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Autore: Miki_TR    08/11/2011    2 recensioni
Sirius è un imprudente. Remus deve cercare un equilibrio.
"Il tempo, che sembrava fino ad un attimo prima sorridere a Sirius, permettergli di agire più veloce di chiunque altro, tornò bruscamente ad accelerare, nel suo normale corso. L’aggressore lo strattonò, facendogli perdere l’equilibrio; un secondo braccio gli strinse il collo e la mano che lo aveva afferrato gli lasciò il polso, posandosi sul suo viso e tappandogli la bocca prima che potesse emettere qualsiasi suono. "
Questa storia si è classificata terza a pari merito al primo turno del Contest Slash Vs Het di Immortal Bliss, sul Forum.
Genere: Azione, Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Duelling Club

 

Il primo lampo rosso distrusse quasi completamente il bidone dietro cui si era rifugiato, costringendolo a saltare via come un gatto, rotolando sulla schiena e sparando a caso uno, due, tre Schiantesimi non verbali di fila, senza nemmeno prendere la mira, sperando solo di colpire per caso qualcuno nel mucchio di quelli che lo inseguivano.
Qualcuno imprecò, il che probabilmente significava che almeno uno degli incantesimi era andato a segno. Cercò di riprendere fiato prima dello scatto successivo, ma un secondo incantesimo lo mancò di pochissimo e dovette alzarsi, schivare un terzo raggio di luce e riprendere a correre. Tutto quasi in un solo movimento.
Il quarto lampo lo vide schiantarsi poco davanti a lui. Era verde; Sirius ghignò, sentendo l’eccitazione della battaglia e della fuga che gli scaldava il sangue. L’odore del pericolo era più forte di quello di marcio e urina quando svoltò nel vicolo poco illuminato: inebriava Sirius quanto le tracce degli animali nella Foresta avevano sempre attratto inesorabilmente Padfoot. Non ne aveva mai abbastanza.
Svoltando aveva distanziato i suoi inseguitori abbastanza da guadagnarsi qualche secondo lontano dal raggio di azione delle loro bacchette, ma non si concesse il lusso di rallentare: aveva fatto saltare qualche cappuccio, pochi momenti prima, e intravisto Rabastan e Rodolphus tra i suoi inseguitori; con loro alle spalle Bellatrix non poteva essere lontana. Sirius aveva imparato tempo prima quanto la cugina corresse veloce e quanto buona fosse la sua mira. Ma sapeva anche di essere una preda piuttosto ostica e il fatto che quella situazione lo esaltasse tanto gli dava un netto vantaggio: non lo guidavano né la rabbia dei Mangiamorte alle sue spalle, né la disperazione di chi li trovava sulla propria strada. L’adrenalina lo rendeva lucido e concentrato, come quando giocava a Quidditch. L’istinto prendeva il sopravvento e ogni istante sembrava lunghissimo, come se avesse tutto il tempo del mondo per scegliere cosa fare, e farlo con precisione. Eppure la sua corsa sembrava un volo folle, impossibile da interrompere.
Sirius amava combattere, anche cinque - forse quattro, se lo Schiantesimo era andato a segno - contro uno. Anche quando si trattava di fuggire in un vicolo sudicio nel centro di Londra, rischiando la pelle per tenere i Mangiamorte lontani dalla ritirata degli altri ancora un po’, qualche secondo ancora…
Una mano spuntò fuori dall’oscurità, afferrandogli il polso.
Il tempo, che sembrava fino ad un attimo prima sorridere a Sirius, permettergli di agire più veloce di chiunque altro, tornò bruscamente ad accelerare, nel suo normale corso. L’aggressore lo strattonò, facendogli perdere l’equilibrio; un secondo braccio gli strinse il collo e la mano che lo aveva afferrato gli lasciò il polso, posandosi sul suo viso e tappandogli la bocca prima che potesse emettere qualsiasi suono.
I passi dei Mangiamorte in arrivo rallentarono: stavano svoltando nel vicolo, e Sirius era bloccato, prigioniero e perduto. Qualche istante e l’avrebbero visto, sempre che il suo assalitore non decidesse di annunciare prima la sua cattura. Sirius fece appena a tempo a sentirsi un’idiota per essere caduto in una trappola così banale, prima che la stretta attorno alla sua gola aumentasse, quasi soffocandolo e trattenendolo contro qualcosa - qualcuno - che aveva un odore familiare…
«Materializzazione congiunta, ora!» ordinò la voce dell’uomo che l’aveva catturato, la voce di…
Il mondo girò su se stesso, vorticosamente. Per un istante gli parve di sentire l’imprecazione di Rodolphus e vide chiaramente avvicinarsi a loro il raggio verde di una Maledizione che non li avrebbe colpiti, perché un istante dopo semplicemente non erano più lì.

Sirius perse l’equilibrio quando si Materializzarono nel bel mezzo del salotto; il braccio che l’aveva sostenuto lo lasciò non appena i loro piedi ebbero toccato terra; anzi, gli diede anche una spinta per buona misura e Sirius cadde a terra, battendo il sedere sul pavimento come un idiota.
«Ahi!» protestò. «Che ti prende?»
«Moody ha chiamato la ritirata dieci minuti fa» ringhiò Remus, da qualche parte dietro di lui.
Sirius si girò senza alzarsi da terra, e lo vide armeggiare con il barattolo di Polvere Volante sul camino del loro appartamento.
«E allora?» chiese, stizzito. Remus si voltò appena per fargli cenno di fare silenzio, un attimo prima che la testa di James Potter comparisse nel loro camino.
«L’ho trovato, sta bene» disse subito Remus, rivolto a James.
«Perfetto,» rispose lui, «adesso spostati, Moony, vengo lì e lo uccido con le mie mani».
Remus ridacchiò. «Ci penso io, Prongs» rispose. «Tu avvisa Peter, per favore».
La conversazione surreale si interruppe per un attimo, mentre James e Remus si scambiavano un’intensa occhiata il cui significato era del tutto incomprensibile per Sirius.
«State bene davvero?» chiese alla fine James. Remus annuì. «Salutami Lily» disse, e Prongs annuì prima di scomparire senza nemmeno aver rivolto un cenno di saluto al suo migliore amico. Remus si alzò da terra, spolverandosi i pantaloni; poi si girò verso Sirius, passandosi una mano tra i capelli sudati e guardandolo con un'aria di preoccupata commiserazione che aveva il potere di fargli perdere le staffe ogni volta, immancabilmente.
«E allora?» chiese di nuovo, in tono arrogante, come se la comparsa di James nel camino non avesse interrotto la loro conversazione.
Remus strinse i denti così forte che Sirius li sentì stridere.
«E allora, pezzo di cretino,» disse, fulminandolo con un’occhiataccia, «immagina come ci siamo sentiti io, James e Peter quando ci siamo Materializzati al Quartier Generale per scoprire che tu eri tra quelli che non erano rientrati».
«Che cosa vuol dire fra quelli...» cominciò Sirius, ma Remus lo interruppe con un gesto stizzito della mano.
«Ho pensato per cinque interi minuti che tu fossi morto» continuò Remus, guardandolo come se fosse una specie di Vermicolo molesto. «Ogni secondo che passava speravo di sentire il rumore della tua Materializzazione, ma qualcosa continuava a ripetermi che non l’avrei sentita, perché tu ti eri fatto ammazzare».
«Ma non sono morto» provò ad obbiettare Sirius, anche se lo sguardo di Remus e le sue parole lo stavano facendo sentire sgradevolmente in colpa.
«Ma non ti sei nemmeno Materializzato al punto di ritrovo, come avresti dovuto» gli ritorse contro Remus. «Sono stati cinque minuti infiniti. Riesci ad immaginare che cosa ho pensato, immaginando di tornare sul luogo della battaglia, domani, per recuperare il tuo cadavere?»
Suo malgrado, Sirius ci riusciva. L’idea di attendere per ore il ritorno di Remus per poi scoprire che non sarebbe tornato mai più era uno dei suoi incubi ricorrenti, ogni volta che restava a casa mentre lui era in missione. Tuttavia non l’avrebbe ammesso in quel momento, non con Remus pronto a sbranarlo vivo.
«Non sarebbero mai riusciti a farmi fuori» disse, ostentando un ghigno arrogante, sperando che Moony ridesse e lo rimproverasse ironicamente per essere un pallone gonfiato, come faceva di solito quando Sirius se ne usciva con cose del genere.
Ma Remus fece una smorfia.
«I Prewett sono morti» disse, senza preamboli.
Sirius sentì il pavimento che gli mancava sotto i piedi, e fu felice di essere ancora seduto a terra.
«Gideon e Fabian?» domandò, incredulo. Remus annuì, ma non era possibile… i fratelli Prewett erano tra i membri più forti dell’Ordine, quelli che nessuno poteva abbattere, quelli che riuscivano a ridere e a combattere come se fosse la cosa più naturale del mondo, scherzando anche davanti ad una fila di Mangiamorte, prima di Schiantarli uno per uno. «Non è possibile».
«Malocchio era lì, li ha visti» rispose Remus. «Li hanno circondati in cinque e nessuno è riuscito ad intervenire in tempo. Gideon è caduto per primo; crediamo che sia stato Dolohov. Fabian si è distratto quell’istante che è bastato ad un altro dei loro per ucciderlo».
Sirius scosse la testa. Era un colpo terribile per l’Ordine; le ripercussioni di una cosa del genere sarebbero state enormi e Sirius si rese conto che, malgrado tutti i loro sforzi, i Mangiamorte potevano segnare quella battaglia come una vittoria.
«Nessuno sapeva dov’eri» continuò Remus, riportando l’attenzione di Sirius sulla sua ramanzina. «Nessuno ti aveva visto cadere, ma neanche uscirne vivo».
Sirius scosse di nuovo la testa. «Ma tu mi sei venuto a cercare».
«Non credere che non ti avessi dato per morto» rispose Remus, freddamente. «Ma poi ho incrociato Aberforth, che ha detto di averti visto scappare verso sud, inseguito da un gruppetto di Mangiamorte. Pensava che ti fossi già Smaterializzato da un pezzo, ma mi ha dato da pensare, e sono venuto a controllare».
«E mi hai trovato» rispose Sirius, scrollando le spalle. «Stavo cercando di creare un diversivo».
«Un diversivo un corno» lo interruppe Remus. «Ne avevi quattro alle calcagna; non riuscivo a capire perché non ti trasformassi in Padfoot per seminarli».
Sirius sollevò gli occhi al cielo: a volte Remus era completamente incapace di comprendere la logica della guerra. «Se li avessi seminati sarebbero tornati indietro» spiegò.
Remus chiuse gli occhi e si strinse la radice del naso tra il pollice e l’indice, come se volesse trattenere il mal di testa. Con aria stanca si lasciò cadere su una poltrona del salotto, appoggiando la testa su una mano e guardando Sirius, che era ancora sul pavimento.
«Avevamo già evacuato la zona, Sirius. Non c’era più nessuno da salvare facendo l’eroe come uno stupido, sai?»
«Io non lo sapevo!» protestò Sirius.
«Moody aveva dato l’ordine di ritirarsi. Tutti hanno obbedito, tranne te».
Sirius aveva esaurito le scuse. Abbassò la testa, lasciando che i capelli gli coprissero il viso; in genere, se si mostrava dispiaciuto all’apparenza, Remus la piantava di rimproverarlo, credendolo pentito. Ma quella sera, evidentemente, nemmeno quella solita scena bastava.
«Io non posso crederci» continuò Remus, imperterrito. «Gideon e Fabian sono morti, James e Lily si sono trovati faccia a faccia con Voldemort, e tu sparisci chissà dove a giocare al duellante con quattro Mangiamorte».
«Cinque» lo corresse Sirius, prima di poterselo impedire, per rimarcare che almeno uno l’aveva messo fuori combattimento. Poi le parole di Remus acquisirono significato. «Lily e James hanno incontrato Voldemort?» chiese. Per sua sfortuna non era mai stato bravo a fingere, e Remus sentì chiaramente l’ammirazione e l’invidia nella sua voce. L’espressione da ramanzina rassegnata sparì dal suo viso, sostituita di nuovo dalla rabbia.
«Per te è tutto un gioco, Sirius?» chiese, fissandolo.
Sirius arrossì. Non era un gioco, ma ci andava maledettamente vicino; Sirius non era un idiota ed era conscio del pericolo. Non pensava nemmeno di essere immortale. Ma stare ad un passo dalla morte lo faceva sentire incredibilmente vivo e felice. Era nato per stare in mezzo al rischio, evidentemente, per spendere nell’emozione del duello tutte le sue energie, fino a non averne più nemmeno per alzarsi dal pavimento di casa sua e affrontare la rabbia del suo ragazzo in piedi, come un uomo.
Ma la domanda di Remus non era retorica; Sirius alzò gli occhi su di lui e lo vide fissarlo, intensamente, come se sperasse di risolvere quella questione in quel momento, e insieme di capire, finalmente, cosa si agitava nella mente di Sirius quando faceva sciocchezze di quel genere.
«No» rispose alla fine. «È solo che… non è più come quando eravamo a scuola, Remus. Ti ricordi che quando uscivamo di notte nei corridoi non volevo mai usare il Mantello di James? È il rischio che mi manca di quei tempi. La sensazione di poter essere beccati da Gazza in qualsiasi momento, l’emozione quando correvamo a nasconderci… ti ricordi?»
Remus scosse la testa. «Ma questa è una cosa maledettamente seria, Sirius» rispose Remus. «I Prewett sono morti, non sono finiti in punizione con la McGranitt. Tu non vedi la differenza, e questo mi spaventa».
Sirius avrebbe voluto spiegare che capiva la differenza, ma che non aveva molta scelta, se sentiva il bisogno di emozioni per sentirsi vivo. Ma sapeva che Remus l’avrebbe interpretata come una critica, come se lui non amasse la loro vita insieme, senza capire che erano due cose differenti, nella mente di Sirius. Così reagì come meglio sapeva: facendo dello spirito.
«E non è questo, il mio fascino?» chiese, tentando uno dei suoi ghigni seducenti.
Remus non si lasciò incantare. Non lo faceva quasi mai. «No, è quello che ti farà ammazzare» rispose.
Poi, come se la conversazione fosse finita, si alzò e si andò a chiudere in camera.
Sirius pensò di seguirlo. Ma l’adrenalina della fuga di prima gli faceva ancora tremare le gambe e litigare con Remus non l’aveva certo aiutato a calmarsi. Decise di concedersi una tazza di tè al miele prima di raggiungere Moony in camera per fare la pace. La bevanda calda lo aiutò a calmarsi e a schiarirsi la mente; o forse fu il dito di scotch che vi versò dentro ad aiutarlo, ma Sirius non era pratico di bevande babbane abbastanza da saperlo.
Quando alla fine entrò in camera da letto, Remus dormiva già, avvolto nelle coperte e occupando rigorosamente la sua metà del letto. Sirius valutò di svegliarlo per continuare la conversazione, o per fare pace, o per fare l’amore. Ma la serata era stata lunga ed intensa; gli occhi gli bruciavano e l’azione combinata di alcol e tè caldo gli dava una piacevole sonnolenza. Fece appena in tempo a mettersi il pigiama prima di crollare di fianco a Remus ed addormentarsi di botto.

Sirius aveva tanti difetti.
La mattina appena sveglio, con gli occhi ancora quasi chiusi, allungava la mano verso il barattolo degli spazzolini da denti e, se il primo che incontrava era quello di Remus, si lavava i denti con quello. Quando usciva di casa dimenticava sempre le chiavi, rifiutava di mettersi il casco per andare in moto e aveva il vizio di tappezzare di poster le pareti di qualsiasi stanza abitasse, senza alcun rispetto per i gusti di chi doveva conviverci.
Però, a differenza di quanto tentava spesso di far credere agli altri, non era un idiota ed era capace di ascoltare la voce della ragione, o almeno quella di Remus.
La conversazione della notte della battaglia continuò per un pezzo a rigirargli nella mente.
Ci pensò ai funerali di Fabian e Gideon; lo turbò vedere Molly, la loro temibile sorella maggiore, stringersi in lacrime al marito e baciare il legno scuro delle bare, dove si trovavano le fronti dei suoi fratelli. Immaginò Remus nella stessa situazione, e l’immagine non gli piacque. Il pensiero contrario, di essere lui a doversi disperare al funerale di Remus, gli provocava talmente tanta angoscia che non ci si soffermò: non sarebbe successo.
Ripensò alle parole di Remus anche quando, due giorni dopo, durante una delle cene settimanali a casa dei Potter, Lily annunciò loro di essere incinta. L’idea di una nuova vita, così piccola e fragile che un minuscolo errore poteva distruggerla prima ancora che iniziasse, gli fece riconsiderare diverse cose che aveva dato per scontate.
Gli era sempre piaciuto fare il bastian contrario. Imporgli un limite, in genere, era utile solo a spingerlo a superarlo. Ma forse un pochino stava crescendo, perché della ramanzina di Remus gli rimasero impresse diverse cose, non tutte piacevoli; cominciò a rendersi conto che se fosse morto da eroe, o da cretino, Remus avrebbe sofferto. Si sforzò, quando usciva a combattere o si lanciava in qualche rischiosa missione, di considerare la sua priorità non più rimandare a Voldemort quanti più Mangiamorte possibile in posizione orizzontale, ma farlo e poi tornare a casa da Remus.
Si sforzò per un mese intero e gli sembrò che lo sforzo fosse evidente.
Ma non poteva dire che il brivido non gli mancasse: si sentiva quasi soffocare e tutta quella prudenza gli dava sui nervi.

Sirius entrò in casa sbattendo la porta. Lanciò il giubbotto sul divano e calciò via in malo modo i suoi fedeli anfibi sfatti; una delle sue scarpe atterrò in malo modo sulla scrivania che Remus usava per lavorare, sparpagliando pergamene ovunque e rovesciando la boccetta dell’inchiostro, che solo per fortuna in quel momento era chiusa. Sirius non ci fece nemmeno caso; scalzo, attraversò il soggiorno per sparire in camera, con tutta l’intenzione di sbollire la rabbia e la frustrazione con un sonnellino.
«Come è andata?» chiese Remus, affacciandosi alla porta della cucina con un’espressione cauta sul viso e un panino in mano.
«Uno schifo» sbottò Sirius. «Ciao, comunque».
«Ciao» rispose distrattamente Remus. «È successo qualcosa di grave?»
«Tutti vivi» rispose Sirius, laconico. Non era dell’umore per il secondo rapporto della serata, dopo quello che aveva appena fatto a Moody, ma si sforzò di non rifarsi su Remus. «Ma non ne abbiamo preso nemmeno uno».
«Neanche una cattura?» chiese Remus, stupito. Era il lavoro che Sirius faceva meglio, per l’Ordine. Si era sempre sentito molto fiero che ben pochi riuscissero a mettere all’angolo un Mangiamorte, ad impacchettarlo per gli Auror e a consegnarlo velocemente come lui. Eppure negli ultimi tempi stava diventando frustrante; quella sera ancor di più, perché tra quelli che gli erano sfuggiti c’era Greyback, e sarebbe bastato inseguirlo quando era scappato… ma poteva essere una trappola, e Sirius aveva esitato un momento di troppo, senza finire il lavoro.
Remus diede un morso al suo enorme panino, masticando pensieroso e guardando Sirius, in attesa.
«Mi è sfuggito» ammise lui alla fine, passandosi una mano sugli occhi per cercare di cacciar via la frustrazione.
«Greyback era là?» chiese Remus. Un secondo morso di panino seguì quella domanda apparentemente casuale; eppure Sirius sapeva che la questione era personale ed importante.
«Mi è sfuggito per un soffio» ripeté Sirius, scuotendo la testa. «Almeno adesso sappiamo che chiunque sia il poveretto che tiene d’occhio i licantropi per Dumbledore sta facendo un buon lavoro».
«Davvero» commentò casualmente Remus. Sirius apprezzò che non gli facesse pesare la sconfitta, ma quella tranquillità non bastava a rendergli il buon umore.
«La prossima volta che lo incontro, Moony, ti giuro che…» cominciò, ma Remus lo interruppe.
«La prossima volta vorrei esserci anch’io» disse, facendo una smorfia. «Se fossi venuto, stasera…»
Sirius scosse la testa. «Il giorno dopo la luna piena? Ti saresti fatto ammazzare».
Remus lo guardò con curiosità, inclinando il capo di lato. Il suo sorrisetto era vagamente divertito.
«Stai parlando a me di prudenza, Padfoot?» chiese. Sirius ridacchiò. «Greyback è un problema mio» aggiunse Remus, più seriamente.
«Quello che è tuo è mio» rispose Sirius. Sapeva che Remus considerava la licantropia un suo problema che non doveva essere scaricato sugli altri, ma le cose stavano diversamente, per lui.
«Stronzate» disse Remus, serio. Sirius, nonostante il cattivo umore, decise che non aveva la minima voglia di litigare con Moony, cosa che succedeva fin troppo spesso negli ultimi tempi. Era il momento di sdrammatizzare à la Sirius Black.
«Quello che è tuo è mio» disse di nuovo, solennemente. «Ad esempio quel panino. Me ne dai un morso?» scherzò.
Remus rise. «Mai, Padfoot» rispose. L’atmosfera si alleggerì di colpo, e una briciola del malumore di Sirius sembrò sciogliersi nel sorriso di Remus, quando lo vide aprirsi. «Ma se ci tieni tanto, ce n’è un altro uguale in cucina, pronto per te».
«Fantastico,» rise Sirius, «mi piace quando passi il tuo giorno libero a cercare modi per viziarmi!»
Remus gli passò un braccio attorno alle spalle, spingendolo piano verso la cucina. Sirius si premurò di fare una gran scena davanti alla magnificenza del panino che gli aveva preparato, per farlo ridere di nuovo, e sperò che l’atmosfera allegra di una cena con Remus riuscisse davvero a coprire il nervosismo che in quel periodo sembrava non volerlo proprio lasciare in pace.

«È laggiù!» gridò Sirius, cercando di sovrastare il caos della battaglia scatenata. Qualcuno si voltò a guardarlo, e Sirius indicò freneticamente un edificio rosso poco lontano e la figura che correva verso la sicurezza della sua porta aperta. «Prendetelo! Possiamo farcela!» gridò, con quanto fiato aveva in corpo.
Era di fondamentale importanza che lo ascoltassero, che capissero: non stavano dando la caccia ad una preda qualunque. Era Voldemort quello che stava scappando dalla battaglia più sanguinosa che avessero mai visto. E James aveva spezzato la sua bacchetta, Sirius l’aveva visto: non avevano mai avuto un’occasione del genere.
Qualcosa saltò in aria silenziosamente alla sua destra. Moody volò via, come un fuoco d’artificio, e pezzi sanguinolenti della sua gamba piovvero su tutti loro, insozzando la strada di sangue; era talmente tanto che formava piccole onde rosso scuro, come sulla riva del lago, ad Hogwarts.
«Prendetelo!» gridò di nuovo Sirius, disperatamente. Frank e Lily seguirono con lo sguardo il suo braccio e videro Voldemort che cercava di mettersi in salvo; ma entrambi guardarono Sirius, scuotendo la testa, e tornarono a combattere.
Voldemort fuggiva e nessuno faceva nulla. Sirius voleva inseguirlo, ma aveva promesso a Remus…
Una Maledizione passò vicinissima alla sua testa, e Sirius si voltò a schiantare il Mangiamorte che l’aveva colpito. Era Regulus, senza maschera, che rideva mentre schivava il suo Schiantesimo; poi Sirius vide suo fratello voltarsi, dargli le spalle nel bel mezzo della battaglia.
«Non riusciresti mai ad uccidermi» lo sentì dire, prima di osservarlo impotente mentre alzava la bacchetta e colpiva James alla schiena con un incantesimo verde come una Maledizione. James cadde a terra faccia avanti, immerso nel sangue, senza un suono. Poi Regulus rise e prese a correre, veloce e leggero come se volasse, nella stessa direzione in cui stava fuggendo il suo Signore.
Sirius non poteva lasciarli andare. Semplicemente doveva rischiare la vita: ne valeva la pena per Voldemort e per Regulus che aveva appena ucciso James. Ma il sangue di Moody che si raccoglieva attorno alle sue caviglie gli impediva di correre. Sollevò la bacchetta verso la schiena di Voldemort, mirando.
Una mano spuntò fuori dall’oscurità, afferrandogli il polso.
«Non puoi» disse Remus, contro il suo orecchio. «James ti ucciderà se ti metti nei guai, e anch’io».
Sirius cercò di divincolarsi. «È Voldemort!» gridò. «E Regulus ha appena ucciso James!»
«Gideon» lo corresse Remus. «Quello che non sappiamo è chi abbia ucciso Gideon, non James».
Sirius guardò il cadavere riverso nel mare del sangue di Moody, poco lontano, e riconobbe i capelli rossi: era Gideon, non James. Odiò l’idea di sentirsi sollevato. Ma Voldemort continuava a scappare.
«Moony dobbiamo… Voldemort è disarmato, sta scappando!»
Remus scosse la testa. «Tu non puoi, Sirius» rispose. «È troppo pericoloso fare l’eroe. Riesci ad immaginare come mi sentirei a dover baciare la tua bara?»
Sirius cercò di liberarsi, ma qualcosa lo bloccava; non poteva muoversi: l’aria era vischiosa e la voce di Remus lo intrappolava. «Remus, ti prego… Remus!»

«Remus!» gridò, scattando a sedere e cercando a tentoni la bacchetta, nel buio.
Al suo fianco, Remus si mosse velocemente.
«Che succede?» bisbigliò, teso. «Lumos!»
La luce della bacchetta di Remus rischiarò immediatamente la loro camera da letto. Non era abbastanza potente da illuminarla a giorno, ma era più che sufficiente per vedere chiaramente che non c’era nessuna minaccia in agguato, solo il loro normale caos. Sirius chiuse gli occhi, respirando pesantemente.
Era stato solo un sogno. Vivido, reale, ma nulla di più che uno dei suoi soliti incubi. Ne aveva spesso, di recente, anche se molti non erano così intensi.
Remus capì velocemente che il pericolo che l’aveva svegliato esisteva solo nella mente di Sirius.
«Era solo un incubo» gli disse, per tranquillizzarlo. Sirius, ancora madido di sudore e ansante per lo sforzo nel sogno, annuì, chiudendo gli occhi. Vedeva ancora il lago di sangue nel rosso dietro le sue palpebre, e li riaprì subito, guardando invece Remus che gli sorrideva.
«Vuoi dirmi cosa hai sognato?» gli chiese, prendendogli una mano.
Sirius avrebbe voluto, ma i contorni del sogno stavano sfumando, diventando incerti. Stava cercando di inseguire qualcosa, ma cosa?
«Regulus ha ucciso Gideon» disse, alla fine. Era l’unico particolare che ricordava. Gideon, non James, era quello che Sirius non aveva avuto il coraggio di salvare. «E io non potevo muovermi».
Remus gli strinse la mano. «Era solo un brutto sogno» disse di nuovo. Sembrava vagamente preoccupato. «Sei sicuro di star bene?» gli chiese. «Da qualche tempo hai molti incubi, e sei sempre nervoso».
Sirius scosse la testa. «Credo che sia questa maledetta guerra. Moony, mi sento così… impotente!»
Si accorse del doppio senso di quello che aveva detto non appena vide l’espressione di Remus cambiare di colpo, trasformandosi in quella ironica che riservava ai lapsus più eclatanti.
«Posso fare qualcosa per dimostrarti che non lo sei?» chiese Remus, ridacchiando e lasciando la mano di Sirius per potergli accarezzare una gamba. Il suo sorriso era scherzoso, ma solo in parte: il sesso era un ottimo modo per dimenticare gli incubi, almeno per Sirius.
«Sarebbe molto carino da parte tua» rispose con un piccolo ghigno, ancora leggermente tirato per via dei residui di angoscia del sogno. «Posso avanzare una richiesta?»
Remus rise. «Vediamo se ti conosco bene. Tu stenditi e lascia fare a me» concluse, prima di chiudere la bocca a Sirius con un bacio e di trascinarlo molto lontano dal ricordo del suo incubo.

«… Sarebbe molto meglio, secondo me, che Dumbledore la piantasse con tutti questi misteri e ci dicesse che cavolo fanno i nostri alleati quando spariscono per giorni e giorni. Insomma, tutta questa segretezza non fa altro che renderci sospettosi, costringendoci a guardarci alle spalle… Sirius, ma mi stai ascoltando?» chiese James.
Gli occhi di tutta la tavolata si spostarono su di lui, e Sirius scrollò le spalle.
Non stava ascoltando James. Non ne poteva più di sentir parlare di Ordine, Ordine, Ordine. Persino una serata al pub doveva diventare una stramaledetta riunione informale della resistenza a Voldemort? Era diventato l’unico argomento di conversazione, per tutti loro, e Sirius cominciava decisamente ad averne le tasche piene di quei discorsi, per quanto James, Lily e Remus si ostinassero a ripeterli e Peter continuasse ad annuire come se ciascuna delle loro parole fosse una perla di saggezza. Lavorare per l’Ordine negli ultimi tempi era diventato particolarmente frustrante: una serie infinita di appostamenti e turni di sorveglianza noiosi ed inutili, e persino le occasionali battaglie lasciavano Sirius con l’amaro in bocca. Non concludeva nulla, non aveva più catturato un Mangiamorte da mesi e non sapeva mai dietro quale cappuccio si nascondesse suo fratello. Non c’era più emozione, né brivido; e neppure, se Sirius era onesto con se stesso, una reale convinzione da parte sua che quello che tentavano di fare servisse a qualcosa.
«Merlino, Padfoot, sei veramente intrattabile, ultimamente!» sbottò James. «Che cavolo ti prende?»
Peter sussultò: Sirius sapeva bene quanto lo preoccupasse qualsiasi ipotesi di battibecco tra lui e Prongs, ma non poteva farci nulla se negli ultimi tempi l’unico che sembrava sopportarlo era Remus, che comunque per lo più taceva e si limitava a guardarlo.
«Sono di cattivo umore» rispose, contemplando la sua birra e sperando che la piantassero tutti di richiedere la sua collaborazione nella discussione.
«E gli ippogrifi volano» rispose James, alzando gli occhi al cielo. Lily gli posò una mano sul braccio, come per dirgli di piantarla, ma Prongs per certe cose proprio non ci arrivava. «Sei insopportabile. Sei spento, non ti si può parlare di niente senza che ti prendano i cinque minuti, quando ti degni di ascoltare… ti annoiamo così tanto?»
Se Prongs gli avesse fatto la stessa domanda senza ironia, in un altro momento, Sirius avrebbe risposto che no, era impossibile annoiarsi, essendo Malandrini. Ma in quel momento sì, si annoiava. Non gli sembrava di essere più capace di divertirsi con nulla.
«Parecchio, Prongs» rispose, ed ebbe il piacere di ammutolire la compagnia come se si fosse messo a ballare nudo in mezzo al locale. Lanciò sul tavolo una manciata di Galeoni, alzandosi. «Offro io» disse. «Fatevi un giro alla mia salute».
Poi, senza salutare nessuno, se ne andò. Fino alla porta si sentì bruciare la schiena per gli sguardi sconvolti degli amici che sicuramente non si aspettavano quella sua uscita; ma appena fuori, l’aria fredda gli schiarì almeno un poco la mente.
Si accese una sigaretta subito fuori dalla porta, e si fermò, appoggiandosi al muro per calmarsi.
Che accidenti gli era preso? Non lo capiva lui per primo. Sapeva solo che c’era qualcosa, come un piccolo tarlo sempre presente nella sua mente, che lo tormentava. Se avesse saputo dargli un nome…
«Bella scenata, complimenti» disse Remus, appoggiandosi di fianco a lui contro il muro, alzando lo sguardo verso il cielo coperto sopra di loro. Sirius era così concentrato su se stesso che non si era accorto di essere stato seguito.
«Grazie» rispose, arrogante. Remus abbassò il viso per guardarlo, intensamente ma con un’espressione del tutto neutra, impossibile da decifrare.
Sirius distolse lo sguardo per primo. «Non so cosa mi sia preso» ammise, dopo qualche momento di silenzio. «Non so cosa mi prenda. Sono sempre nervoso, e mi sembra di non aver più voglia di fare niente». Improvvisamente c’era qualcosa di molto interessante nei suoi anfibi distrutti, ma Sirius non avrebbe saputo dire cosa; ad ogni modo, non aveva più nessuna voglia di alzare lo sguardo su Remus.
Prese il pacchetto di sigarette babbane dalla tasca della giacca di pelle e se ne accese un’altra prima di offrirlo a Remus. Fumarono in silenzio per qualche minuto; solo quando già sentiva il calore della brace avvicinarsi alle dita, Sirius trovò il coraggio di parlare.
«Io non so che cosa mi succeda, ultimamente» disse.
Remus scosse le spalle. «Penso di saperlo io» rispose, e Sirius, stupito, sollevò lo sguardo su di lui. Sorrideva, solo un po’, quel tanto che bastava per fargli capire che non era arrabbiato; quell’espressione era rassicurante e familiare; almeno ridimensionava l’uscita infelice ad una delle sue normali cazzate.
«Non sono mai stato così» disse Sirius.
«Non è vero» gli rispose Remus, a sorpresa. «Ti comportavi esattamente così dopo che sei scappato di casa, ma sei stato meglio, poi».
Sirius non se n’era reso conto, all’epoca. Del periodo successivo alla sua fuga da Grimmauld Place ricordava solo una grandissima frustrazione e lo sforzo incessante di dover fingere di essere totalmente contento, senza dubbi o ripensamenti. Aveva cominciato a passargli più o meno quando lui e Remus avevano preso a nascondersi negli sgabuzzini, nelle nicchie, dietro le armature e persino nelle aule vuote per parlare di sciocchezze, prima, e poi, col passare dei giorni, per baciarsi e toccarsi in un modo nuovo.
«Grazie a te» disse, onestamente.
«Se ho capito da dove deriva tutto questo malumore, posso fare un tentativo di tirarti su anche questa volta» disse Remus, ridacchiando.
Sirius ghignò. «Stiamo parlando di quello che penso?» chiese, ammiccando esageratamente.
«Assolutamente no» rispose però Remus, sorprendendolo. «Lo scoprirai presto. Prima però vai a scusarti con Prongs».

«Remus?» chiamò Sirius, entrando in casa.
Era insolito per lui rientrare prima di mezzogiorno, ma lo era altrettanto che Moony gli mandasse un gufo mentre era al lavoro per chiedergli di prendersi mezza giornata libera e raggiungerlo a casa.
«Remus, sei in casa?» chiese di nuovo Sirius.
Nessuno gli rispose. Sirius impugnò la bacchetta: se un gufo di Remus era insolito, che lui lo richiamasse a casa senza poi farsi trovare era sospetto. Un brivido gli percorse la schiena, paura ed eccitazione insieme. Stava succedendo qualcosa.
Entrò in cucina, circospetto.
Nulla era fuori posto; persino le tazze della colazione erano ancora sul tavolo, come le avevano lasciate prima di uscire, quel mattino.
C’era solo un foglio di pergamena che galleggiava a mezz’aria proprio davanti ai suoi occhi. Con le mani che tremavano, Sirius lo prese.
Era scritto nella grafia di Remus, non c’erano dubbi. Era stato scritto da un Moony tranquillo e senza coercizione, realizzò subito Sirius: come nella lettera che l’aveva fatto tornare a casa, l’iniziale di ciascuna parola era preceduta da un puntino. Era un semplice codice che usavano dai tempi della scuola per autenticare qualunque bigliettino che potesse sembrare sospetto: l’avevano inventato dopo che Snape e i suoi amici avevano usato una Piuma Copiagrafia per giocar loro un brutto tiro, al terzo anno.
Quindi, accertatosi che il biglietto era autentico, Sirius ne analizzò il contenuto.
P-
Raggiungimi al Paiolo Magico, stanza 17b. Porta la bacchetta.
-M
Sirius si grattò la testa, perplesso. Non sarebbe stato poi così insolito, da parte di Remus, aver organizzato un’improvvisata romantica dal genere; però a Sirius sembrava una strana coincidenza quell’invito, dopo che gli aveva promesso di aiutarlo con il suo malumore… ma Remus aveva detto che quello che aveva in mente non aveva a che fare con il sesso. E poi, francamente, non aveva mai sentito che il Paiolo Magico avesse una stanza 17b, anche se onestamente con quel locale non si poteva mai dire…
Nonostante i dubbi, se Sirius aveva una qualche certezza era che si fidava di Remus. Prese un bel respiro, si impose di non farsi troppe domande e si Smaterializzò.

«Sirius Black!» lo salutò cordialmente il barista del Paiolo, quando lo vide entrare. «Non ci si vede da secoli!»
«Ciao, Tom» ricambiò Sirius, stringendogli la mano. Il locale era semi vuoto, e di Remus nessuna traccia, ma a lui piaceva comunque sempre trovarsi all’ingresso di Diagon Alley. Aveva qualcosa di magico; lui e Remus si erano dati appuntamento lì per anni, in qualsiasi posto dovessero andare, fino a diventare clienti abituali.
«Vuoi un goccetto, amico?» chiese Tom, sollevando una bottiglia di un qualche intruglio probabilmente letale. Sirius scosse la testa.
«Volevo chiederti… hai una stanza 17b?» disse, esitando un attimo. Gli sembrava ancora assurdo…
Ma Tom gli rivolse un enorme sorriso sdentato.
«Ah, sì» disse. «Il tuo amico aveva detto che forse saresti passato. Ecco la chiave».
Sirius la prese, salutò Tom con un cenno e si avviò verso le scale.
«Black!» lo richiamò il barista. «Non da quella parte!»
Sirius si girò, perplesso. Tutte le stanze del Paiolo Magico erano al piano superiore. Ma Tom sorrideva mostrando le gengive nude, ed indicò il pavimento.
«La porta di fianco al bancone, poi giù per le scale. Non puoi sbagliare: di sotto l’unica altra porta è la mia cantina, e quella è sorvegliata da Gnuf».
Sempre più allucinato da quella situazione, Sirius scese le scale; già dagli ultimi gradini cominciò a sentire il caratteristico odore pungente di un Troll da guardia, ma per sua fortuna, una volta al piano inferiore, si accorse che il bestione sorvegliava la porta più lontana dalle scale, e non avrebbe dovuto passargli davanti. Proprio di fronte a lui, invece, l’uscio era decorato a caratteri dorati. Stanza 17b, lesse Sirius. Si fece coraggio, girò la chiave nella toppa ed entrò.

«Ce ne hai messo di tempo» lo salutò Remus, dall’altra parte della stanza enorme.
Sirius si guardò intorno: non sembrava di sicuro di essere in una delle fatiscenti stanze del Paiolo Magico. Era un sotterraneo di pietra grezza, uno stanzone quasi ampio quanto la Sala Grande di Hogwarts: le torce alle pareti non l’avrebbero illuminato, da sole. In effetti, dal soffitto pendevano una moltitudine di candele rovesciate che dovevano essere incantate, perché le loro fiamme scendevano verso il basso, invece che salire: un effetto curioso, ma efficace.
«L’hai fatto tu?» chiese a Remus, accennando alla volta.
«No. Le ho solo accese, ma qui serve luce, e Tom fa un’ottima manutenzione. Questa stanza, in effetti, è il suo affare più redditizio» rispose Remus.
Sirius ancora non capiva. A parte una pedana lunga e stretta al centro del locale e un armadietto, non c’era niente di niente, lì.
«Dove siamo, Moony?» chiese, spaesato e confuso.
Remus gli si avvicinò fino a metterglisi di fronte. Si scambiarono un rapido bacio, il loro saluto abituale, prima che Sirius diventasse così nevrotico da abbandonare quella piccola abitudine. La ritrovò con piacere, ma attendeva ancora una spiegazione. Remus gli sorrise.
«Questo è il Duelling Club del Paiolo Magico» rispose Remus. «Ne hai mai sentito parlare?»
Sirius scosse la testa.
«Non mi stupisce. Di solito non è frequentato da gente molto raccomandabile».
«Tu come fai a conoscerlo?» chiese Sirius.
Remus rise, solo vagamente amaro. «Io sono un lupo mannaro. Poco raccomandabile per principio» rispose. «Scherzi a parte, me ne ha parlato Hagrid finita la scuola. Tengono anche incontri legali, qui, ma sai com’è Hagrid… non si scandalizza per qualche scommessa clandestina. Mi ha detto che, per uno bravo a combattere, qui si poteva fare qualche soldo».
Sirius era sempre più confuso. «Hagrid ti ha parlato di un Club clandestino di… duelli?» chiese.
«Nel caso non avessi avuto altro modo di portare il pane in tavola» rispose Remus, fin troppo serenamente. «Comunque, Hagrid parlava di combattimenti, non di duelli. Creature magiche rinnegate in sfide all’ultimo sangue, cose del genere… non sono mai stato particolarmente interessato. Però sì, questo posto è attrezzato perfettamente per un Duello Magico regolare e perfettamente legale, volendo».
«Un Duello Magico… perché siamo qui, Moony? Per assistere ad un Duello?»
Remus rise.
«Tu sai duellare, Sirius?» chiese, tranquillamente. Remus adorava mantenere la suspance e non dare subito tutte le risposte. Sirius lo trovava irritante; qualche volta, meravigliosamente irritante, anche.
Annuì. «Ho preso la prima lezione durante le vacanze di Natale del primo anno» rispose. «Antica tradizione da Purosangue. Ho smesso quando me ne sono andato di casa».
«Immaginavo».
«Quindi dovrei duellare? Perché?»
Remus alzò una mano e gliela posò sul viso, in una carezza molto tenera. «Perché sei di malumore e nervoso, e non mi è sfuggito che sei così da quando ti ho chiesto di essere più prudente, in missione. Ho ripensato al litigio di qualche settimana fa. Hai detto che ti mancava il brivido di qualcosa di eccitante e pericoloso e credo che tu abbia ragione. Ti sei sforzato di non fare cazzate quando lavori per l’Ordine e me ne sono accorto. Ma così ti manca uno sfogo: duellare potrebbe aiutarti».
Sirius avrebbe potuto prendersi a manate sulla fronte da solo. Remus aveva capito qual era il problema che lui stesso non sapeva identificare. Il suo ragazzo era un genio, oppure Sirius era un idiota.
«O entrambe le cose» rispose Remus. Sirius non si era reso conto di aver parlato ad alta voce, ed arrossì.
Remus, con le dita ancora posate sulla sua guancia, gli sorrise. Fece scivolare la mano sulla sua nuca, tirandoselo contro per baciarlo morbidamente sulla bocca; Sirius si sentì scaldare da quel bacio quasi quanto dall’idea che Remus avesse organizzato tutto quello per lui.
«Allora, vuoi duellare?» gli chiese Remus sottovoce, quando si separarono. Sirius annuì. L’idea era eccitante.
«Con chi dovrei scontrarmi?» chiese.
Remus rise.
«Ma con me, ovvio!» rispose.
Sirius spalancò gli occhi, perplesso. «Tu sai duellare?» chiese.
Remus sorrise, serafico. «Ho imparato un paio di mosse da mio nonno; credo di essere all’altezza».
«Moony,» disse Sirius, «io ho molta più esperienza, e un duello può essere una cosa sgradevole se…»
«O forse hai paura, Padfoot?» lo interruppe Remus, con un sorriso sul viso che poteva essere la pubblicità del perfetto Malandrino e gli occhi scintillanti. Quell’espressione era una sfida aperta.
«Mai, Moony» dichiarò Sirius, rispondendo con un ghigno molto simile.
Sarebbe stato divertente.

Il complesso cerimoniale del Duello Magico era una noia mortale, pieno di riverenze e svolazzi inutili. Per fortuna di Sirius, Remus era più che ben disposto a limitarsi alla versione ridotta più comune tra i maghi meno pieni di sé: dieci passi, un inchino, uno, due, tre, via.
Fin dal primo istante si rese conto che duellare con Remus era molto diverso da come se lo era aspettato: aveva pensato di doverci andare piano, di avere a che fare con un novellino. Remus invece cambiò immediatamente la presa sulla bacchetta da quella del cerimoniale ad una specifica dei duellanti particolarmente abili con la Trasfigurazione; era quasi una mossa da professionisti.
Sirius, non da meno, riconobbe la presa e preparò la contromossa immediatamente, ma Remus lo stupì: lo attaccò con un incantesimo non verbale che Sirius non era pronto a parare. Sirius si sentì la testa leggera: non si rese conto di cosa gli fosse successo finché non vide lunghe ciocche di capelli neri, dei suoi capelli neri, cadere a terra tutto attorno a lui. Guardò Remus, che aveva un’espressione soddisfatta di sfida sul viso, e sentì un familiare brivido alla schiena. Moony non avrebbe fatto nulla che potesse nuocergli seriamente, ma non si sarebbe risparmiato nessun dispetto ed era senza dubbio un avversario all’altezza di Sirius, se non migliore. L’adrenalina rese fluidi i suoi movimenti e Sirius spedì una fattura a Remus, che la respinse all’ultimo con uno scudo, senza perdere il sorriso. Di nuovo, Sirius annullò la controfattura rapidamente, pensando già alla mossa successiva, lasciandosi guidare dall’istinto e sentendo il tempo farsi suo amico mentre studiava ogni dettaglio della postura e dell’espressione di Moony, senza per questo perdere un secondo di duello.
Sarebbe stato molto più che divertente, pensò Sirius, prima di lasciarsi prendere dalla bellezza di quella sfida: sarebbe stato potente, eccitante e dannatamente pericoloso. In una parola, perfetto.

Sirius si lasciò cadere a terra, sfinito. Appena un secondo dopo, Remus si sdraiò con appena un po’ più di grazia al suo fianco, ansimando pesantemente. Aveva la faccia ricoperta di bolle, i capelli verdi e i piedi grandi come quelli di uno dei clown babbani che avevano visto insieme quando erano andati al circo con la famiglia di James, l’estate del loro sesto anno. Sirius, per parte sua, aveva al posto del naso una sorta di proboscide che gli sfiorava il mento, i capelli corti come non li portava più da quando aveva sei anni e una lunghissima barba per compensare. Dalle orecchie gli spuntavano due carote e, con suo grande smacco, i suoi vestiti erano diventati un’imbarazzante veste rosa piena di pizzi.
Entrambi ridevano come matti.
«Dichiariamo una parità?» chiese, spostandosi leggermente per posare la testa sulla spalla di Remus senza che le carote fossero d’intralcio.
«Ho palesemente vinto io, ma per questa volta te la concedo» disse Remus. Sirius pensò di obiettare, ma non era sicuro di averne la forza.
«Però i capelli sono stati una cattiveria gratuita, Moony» si lamentò, dopo aver ripreso un po’ di fiato.
«Mica tanto» rispose Remus, ridendo. «Prongs mi deve cinque galeoni».
Sirius si sollevò quel tanto che bastava a guardare in faccia Remus. Non gli sembrava che scherzasse. «Per quale motivo?» chiese.
«Ho scommesso che sarei riuscito a farti tagliare i capelli per la foto di gruppo dell’Ordine che Moody vuole scattare domani» rispose Remus. La luce malandrina di prima brillava ancora nei suoi occhi.
«Bastardo» commentò Sirius. «Ci hai fregati entrambi».
«Mi piace vincere».
«Ho notato» rispose Sirius. «Dove hai imparato a duellare così?»
«Da mio nonno, te l’ho detto» disse Remus. «Sai quando Vitious si vantava di aver vinto il titolo di Campione dei Duelli di Hogwarts, prima che chiudessero il Club? Lo vinse solo al suo ultimo anno, dopo che mio nonno si era diplomato: i quattro anni precedenti perse contro di lui in finale».
Sirius fischiò. «Questo è barare, Moony» lo prese in giro.
«Io la chiamerei una preziosa tradizione di famiglia» rispose Remus.
Risero entrambi, poi restarono in silenzio per qualche momento. Sirius sentiva il battito del cuore di Remus sotto la sua guancia. Era un bel suono, rilassante dopo il ritmo serrato e l’eccitazione veloce del duello. La combinazione lo faceva sentire vivo.
«Sirius…» riprese Remus, dopo un po’. «Io non volevo dirti di smettere di impegnarti per l’Ordine, la sera in cui abbiamo litigato».
Sirius si fece attento. Il tono di Remus era quello di un discorso importante.
«Non voglio perderti. Mi terrorizza l’idea, ma siamo in guerra. Non ti chiederei mai di non dare il massimo, di restare lontano dai combattimenti o anche dal pericolo. Ti stai sforzando troppo».
Sirius annuì.
«Ti fa male stare così. Non è quello che voglio, soprattutto se non ti fa felice. Quelle che devi evitare, per il tuo bene ma anche per il mio, sono le cazzate senza motivo; non voglio perderti perché decidi di strafare, o di farti inseguire da cinque Mangiamorte dopo la ritirata, o perché non sai dire basta».
«Una via di mezzo?» chiese Sirius. «Un compromesso?»
«Un punto di equilibrio, sì» rispose Remus. «Pensi di potercela fare?»
Sirius ghignò. «Possiamo tornare qui a duellare così, se dovessi di nuovo sentirmi di malumore?» chiese. Era stata un’esperienza notevole ed incredibilmente intensa.
«Sporadicamente» rispose Remus. «Questa sala ci sta costando dieci galeoni l’ora, che per inciso io non ho, quindi pagherai tu».
Sirius rise. «Forse posso provarci, allora» disse. «Un’altra cosa…»
Remus annuì, in attesa.
«Puoi farmi ricrescere i capelli, dopo che Prongs avrà pagato la scommessa?» chiese.
Remus scoppiò a ridere e Sirius, ancora appoggiato su di lui, sentì vibrare quella risata profonda fin dentro le proprie ossa.
«Non lo so» rispose Remus, baciandogli la testa. «Ti confesso che mi piacciono parecchio, così».
Anche Sirius rise, solo vagamente lusingato dal complimento.
Forse anche su quel punto potevano trovare un compromesso…

 


Note noiose:
Il titolo, “Duelling Club”, è il nome inglese originale di quello che in italiano è tradotto semplicemente “Il Club dei Duellanti”. Ho voluto lasciare il titolo e il nome nel testo in inglese per richiamare vagamente il film Fight Club (che personalmente non ho visto, ma di cui conosco la trama a grandi linee per colpa di un amico appassionato), che mi è venuto in mente mentre pianificavo la trama di questa fic. Nella mia mente l’associazione c’è, ma non conoscendo il film potrebbe anche essere solo lì, in effetti.

Questa fic è stata scritta per il contest "Slash Vs Het", e si è classificata terza a pari merito per il primo turno, ricevendo questo giudizio.

Duelling club - Miki_tr

Grammatica: 9.3/10
Stile: 9.5/10
Originalità: 5/5
Caratterizzazione: 10/10
Gradimento personale: 3/5

Totale: 38.8/40

Ciao!
La tua storia mi ha fatto sudare sette camicie, ma dico, dodici pagine? :)
Nella grammatica ho trovato qualche errore, che però si sarebbe potuto facilmente evitare:
-Nella frase “Sirius amava combattere, anche cinque - forse quattro, se lo Schiantesimo era andato a segno - contro uno.”, fra il secondo trattino e la parola “contro” ci sono due spazi;
-Nella frase “Remus si alzò da terra, spolverandosi i pantaloni; poi si girò verso Sirius, passandosi una mano tra i capelli sudati e guardandolo con un aria di preoccupata commiserazione che aveva il potere di fargli perdere le staffe ogni volta, immancabilmente.”, hai scritto “un’aria” senza apostrofo;
-Nella frase “Del periodo successivo alla sua fuga da Grimmauld Place ricordava solo una grandissima frustrazione e lo sforzo incessante di dover fingere di essere totalmente contento, senza dubbi o ripensamenti.”, ci sono due spazi fra “fuga” e “da”;
-Nella frase “Moony non avrebbe fatto nulla che potesse nuocergli seriamente, ma non si sarebbe risparmiato nessuno dispetto ed era senza dubbio un avversario all’altezza di Sirius, se non migliore.”, hai mancato di troncare la parola “nessuno” davanti a dispetto.
Lo stile è molto buono, piacevole e coinvolgente, anche se ti hanno un po’ penalizzata la ripetizioni di “fare”, “sentire” e “dire” all’interno di alcune frasi. Inoltre, hai posto molte volte delle congiunzioni all’inizio di frasi. Io non lo conto come un errore grave, ma se sono ripetute spesso possono disturbare un po’ la lettura.
L’originalità c’è al massimo, e anche la caratterizzazione è… perfetta. Amo il tuo Sirius, da morire!
La storia mi è piaciuta, anche se non mi ha colpito particolarmente, mi ha lasciato poco, ecco.
Riconosco tuttavia che sia molto bella, amo davvero il tuo modo di scrivere.
Complimenti e grazie per aver partecipato al primo turno del contest!
Bliss.

 

 

  
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