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Autore: LauFleur    29/11/2011    21 recensioni
Edward Cullen: un ragazzo, un figlio, un fratello. Un figlio costretto a rimettere insieme i pezzi di ciò che i suoi genitori hanno frantumato. Un fratello tormentato dal pensiero che la felicità di sua sorella sia minacciata dalla tristezza delle loro vite. Un ragazzo ossessionato da Isabella Swan, la donna che riesce a calmare quel mare in tempesta che è diventata la sua vita.
[Rating rosso per il primo extra.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Per prima cosa, grazie. Per due motivi:

1) Continuate a leggere e a commentare anche a distanza di mesi, e non può che farmi un piacere immenso.

2) Ieri sera ho saputo che “Il regalo” è stata inserita nelle Storia Scelte. Non potete immaginare quanto sia BELLA questa notizia per me. Gongolo da quando è arrivata la mail. E il merito è tutto, tutto vostro. In particolare, ci tengo a ringraziare con tutto il cuoricino VerdeEvidenziatore e la mia adorata Lele Cullen per aver segnalato la storia. Grazie, grazie, grazie.

 

Seconda cosa, ho creato un account Facebook per tenervi aggiornati di eventuali nuovi extra o, magari, nuove storie. Potete trovare il collegamento sulla mia pagina, qui su Efp. Mi farebbe  piacere avervi tra gli ‘amici’.

 

Terza cosa: eccovi il primo extra. Mi dispiace di averci messo un bel po’ di tempo ma sono stata completamente risucchiata prima dalle vacanze, poi dalla sessione di settembre e infine dall’inizio di questi corsi maledetti.

Questo è il primo classificato (ringrazio chiunque abbia espresso una preferenza).

Preciso che, a differenza di tutti i precedenti capitoli, il rating è rosso. Ed è ambientato alla fine del nono capitolo “Miraggio”.

Buona lettura. E grazie fin da ora.

 

____________________

 

 

Extra 1 – Prima volta

 

Si alzò con le gambe che tremavano. I brividi lo scuotevano dalla testa ai piedi, le lacrime ancora gli rigavano le guance. In quel mare di confusione e stordimento, aveva solo una certezza: l’unica cosa che lo teneva fermo, intero, vivo erano le mani di Bella. La sua presenza. La sua esistenza.

Senza pensare, senza riflettere, senza parlare, solo con la voglia di assecondare ogni suo bisogno, le afferrò la testa e la baciò. Finalmente libero dalle lacrime versate, e dal peso di tutte quelle che aveva sempre nascosto, l’unica cosa che restava era la voglia di averla.

Come aveva sempre voluto, ma non aveva mai avuto il coraggio di fare. Bloccato dalla paura di sbagliare, perdere, rompere. Con le mani legate dal bisogno di eseguire ogni passo nel tempo giusto.

Ora le catene erano rotte. Spezzate. E le aveva mandate in mille pezzi proprio lei. Quella straordinaria donna che continuava a capirlo e ad amarlo. Quella donna che si era presentata di fronte a lui con il cuore aperto. Un sorriso pronto. Un paio di tacchi alti, un vestito che sembrava cucito sulle sue forme e i capelli raccolti che le lasciavano scoperto il collo.

“Edward,” si allontanò stringendo gli occhi, come se ogni centimetro lontano da lui fosse una piccola coltellata. “Piano.”

Sentiva la sua irruenza, il suo bisogno, ormai cieco. Sentiva le labbra affamate, la lingua calda intrecciata alla sua, il viso bagnato di lacrime che bagnavano anche il suo. Le sue mani strette ai capelli, intorno al collo, sulla faccia, sui fianchi, dentro il cappotto. Le sue mani dappertutto.

“No, Bella.” E la fermezza nella sua voce riuscì a impaurirla e a eccitarla nello stesso tempo. “Non ne posso più.”

Senza smettere di baciarla, di toccarla, di mangiarla, l’afferrò per i fianchi e la costrinse a camminare insieme a lui. Raggiunsero una porta nascosta tra due scaffali, Edward l’aprì senza guardare, con una mano, che per qualche secondo fu privata del tocco di Bella.

Era buio. Un buio che, proprio come il nuovo Edward, la impauriva e le piaceva.

“Cos’è?” riuscì a chiedere, tra un bacio e l’altro.

“Un magazzino” e le strappò il cappotto di dosso.

“Quella donna-“ un bacio “potrebbe entrare-“ le labbra “in qualsiasi momento” la lingua.

“Bella,” si fermò all’improvviso, con le mani ancora tra i suoi capelli. La guardò fissa negli occhi, e lei ebbe l’impressione che la potesse trapassare. “Non me ne frega niente. Ti voglio. Ora.”

E quelle furono le parole che fecero crollare ogni muro. Ogni dubbio. Ogni paura.

I loro respiri accelerati divennero uno soltanto. I pensieri, le labbra, le mani. Una cosa sola.

Edward le strinse le natiche, le accarezzò, portandosi con sé il vestito. Glielo alzò fino ai fianchi, fino a liberarla dal tessuto che le nascondeva quelle mutandine che troppe volte lui aveva solo immaginato. La prese in braccio, incastrato tra le sue cosce, con le dita che già avanzavano tra il pizzo nero, e si bloccò quando la schiena di Bella raggiunse uno scaffale. Premette la sua erezione sull’inguine di lei, la sentì gemere, e perse anche l’ultimo briciolo di controllo. Si liberò della cintura, dei jeans, dei boxer. Fino alle ginocchia, quel poco che bastava per farla finalmente sua.

Scostò le mutandine, la guardò negli occhi, respirarono insieme. E poi, finalmente, fu tutto perfetto.

 

 

Erano ancora vestiti. Se ne rese conto all’improvviso, quando la furia svanì e lui si ritrovò con la schiena contro lo scaffale e il corpo di Bella abbandonato sul suo fianco. Si era limitato ad alzarle il vestito, abbassarsi i pantaloni, non aveva fatto nient’altro. Niente carezze, nessuna frase dolce. Per un attimo si pentì di tutta quell’irruenza. Poi lei alzò leggermente la testa, gli baciò la gola, la mascella, le labbra, e quell’attimo scomparve.

Quando finalmente aveva deciso di fare l’amore con Bella, tutto il tempo del mondo sembrava essere stato risucchiato da una forza più grande di loro. Più grande di lui. Aveva lasciato comandare le mani, le dita, la lingua. E lei. Lei perfetta, lei meravigliosamente perfetta. Mentre chiamava il suo nome e si aggrappava alle sue spalle. Mentre lo faceva sdraiare sul pavimento, gli saliva sui fianchi, ballava su di lui quella danza che già amava e gli permetteva di ammirarla in tutta la sua straordinaria bellezza.

“Raccontami qualcosa.” gli disse.

Edward abbassò lo sguardo. Gli occhi si erano abituati al buio e riusciva a vederla. I piedi scalzi che si strusciavano sui suoi jeans. Il vestito che ancora nessuno dei due aveva intenzione di abbassare. Le mutandine che disegnavano la perfetta linea dei suoi fianchi. Il suo seno che gli premeva sul fianco. La cascata di capelli che gli solleticavano il viso.

Esiste qualcosa di più bello?

 “Avremo tutto il tempo per parlare. Adesso voglio soltanto starmene qui e continuare ad accarezzarti la coscia.”

“Dai,” insistette. “Un aggiornamento veloce. La mano puoi lasciarla dov’è…”

Una risata gli salì nel petto, fino alla gola. “Ah, si?”

Si sistemò meglio contro lo scaffale, tenne Bella ancora più stretta e a voce bassa aggiunse, “Allora, vediamo di darti quest’aggiornamento lampo. Ho lasciato il lavoro, ho ricominciato a studiare, ho una macchina e una mamma. E mi sei mancata.”

Le sue labbra trovarono i capelli di Bella e, con un bacio, a occhi chiusi, si perse nel suo profumo.

“Rosalie come sta?” chiese lei, quasi sussurrando. “A scuola sembra tranquilla.”

“La solita Rosalie. La Rosalie che sembra tranquilla, ma che in realtà si consuma con pensieri più grandi di lei. Però è più serena di qualche settimana fa… Forse le ha fatto bene smettere di mangiare tutti i giorni la robaccia bruciacchiata che le cucinavo io e ricominciare a gustarsi la cucina di sua madre.”

“Non essere così cattivo con te stesso. Gli spaghetti che hai cucinato a me non erano né troppo scotti né troppo sciocchi…”

“Simpaticona!” rise. “Ah, dimenticavo la novità più importante: ha finito di leggere La pietra filosofale. E, con mio grande piacere, ha trascorso un giorno intero con un asciugamano avvolto intorno alla testa come un turbante fingendo di avere la faccia di Voldemort sopra il collo!”

Bella scoppiò in una risata fragorosa, che superò tutti gli strati che li dividevano, gli entrò nel petto e lo scaldò.

“È tutta colpa tua!” aggiunse Edward, con il sorriso sulle labbra.

Lei, continuando a ridere, alzò lo sguardo. Incontrò i suoi occhi e restò spiazzata dalla totale spensieratezza che riusciva a leggerci dentro. Una leggerezza che forse, in tutti quei mesi di sguardi rubati, appuntamenti e baci, non aveva mai visto. “Ecco, vedi?” disse. ”Questo è uno dei tanti motivi per cui ti amo.”

Lui rimase a bocca aperta, con un sorriso storto bloccato a metà. Non ebbe la lucidità per parlare, per respirare, per chiederle di cosa stava parlando, la lucidità per risponderle anch’io, anch’io, anch’io da sempre.

Poi, in quel silenzio traboccante di parole non dette, lei aggiunse, “Quando parli di tua sorella sei ancora più bello.”

 

Salirono le scale vicini. Edward, con lo zaino che gli penzolava dalla spalla, le offrì il braccio, e un sorriso. Lei si aggrappò a lui e insieme passarono davanti al bancone.

“Addio, mio piccolo angolo di pace!” le sussurrò all’orecchio, dopo aver educatamente salutato la bibliotecaria.

“Mi dispiace.” rispose Bella. “Devo trovare un modo per farmi perdonare.”

Mentre si stringeva al cappotto e usciva dalla biblioteca, con Edward che le teneva aperta la porta, aggiunse, “Potresti venire a studiare a casa mia. È sempre vuota. Non ti disturberà nessuno e quando tornerò a casa dalla scuola, troverò te. Che ne dici?”

Lui s’immaginò come sarebbe stata, una giornata tra le pareti di Bella. Vederla aprire la porta di casa, salutarla con un bacio, sentire la stanchezza svanire. E tornò a chiederselo: esiste qualcosa di più bello?

“Mi sembra un’idea meravigliosa.” disse, con una voce bassa e ferma che cercava di nascondere l’impazienza.

Raggiunsero l’auto, un sorriso illuminò le labbra di Edward, finalmente orgoglioso di non essere costretto a farla salire su un manubrio.

“Et voilà!” Schiacciò il pulsante e le sicure si aprirono.

“Wow! Ho il permesso di salire a bordo?”

Si avvicino alla portiera del passeggero, l’aprì e, facendole l’occhiolino, sussurrò “Permesso accordato, signorina Swan.”

Guidava con calma, con una mano sul volante e una sul cambio. Sentiva il motore cantare, le ruote scivolare sull’asfalto, la musica leggera che usciva dalla radio e li coccolava. Si voltò a guardarla. Era buio, il debole sole di quel pomeriggio era già stato inghiottito dall’inverno. Le luci della strada le illuminavano il viso, si specchiavano nei suoi occhi, le disegnavano le labbra. Lei gli aveva chiesto dove la stava portando, lui non aveva risposto. Vivevano nel silenzio da quando erano entrati in macchina. Un silenzio semplice, spontaneo, che non aveva bisogno di essere riempito. Lei guardava fuori dal finestrino e sembrava sorridere. Solo un accenno, ma sembrava un sorriso.

“Mi dispiace.” disse lui, all’improvviso. E come le parole lasciarono le sue labbra, smise di guardarla e tornò a fissare a strada.

“Per cosa?” Si voltò, cercò i suoi occhi senza trovarli, il lieve sorriso scomparve.

“Per te, per noi… anche per lui. Mi dispiace per quella sera.”

“Ed-“

“Mi dispiace di averti costretta a guardarmi mentre mi distruggevo. Mentre distruggevo tutto quello che avevamo.”

“Edward,” allungò un braccio e posò la mano sulla sua, cercò le dita strette intorno al cambio e le intrecciò alle sua. Lo costrinse a stare in silenzio, ad accantonare il passato. A dimenticarlo, almeno per quel pomeriggio di pace. “Va tutto bene. Andrà tutto bene.”

Quella frase Edward l’aveva sentita un’infinità di volte. Nella sua testa, in ogni sfumatura della sua voce. Ripetuta come una ninna nanna a sua sorella, come una supplica a sua madre. L’aveva detta e sentita fino a perdere il senso delle lettere, delle sillabe, del suono. Ma soltanto in quel momento – nella loro immobile tranquillità, con la musica della voce di Bella che lo cullava e gli cantava non sei più solo, con tutto il loro mondo dentro quell’auto e tutto il resto fuori - soltanto in quel momento, per la prima volta, riuscì a crederci.

 

“Siamo arrivati.”

Bella si guardò intorno. Riconobbe il giardino, il portico, la bicicletta. Le finestre erano illuminate.

“È casa tua.” Non capiva. Rimase seduta, con la cintura ancora allacciata. Edward fece il giro dell’auto, le aprì la portiera, la guardò.

“Ho deciso che oggi è la giornata dei desideri. I miei e i tuoi. Ne realizzerò il più possibile.”

“Continuo a non capire.”

“Te lo ricordi il nostro primo appuntamento? Mi dicesti che ti sarebbe piaciuto fare una cosa.”

“Ti assicuro che quella sera avevo voglia di fare tante, tante cose… ma non mi sembrava di avertelo fatto sapere!”

Edward rise, quella risata rauca che la faceva impazzire. “Basta indovinelli, seguimi.”

E lei lo seguì.

La casa era calda, luminosa, dalla cucina arrivava il profumo di sugo, ma, nonostante i segni di vita, sembrava vuota. Edward le prese il cappotto, poi si tolse anche il suo. La fece accomodare sul divano e, divertito dall’espressione confusa di lei, si allontanò.

Spostò lo sgabello, si sedette e si sistemò per essere il più comodo possibile. Sfiorò i tasti, li salutò come se fossero amici che non sentiva da mesi ma che non aveva mai dimenticato. Sembravano freddi, soli, chiedevano compagnia. Sentiva il peso dello sguardo di Bella sul collo, sentiva la sua impazienza, ora che finalmente aveva capito.

Dandole le spalle, sorrise. A lei, a loro, a tutto quello che li aveva portati fin lì.

Raddrizzò la schiena, piantò bene i piedi per terra e lasciò che le sue dita prendessero vita.

La musica riempì la stanza, le orecchie, il cuore. Una musica che urlava disperazione, pregava pace, esultava per averla ricevuta. Una musica che raccontava lacrime, promesse, passeggiate. Urla, pugni stretti, una corsa giù per le scale. Raccontava libri, capelli profumati, pizzo nero. Raccontava loro, raccontava lui.

Bella si lasciò abbracciare dal divano, si accomodò sui cuscini e, con lo sguardo fisso sulle spalle concentrate ma leggere di Edward, sentì le lacrime riempirle gli occhi. Aveva voglia di piangere, ridere, alzarsi e abbracciarlo, rimanere seduta e guardarlo. Guardarlo ancora, e ancora.

Passi leggeri scesero le scale. Rosalie rimase senza parole, con gli occhi sbarrati e un sorriso che si faceva strada per illuminarle il viso. Per un attimo, si chiese se fosse tutto vero. Se quella fosse la sua casa, se quello fosse suo fratello. Raggiunse il divano, vide la signorina Swan – proprio la signorina Swan! - e si accorse che piangeva. Si preoccupò, ma poi capì che erano lacrime belle, di quelle che quando le versi non fanno male. Si sedette accanto a lei, Bella le passò un braccio intorno alle spalle.

“Gli hai fatto un incantesimo, di’ la verità. La maledizione Imperius, giusto?” scherzò la bambina.

“Non ho fatto niente, giuro. Sono solo una povera babbana.” rise Bella, alzando le mani per ribadire la sua innocenza. “Ha fatto tutto da solo.” E, tornando a guardarlo, si rese conto di quanta verità ci fosse in quelle parole.

“Erano mesi che non suonava!” bisbigliò Rosalie, ancora incredula.

“E ascoltarlo è ancora più bello di quanto ricordassi.” Si voltarono di scatto. Esme aveva parlato piano, come se avesse avuto paura di disturbare, spezzare l’atmosfera. Si sedette anche lei, trascinata dalla cucina al divano dalla magia delle note di suo figlio.

Con le dita che ancora danzavano su tasti, Edward si voltò. Trovò su di sé lo sguardo fiero delle sue tre donne. Si perse nel volto luminoso di sua sorella, si emozionò di fronte a sua madre che si era portata una mano sul cuore. Si specchiò negli occhi lucidi di Bella e le sorrise. Un sorriso che sembrava nato per quelle labbra e destinato a quegli occhi.

Fu il suo modo per dirle: “Guardami. Ti amo anch’io.”

E lei lo capì.

  
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