le
spalle.
Non stava ascoltando James. Non ne poteva più di sentir parlare di Ordine,
Ordine, Ordine. Persino una serata al pub doveva diventare una stramaledetta
riunione informale della resistenza a Voldemort? Era diventato l’unico argomento
di conversazione, per tutti loro, e Sirius cominciava decisamente ad averne le
tasche piene di quei discorsi, per quanto James, Lily e Remus si ostinassero a
ripeterli e Peter continuasse ad annuire come se ciascuna delle loro parole
fosse una perla di saggezza. Lavorare per l’Ordine negli ultimi tempi era
diventato particolarmente frustrante: una serie infinita di appostamenti e turni
di sorveglianza noiosi ed inutili, e persino le occasionali battaglie lasciavano
Sirius con l’amaro in bocca. Non concludeva nulla, non aveva più catturato un
Mangiamorte da mesi e non sapeva mai dietro quale cappuccio si nascondesse suo
fratello. Non c’era più emozione, né brivido; e neppure, se Sirius era onesto
con se stesso, una reale convinzione da parte sua che quello che tentavano di
fare servisse a qualcosa.
«Merlino, Padfoot, sei veramente intrattabile, ultimamente!» sbottò James. «Che
cavolo ti prende?»
Peter sussultò: Sirius sapeva bene quanto lo preoccupasse qualsiasi ipotesi di
battibecco tra lui e Prongs, ma non poteva farci nulla se negli ultimi tempi
l’unico che sembrava sopportarlo era Remus, che comunque per lo più taceva e si
limitava a guardarlo.
«Sono di cattivo umore» rispose, contemplando la sua birra e sperando che la
piantassero tutti di richiedere la sua collaborazione nella discussione.
«E gli ippogrifi volano» rispose James, alzando gli occhi al cielo. Lily gli
posò una mano sul braccio, come per dirgli di piantarla, ma Prongs per certe
cose proprio non ci arrivava. «Sei insopportabile. Sei spento, non ti si può
parlare di niente senza che ti prendano i cinque minuti, quando ti degni di
ascoltare… ti annoiamo così tanto?»
Se Prongs gli avesse fatto la stessa domanda senza ironia, in un altro momento,
Sirius avrebbe risposto che no, era impossibile annoiarsi, essendo Malandrini.
Ma in quel momento sì, si annoiava. Non gli sembrava di essere più capace di
divertirsi con nulla.
«Parecchio, Prongs» rispose, ed ebbe il piacere di ammutolire la compagnia come
se si fosse messo a ballare nudo in mezzo al locale. Lanciò sul tavolo una
manciata di Galeoni, alzandosi. «Offro io» disse. «Fatevi un giro alla mia
salute».
Poi, senza salutare nessuno, se ne andò. Fino alla porta si sentì bruciare la
schiena per gli sguardi sconvolti degli amici che sicuramente non si aspettavano
quella sua uscita; ma appena fuori, l’aria fredda gli schiarì almeno un poco la
mente.
Si accese una sigaretta subito fuori dalla porta, e si fermò, appoggiandosi al
muro per calmarsi.
Che accidenti gli era preso? Non lo capiva lui per primo. Sapeva solo che c’era
qualcosa, come un piccolo tarlo sempre presente nella sua mente, che lo
tormentava. Se avesse saputo dargli un nome…
«Bella scenata, complimenti» disse Remus, appoggiandosi di fianco a lui contro
il muro, alzando lo sguardo verso il cielo coperto sopra di loro. Sirius era
così concentrato su se stesso che non si era accorto di essere stato seguito.
«Grazie» rispose, arrogante. Remus abbassò il viso per guardarlo, intensamente
ma con un’espressione del tutto neutra, impossibile da decifrare.
Sirius distolse lo sguardo per primo. «Non so cosa mi sia preso» ammise, dopo
qualche momento di silenzio. «Non so cosa mi prenda. Sono sempre nervoso, e mi
sembra di non aver più voglia di fare niente». Improvvisamente c’era qualcosa di
molto interessante nei suoi anfibi distrutti, ma Sirius non avrebbe saputo dire
cosa; ad ogni modo, non aveva più nessuna voglia di alzare lo sguardo su Remus.
Prese il pacchetto di sigarette babbane dalla tasca della giacca di pelle e se
ne accese un’altra prima di offrirlo a Remus. Fumarono in silenzio per qualche
minuto; solo quando già sentiva il calore della brace avvicinarsi alle dita,
Sirius trovò il coraggio di parlare.
«Io non so che cosa mi succeda, ultimamente» disse.
Remus scosse le spalle. «Penso di saperlo io» rispose, e Sirius, stupito,
sollevò lo sguardo su di lui. Sorrideva, solo un po’, quel tanto che bastava per
fargli capire che non era arrabbiato; quell’espressione era rassicurante e
familiare; almeno ridimensionava l’uscita infelice ad una delle sue normali
cazzate.
«Non sono mai stato così» disse Sirius.
«Non è vero» gli rispose Remus, a sorpresa. «Ti comportavi esattamente così dopo
che sei scappato di casa, ma sei stato meglio, poi».
Sirius non se n’era reso conto, all’epoca. Del periodo successivo alla sua fuga
da Grimmauld Place ricordava solo una grandissima frustrazione e lo sforzo
incessante di dover fingere di essere totalmente contento, senza dubbi o
ripensamenti. Aveva cominciato a passargli più o meno quando lui e Remus avevano
preso a nascondersi negli sgabuzzini, nelle nicchie, dietro le armature e
persino nelle aule vuote per parlare di sciocchezze, prima, e poi, col passare
dei giorni, per baciarsi e toccarsi in un modo nuovo.
«Grazie a te» disse, onestamente.
«Se ho capito da dove deriva tutto questo malumore, posso fare un tentativo di
tirarti su anche questa volta» disse Remus, ridacchiando.
Sirius ghignò. «Stiamo parlando di quello che penso?» chiese, ammiccando
esageratamente.
«Assolutamente no» rispose però Remus, sorprendendolo. «Lo scoprirai presto.
Prima però vai a scusarti con Prongs».
«Remus?» chiamò Sirius, entrando in casa.
Era insolito per lui rientrare prima di mezzogiorno, ma lo era altrettanto che
Moony gli mandasse un gufo mentre era al lavoro per chiedergli di prendersi
mezza giornata libera e raggiungerlo a casa.
«Remus, sei in casa?» chiese di nuovo Sirius.
Nessuno gli rispose. Sirius impugnò la bacchetta: se un gufo di Remus era
insolito, che lui lo richiamasse a casa senza poi farsi trovare era sospetto. Un
brivido gli percorse la schiena, paura ed eccitazione insieme. Stava succedendo
qualcosa.
Entrò in cucina, circospetto.
Nulla era fuori posto; persino le tazze della colazione erano ancora sul tavolo,
come le avevano lasciate prima di uscire, quel mattino.
C’era solo un foglio di pergamena che galleggiava a mezz’aria proprio davanti ai
suoi occhi. Con le mani che tremavano, Sirius lo prese.
Era scritto nella grafia di Remus, non c’erano dubbi. Era stato scritto da un
Moony tranquillo e senza coercizione, realizzò subito Sirius: come nella lettera
che l’aveva fatto tornare a casa, l’iniziale di ciascuna parola era preceduta da
un puntino. Era un semplice codice che usavano dai tempi della scuola per
autenticare qualunque bigliettino che potesse sembrare sospetto: l’avevano
inventato dopo che Snape e i suoi amici avevano usato una Piuma Copiagrafia per
giocar loro un brutto tiro, al terzo anno.
Quindi, accertatosi che il biglietto era autentico, Sirius ne analizzò il
contenuto.
P-
Raggiungimi al Paiolo Magico, stanza 17b. Porta la bacchetta.
-M
Sirius si grattò la testa, perplesso. Non sarebbe stato poi così insolito,
da parte di Remus, aver organizzato un’improvvisata romantica dal genere; però a
Sirius sembrava una strana coincidenza quell’invito, dopo che gli aveva promesso
di aiutarlo con il suo malumore… ma Remus aveva detto che quello che aveva in
mente non aveva a che fare con il sesso. E poi, francamente, non aveva mai
sentito che il Paiolo Magico avesse una stanza 17b, anche se onestamente con
quel locale non si poteva mai dire…
Nonostante i dubbi, se Sirius aveva una qualche certezza era che si fidava di
Remus. Prese un bel respiro, si impose di non farsi troppe domande e si
Smaterializzò.
«Sirius Black!» lo salutò cordialmente il barista del Paiolo, quando lo vide
entrare. «Non ci si vede da secoli!»
«Ciao, Tom» ricambiò Sirius, stringendogli la mano. Il locale era semi vuoto, e
di Remus nessuna traccia, ma a lui piaceva comunque sempre trovarsi all’ingresso
di Diagon Alley. Aveva qualcosa di magico; lui e Remus si erano dati
appuntamento lì per anni, in qualsiasi posto dovessero andare, fino a diventare
clienti abituali.
«Vuoi un goccetto, amico?» chiese Tom, sollevando una bottiglia di un qualche
intruglio probabilmente letale. Sirius scosse la testa.
«Volevo chiederti… hai una stanza 17b?» disse, esitando un attimo. Gli sembrava
ancora assurdo…
Ma Tom gli rivolse un enorme sorriso sdentato.
«Ah, sì» disse. «Il tuo amico aveva detto che forse saresti passato. Ecco la
chiave».
Sirius la prese, salutò Tom con un cenno e si avviò verso le scale.
«Black!» lo richiamò il barista. «Non da quella parte!»
Sirius si girò, perplesso. Tutte le stanze del Paiolo Magico erano al piano
superiore. Ma Tom sorrideva mostrando le gengive nude, ed indicò il pavimento.
«La porta di fianco al bancone, poi giù per le scale. Non puoi sbagliare: di
sotto l’unica altra porta è la mia cantina, e quella è sorvegliata da Gnuf».
Sempre più allucinato da quella situazione, Sirius scese le scale; già dagli
ultimi gradini cominciò a sentire il caratteristico odore pungente di un Troll
da guardia, ma per sua fortuna, una volta al piano inferiore, si accorse che il
bestione sorvegliava la porta più lontana dalle scale, e non avrebbe dovuto
passargli davanti. Proprio di fronte a lui, invece, l’uscio era decorato a
caratteri dorati. Stanza 17b, lesse Sirius. Si fece coraggio, girò la chiave
nella toppa ed entrò.
«Ce ne hai messo di tempo» lo salutò Remus, dall’altra parte della stanza
enorme.
Sirius si guardò intorno: non sembrava di sicuro di essere in una delle
fatiscenti stanze del Paiolo Magico. Era un sotterraneo di pietra grezza, uno
stanzone quasi ampio quanto la Sala Grande di Hogwarts: le torce alle pareti non
l’avrebbero illuminato, da sole. In effetti, dal soffitto pendevano una
moltitudine di candele rovesciate che dovevano essere incantate, perché le loro
fiamme scendevano verso il basso, invece che salire: un effetto curioso, ma
efficace.
«L’hai fatto tu?» chiese a Remus, accennando alla volta.
«No. Le ho solo accese, ma qui serve luce, e Tom fa un’ottima manutenzione.
Questa stanza, in effetti, è il suo affare più redditizio» rispose Remus.
Sirius ancora non capiva. A parte una pedana lunga e stretta al centro del
locale e un armadietto, non c’era niente di niente, lì.
«Dove siamo, Moony?» chiese, spaesato e confuso.
Remus gli si avvicinò fino a metterglisi di fronte. Si scambiarono un rapido
bacio, il loro saluto abituale, prima che Sirius diventasse così nevrotico da
abbandonare quella piccola abitudine. La ritrovò con piacere, ma attendeva
ancora una spiegazione. Remus gli sorrise.
«Questo è il Duelling Club del Paiolo Magico» rispose Remus. «Ne hai mai sentito
parlare?»
Sirius scosse la testa.
«Non mi stupisce. Di solito non è frequentato da gente molto raccomandabile».
«Tu come fai a conoscerlo?» chiese Sirius.
Remus rise, solo vagamente amaro. «Io sono un lupo mannaro. Poco raccomandabile
per principio» rispose. «Scherzi a parte, me ne ha parlato Hagrid finita la
scuola. Tengono anche incontri legali, qui, ma sai com’è Hagrid… non si
scandalizza per qualche scommessa clandestina. Mi ha detto che, per uno bravo a
combattere, qui si poteva fare qualche soldo».
Sirius era sempre più confuso. «Hagrid ti ha parlato di un Club clandestino di…
duelli?» chiese.
«Nel caso non avessi avuto altro modo di portare il pane in tavola» rispose
Remus, fin troppo serenamente. «Comunque, Hagrid parlava di combattimenti, non
di duelli. Creature magiche rinnegate in sfide all’ultimo sangue, cose del
genere… non sono mai stato particolarmente interessato. Però sì, questo posto è
attrezzato perfettamente per un Duello Magico regolare e perfettamente legale,
volendo».
«Un Duello Magico… perché siamo qui, Moony? Per assistere ad un Duello?»
Remus rise.
«Tu sai duellare, Sirius?» chiese, tranquillamente. Remus adorava mantenere la
suspance e non dare subito tutte le risposte. Sirius lo trovava irritante;
qualche volta, meravigliosamente irritante, anche.
Annuì. «Ho preso la prima lezione durante le vacanze di Natale del primo anno»
rispose. «Antica tradizione da Purosangue. Ho smesso quando me ne sono andato di
casa».
«Immaginavo».
«Quindi dovrei duellare? Perché?»
Remus alzò una mano e gliela posò sul viso, in una carezza molto tenera. «Perché
sei di malumore e nervoso, e non mi è sfuggito che sei così da quando ti ho
chiesto di essere più prudente, in missione. Ho ripensato al litigio di qualche
settimana fa. Hai detto che ti mancava il brivido di qualcosa di eccitante e
pericoloso e credo che tu abbia ragione. Ti sei sforzato di non fare cazzate
quando lavori per l’Ordine e me ne sono accorto. Ma così ti manca uno sfogo:
duellare potrebbe aiutarti».
Sirius avrebbe potuto prendersi a manate sulla fronte da solo. Remus aveva
capito qual era il problema che lui stesso non sapeva identificare. Il suo
ragazzo era un genio, oppure Sirius era un idiota.
«O entrambe le cose» rispose Remus. Sirius non si era reso conto di aver parlato
ad alta voce, ed arrossì.
Remus, con le dita ancora posate sulla sua guancia, gli sorrise. Fece scivolare
la mano sulla sua nuca, tirandoselo contro per baciarlo morbidamente sulla
bocca; Sirius si sentì scaldare da quel bacio quasi quanto dall’idea che Remus
avesse organizzato tutto quello per lui.
«Allora, vuoi duellare?» gli chiese Remus sottovoce, quando si separarono.
Sirius annuì. L’idea era eccitante.
«Con chi dovrei scontrarmi?» chiese.
Remus rise.
«Ma con me, ovvio!» rispose.
Sirius spalancò gli occhi, perplesso. «Tu sai duellare?» chiese.
Remus sorrise, serafico. «Ho imparato un paio di mosse da mio nonno; credo di
essere all’altezza».
«Moony,» disse Sirius, «io ho molta più esperienza, e un duello può essere una
cosa sgradevole se…»
«O forse hai paura, Padfoot?» lo interruppe Remus, con un sorriso sul viso che
poteva essere la pubblicità del perfetto Malandrino e gli occhi scintillanti.
Quell’espressione era una sfida aperta.
«Mai, Moony» dichiarò Sirius, rispondendo con un ghigno molto simile.
Sarebbe stato divertente.
Il complesso cerimoniale del Duello Magico era una noia mortale, pieno di
riverenze e svolazzi inutili. Per fortuna di Sirius, Remus era più che ben
disposto a limitarsi alla versione ridotta più comune tra i maghi meno pieni di
sé: dieci passi, un inchino, uno, due, tre, via.
Fin dal primo istante si rese conto che duellare con Remus era molto diverso da
come se lo era aspettato: aveva pensato di doverci andare piano, di avere a che
fare con un novellino. Remus invece cambiò immediatamente la presa sulla
bacchetta da quella del cerimoniale ad una specifica dei duellanti
particolarmente abili con la Trasfigurazione; era quasi una mossa da
professionisti.
Sirius, non da meno, riconobbe la presa e preparò la contromossa immediatamente,
ma Remus lo stupì: lo attaccò con un incantesimo non verbale che Sirius non era
pronto a parare. Sirius si sentì la testa leggera: non si rese conto di cosa gli
fosse successo finché non vide lunghe ciocche di capelli neri, dei suoi capelli
neri, cadere a terra tutto attorno a lui. Guardò Remus, che aveva un’espressione
soddisfatta di sfida sul viso, e sentì un familiare brivido alla schiena. Moony
non avrebbe fatto nulla che potesse nuocergli seriamente, ma non si sarebbe
risparmiato nessun dispetto ed era senza dubbio un avversario all’altezza di
Sirius, se non migliore. L’adrenalina rese fluidi i suoi movimenti e Sirius
spedì una fattura a Remus, che la respinse all’ultimo con uno scudo, senza
perdere il sorriso. Di nuovo, Sirius annullò la controfattura rapidamente,
pensando già alla mossa successiva, lasciandosi guidare dall’istinto e sentendo
il tempo farsi suo amico mentre studiava ogni dettaglio della postura e
dell’espressione di Moony, senza per questo perdere un secondo di duello.
Sarebbe stato molto più che divertente, pensò Sirius, prima di lasciarsi
prendere dalla bellezza di quella sfida: sarebbe stato potente, eccitante e
dannatamente pericoloso. In una parola, perfetto.
Sirius si lasciò cadere a terra, sfinito. Appena un secondo dopo, Remus si
sdraiò con appena un po’ più di grazia al suo fianco, ansimando pesantemente.
Aveva la faccia ricoperta di bolle, i capelli verdi e i piedi grandi come quelli
di uno dei clown babbani che avevano visto insieme quando erano andati al circo
con la famiglia di James, l’estate del loro sesto anno. Sirius, per parte sua,
aveva al posto del naso una sorta di proboscide che gli sfiorava il mento, i
capelli corti come non li portava più da quando aveva sei anni e una lunghissima
barba per compensare. Dalle orecchie gli spuntavano due carote e, con suo grande
smacco, i suoi vestiti erano diventati un’imbarazzante veste rosa piena di
pizzi.
Entrambi ridevano come matti.
«Dichiariamo una parità?» chiese, spostandosi leggermente per posare la testa
sulla spalla di Remus senza che le carote fossero d’intralcio.
«Ho palesemente vinto io, ma per questa volta te la concedo» disse Remus. Sirius
pensò di obiettare, ma non era sicuro di averne la forza.
«Però i capelli sono stati una cattiveria gratuita, Moony» si lamentò, dopo aver
ripreso un po’ di fiato.
«Mica tanto» rispose Remus, ridendo. «Prongs mi deve cinque galeoni».
Sirius si sollevò quel tanto che bastava a guardare in faccia Remus. Non gli
sembrava che scherzasse. «Per quale motivo?» chiese.
«Ho scommesso che sarei riuscito a farti tagliare i capelli per la foto di
gruppo dell’Ordine che Moody vuole scattare domani» rispose Remus. La luce
malandrina di prima brillava ancora nei suoi occhi.
«Bastardo» commentò Sirius. «Ci hai fregati entrambi».
«Mi piace vincere».
«Ho notato» rispose Sirius. «Dove hai imparato a duellare così?»
«Da mio nonno, te l’ho detto» disse Remus. «Sai quando Vitious si vantava di
aver vinto il titolo di Campione dei Duelli di Hogwarts, prima che chiudessero
il Club? Lo vinse solo al suo ultimo anno, dopo che mio nonno si era diplomato:
i quattro anni precedenti perse contro di lui in finale».
Sirius fischiò. «Questo è barare, Moony» lo prese in giro.
«Io la chiamerei una preziosa tradizione di famiglia» rispose Remus.
Risero entrambi, poi restarono in silenzio per qualche momento. Sirius sentiva
il battito del cuore di Remus sotto la sua guancia. Era un bel suono, rilassante
dopo il ritmo serrato e l’eccitazione veloce del duello. La combinazione lo
faceva sentire vivo.
«Sirius…» riprese Remus, dopo un po’. «Io non volevo dirti di smettere di
impegnarti per l’Ordine, la sera in cui abbiamo litigato».
Sirius si fece attento. Il tono di Remus era quello di un discorso importante.
«Non voglio perderti. Mi terrorizza l’idea, ma siamo in guerra. Non ti chiederei
mai di non dare il massimo, di restare lontano dai combattimenti o anche dal
pericolo. Ti stai sforzando troppo».
Sirius annuì.
«Ti fa male stare così. Non è quello che voglio, soprattutto se non ti fa
felice. Quelle che devi evitare, per il tuo bene ma anche per il mio, sono le
cazzate senza motivo; non voglio perderti perché decidi di strafare, o di farti
inseguire da cinque Mangiamorte dopo la ritirata, o perché non sai dire basta».
«Una via di mezzo?» chiese Sirius. «Un compromesso?»
«Un punto di equilibrio, sì» rispose Remus. «Pensi di potercela fare?»
Sirius ghignò. «Possiamo tornare qui a duellare così, se dovessi di nuovo
sentirmi di malumore?» chiese. Era stata un’esperienza notevole ed
incredibilmente intensa.
«Sporadicamente» rispose Remus. «Questa sala ci sta costando dieci galeoni
l’ora, che per inciso io non ho, quindi pagherai tu».
Sirius rise. «Forse posso provarci, allora» disse. «Un’altra cosa…»
Remus annuì, in attesa.
«Puoi farmi ricrescere i capelli, dopo che Prongs avrà pagato la scommessa?»
chiese.
Remus scoppiò a ridere e Sirius, ancora appoggiato su di lui, sentì vibrare
quella risata profonda fin dentro le proprie ossa.
«Non lo so» rispose Remus, baciandogli la testa. «Ti confesso che mi piacciono
parecchio, così».
Anche Sirius rise, solo vagamente lusingato dal complimento.
Forse anche su quel punto potevano trovare un compromesso…
Note noiose:
Il titolo, “Duelling Club”, è il nome inglese originale di quello che in
italiano è tradotto semplicemente “Il Club dei Duellanti”. Ho voluto lasciare il
titolo e il nome nel testo in inglese per richiamare vagamente il film Fight
Club (che personalmente non ho visto, ma di cui conosco la trama a grandi linee
per colpa di un amico appassionato), che mi è venuto in mente mentre pianificavo
la trama di questa fic. Nella mia mente l’associazione c’è, ma non conoscendo il
film potrebbe anche essere solo lì, in effetti.
Questa fic è stata scritta per il contest "Slash Vs Het", e si è classificata terza a pari merito per il primo turno, ricevendo questo giudizio.
Duelling club - Miki_tr
Grammatica: 9.3/10
Stile: 9.5/10
Originalità: 5/5
Caratterizzazione: 10/10
Gradimento personale: 3/5
Totale: 38.8/40
Ciao!
La tua storia mi ha fatto sudare sette camicie, ma dico, dodici pagine? :)
Nella grammatica ho trovato qualche errore, che però si sarebbe potuto
facilmente evitare:
-Nella frase “Sirius amava combattere, anche cinque - forse quattro, se lo
Schiantesimo era andato a segno - contro uno.”, fra il secondo trattino e la
parola “contro” ci sono due spazi;
-Nella frase “Remus si alzò da terra, spolverandosi i pantaloni; poi si girò
verso Sirius, passandosi una mano tra i capelli sudati e guardandolo con un aria
di preoccupata commiserazione che aveva il potere di fargli perdere le staffe
ogni volta, immancabilmente.”, hai scritto “un’aria” senza apostrofo;
-Nella frase “Del periodo successivo alla sua fuga da Grimmauld Place ricordava
solo una grandissima frustrazione e lo sforzo incessante di dover fingere di
essere totalmente contento, senza dubbi o ripensamenti.”, ci sono due spazi fra
“fuga” e “da”;
-Nella frase “Moony non avrebbe fatto nulla che potesse nuocergli seriamente, ma
non si sarebbe risparmiato nessuno dispetto ed era senza dubbio un avversario
all’altezza di Sirius, se non migliore.”, hai mancato di troncare la parola
“nessuno” davanti a dispetto.
Lo stile è molto buono, piacevole e coinvolgente, anche se ti hanno un po’
penalizzata la ripetizioni di “fare”, “sentire” e “dire” all’interno di alcune
frasi. Inoltre, hai posto molte volte delle congiunzioni all’inizio di frasi. Io
non lo conto come un errore grave, ma se sono ripetute spesso possono disturbare
un po’ la lettura.
L’originalità c’è al massimo, e anche la caratterizzazione è… perfetta. Amo il
tuo Sirius, da morire!
La storia mi è piaciuta, anche se non mi ha colpito particolarmente, mi ha
lasciato poco, ecco.
Riconosco tuttavia che sia molto bella, amo davvero il tuo modo di scrivere.
Complimenti e grazie per aver partecipato al primo turno del contest!
Bliss.