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Autore: Rucci    29/11/2011    6 recensioni
Sono più abituato ad eseguire gli ordini, che a decidere per me stesso.
Ad eseguire gli ordini, però, quello sì. In quello sono molto bravo.

Mandrake Fedor, la Guerra Sacra del Novecento e le previsioni ottimistiche.
{what if post-Hades; spectre-centric; missing moments; exc.}
{personaggio del Lost Canvas translato in universo canonico}
Genere: Dark, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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III)


Nel ragazzo in piedi di fronte ad un negozio vecchio Fedor aveva riconosciuto uno dei luminosi santi di Athena. Prima della Guerra, forse, gli avrebbe rivolto parole di scherno: viso da bambola, l'avrebbe chiamato, per quel pallore delicato e i capelli biondi da principessa. Ma lo sguardo che gli rivolse non aveva nulla di fanciullesco.
Viso da bambola aveva penetrato le porte dell'Inferno.
Viso da bambola non aveva conservato la speranza per cantarci una bella canzone, ma per farci esplodere i muri della Giudecca.
Viso da bambola era l'ultimo rifugio del perdente.
Attraversò la strada a falcate pesanti, pestando la brina raggrumata ai bordi del marciapiede. Orme sporche, aria fredda. Clima di merda. Spalancò le braccia in un sorriso beffardo:
“Benvenuto in Grande Madre Patria Russia.”
“Non scherzare.”
Gli rispose il ragazzo nella sua stessa lingua. Così Fedor capì esattamente chi si trovava di fronte.
Gli rispose, adattandosi d'istinto:
“Che cosa ci fai, qui?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Pari è patta.
Così passarono cinque minuti in silenzio, non trovando di meglio da fare che scrutare attentamente l'interno della vetrina. Era un negozio di antiquariato, o solo di roba vecchia, e i riflessi sul vetro erano scuri, tanto che Fedor credeva che fosse chiuso. Invece di lì a poco la porta si aprì, e fece uscire con un lieve tintinnio una donna curva sotto il peso degli anni. Il saint vi scambiò uno sguardo, lo spectre nessuno. Rimasero in silenzio a guardare un altro po'.
“Che cosa stai guardando?”
“Dietro quel mazzo di carte da gioco, tra quelle spille d'argento.”
“È qualcosa di tuo?”
“Sì.”
“Possiamo entrare a prenderlo. Non ho niente da fare.”
Hyoga di Cygnus alzò lo sguardo al suo interlocutore, finalmente. Non l'aveva più fatto, da quando si erano squadrati l'uno dall'altra parte della strada. In seguito, aveva solamente accettato la sua presenza al suo fianco, gli occhi immersi nella polvere della vetrina.
Lo studiò lungamente, e allora Fedor si accorse che aveva un occhio bendato. Il sinistro. Speculare al suo.
Nella polvere di diamanti c'erano un occhio e un altro occhio fermi a guardarsi direttamente, e la cosa gli diede un brivido.
Pensava che l'avrebbe liquidato con una risposta fredda, ritornando a rivolgere lo sguardo all'interno; pensava che se c'era qualche cosa da spartire tra saint e spectre sarebbe successo subito, lì, al freddo, in poche stilettate tra nemici usciti dalle tombe.
“Sei mai stato in questo posto?”, domandò invece il saint.
“No”, rispose lui, mascherando la sorpresa. “Dovrei?”
Il ragazzo – il ragazzino, quanti anni poteva avere quella cosetta bionda? - lo oltrepassò, silenzioso, girandogli attorno. Fedor lo seguì con lo sguardo, e vide che era già con la mano sulla porta. Attese qualche secondo, prima di spingere per aprirla, e Fedor capì che la chiacchierata era soltanto iniziata.

“Quindi è questo quello che ti appartiene? Questo medaglione?”
“Non toccarlo.”
Fedor fermò la mano a mezz'aria, sbuffando.
“Se non sei qui per venire a riprenderlo, perché siamo entrati?”
“Non vedi che la signora è uscita? Siamo soli, qui dentro.”
“E allora?”
“Allora aspettiamo.”
Incomprensibilmente, lo assecondò di nuovo. Siccome non c'era nessuno, però, lo spectre allungò la testa sul ripiano, osservando gli oggetti vecchi e meno vecchi, alcuni coperti da un velo di polvere. Accarezzò il dorso della scatola di carte che giaceva vicino ai gioielli.
“Queste non sono carte da gioco.”
“Come?”
“Questi sono tarocchi.”
Quelli, siccome non c'era nessuno a protestare, Fedor li prese in mano.
“Li sai leggere?”
“Un po'. Vuoi vedere il futuro?”
Hyoga socchiuse appena l'occhio azzurro, studiando il suo interlocutore come sul campo avversario.
“Non fare quella faccia. Non ti getterò addosso alcuna maledizione. E poi, non sono così bravo. Ho un amico molto più bravo di me in questo genere di cose.”
“Non schermirti”, rispose lui, con più calma di quando Fedor si aspettasse dall'occhiata. “Se non le temi, butta pure giù le carte.”
“E da quando stiamo parlando di me?”
“Sei tu che stai parlando di te. Tu li hai presi.”
Fedor si irrigidì. Lo sguardo del ragazzo era limpido.
La luce era poca, ma dovette riconoscerlo. Viso da bambola stava in piedi molto meglio di lui.
Quando taceva era perché non c'era bisogno di parlare. Quando alzava lo sguardo era per osservare qualcosa d'importante. Non c'era vodka nella sua pancia a dargli il calore che gli serviva per camminare.
“Vuoi vedere il futuro?”, gli domandò a sua volta.
Non urlare, Fedor.
“Credi che io ne abbia paura?”
“Lo stai dicendo tu.”
Non urlare, Fedor.
D'accordo.
Davanti al Saint che non ne sapeva nulla, Fedor estrasse una carta dal mazzo. La buttò sul ripiano tondo del tavolino che li divideva. Poi un'altra. Poi un'altra. Sul centrino di pizzo, liso e perfettamente pulito, spiccarono la Luna, il Matto e l'Appeso.
Tanta roba.
Byaku sicuramente ne avrebbe estratto concetti più elaborati.
La cosa più elaborata che Fedor riuscì a pensare fu un bel vaffanculo.
Davanti al saint che non se sapeva nulla, provò a pensare a che cosa avrebbe detto il Negromante al posto suo. Gli aveva fatto le carte un numero sufficiente di volte per potere immaginare come sarebbe andata la scena.
La Luna ti indica un sentiero al buio, avrebbe detto Byaku. Sei guidato solamente dagli istinti. Hai paura a compiere il passo successivo. Di che cosa hai paura?
La Luna indica un sentiero oscuro”, tradusse lui. “Nell'arco di un percorso, può indicare esitazione. È all'inizio. Forse il timore è infondato. Forse serve solo la forza per procedere.”
Sì, diciamo così, se proprio ci tieni.
Sì, grazie, Byaku. Un po' di ottimismo. Andiamo avanti.
Il Matto è il caos dal quale tutto nasce, avrebbe detto Byaku. Non vede dove va, ma non se ne cura. Il suo cammino nulla lascia presagire. Dove stai andando?
Il Matto è il caos dal quale tutto nasce. Con questa carta si ricomincia da zero”, tradusse nuovamente. “Non vede dove va, ma la sua sicurezza istintiva lo difende dai pericoli. Il matto è spensierato.”
Come tutti i matti.
Sì, certo.
Non mi sembra un buon termine di paragone.
Sì, ma da qualche parte si dovrà pur partire, no? Avanti.
L'Appeso simboleggia l'arresto, avrebbe detto Byaku. E non per tua volontà. Le circostanze esterne ti rendono impotente ed incapace di importi. Ed è sempre necessario un sacrificio per superare la crisi.
L'appeso è una situazione di stallo”, addolcì Fedor. “bloccata senza apparente via di uscita. Con un'adeguata riflessione, bisogna cercare di capire qual è la cosa da abbandonare per incominciare un ciclo nuovo.”
Delizioso.
Faccio del mio meglio.
E ora pagami.
Hyoga di Cygnus alzò la testa e studiò il disegno delle carte, ma non proferì parola. Per un attimo Fedor si domandò se per caso si fosse lasciato sfuggire l'ingiunzione di pagamento, ma era abbastanza certo di averla lasciata lì, nella sua testa, con la faccia del cartomante di fiducia. Non aveva voglia di passare per schizofrenico con un bronze saint.
Ho capito.”
Disse il bronze saint.
Aveva capito, diceva.
Aveva capito. Come no.
Pare che tu sia nei guai.”
Neanche lo guardava più in faccia.
Di là dal bancone, come se ci fosse qualche negoziante fantasma pronto a restituirgli il suo dannato cimelio.
E che tu abbia davvero un po' di paura.”
Non urlare, Fedor.

La storia della sua vita.
Genitori che non si parlano, un bambino spostato come un oggetto. Sua nonna, decrepita, a spiare tutto dalla poltrona con i suoi brutti occhi da avvoltoio. Non credeva che l'aria ferma potesse essere così fredda. Rarefatta, come quella delle bambole sotto le campane di vetro.
Non urlare, Fedor.
Le persone ferite e i loro sguardi di accusa. Uomini grandi e grossi rintanati nei loro angoli, guarda, guarda com'è comodo, guarda i miei occhi da cane bastonato, Fedor, dispiaciti, corri da me. Yuri e Matt e Josh e Comesichiama e Comesichiamaquell'altro. Non provi pena per me, Fedor?
Non urlare, Fedor.
Byaku che prende pegno e tace. I mutismi, le labbra serrate per il troppo orgoglio di entrambi. Le decine e le centinaia di volte che Fedor mandava giù parole per il gozzo e se le lasciava lì a marcire.
Non urlare, Fedor. Non urlare, Fedor.

Fedor.” Risuonò netto nell'aria chiusa del negozio. “Ti chiami così?”
Sì.” Prima di domandargli il perché, Fedor si ricordò del nome cucito sulla vecchia maglia del college. Aggiunse solamente: “Mandrake.”
Io sono Hyoga di Cygnus.”
Lo so chi sei tu.” Si sforzò di non suonare astioso. Ma era difficile. “Che cosa vuoi? Che cosa stiamo aspettando di preciso?”
Io sono venuto a prendere una vecchia cosa del mio passato”, disse il ragazzo.
Viso da bambola aveva le spalle la metà delle sue e decisamente più dritte. Oltre a dire cose che avrebbe voluto dire lui – o meglio, avere anche solo la certezza di poter dire qualcosa del genere. Invece non ne aveva mezza.
E tu?”
Io?” rispose Fedor, infatti. “Io non ho proprio niente da riprendere indietro.”
E allora perché sei qui a Mosca?”
Mosca non è la mia città.”
Questa volta Hyoga di Cygnus reagì.
Lo degnò del suo sguardo, dall'unico occhio azzurro.
Aveva detto qualcosa che lo aveva sorpreso, pare.
Non la è?”
È San Pietroburgo. E fa anche più freddo di qua. Un freddo da gelare la pancia.”
Sì, ho presente.”
Simpatico.
In effetti doveva essere uno che di freddo se ne intendesse. La cosa un po' lo faceva ridere e un po' incazzare assieme. O forse era il nervosismo più generale di quando si comincia a scoperchiare un po' di scatole vecchie.
Allora perché sei qui?”
Ah, non lo so. Per farmi una vodka come si deve.”
Per ritornare, sì, ma non-del-tutto: senza dirlo a nessuno, tanto per cominciare, che sa troppo di cosa ufficiale. Non ritornare che ritornare era una cosa seria. Mosca era sempre la Russia, ma era ancora lontana da San Pietroburgo. Una soluzione di comodo. Un quasi-ritornare. Un ritorno monco. Una cosa a metà. Un occhio guercio.
Credevo che voi spectre” disse finalmente il ragazzo, e per dieci fottutissimi secondi sembrò davvero un ragazzo. “Non aveste paura della morte.”
Questo fu più famigliare della vodka.
Prima ancora della sua vita, c'era una fiaba.
Prima ancora delle fiabe, c'erano...
Fedor sorrise per la prima volta.
“Non ho paura della morte.” Gli confidò allora. “Ho paura della vita.”

Non aveva avuto paura, nemmeno un po', affondando nell'abisso di terra e radici.
Cose buone, cose famigliari, nell'oscurità rassicurante come quella del tuo letto. Cose contorte e nascoste e segrete e più vere del vero. Radici che gli sfioravano la faccia con amore affondando sempre più giù, sempre più giù, in una terra riarsa e calda di vapori sulfurei, in cui si arrotolavano, annidate, ronfando come gatti soddisfatti.
Il suo maestro aveva la mascella dura da denti serrati, e un paio di occhi di ghiaccio da dividerti in due. Il genere di uomo per cui ti fai ammazzare.
Urla, Fedor, gli aveva detto.
Urla.
Oh, Dio, sì.
Anni e anni di vita mortale in quel nodo gonfio e tirato, in quell'urlo che aspettava di esplodere e quando è esploso ha distrutto e ammazzato. All'inizio se ne era pentito – questa è la punizione di tutti i peccati, Dio – ma poi mai più. Mai più. E liberaci da ogni male. Così sì che aveva senso. Urla e liberaci da tutti i mali.
Sottoterra ci stava bene.
Morto era morto persino volentieri.
E adesso, cosa tornava a vivere a fare?
Uscendo dal suo girone infernale, aveva sputato tra i denti un vaffanculo.

Ho capito.”
Disse il bronze saint.
Aveva capito, diceva.
Aveva capito. Forse sì.
Non la pensava allo stesso modo, certo.
Ma forse messa così la poteva almeno capire.
Suonò il campanello all'ingresso. La signora era rientrata.
Una zaffata di freddo, e la vecchia allungò le mani unghiute al volto del difensore della Giustizia. Gli tirò le guance.
Sapevo che mi avresti aspettato, piccolo.”
Come sta, tetja Dana?”
“Bene, piccino. Dovevo comprare il burro.”
La vecchia curva aprì lo sportello a molla che separava i due uomini dal bancone del negozio, e per farlo mollò la borsa della spesa in mano a Fedor. Che non riuscì a trovare niente da ribattere.
“Vieni vicino, passa di dietro al bancone. Attento al gradino. Vieni, vieni a vedere. È bello, non è vero? Non l'ho venduto mai, non era in vendita. Tante volte, lo sai, tante volte me l'hanno chiesto, ma io no, no, no. Lo tengo in vetrina solo per fare vedere a tutti com'è bello.”
“È com'era allora, tetja.” Hyoga finalmente sorrise. “Sei stata cara.”
Era di Natassia” rispose lei, come se spiegasse ogni cosa. Un velo di lacrime le offuscò gli occhi già opachi di cataratta. “La piccola Natassia...”
L'anziana signora aveva le mani che tremavano, sfilando il medaglione dal sacchetto di velluto sui cui era appoggiato in vetrina. Il piatto di metallo penzolò dalla catena, tintinnò contro due bicchieri, ne smosse uno, cozzandoci malamente. Lei sussultò così forte che Hyoga dovette trattenerla per paura che cadesse.
“Che maldestra.”
“No, no.”
“Adesso te lo pulisco.”
“No, sta bene.”
“Non si è ammaccato per niente, guarda.”
“Sta benissimo.”
“Gli do una lucidatina.”
Il saint desistette e la vecchia inforcò un paio di occhiali per mettersi all'opera con un panno bagnato. Solo quando ebbe le lenti sul naso ed entrambe le mani occupate poté fissare Fedor con la migliore delle espressioni arcigne. Le sue sopracciglia erano due cespugli di disapprovazione.
“E tu, soldato, rimetti a posto quelle carte.”
“Non vuole sapere il futuro, nonna?”
“Son così vecchia che posso crepare domani.”
L'anziana signora dell'antiquario era passata da agnellino belante nelle mani del saint a testarda caprona faccia a faccia con uno spectre. Fedor lo notò con una specie di antica soddisfazione. Sogghignò.
Tёtja Dana, cosa dici.”
Cose da vecchi, piccino. Adesso questo te lo lucido benino e poi prendiamo il tè. Se il tuo amico mi ridà la borsa della spesa.”
Guardi che me l'ha messa in mano lei.”
E le carte, te lo ho messe anche quelle in mano io?”
Lo spectre desistette. Appoggiò la borsa di tela sul bancone e rimise a posto le carte. Tre arcani maggiori che osservò un'ultima volta prima di mischiare all'intero mazzo.
Certo che se ti piacciono tanto potresti pure comprarle” chiosò l'ormai nota vocina, anche se la proprietaria non alzò più gli occhi dal lavoro. Pareva che non dovesse smettere mai di lucidare quell'affare. Fedor si domandò se non l'avesse già consumato a strofinacci, durante quel tempo che aveva conservato il cimelio, e come facesse il saint ad essere così paziente.
Mi piacerebbe, nonnina, ma i mazzi di tarocchi non si comprano. Vanno regalati.”
Come siete difficili voi giovani. E va bene. Mettili qua sopra che te li tengo da parte. Manda pure un tuo amico a prenderli.”
Fedor rise, ad alta voce.
Si guadagnò un'occhiata di rimprovero da Viso da bambola, ma dalla vecchia stranamente no.
Si cacciò le mani in tasca, ignorando entrambi, e aprì la porta sul freddo.
Me ne ricorderò, nonna.”
Mandrake.”
Tranquillo. Ci rivedremo, forse.”
Non aveva molta importanza.
Lasciò Hyoga di Cygnus alla sua tetja mezza cieca e ai suoi cimeli.
Non aveva nessun passato da riprendersi, ma un posto in cui tornare sì.



Il ventre della terra era accogliente, e vi penetrò con soddisfazione.
S'immerse a fondo, aprendo passaggi nascosti ai mortali. Ne percorse le viscere umide e sempre più roventi, ed infine batté i piedi sul suolo pietroso. Si sentì a casa: brulichio di radici che strisciano soddisfatte nell'humus della terra madre.
Avvertì immediatamente un Cosmo potente provenire dalle carceri, ruderi pericolanti battuti dal vento. Le sue carceri. Affrettò il passo, convinto di trovare il Maggiore allineare i soldati all'appello. Questa volta sarebbe stato in ritardo.
“Fedor”, lo apostrofò Olim di Fafnir appena fece il suo ingresso.
“Signore”, rispose lui immediatamente, allineandosi al suo compagno d'armi, già in posizione al centro della stanza.
Da lui ricevette una strizzata d'occhio, pur nella sua immobilità marziale: n
ulla di grave. L'ispezione era appena cominciata.
“Dov'eri?”
“Turno di guardia allo Yomotsu Hirasaka, signore.”
“Tutto regolare?”
“Ovviamente.”
Drake di Scolopendra non disse nulla, anche se aveva una certa idea di come Fedor avesse impiegato il suo turno: aveva ancora addosso l'aria pungente di un paese non suo, e che non avrebbe saputo riconoscere. Ma di certo non era la fossa dei dannati che soffiava minuscoli fiocchi di neve ghiacciata tra i capelli dello spectre. Sorrise per conto proprio, impenetrabile.
“Sull'attenti. Abbiamo in visita il luogotenente Valentine di Harpy, braccio destro del Generale Rhadamanthys.”
Il Maggiore stesso fece un passo indietro, petto in fuori. Fece un mezzo giro, cedendo il passo all'uomo che era appena emerso dall'ombra. Ecco il Cosmo che Fedor aveva avvertito in vista delle carceri: più potente di quello del suo maestro, ne vibrarono le catene che pendevano dalle sbarre arrugginite. Leggermente, come polvere. Fedor schiuse le labbra, affascinato, e il Luogotenente sfilò loro davanti degnandoli appena di un'occhiata.
“Buongiorno, signore.”
“Buongiorno, signore.”
“Riposo.” Li liquidò rapidamente. “Avevo bisogno di parlare solo con te, Olim.”
“Sissignore. Drake, Fedor, ritornate ai vostri posti.”
Entrambi i soldati fecero il saluto marziale, battendo i tacchi al passaggio dei due gradi superiori. Poi sciolsero l'esigua fila, tornando alle loro occupazioni. Il Luogotenente sparì negli antri bui delle carceri, un lampo fugace di colore e di luce metallica al fuoco delle torce. Fedor lo guardò con più interesse finché non affondò nel nero.
“Uh, una visita rara, da queste parti.”
“Mh-mh.”
“Ehi, ma dove ti eri cacciato?”
“L'ho detto. A sorvegliare alacremente le distese di spiriti in fila indiana. Hanno un ottimo senso dell'orientamento, comunque”, sogghignò Fedor, raggiungendo l'altro carceriere.
Notò un lampo divertito nello sguardo di Drake, che d'altro canto non insistette. Avrebbe visto la sdrucita maglia del college sotto la surplice solo a fine giornata, ma anche allora chissà se avrebbe chiesto qualcosa.
“Non avevo mai visto così da vicino il luogotenente Harpy.”
“Nemmeno io. Zona infame, questa. Più vicina ai mondi dei mortali che al cuore del regno di Hades. Pochi coraggiosi spectre si avventurano sin quaggiù”, motteggiò ancora Fedor, sradicando un'alabarda arrugginita dalla parete. C'era un bel po' di lavoro da fare, a rimettere in piedi quel posto.
“Che ne pensi, Fedor?”
“Un uomo forte.”
Occhi sottili, sguardo deciso. Per niente facile da ferire.
Anzi, probabilmente con una gran voglia di urlare anche lui.
“E un gran bel culo.”
A Drake occorse una manciata di secondi per rispondere. Quando realizzò, sollevò la testa dai suoi moduli per guardarlo, inarcando le sopracciglia e aggrottando tutta la fronte.
“Fai schifo.”
Fedor rise.
“No, davvero, sei uno schifoso. Inqualificabile. Adesso ti metti a puntare troppo in alto.”
“E perché? Non ho mai insidiato nessuno, io.”
“...Che faccia tosta. Lasciamo perdere.”
“Tecnicamente...”
“No, non voglio sapere proprio niente di tecnico. Scrosta quell'alabarda.”
“Punto troppo in alto, dici?”
“Se non avessi un po' di ritegno, ci proveresti anche con il Maggiore.”
Fedor evitò di dire a voce alta quello che aveva pensava del Maggiore (sì che ci aveva pensato. Di notte. Nel suo letto, da solo). Non era esattamente una questione di ritegno. Ma Drake l'aveva implorato di evitare i dettagli tecnici, quindi lasciò perdere.
“Non me lo dici allora dove sei stato?”
“Mh. Diciamo che ci ritornerò”, sogghignò Fedor. “Forse. Un giorno.”
Chissà se la vecchia glieli avrebbe tenuti da parte ancora a lungo, quei tarocchi. O se se ne sarebbe dimenticata, dopo il tè e i biscotti col giovane saint di Athena – russo come lui, con quella stessa, sola sentinella azzurra a guardare le miserie del mondo. Ma pieno di certezze da fare invidia, in un certo senso.
Beh, lui non sarebbe stato da meno. Un salto su, così, di nascosto, poteva ancora farlo.
Forse, così, di nascosto, un qualche sordido cartomante un mazzo di carte poteva pure regalarlo.
Dato che a quanto pare un futuro c'era...







Angolino della Mandragola Assassina ~ Meglio tardi che mai!

Questa piccola raccolta, invece, nasce cogliendomi completamente impreparata. Non so che cosa ne uscirà. So che sarà in tre piccole parti, di cui questa è la prima. Le scriverò in poco, credo, per darvele tutte di fila.  << Questa era Rucci il dicembre scorso. La stessa Rucci che ha finito la fic di tre miseri capitoli cinque minuti fa. Questa era una Rucci da prendere a pomodori in faccia (no, tutta questa è un'evasione. Sono io-adesso quella che merita i pomodori, mi sa. °_°) Per molte ragioni ho allentato tantissimo con la scrittura, cosa che non mi era mai successa, e me ne dispiaccio; confido di poter riprendere col botto un giorno o l'altro, quando avrò finito tante cose da fare.

Io a Fedor comunque gli voglio bene. Questo Fedor della Mandragola. Che poi è praticamente un OC: per quel poco che ho preso dal Lost Canvas e tutto quello che ho arrogantemente rifatto, fa praticamente paio con Stevan (il mio altro OC spectre, quello "vero", quello più OC nel senso della parola, quello che... boh, quello biondo, insomma). Prendetelo così com'è, ecco. Non pretendo più di reinterpretare il Fedor del Lost Canvas; me ne guardo bene. Questo è il mio Fedor, palesemente. Prendeteci le misure voi come volete. =*=
Avrei voluto in verità spiegare tante altre cose (il doppione Alraune/Mandragola, per esempio) ma esulava dalla direzione che hanno preso questi capitoletti di Radici. E quindi pazienza. Magari troverò il modo un'altra volta, da qualche altra parte. Spero che vi sia piaciuto tutto quanto, anche nelle sue allusioni elusive da cogliere. Non è colpa vostra. E' colpa di quel coso con l'occhio solo là sopra. Ci assomigliamo molto. Comunque ci vogliamo bene e rimbalziamo l'ammmore a voi tutti.

Ringrazio i Soliti Ignoti, vale a dire i miei compagnucci dei Gold Saint e tutta la cricca di Gold Insanity, in special modo Shinji che mi ha regalato un Signor Maggiore, Olim del Fafnir, altro OC che compare in maniera Cattiva & Teutonica in questo capitolo del Canto della Banshee. E' un figone pazzesco un bellissimo spectre che Fedor è fiero di servire, e pertanto no, non ci ha provato, neanche un po', giuro. Altresì devo ringraziare Beat per avermi prestato il suo amabile Drake di Scolopendra (non ancora apparso in alcuna fic, per ora, ma il pg è suo :P), col quale invece Fedor ci ha provato eccome ma lo stronzo non ci è stato. Però gli vuole bene lo stesso. L'amicizia corre per vie imperscrutabili e bellissime.
Valentine di Harpy, personaggio canonicissimo invece (deh :D), è destinato ad essere il love interest del nostro simpatico guercio, per la gioia del crack e delle nostre fantasie più rosa, e difatti lo troverete anche nella shottina che abbiamo dedicato io e LeFleurDuMal a questa coppietta: Stella e Zucchero.

Con questo ho finito e andate in pace. Je vous aime e vi risponderò presto alle recensioni nello spazietto apposito, dato che ora si può. *_*
Gioia a voi! <3

Radici - fine.

  
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