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Autore: Dira_    02/12/2011    49 recensioni
Severus Piton desiderava due cose dalla vita quando ha aperto gli occhi ed ha scoperto di non essere morto: pace e serenità. Sono ben diverse. A parer suo, non ne ha ottenuta che una, la prima. La seconda è costantemente minacciata da Harry Potter e le sue progenie. A dirla tutta una. Figlia femmina.
Puoi scappare fino in Irlanda, alla fine esatta del tuo mondo, ma il passato tornerà sempre a farti visita. Ed avrà gli occhi del cielo del Connemara.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Lily Luna Potter, Severus Piton | Coppie: Lily Luna/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Una Casa alla Fine del Mondo



E i giorni che passano sono lunghi e coperti di nero
E i giorni son secoli aspettando di poter tornare
di nuovo la fine del mondo cullato dal canto del mare
(Canzone dalla fine del Mondo, Modena City Ramblers)
 
 
2024
 
Lily è partita da due mesi e oggi ti è arrivata una lettera. Da parte sua.
Le lettere via Gufo sono randomiche: possono arrivare veloci, come metterci settimane.
La lettera di Lily ti è stata recapitata da una civetta che non hai riconosciuto; poi hai notato che portava il sigillo delle Poste Magiche Britanniche. Una lettera che deve aver fatto una lunga traversata e deve aver toccato molti uffici postali. Ricordi avesse un gufo, un piccolo allocco rumoroso che aveva l’abitudine di schiantarsi contro i muri di casa tua.
Odiavi quel pennuto, ora rimpiangi che non ti abbia quasi sfondato la finestra. L’ha lasciato a casa, come molti dei suoi effetti personali, a sentire Potter.
La lettera è posata sul tuo scrittoio, ancora chiusa. Porta il timbro di un paese che usa ancora il cirillico. Non hai neppure letto che paese fosse. Non vuoi saperlo.
Naturalmente non sei contento che abbia lasciato gli studi e la sua famiglia, ma è una soluzione comoda: più miglia ci sono tra di voi, più possibilità ci sono che la ragazzina si rifaccia una vita lontana dai fantasmi del passato.
È stato vivere in quel santuario alla memoria che è casa di Potter che l’ha portata a credere di provare qualcosa per te che andasse oltre l’affetto per un vecchia conoscenza burbera.
E poi, hai notato come la sua vita la lasciasse insoddisfatta; di come ti parlasse dei suoi MAGO prossimi, ma non fosse veramente interessata. La rimproveravi, le davi della zucca dura, della Potter. Lei rideva.
 
“Severus, non esistono solo i riconoscimenti accademici nella vita!”
“Ma qualche requisito minimo, sì. Vuoi finire a lavorare in qualche retrobottega? A pelare radici, forse?”
“Se le pulissi per te mi andrebbe pure bene…”
Lily.
“Ma dai, scherzo… In realtà vorrei fare la pittrice, lo sai.”
“Prima prendi il diploma.”
“Sei il solito bacchettone.”

“Ho più buon senso di te, sciocca ragazzina.”
“Lo so, lo so.” Un lieve sospiro. “Ne hai tantissimo.”
 
Stringi la tazza di the tra le dita e questa fa resistenza; robusta porcellana inglese. Fa resistenza e poi con un rumore impercettibile si crepa, e il liquido comincia a gocciolare. Con un gesto stizzito della bacchetta ti asciughi i pantaloni e poi, inevitabilmente, lo sguardo torna allo scrittoio.
Quella lettera andrebbe bruciata: dare un taglio netto ti è sempre stato difficile però.
Come se non bastasse, suo padre continua a molestarti in cerca di informazioni: ha sguinzagliato tutte le sue conoscenze Auror per ritrovarla, ma è difficile avere controllo su una ragazza che è appena diventata maggiorenne ed ha perso la Traccia.
Lily ha voluto perdersi nel mondo e tu la capisci.
Non sei preoccupato: la conosci abbastanza per sapere che è in grado di provvedere a sé stessa, specie con la possibilità di avere accesso ai galeoni di famiglia. Non è mai stata una sciocca. Prima di andarsene si è premurata di mandare una lettera ai genitori, una per ciascuno. Lo sai perché Potter te l’ha sventolata sotto il naso nella sua ultima, convulsa visita in cerca di indizi che non potevi dargli.
 
‘Sto bene, starò bene. Ho solo bisogno di vivere da sola per un po’. Farò in modo di farvi sapere sempre dove sono.’
 
Lily è taciturna anche nelle sue lettere.
Ti chiedi cosa abbia scritto a te. E potresti saperlo, basterebbe aprire la tua lettera.
Ma non vuoi. Non puoi. Hai detto basta, hai sigillato i tuoi pensieri verso quella ragazzina impossibile.
Si tratta solo di abituarsi all’idea di non averla più trai piedi.

Si tratta di tenersi occupato finché quei pensieri smetteranno di premere come dighe, o presentarsi all’improvviso.
Non è facile, quando la tua casa è ancora piena della sua presenza; hai buttato i mazzi di erica, hai staccato tutti i quadri e li hai messi in cantina.  
Tenersi occupato.
Ci sono infusi e pozioni da preparare, l’erba del prato da falciare e far seccare per l’inverno, quando la legna è troppo bagnata dall’umidità salmastra per accendersi da sola. C’è da bruciare un nido di vespe nella rimessa degli attrezzi.
C’è anche il gatto da sfamare, tra le varie. E visto che è un essere vivente, forse è prioritario. Vai in cucina e riempi la sua ciotola. Quando gliela porti noti che è alla porta. Miagola, ma non perché ha fame. Miagola perché aspetta.
E di colpo ricordi che è sabato, e sabato è il giorno di Lily, il giorno in cui l’ingrato riceve una dose fin troppo eccessiva di coccole e moine.
Posi la ciotola e incroci il suo sottile sguardo giallo.
‘Lei dov’è?’ Sembra chiederti.
Dare un taglio. Afferri la lettera dallo scrittoio e ti avvicini al camino. Non servirà molto per bruciarla, un colpo di bacchetta e poi gettarla nel focolare. È carta, dopotutto.
Carta che può essere strappata, bruciata, dimenticata. E aperta, scartata, letta.
 
‘Caro Severus,
Se riceverai questa lettera, significa che le cose non sono andate come speravo.
Mi è stato insegnato che bisogna lottare per ciò che si ama, e ignorare il resto del mondo quando ti dice che non è per niente una buona idea.

Però è dura quando è proprio la persona che ami a dirtelo.
E so che me lo dirai. Lo so adesso che ti sto scrivendo a poche ore dalla mia festa.
Perché ci ho provato allora, sapendo che così avrei distrutto il nostro rapporto?
(Che ne abbiamo uno, è inutile che storci le labbra. Lo stai facendo anche se non te ne accorgi.)

Perché dovevo farlo. La sola idea di rimanere in questo assurdo limbo dove tu cerchi in ogni modo di ignorare ciò che provo era insopportabile.
E sì, so che ai tuoi occhi sono una sciocca ragazzina infatuata. 
È più facile se sono sciocca, se sono una ragazzina e se sono infatuata, giusto?
Scusa, adesso ti starai arrabbiando.
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Sarà una cosa di famiglia, ma io sì.
Io sono nata per te. Ne sono sempre stata convinta fin da quando ero una bambina. E questo significa qualcosa, giusto?

Tu non fai che respingere il mondo, allontanarlo come se non te ne importasse nulla.
Vivi come se avessi un cuore solo per pompare sangue. Ma io ti ho conosciuto, sono cresciuta con te ed ho visto che un cuore, quel tipo di cuore, ce l’hai invece, eccome.
Ne hai talmente tanto che credo tu ne abbia paura e per questo tu voglia tenerlo in gabbia.
Non credo che ci sia qualcun altro al mondo che l’abbia capito. Non penso tu gliel’abbia permesso.  
Però l’hai lasciato fare a me.
Se fossi una buona amica, direi che mi basterebbe vederti felice con qualcuno in grado di amarti e farti amare di nuovo. Perché te lo meriteresti, maledizione.
(Impreco perché hai la testa dura. Tu sei convinto del contrario, ci scommetto.)
Peccato sia davvero pessima perché vorrei che quella persona fossi io.
Vorrei che tu abbracciassi me, che baciassi me, che toccassi me. Adesso tirerai fuori la storia che sei troppo vecchio. Indovina un po’? Se volessi un ragazzo della mia età, l’avrei già trovato.
Sei tu l’uomo che voglio.
Dovevo dirtelo. Probabilmente non sarò capace di farlo come si deve stasera, mi limiterò a stare zitta, come sempre. Forse ti bacerò. Ho tanta voglia di baciarti.
Le parole per noi sono sempre state un problema, vero? Spesso sfuggono, spesso mancano, spesso vanno fuori controllo. Non mi piacciono le parole.
Ce la siamo sempre cavata meglio con i silenzi, io e te.
Se ti è arrivata questa lettera, è probabile che io sia già lontana dall’Inghilterra. Era una cosa che volevo fare da un po’e credo che se non ci sarai tu, con me, dopo la festa, avrò una spinta per andarmene.
Non è che abbia rinunciato a te. E che non è ancora abbastanza, immagino.
Per me non è finita, è solo l’inizio.
 
Sempre tua,
Lily
 
 
Una sciocca lettera di adolescente. Un sacco di frasi pretenziose. Un sacco di frasi che con il tempo cadranno nel vuoto e moriranno tra carta e inchiostro.
Non che ti aspettassi di meglio. Non che ti aspettassi di peggio.

La lettera è semplicemente Lily Luna. La ragazzina senza l’intrinseca quietezza d’animo che si impone da quando era bambina. La ragazzina a nudo, pura e semplice.
Ignori il sapore amaro che ti sale alle labbra; bentornato, ti verrebbe da dire, è un bel po’ che non senti il sapore di aver perso qualcosa sulle labbra.
(Chissà se tutti possono assaggiare il sapore del fallimento. Tu sì. Oh, fortunato.)
Il gatto ti si struscia alle gambe, chiede cibo e ti riporta alla realtà.
Posi la lettera al davanzale della finestra. Sai che ci farà la polvere perché non avrai più il coraggio di prenderla o di rileggerla. Forse dovresti davvero bruciarla.
Forse.
Il gatto non smette di miagolare ed hai l’ impulso di calciarlo via, di sbarazzartene con un semplice colpo di bacchetta. Perché anche lui ti ricorda Lily.
Ed è diverso stavolta, diverso da quello che è successo con l’altra Lily. Perché stavolta hai fatto le cose a dovere. Tutto maledettamente opportuno, e complimenti Severus, era ciò che dovevi fare. Per una volta hai fatto la cosa giusta.

“Lei non tornerà più.” Dici a Cagliostro e sai che non può capirti, ma ritieni terapeutico dirlo ad alta voce. Tanto nessuno può sentirti e dire che la stai prendendo troppo seriamente.
Sei un uomo adulto Severus. Perché sei tanto scosso per la cotta di una ragazzina?
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
Adolescenziale, prevedibile. Inadatta. Sei sempre stato un maestro con gli aggettivi.
Sei una persona come si deve adesso, Severus. Nessuno potrebbe dire il contrario. Paghi le tasse babbane, hai un lavoro onesto, ti fai i fatti tuoi e ti ricordi sempre di differenziare la spazzatura. Ti stai godendo la tua maturità magica che declina lentamente ma inesorabilmente verso la vecchiaia. Il tuo comportamento con Lily è stato forse brusco, ma ineccepibile.
La ragazzina vivrà nel mondo e vedrà che c’è di meglio di un vecchio pipistrello della scogliera, di un reduce, di un uomo pieno di cicatrici e amarezza che non sa amare in modo normale.
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
“Lei non tornerà.” Ripeti e allunghi la mano per accarezzare il gatto, per dargli ciò che vuole. Soffia, si ritrae. Ti guarda diffidente e poi scatta via. Quando l’avete visto in mezzo al fango di Ardmore, Lily l’ha preso in braccio esclamando che ti somigliava. Ha riso e gli ha baciato il muso. Aveva dodici anni. Ricordi di esserti indispettito per quel paragone; le hai anche intimato di lasciarlo, prima di beccarsi qualche malattia tipica dei randagi.
Hai finito per portarli entrambi a casa.

Lily è stata l’unica a poter toccare Cagliostro senza farsi soffiare addosso. Per l’appunto, ne hai avuto adesso la riprova.
Lily è stata l’unica a poterti avvicinare senza farsi allontanare, senza farsi soffiare contro dal vecchio e ridicolo randagio che sei.
Beh.

Almeno tu non miagoli ad una porta che d’ora in poi rimarrà chiusa.
 
Severus, hai mai avuto l’impressione di essere nato per un motivo?
Io sono nata per te.

 
 
2025
 
Non ti sei mai ritenuto un santo.
Essere un santo significa, secondo l’ideologia babbana, esser privo di vizi, di impulsi e desideri.
Praticamente, non essere umano.
E tu lo sei stato dolorosamente, e lo sei ancora.
Un anno passato in asettica solitudine. Tredici mesi per essere precisi. Potter non ti viene certo a trovare, dopo che l’hai mandato al diavolo quando ha tentato di coinvolgerti fisicamente nella ricerca. Non deve aver aiutato averti visto stringere la bacchetta. Si è fermato dallo squadernare la sua perché probabilmente pensa che la guerra ti abbia portato via qualche rotella.
Premuroso da parte sua.  
Ti sta succedendo di nuovo. Non sei più un ventenne dal cuore dilaniato, ma non è questo il punto, supponi; perché ti sembra di avere di nuovo quell’età e di trascinare le tue serate a Notturn Alley, quando il silenzio di Hogwarts rischiava di farti impazzire.
Invece sei un adulto fatto e finito e non hai più bisogno che Silente ti prenda per mano per evitare che tu segua l’orma genitoriale: Tobias, con una cirrosi epatica che l’ha fatto morire tra le sofferenze che si meritava. Tua madre, morta per inerzia, priva di un carnefice ma anche di una ragione per andare avanti.  
Quindi trovarti al porto di Galway con uno dei loro whiskey a tre fermentazioni in mano è una cosa che puoi controllare. Ne hai solo bisogno ogni tanto.  
Quel che è patetico è che sei qui perché vuoi sentire la gente attorno a te parlare.
Vuoi sentirti irritato, importunato vuoi provare disgusto per l’essere umano tuo simile. 
Così puoi tornare a casa, rinfrancarti nel silenzio pulito della brughiera; ma è solo per pochi giorni; poi senti di nuovo quel vuoto che ti scava il cuore, ancora.
E torni qui.
Non sei un santo; ma pure come eremita, diciamocelo, hai sempre fatto schifo.
Come dopo la prima guerra ti senti un vuoto dentro e vorresti che qualcuno ti spiegasse come riempirlo. Non c’è modo, ti aveva detto Albus, puoi solo proteggere il figlio di Lily.
L’hai protetto. Hai fatto tutto ciò che potevi per quella maledetta famiglia. Sei quasi morto.
Allora perché ti senti così? Stavolta non hai nessuna colpa atroce da scontare.
La sensazione si declina allo stesso modo però.
Una donna ti si avvicina, ti tocca con il gomito e ti sorride. L’hai già vista un paio di volte e l’hai doverosamente ignorata. Presumi di essere l’unica persona con cui può avviare una conversazione, data l’ora tarda e il tasso etilico degli altri avventori.
“Vieni qui spesso… mi han detto che sei inglese.” Dice, toccando il bicchiere con il tuo. Il suo è vuoto. “Mi piacciono gli inglesi.” Non aspetta la tua risposta, che comunque non arriverà. “Mi offri qualcosa da bere, inglese?”
La guardi e poi guardi il bicchiere vuoto. Realizzi che sei troppo ubriaco per articolare una risposta gelida e spiazzante, quindi ti limiti a tirare fuori il portafoglio – babbano, per non dare nell’occhio – e allunghi un paio di banconote per una nuova dose di White Bush¹ alla signora.
“Grazie. Un vero gentiluomo…” Ti tocca il braccio e senti un brivido di disgusto scuoterti. Non è bella, ma abbastanza piacente per scaricare un’urgenza di lombi. Un tempo forse, non adesso. Non perché te ne manchi la voglia, ma perché certi rabbiosi coiti non ti soddisfano più. Hai avuto modo di notare quanto ti rendessero ancor più miserabile.
“La gente viene qui per due motivi.” Pontifica, agitando il bicchiere e facendolo riverberare di riflessi oro pallido. “Per ricordarsi il passato e per dimenticarlo. Tu perché sei qui?”
Hai trovato una donna facile da bar con velleità filosofiche. Fai un mezzo sorriso, tuo malgrado.
(Sì, sei ubriaco.)

“Per entrambi i motivi, immagino.” Ti senti rispondere, e ti complimenti per il tono assolutamente non impastato.
“Non male…” Ti passa le dita sulla spalla. “Questa cicatrice… come te la sei fatta?” È la prima cosa che si nota di te. Per quanto indossi maglioni a collo alto, rimane scoperta una porzione di pelle dilaniata che arriva poco sotto il mento. Nagini mordeva per uccidere. Oltre ad avere un morso velenoso che non ha favorito la cicatrizzazione corretta della pelle.
Giusto per.
“In guerra.” Vuoti il tuo bicchiere e fai cenno al barista di versartene un altro. Sarà l’ultimo, ti riprometti.
(Chissà se Tobias si riprometteva le stesse cose. Stesso sangue, stesso alcool.)
“Quindi sei un soldato.” Esclama adattando la tua realtà alla sua. “Affascinante… me lo offri un altro bicchiere, soldato?” Non fai in tempo a pensare ad un modo per scrollartela di dosso che ti sfila il portafoglio con una certa abilità, a giudicare dai drink che deve essersi scolata nel corso della serata.
“Restituiscimelo.”
La donna ride e il suo rossetto è volgare. Anche dietro l’ebbrezza lo vedi luccicare e sai che è di poco prezzo, come è di poco prezzo tutto quello che ti circonda.  Al momento ti ci senti anche tu; bella gloria di guerra.
Devi ricordarti di non tirare fuori la bacchetta e ti sporgi per riprendertelo; la coordinazione non è il tuo forte al momento e la donna può aprirlo ed estrarre altre banconote senza che tu possa farci niente.
Ti senti un idiota.  
Ti senti un idiota perché stai così ed è riprovevole; ti senti un idiota perché aspetti ancora che Lily compaia dalla brughiera, che ti sorrida e ti corra incontro.
Non avresti mai pensato che la solitudine avrebbe finito per ritorcertisi contro.
Così, poi.
Ti senti un idiota perché non dovresti sentirtici più. Dovresti aver quietato il tuo cuore, averlo seppellito nella pace di una vita vissuta.
E invece.
“Lei è il motivo per cui sei qui?” Dice la voce lontana della donna. Ti costringi a rimettere a fuoco il mondo, e vedi che tiene in mano una fotografia. Senti come se l’alcool ti fosse appena stato strappato dalle vene. Sai che cosa c’è nel tuo portafoglio; non molto, documenti per la tua vita babbana, contanti, una carta di credito intestata alla tua nuova identità di invalido civile – almeno si spiega così il tuo vitalizio al fisco irlandese.
E due foto.
La prima è di Lily, una metà strappata che la coglie mentre tende le mani a qualcuno che non sei tu – a Potter e più in là, a James.
E un'altra più recente, sempre magica. Lily Luna, alla vigilia del suo compleanno, che siede accanto a te sul portico della casa. Non la vedi, ma la ricordi perfettamente: ti stringe un braccio e ride felice per esser riuscita a convincerti. Indica l’obbiettivo e ti costringe a non andartene dalla cornice.
La foto che la donna tiene in mano è proprio quest’ultima.
“Bella ragazza, la tua. Hai l’aria così innocente… un agnellino.”  Ridacchia. Poi aggrotta le sopracciglia. “Ma la foto si muo…”
Gliela strappi di mano ignorando il tuo codice d’onore su come trattare una donna, per quanto sgradevole essa sia – diavolo, eri riuscito ad applicarlo persino a Bellatrix.

Non toccarla.” Ringhi e la donna impallidisce. È rassicurante sapere di poter ancora far paura. “Sparisci dalla mia vista.” Aggiungi.
“Razza di squilibrato…” Sibila tra lo spavento e l’umiliazione. Afferra la sua borsa e se ne va, lasciando finalmente solo.
Ha afferrato con malagrazia la fotografia e si è creata un’orecchia. La lisci con le dita, e ti rimetti seduto. Lily agita la mano, saluta, come sei certo che ormai l’altra Lily non faccia più. Il sangue di drago con cui sono animate le foto magiche dopo qualche decennio si guasta e i soggetti ritratti perdono colori, forme, espressioni.
Sono anni che non la guardi, anche se è lì, in quella piega di cuoio che è sua di diritto. La tiri fuori.

Lei non si muove più, come supponevi. La sua espressione è cristallizzata in un sorriso lontano, distante. Intoccabile. Con sgomento ti accorgi che non ti fa più male guardarla. Solo nostalgia e un vago dolore, gentile.
Sembravi felice Lily… lo eri, vero?
È la prima volta che lo pensi senza aver voglia di distruggere tutto perché non eri tu la sua felicità.
La rimetti al suo posto.
Ti passi tra le dita l’altra foto, l’altra Lily. Gli occhi le brillano e riflettono il cielo acutamente azzurro dietro il tetto di ardesia.

Ci dev’essere dell’ironia amara nel vuoto che ti senti scavare di nuovo – di nuovo, di nuovo, di nuovo, è un mantra ormai - dentro, come una tenia.
 
 
2027
 
Minerva è stata ricoverata al San Mungo.
La sorpresa di vedere la sua solita lettera firmata da qualcun altro, il fratello, ti lascia una spiacevole sensazione di malessere.
È una strana amicizia la vostra, nata sulle ceneri della guerra; prima Minerva era solo una professoressa, poi collega, poi rivale in un antico gioco di rappresaglia tra Case. È stata una nemica, per un certo periodo. Ricordi ancora lo scontro che vi ha coinvolti e il tuo disperato tentativo di non ucciderla senza insospettire i Carrow.

Lo ricorda anche lei e forse è per questo che è cominciata.
Il fratello accenna ad una malattia e al fatto che abbia chiesto di te.
Non volevi tornare, ma l’hai fatto. È stato un imperativo talmente forte che ti ha letteralmente strappato da casa per farti Materializzare a Galway, di fronte al centro Smistamento Passaporte.
Il San Mungo assomiglia sempre a sé stesso: odore di erbe mediche, campionario di idioti colpiti da fatture maldestre che affollano il triage e la solita, insopportabile, strega all’accettazione.
“Cerco la stanza della profes...” Ti blocchi, ricordando come quel titolo non appartenga né a te né a lei, non più. “… di Minerva McGrannit.”
“Parente?” Chiese senza alzare lo sguardo da una rivista che sfoglia distratta.
“Amico.” È quello che siete e ricordartelo di colpo, per colpa di una domanda posta con tono di rito, ti fa sentire anche peggio.

Sei davvero stato un buon amico per Minerva? Dubiti. Quella donna è tutto ciò che di vivo ti rimane del passato, la parte che ti provoca quasi un sorriso quando la ricordi, e non una smorfia. Eppure non sei mai andata a trovarla, a volte ti sei persino dimenticato di rispondere alle sue lettere. A volte non hai direttamente voluto.
“Non siamo autorizzati a rilasciare informazioni a chi non è della famiglia.”  
In un istinto che ripeschi dalle tue antiche lezioni, sbatti la mano sul tavolo. “Mi ascolti bene.” Articoli con il tuo tono migliore, quello che congelava letteralmente intere scolaresche. Finalmente ti guarda e quando ti riconosce, assume anche un delizioso pallore cadaverico. “Sono un suo ex-collega, sono un amico ed ha espressamente richiesto la mia presenza.” La lasci assorbire le informazioni e poi concludi. “Se non le è di troppo disturbo, il numero della stanza, prego.”
“Secondo piano, stanza 201.” Mormora. “Mi scusi Professor Piton, io…”
La lasci al suo sgomento e ti rechi verso gli ascensori. Forse è stata una tua studente, a giudicare da come ti ha chiamato. Non puoi fare a meno di stirare un sorrisetto.
È stato piuttosto divertente. Ti eri dimenticato la piacevole sensazione di farti temere.

“Signor Piton?” Ti volti e ti trovi di fronte ad un mago piuttosto anziano dall’aria rigorosa. Ti ricorda un pastore presbiteriano. “Malcolm McGrannit.” Si presenta tendendoti la mano. “Sono io che le ho scritto.”
“Naturalmente.” Replichi stringendogliela. Gli mancano solo gli occhiali per essere la versione maschile di sua sorella. 

“Minnie sarà felice di averla qui.” Sorride, premendo il pulsante di chiamata ascensore. “Anche se non ha fatto altro che rimproverarmi da quando le ho scritto.”  
“Mi aveva detto che era un suo espresso desiderio vedermi…” Non essere il benvenuto non è ciò che ti aspettavi. Ed ignori la sensazione di delusione che ti investe.
Niente è facile per te: persino un quieto rapporto di stima ed amicizia con una donna che conosci da decenni riesce a essere complicato.

“Oh no, non mi fraintenda, vuole vederla.” Scuote la testa. “Ma mi ha avvertito della sua riluttanza a tornare in Inghilterra.” Spiega stringendosi nelle spalle.
Non commenti, limitandoti a classica domanda. “Come sta?”
“Meglio.” Ti rincuora. “Ma glielo dica, per cortesia, che a me non dà retta… sa, essendo suo fratello minore la mia parola, ahimè, ha meno peso.” Sospira. “Essere un Animagus alla sua età non è come esserlo in gioventù. Glielo dica.” Ripete.
Tipico di Minerva e della sua anima stupidamente Grifondoro. Mai arrendersi all’evidenza della sua caducità personale. Probabilmente si è ammalata sotto forma di gatto.

Merlino, se detesti gli Animagi.
“Farò il possibile.” Ti fai scortare fino alla camera e poi l’uomo apre la porta.
“Minnie, hai visite!” Esclama e noti quanto sia forte l’accento scozzese. Riabituarti alle varie inflessioni del tuo paese è straniante.
La tua vecchia rivale di Casa è stesa su cuscini ed ha la solita, fidata, vestaglia tartan. La camera è piena di luce, gomitoli di lana e fiori. Quando ti vede ti sorride e improvvisamente ti senti meno inadeguato.
(Dio, Severus, cresci.)
“Severus.” Ti apostrofa, tendendo una mano. “Che piacere. Perdona mio fratello… gli ho detto che ti avrei dato un disturbo a farti venire fin qui, ma non mi ha ascoltato.”
La raggiungi e le prendi rigidamente la mano. “Nessun disturbo.” Reciti con un tono meccanico da manuale. “Come ti senti?”

“Meravigliosamente.” Replica e l’occhiataccia è tutta per il fratello. “Un infreddatura, nulla di più.”
“Hai avuto la febbre molto alta per giorni …” Tenta timidamente l’uomo. “E anche adesso…”

“Onestamente, Malcolm, stai esagerando. Mi sento benissimo.” È la replica secca. Vedi ragnatele di rughe sul suo viso, i capelli ormai bianchi e la mano che stringe la tua è sottile e fragile come pergamena. La bacchetta è posata sul comodino, ed ha l’aria di non essere stata toccata da giorni.
Ti lascia la mano e fa cenno di sedersi. “Spero non sia stata una Materializzazione faticosa.”
“No.” Scuoti la testa, non sapendo bene cosa dire, o fare. Forse avresti dovuto portare dei fiori.

“Malcolm, va’ a prendere del the e qualche pasticcino al Quinto piano.” Esordisce dopo un breve, imbarazzato silenzio.
“Agli ordini.” Sospira, e vedi la complicità un po’ fanciullesca trai due. Sapevi che Minerva aveva due fratelli e qualche nipote sparso per la Gran Bretagna.
Non li hai mai conosciuti. Realizzi quanto poco sai di lei come donna. Non siete in quel genere di confidenza, non lo siete mai stati.
Ti senti ingombrante, e quindi ti limiti a sistemare una falda del mantello che ti sei riposto tra le braccia.
Soli, ti sorride di nuovo. “È bello rivederti Severus.”
Ti limiti ad un cenno affermativo. “Tuo fratello mi ha detto che era grave.” E accusare qualcun altro del tuo imbarazzo. Molto serpeverde. Molto inappropriato.

Scuote appena la testa, apparentemente senza essersela presa. “Sia lui che Bobby sono tremendamente apprensivi. È vero, non sono stata bene.” E lo senti dalla voce che ha perso la forza di un tempo o dalla stanchezza con cui si chiude la vestaglia. “Ma sto meglio.”
“Ne sono lieto.”
Ti scruta ancora un po’. “Sei cambiato…” Mormora speculativa. “… direi che non è solo il taglio di capelli o i vestiti, vero?”
Tuo malgrado abbozzi un sorriso. “No, direi di no. Sto invecchiando.”
“Carino da parte tua farmelo notare, considerando che sono stata una tua professoressa.”
Vi scambiate uno sguardo ed è lei la prima a ridere. Tu ti limiti al solito ghigno demotivante. Che lei conosce e glissa.

“So che non ami venire in Inghilterra… da quando sono ricoverata, posso quasi dire di capirti. Dopo due giorni qui già rimpiangevo la pace della mia Caithness.” Fa un cenno, indicando l’intero negozio di fiori che le è stato scaricato in stanza. “Sono pensieri apprezzabili, se non mi venissero recapitati in continuazione.” Sospira. “Ora che sei qui penso che il Profeta tenterà un’irruzione per un intervista combinata.”
“Ancora?” Ti senti salire l’irritazione, e ti chiude la gola.

“Harry ha fatto un buon lavoro a mantenere viva la memoria di ciò che è successo. Senza sotterfugi, senza armadi della vergogna.” Notando il tuo sguardo, sbuffa. “Non puoi pensare che sia una colpa, Severus. È un uomo eccellente. In questi anni lui e gli altri hanno fatto molto per il Mondo Magico.”
“Non lo metto in dubbio, ma la cosa non mi interessa.” Ribatti sarcastico. Per questo non vuoi tornare. Ogni volta è ricordare come non ci sia più posto per te, qui.

Minerva fa un vago cenno disimpegnato. “Lo immaginavo.” Continua a scrutarti e davvero, puoi capire perché lo faccia; l’ultima volta che ti ha visto eri lo spettro di te stesso, un uomo fagocitato dalle proprie ombre. Sicuramente godi di migliore salute, migliore stabilità fisica ed emotiva.
Più o meno.
“Avrei voluto che tu non partissi…” Si ferma, perché sa di stare avventurandosi in un territorio troppo intimo. Riprende, perché i Grifondoro hanno la deprecabile abitudine a terminare tutto ciò che iniziano. Anche quando potrebbero evitare. “Il nostro mondo è rinato. È diventato diverso e per certi versi, migliore. Perché te ne sei andato?”
“Lo sai meglio di me.” Ribatti aspro, alzandosi e avvicinandoti alla finestra. Mazzi di fiori danno alla camera un odore dolciastro, fruttato. Minerva non avrebbe mai il cuore di buttare presenti da parte di suoi vecchi alunni o amici.

“Ti sbagli, Severus.” Sospira. “Avresti avuto la giustizia che meritavi. La puoi ancora avere…”
Non demorde.
“Forse non la voglio.” E non la vuoi, non ti interessa. Vorresti solo essere lasciato in pace.
Ma non è stato possibile. Ti sono stati dati solo dieci anni. E poi, una nuova ferita.

“Non credo che sia del tutto vero.” Replica quieta. Ti volti per fronteggiarla, per rivendicare il tuo diritto a non volere la pietà di chicchessia, compresa la sua.
Trovi solo una vecchia amica, stanca e pallida, che ti osserva gentile.
La vecchiaia ha smussato gli angoli della temibile McGrannit. O forse, non vuole essere dura con te.
Dovrebbe.
“Adesso predici anche i miei pensieri, Minerva? Ammirevole.” Fai vagare lo sguardo sulla stanza e di colpo un maglio, un uncino ti aggancia il cuore e dà un potente strappo.
C’è una tela, parzialmente occultata da mazzi di fiori sgargianti. Una tela piccola, non più grande di un foglio di pergamena standard. Raffigura un paesaggio esotico, animali che non conosci. Ciò che conosci è la mano, il modo in cui stende il colore e lo rende brillante accostando combinazioni multiformi.
L’ha dipinto Lily.
Senti Minerva muoversi sul letto; forse si chiede cosa tu stia guardando così attentamente da averti fatto congelare come sotto Incantesimo di Pastoia.
“Oh…” Dice, e la voce sembra provenire da lontano. “… quello me l’ha mandato la figlia di Harry, Lily Luna. Cara ragazza. Ha una bella mano, credo sia in Giappone ora. Ma tu la conosci, no?”
“Sì.” Dici, sentendoti parlare da una caverna molto profonda. “In Giappone?”
Altro che Irlanda. La ragazzina ha superato il maestro.
“Credo di sì, almeno a quanto mi ha detto Potter.” C’è una pausa molto silenziosa. “Severus, ti senti bene?”
Non ti sei accorto di aver portato il tono di voce prossimo allo zero assoluto. Né che i tuoi pugni si siano serrati come in attesa di un colpo.

Ma se ne deve essere accorta Minerva.
“Sì, naturalmente.” Ti volti con la tua migliore espressione composta. “Forse dovrei lasciarti riposare, ti vedo provata.”
“Forse sei tu a doverti sedere. Sei pallido come un morto.” Il tono è quello dei vecchi tempi, e per un attimo vorresti risponderle a tono che non hai bisogno delle premure di una madre, alla tua età. “Siediti.” Ripete.
Ti siedi obbediente come lo studente che sei stato. Anche essere scandagliato da dietro le lenti sottili dal suo sguardo acuto ti riporta indietro a vecchie memorie.
“È andata via due anni fa, mi sembra.” Dice. “Suo padre mi ha detto che è scappata di casa senza alcun motivo. Ha anche aggiunto, con una certa veemenza devo ammettere…” Fa un sorriso. “… che tu dovevi saperne qualcosa e che non volevi dirglielo. Mi ha detto che eravate molto legati.”

Dannato Potter. Supponi che non sia totalmente idiota come ti piacerebbe credere.
Dopotutto è a capo dell’Ufficio Auror. Ed è pure bravo, sembra.  
“Sì, mi si era affezionata inspiegabilmente.” Devi averlo già detto a qualcuno, ma non ricordi. Il tuo sguardo va di nuovo al quadro.

È migliorata, puoi dirlo anche senza essere un esperto. Il tratto è più fermo, pulito e sgombro da volute eccessive. Ridotto al minimo, quasi scarno. Eppure sono i colori che calamitano l’attenzione, non il tratto. Il nero pastoso, le ali bianchissime, il tramonto che si sfibra in volute rosa ed arancioni.
Sono i colori che hanno sempre reso la pittura di Lily viva.
Ti muovi a disagio come se sotto la sedia che ti ospita ci fossero carboni ardenti. “Sono felice di vedere che Lily sta bene.”  
Da quando le parole ti scivolano via dalle labbra senza che tu possa farci niente?
Non vuoi che nessuno sappia dei ridicoli sentimenti che ti si agitano dentro da troppo tempo.
Inadeguati, sciocchi, sei troppo vecchio.

“Non so dirti come stia, mi ha semplicemente fatto recapitare questo ritratto tramite i genitori, quando ha saputo che ero ricoverata. Si dice che le gru giapponesi simboleggino un augurio di pronta guarigione.” Lo guarda, poi scuote la testa. “Non la senti da così tanto tempo?”
“Già.”
“Glielo hai imposto tu, vero?”

Alzi lo sguardo e ti scontri con il fatto che Minerva ha capito. Non hai la minima idea di come abbia fatto dato che sei certo di non aver lasciato trasparire nulla; persino Potter ti ha accusato di essere un ‘insensibile bastardo’ alla vostra ultima chiacchierata.
Non sai perché non ti alzi e le auguri ogni bene prima di andartene. “Sì.” Dici invece. “Dovevo. È forse la scelta migliore che abbia fatto in questi anni. Non potevo permettere che continuasse. Ho dovuto allontanarla prima che la situazione diventasse ingestibile.”
Aprire il cuore ad una donna che non ti vede da anni e con cui non hai mai scambiato reali confidenze, potrebbe ritorcertisi contro. Ma comunque lo fai, perché questa cosa ti sta rodendo dentro. E non hai la minima intenzione di affidare altri ricordi tramite Pensatoio a chicchessia.
Specialmente a Potter, dato il soggetto.

“Non dirmi che…” Ha almeno il buongusto di non urlarti contro e darti del degenerato. Lo apprezzi, specie conoscendo il suo alto senso morale che la fa tendere le labbra in una linea sottile.
Poi capisci cosa esattamente ha frainteso.
“Non l’ho mai toccata.” Ringhi e la fai trasalire. “Era una bambina, per l’amor di Merlino!”
“No, non intendevo dire…” Si schiarisce la voce, imbarazzata quanto e più di te. Ben le sta. “Devi ammettere che avevi posto la frase in maniera ambigua.”
“Si era invaghita di me, ecco tutto. Non le ho certo dato udienza.” Sbotti e Merlino, se ti senti ridicolo. Si sente di professori o figure assimilabili che diventano mire sentimentali di minorenni con una fantasia troppo fervida.
Tu non sei mai stato uno di quei professori.

“Hai agito… bene.” Mormora lentamente. Non capisci perché non si congratuli con te con la leggerezza dovuta a queste situazioni e poi cambi discorso.  
“Ne sono consapevole.” Replichi freddo. “Ora, se non ti spiace…”
“Dio, Severus.” Sentire Minerva che invoca il nome della divinità babbana per eccellenza è sempre stato strano. Ed era riservata, ai tempi d’oro, ai momenti di sommo sgomento. “Ecco cos’hai. Sei infelice.”

La fissi come se le fosse andato di volta il cervello. Dal tuo punto di vista è così.
“Prego?”
“Non riuscivo a capire la tua espressione.” Aggrotta le sopracciglia. “Mi sembri in forma migliore di quando ci siamo lasciati l’ultima volta, certo. L’Irlanda ti ha fatto bene… ma hai ancora l’aria tormentata, e non capivo. Pensavo fosse dovuto al fatto che ti manca l’Inghilterra, ma…”
“Non mi manca l’Inghilterra.” Sottolinei.

“Ti manca quella ragazzina.” Finisce per te e magari una voragine si aprisse facendoti finire all’inferno, immediatamente…
Invece no.
“Questo è ridicolo.”   

“Severus…”
Vorresti andartene ma hai il terrore di scontrarti con Malcolm McGrannit carico di pasticcini. O chiunque altro. Se potessi ti smaterializzeresti all’istante. Ma non puoi, dato che in Inghilterra non hai un solo posto in cui tornare e l’Irlanda è un po’ troppo distante per tentare una mossa del genere e uscirne vivo.

Quindi racimoli tutta la tua dignità e cerchi di dare un taglio alla conversazione più disagiante della tua vita da quando hai confermato a Potter che amavi sua madre.
Corsi e ricorsi storici… Cos’ha che non va il mio karma?
“È poco più di una bambina, Minerva. Sarebbe inappropriato se provassi per lei qualcosa oltre l’affetto. E ti assicuro che è stato difficile provare anche quello, dato il padre.”
“Assomiglia a Lily.”
Le metteresti le mani al collo se non fosse che si suppone siate amici.
“Lily non assomiglia a sua nonna.” Sei stufo che in qualche modo, da chiunque, quell’argomento venga tirato fuori. “Sono diverse. Fisicamente forse si somigliano, ma per esperienza posso dirti che le somiglianze fisiche non dicono nulla di una persona.”
O saresti morto di cirrosi in qualche vicolo sudicio.

Ha il buongusto di sembrare dispiaciuta. “Scusami, sono stata indelicata.” Sì, lo è stata. Sembrava una delle tue vecchie conversazioni con Silente. “Posso farti una domanda?”
No – avresti voglia di urlarle. Ma la buona educazione ti stringe il collo come un cappio.

“Ho modo di evitarla?” Ma il sarcasmo è un buon palliativo.
“Ti ho parlato di affetto e sembra che ti abbia appena accusato di un terribile crimine, Severus.” Fa una pausa. “Perché sei così spaventato?”
“Non sono spaventato.” Replichi sconcertato, prima di accorgerti che sì, hai una paura del diavolo addosso. Ma mai dimostrarla, mai. “Penso soltanto che questa conversazione debba terminare qui.” Tenti un’ultima volta.

“La tua vita privata non è affar mio…” A quasi l’aria di recitare “… sì, il messaggio è chiaro. Mi dispiace davvero ricordarti che siamo amici e che ti conosco da una vita. E no, non sta funzionando.”
Segue un lungo silenzio.
“Cosa vuoi, Minerva?” Mormori sentendoti di colpo stanco. La verità è che lo sei sul serio. I sentimenti sono stancanti.
“Capire perché un amico che avrebbe dovuto raggiungere la serenità si comporta come se cercasse ancora qualcosa. Hai di nuovo l’espressione di quando hai cominciato ad insegnare, Severus.” Fa una pausa mentre la tua faccia deve aver perso totalmente colore. Lo senti. “… solo che stavolta non dovresti.”
“Lo decidi tu?”
“Non è così orribile come lo dipingi.” Cosa? – ti verrebbe da chiedere, ma non vuoi saperlo. “Ti conosco. Immagino tu ti sia comportato in modo assolutamente irreprensibile con lei. Ma adesso sei infelice.”
“Mi stai forse suggerendo di intraprendere una relazione con una ragazza di svariati anni più giovane di me?”
Hai voluto calare le carte in tavola. Non esattamente una cosa da te, ma si suppone che le persone cambino.

Una volta Minerva non era così impicciona. Sarà l’età? Anche Silente peggiorava negli anni.
“Severus…” Potrebbe anche piantarla con la condiscendenza. Preferivi i suoi sguardi fulminanti. “… non hai mai conosciuto mio marito Elphinstone, vero?”
“Non ne ho avuto l’occasione.” È stato un matrimonio breve, per quanto ricordi, e in quegli anni evitare le occasioni sociali per te era un dovere. E un piacere.

“Aveva quarant’anni più di me.”
Sarà il quarto silenzio da quando hai aperto la porta, ma questo è più denso degli altri. Estremamente tale.
“Era il mio superiore al Dipartimento di Applicazione Legge sulla Magia.” Continua tranquilla. “Abbiamo avuto un matrimonio breve, ma molto felice.” Stira con le dita il risvolto della vestaglia. “Quando mi si dichiarò la prima volta, gli dissi di no. Ma non per via della differenza di età …”
“Minerva.” Tenti di fermarla. “Non ha senso quello che…”
“Quello che non ha senso, Severus, è ignorare il proprio cuore.” Ti ferma dal ribattere con un gesto imperioso. Da quando ha ritrovato tono e piglio? “E so che è una sciocca frase fatta, ma ha il pregio d’esser vera. Non mi interessava l’età di Elphinstone quando l’ho sposato. Sapevo, per esperienza, che non dovevo lasciare che i pregiudizi delle persone mi frenassero una seconda volta.”

“Una seconda?” Ormai non ti interessa più mantenere la facciata. Vuoi sapere.
Alla tua domanda tace, e di colpo hai la percezione di non essere il solo ad avere il cuore malmesso in quella stanza.

Non hai mai pensato a Minerva come ad una donna, ti duole ammetterlo ma è vero. Non hai mai pensato che anche lei potesse avere una sua storia in quel senso.
“Ho lasciato andar via la felicità la prima volta, con un’altra persona…” Fa un mezzo sorriso amaro. “Non ho permesso che accadesse di nuovo. Non so cosa ti leghi a quella ragazza, Severus, e non pretendo che tu me lo dica. Solo, non voglio che perseveri nel mio stesso errore.”  
Non sai che dire. Non vuoi dire niente, meglio.
Minerva non torna sul discorso; finalmente comincia a parlare di niente in particolare, e ti lascia solo con i tuoi pensieri.

 
 
2028
 
“Severus, è davvero sleale da parte tua.”
“Gli scacchi non sono un gioco di cortesia.”
“Lo rendi palese.”
Sorridi beffardo mentre Minerva fissa con stizza la scacchiera che ti dà vincente in tre mosse; come tutti gli ex-Grifondoro non sa perdere. E tu non hai mai perso a scacchi con un grifondoro. Mai.

“Bene.” Sospira infine, vinta dall’evidenza. “Che ne dici di una tazza di the?”
“Vado a prepararne.”
“Severus…”
Ignori il suo richiamo e vai nella piccola cucina del cottage scozzese che, a quanto hai capito, è la vecchia casa della famiglia materna. È un basso cottage dai muri bianchi e il tetto robusto, ben diverso dalla tua austera casa in pietra, ma comunque confacente alla tranquillità di un’anziana insegnante in pensione.

Da quando Minerva è stata dimessa le tue visite sono state frequenti; poco dopo il vostro colloquio al San Mungo ti sei svegliato nel cuore della notte, realizzando che avrebbe potuto essere l’ultima volta che parlavi con lei.
Un tempo sarebbe stato un pensiero volatile, ma non è più quel tempo, il tempo dell’orgoglio ostinato. Che ti piaccia o no, alcuni angoli del tuo carattere si sono smussati; qualcuno potrebbe chiamarla debolezza, ma forse si sono solo erosi al trascorrere del tempo.
“Non c’è bisogno che mi tratti come un’inferma!” Esclama dal salotto; tipico suo pretendere che tu non abbia capito; non ha recuperato completamente la salute, e ti scopri spesso a spiare ogni sua mossa.
È forse poco sensibile da parte tua, ma hai il terrore che se ne vada. E che tu diventi l’ultimo emblema della vecchia generazione di maghi.
Hai paura di rimanere solo, detto fuori dai denti.
Ti ringrazia con un sorriso quando le porgi la tazza di the e la sorseggia quietamente. “Mi dai mai ascolto?”
Il vostro rapporto ormai è quello di due vecchi rivali che si riscoprono amici. E il punzecchiarsi fa parte dell’equazione.  Albus ne sarebbe stato estasiato.

“No.” Replichi senza scomporti. “So che ascoltare una grifondoro è esercizio sterile.” Ghigni perché sai che Minerva rimarrà fiero vessillo della casa di Godric fino al suo ultimo respiro.
E la prende sul personale.
Infatti ti lancia un’occhiataccia. “Quanto parlare ad un serpeverde.”
“Assolutamente vero.”

Fuori un acquazzone estivo lava i cespugli di ginestra che ornano il giardino. Certe volte ti chiedi come sarebbe stato vivere in un posto dove la pioggia non è parte integrante delle tue giornate.
Forse saresti stato una persona più allegra. Ti soffermi, ogni tanto su sciocchi pensieri del genere.

“Ieri mi è arrivato un invito…”
Riporti l’attenzione su Minerva, che sta osservando con aria critica i biscotti un po’ bruciati che una delle sue bisnipoti le ha portato dal corso di cucina che frequenta – senza troppo successo, pare.

“Se è una di quelle patetiche commemorazioni, scordatelo.” Ribatti senza pensare.  “In realtà si tratta di una mostra di pittura a Diagon Alley.”
Un allarme suona remoto nella tua testa. Fai finta di esser completamente assorbito nella prossima mossa – anche se la partita è tua.

“Severus, la mostra è di Lily Luna. È tornata in Inghilterra.”
Brutale e diretta. 

Non alzi lo sguardo dalla scacchiera, mentre pensi a cosa dire per non tradirti.
Sai che Lily è tornata in Inghilterra; due settimane fa ti è arrivato un biglietto dal Giappone. Hai passato le dita sulla leggera carta di riso che usano al posto delle pergamene. Profumava di colori ad olio. Hai immaginato Lily vergare lettere con le dita sporche di pittura ancora fresca, come a volte faceva durante l’adolescenza.

 
Severus,
Sto tornando. Pensavo, chissà come, che volessi saperlo.

 
Lily
 
Non hai capito se il biglietto fosse ironico.
Cinque anni. Sono passati cinque anni. Se tu sei un uomo dalle lunghe distanze ormai, lo stesso non può dirsi di Lily.
Cinque anni sono tanti per una ragazza così giovane. A quell’età si possono accumulare esperienze che cancellano con un colpo di spugna l’infanzia e l’adolescenza.
Ti chiedi se dal Giappone, oltre alla sua nuova, declamata tecnica – la Gazzetta del Profeta si aggrappa a tutto ciò che è targato Potter – abbia portato anche qualcuno.

Magari un fidanzato.
Fai una smorfia; tipico di te elucubrare nelle direzioni più disparate senza avere il minimo indizio. Rimasugli del tuo passato da spia.
“Severus?”
Alzi lo sguardo e noti che Minerva ha finito il the e anche i biscotti scampati alla cottura inesperta della bis-nipote. Per quanto diavolo sei stato perso nei tuoi pensieri?

“Cosa?” Sbotti sgarbatamente. Essere colto con le mani nel sacco ti da ancora fastidio.
“Dovremo andarci.”  
“Non sono stato invitato.”
“In realtà sì.” Ti stupisce. Appella il biglietto e te lo porge. “Leggi.”
A tono imperioso, la guardi male, ma apri la lettera.

 
L’Accademia Magiche di Arti Drammatiche & Figurative H. Beery
Ha il piacere di invitare la S.V. più accompagnatore all’inaugurazione della mostra di
Lily Luna Potter
Sabato 21  Luglio ore 16,30 presso la Galleria d’Arte Magica Moderna in Diagon Alley.
 
Lily ha una mostra tutta sua. Immagini che ha ventun’anni sia un traguardo ragguardevole, considerando quanto siano conservatori in Inghilterra sulla pittura.
I dipinti di Lily non raffigurano vecchi maghi o streghe morte, come tradizione vuole. Lily dipinge il presente.

Le ripassi il biglietto. “Non vedo il mio nome.”
“Severus, sulla busta.” Ti apostrofa con la pazienza riservata ad un bambino irritante.
Le lanci un’occhiata di avvertimento, ma obbedisci.

 
All’attenzione di Minerva McGrannit e Severus Piton
 
“… come fanno a sapere che…”
“Che spesso sei qui? Non sono gli organizzatori a saperlo.” Replica quieta, guardandoti come se fossi una curiosa creatura da catalogare. Ti chiedi che espressione tu stia facendo per causarle una simile reazione.

“E come fa Lily a saperlo?” È impossibile. Neppure Potter sa che visiti frequentemente la casa di Minerva. E né vuoi che lo sappia; meglio che tutti siano convinti che passi i tuoi giorni nel Connemara a marcire in solitudine.
Realizzi di colpo.

Le hai scritto.” Ringhi alzandoti di colpo in piedi. “Con quale diritto…”
“Severus, calmati ed ascoltami.” Replica senza scomporsi. Ti freni dall’attaccarla verbalmente solo perché è donna, è anziana ed ha una coperta sulle gambe.

Tralasciando che è la solita, maledetta, McGrannitt.
“Sono calmo.”
“Non direi.” Ti apostrofa con leggerezza. “Non sono stata io a contattare lei, ma lei a contattare me dopo che le avevo spedito un innocente…” Si sofferma sulla parola con una certa malignità. “… Gufo Intercontinentale per ringraziarla del quadro. Voleva sapere se potevo consigliarle dei libri di testo sulla Trasfigurazione sperimentale.”
“Per farci cosa?”
“Per i suoi dipinti.” Sì, sei consapevole del fatto di star ragionando come un grifondoro decerebrato, ma non puoi evitare di sentire l’urgenza di strangolare Minerva e le sue stupide, impiccione, alzate di ingegno. “È decisamente una Corvonero. Pochi piedi per terra, molta testa tra le nuvole… ma le sue idee sono indubbiamente…”
Minerva.” Neppure ti importa di alzare la voce e sentirla raschiare la gola, uno dei simpatici effetti collaterali del morso di Nagini. Hai spaventato più di un ragazzino ad Ardmore. “Perché diavolo c’è il mio nome su quell’invito?”
“Ti avrebbe invitato comunque, con o senza di me.” Scrolla le spalle. “Ed io ho bisogno di un accompagnatore, dato che ho tutta l’intenzione di andarci.”
“Non ti è mai interessata la pittura.”
“Si dice che con l’età i gusti cambino. Mi interessa adesso.” E sorride come una donna della sua età non dovrebbe fare. Sembra una ragazzina divertita e … Merlino benedetto, maliziosa.

Forse è la demenza senile.
“Non ci andrò.” Decreti, sentendoti rigido come una lapide, seduto dritto sulla tua sedia con tutte le ragioni del mondo. Non può obbligarti, e non funzionerà recitare la parte della povera vecchia con ormai poche distrazioni nella vita.
Silente non ti ha mai smosso, non lo farà lei.
“Non devi farlo per me, Severus…” Dice con tono grave. Detesti quando usa Il Tono McGrannit con te, quasi facessi qualcosa di riprovevole, come sottrarre punti alle Case altrui per divertimento.
Cosa che comunque hai fatto, ma sorvoliamo.
“Per me stesso allora?” Replichi sarcastico. “In quanti modi devo dirti che non ho nessun interesse a rivedere quella ragazzina?”
Minerva non ribatte. Anzi, con tuo grande sgomento, sorride. “Non era questo che intendevo, Severus.” Fa una pausa ponderata. “Dovresti farlo per lei. Mi hai scritto che l’hai molto incoraggiata a seguire le sue ambizioni…”
“Le ho solo consigliato di adoprarsi dove era più portata. E per tutta risposta non è neanche arrivata ai MAGO.” Sbotti.

“Verrai, non è vero?”
No.

Minerva annuisce. “Come preferisci. La scelta è tua. Se non vuoi, chiederò a Robbie o Malcolm di accompagnarmi.”
Detesti questo atteggiamento passivo-aggressivo. Deve aver seguito un corso accelerato da Silente. Deve, o non ti sentiresti preso in trappola come ti sentivi con lui.
(O forse ti conosce troppo bene, e sa che lasciarti solo con i tuoi pensieri è l’arma migliore per farti capitolare.)
Non andrai a quella mostra; sarebbe un faux-pas, e non puoi permettertelo. Non dopo che hai passato cinque anni a cercare di dimenticarne quasi diciassette.
Non che tu abbia la ridicola convinzione che Lily provi ancora sentimenti dettati dalla vostra inadeguata vicinanza. È cresciuta; supponi abbia scoperto che al mondo ci sono persone di gran lunga migliori di te.

Qualcuno, anzi, molti si saranno innamorati di lei. E lei si sarà innamorata di qualcuno. È bellissima, intelligente e piena di talento, perché non avrebbe dovuto?
È giusto, è doveroso. È normale.
Non puoi andarci.
 
 
Sei venuto a trovare l’altra Lily.
L’ultima volta che ci sei andato hai quasi avuto un collasso. Avevi ventun’anni e la tomba ancora aveva la terra morbida della sepoltura. Silente ti ha trovato piegato in due davanti alla lapide, e ti ha portato via tenendo per un braccio come se fossi un moccioso. Piangevi, come un moccioso.

È passato tanto tempo.
La tomba è pulita, ben tenuta. Immagini che Potter vi faccia costante manutenzione. Nella visuale entra anche il nome di James. Pensi che dopotutto hai incontrato persone peggiori di lui. Pensi che dopotutto non hai voglia di perdonarlo, non ancora.
Pensi anche che non c’è un vero motivo per cui sei qui.
Forse perché Lily ti è sta amica quando non lo era nessuno. Forse perché ti senti infuriato e confuso e vorresti che qualcuno ti dicesse cosa fare, come Silente ha fatto per tanto, troppo tempo.
Crescere non è un fatto cronologico. Si può restare, a conti fatti, un marmocchio spaventato; lo sei stato ben oltre l’età anagrafica.
Con il tempo hai compreso che ci sarà sempre, in te, quel ragazzino sporco e malnutrito che si rifugiava dietro i cespugli per spiare la gente normale.
Quel ragazzino si crogiola nelle sue miserie; non hai meritato Lily Evans e non meriti Lily, ti sussurra all’orecchio.
Non meriti amore. Neppure chi ti ha dato la vita si è sprecato a farlo.
Perché qualcun altro dovrebbe?
Te l’ha detto per anni, dopo la morte di Lily Evans. Ci hai creduto. Hai smesso di importarti. Ha ricominciato.
Componi una ghirlanda di gigli attorno alla tomba e lasci che ne goda anche quell’idiota di Potter; ricordi con amaro divertimento che era allergico.
Vorresti che Lily fosse qui, con i suoi grandi occhi verdi e un sorriso comprensivo. Vorresti chiederle come agire, cosa fare. Se è giusto quel che provi.
Vorresti chiederle se puoi provare ciò che provi.
Ma non avrebbe senso; hai sempre disprezzato gli idioti che parlavano a tombe come se i defunti fossero lì ad ascoltarli. Lily Evans è morta.
Una folata di vento caldo ti scompiglia i capelli. Alzi il viso sorpreso al breve calore. Aria di Scirocco, la chiamava la tua piccola amica d’infanzia con aria saputa. Hai insegnato a Lily cosa fosse quando ha soffiato sulle coste del Connemara, per qualche strano fenomeno di correnti.
Un bocciolo di giglio si stacca dalla corona e rotola fino alla tua scarpa e vi si posa sopra. Lo prendi.
Non che sia fenomeno ricorrente lo Scirocco in queste zone. Non che voglia dire niente. Neppure che un fiore si sia staccato da una corona di fiori freschi, creati con la magia.

Però.
Posi il fiore sul bordo della lapide. È lì che deve stare. Assieme alla bambina che ti è stata amica e quel moccioso che la spiava di nascosto.
 
 
Alla fine non sei andato all’inaugurazione.  
Hai pensato a tutta la gente presente, al chiasso, al clan dei Potter che si stringe attorno a Lily come un muro protettivo.
Hai pensato alla sua indifferenza, al suo saluto cortese e un po’ imbarazzato. Alle brevi parole che vi sareste rivolti prima che qualcuno la richiamasse altrove.
Hai quasi sentito la sua voce chiamarti ‘zio Severus’.
Ti è venuta la nausea.
Adesso, a quattro ore dall’inizio della mostra, è troppo tardi; apri così una bottiglia di whisky incendiario delle grandi occasioni.
Cagliostro ti fissa con grandi occhi gialli, tondi come lune. Dovrebbe essere morto da un pezzo, secondo la caducità felina. Sospetti, a questo punto, che sia un mezzo-kneazle.

Ti sembra quasi di vedere Lily salutare gli ultimi ospiti, chiacchierare con il curatore della mostra. Raggiungere poi fratelli e amici per bere qualcosa in uno di quei locali alla moda nati sulle ceneri di quelli devastati dalla guerra.
Potresti ancora tentare. Basterebbe entrare nel focolare, prendere della polvere magica e scandire l’indirizzo; la comunità irlandese ha dotato, sotto richiesta, tutti i camini di collegamenti minimi per l’Inghilterra. L’hai fatto creare per andare da Minerva durante la sua degenza al San Mungo.
Altrettanto facilmente potresti andarci a Diagon Alley.

Potresti, ma…
Vuoti le due dita di whisky che fin’ora hanno stanziato tra le tue dita e ti alzi in piedi.
Rivederla ti permetterà di far finire tutto. Troverai una ragazza cambiata. Troverai una persona che non ha più niente a che fare con te e va bene così.
Devi andarci.  
Quando getti la polvere nel focolare il lampo verde che ne scaturisce quasi ti acceca. Sono anni che non la usi, e ricordi perché non appena le scarpe affondano nella cenere.
Dopo un viaggio a velocità molto più sgradevole di quanto ricordassi, ti ritrovi nella cappa di un camino che non conosci.
(Non la prenderai mai più, mai finché avrai vita.)
C’è silenzio, ed è la prima cosa che noti. La seconda sono le luci soffuse che significano prossima chiusura. La terza è che i quadri devono essere nella saletta attigua per evitare disastri con la fuliggine. Vedi infatti  rimasugli di un Buffett e senti il pavimento appiccicoso per i troppi drink maneggiati maldestramente.
Sei arrivato troppo tardi.

Non vuoi che qualcuno ti veda, il curatore, un addetto, chiunque e ti faccia domande. Saresti capace di schiantarlo senza colpo ferire, al momento; vuoi solo tornare dove dovresti essere. Lontano da qui.
 
“Severus!”


Riconosceresti quella voce tra mille. Il particolare timbro di chi per sette anni della sua vita non ha aperto bocca.
Lily Luna Potter.
Ti volti e ti trovi di fronte Lily. Cinque anni, pensi di colpo, cinque anni dovrebbero cambiare una ragazza. E l’hanno cambiata. È una donna adesso, nessun dubbio su questo. Alta e dalle forme statuarie noti che indossa un vestito dal taglio orientale, terribilmente azzurro. Un kimono, supponi.  
Sembra uno dei suoi dipinti.  
Però i capelli sono sempre il manto di fiamme che ricordi, libero e privo di costrizioni dovute alla moda. Gli occhi sono sempre enormi, forse ancora di più dato che il viso le si è affilato in un ovale maturo.

Una banalità dire che è bella da togliere il fiato. Ma in effetti ti senti in carenza di ossigeno, e dubiti che sia per la fuliggine che il viaggio ti ha fatto ingoiare.
Rimanere fermo come un povero idiota non è consigliabile, quindi ti spazzoli con leggerezza i vestiti. “Lily.” Esordisci. “Perdona il ritardo.” È una frase stupida, lo capisci non appena la pronunci. Hai ritardato perché non volevi venire.
Non dice nulla e non riesci a decifrare la sua espressione nella penombra. Non parlerà per prima; continua infatti a fissarti con le labbra serrate in un’ostinazione che te la ricorda bambina.
Non che ti aspettassi ti gettasse le braccia al collo, come alla festa dei suoi diciassette anni, ma una parte di te ne rimane ferita.
Ovvio, Severus. Non ti vede da anni e le spunti da un camino con l’aria di averla lasciata dieci minuti fa. Cosa ti aspetti?
Inspiri. Non potete certo rimanere a guardarvi come due allocchi.  
“Ho ricevuto il tuo invito tramite Minerva… ma ho avuto dei contrattempi e non sapevo se ti avrei trovato. Sono felice di essermi sbagliato.” Il tuo tono più distaccato, le tue intenzioni migliori. “Congratulazioni.”
“Sì…” Mormora di colpo ed è un sollievo. “La mostra però è finita.”
“L’ho notato. Vorrei vedere i tuoi dipinti comunque.” La interrompi. “Credi sia possibile?”
Batte le palpebre, poi annuisce. “Sì, certo… il Signor Collins, il curatore… mi ha lasciato ad occuparmi della chiusura.” Ti spiega. “Non credo ci siano problemi.” Ti fa cenno di seguirla.

Con colpi leggeri di bacchetta riaccende tutte le luci. Lo fa con sicurezza; sta riprendendo il controllo di sé. Noti che ai polsi ha due braccialetti d’argento, ma nessun altro gioiello. È rimasta spartana.
“Non è molto, sono solo una dozzina di tele.” Dice facendosi da parte per lasciarti esplorare l’ambiente. “Non è tutto quello che ho dipinto, ho dovuto selezionarli.”

“Capisco.”
Come supponevi è in imbarazzo. Non ti guarda, il suo tono è neutro, quasi fossi uno sconosciuto capitato lì per caso o curiosità; sperava non venissi, è ovvio.

Metti a tacere la delusione che ti brucia dentro in maniera piuttosto dolorosa e rivolgi la tua attenzione alla mostra.
Paesaggi, animali, persone. Se non fosse che è una mano umana ad averli creati, penseresti di trovarteli di fronte in carne ed ossa. I dipinti si muovono sulla tela, cangiando colori e ombre. Non sono dotati di parola o verbo, ma senti il vento frusciare trai bambù e lo scorrere dell’acqua limpida di un ruscello.

Non sei mai stato in Giappone e dubiti che vi metterai mai piede; eppure sei rapito dalla sensazione di trovarti esattamente lì, e di vederlo con gli occhi di una ragazza appena arrivata.
Gli occhi di Lily.
“Che te ne sembra?” La sua voce ti riscuote e ti accorgi di averla accanto. Le sue dita ti sfiorano inavvertitamente il risvolto della giacca. Non tocca te, ma è come se lo facesse.
Non saresti dovuto venire.
“Sono… d’effetto.” Ti scolli dal palato con estrema cura. Sono parole sterili e te ne accorgi dallo sguardo di Lily. “Sei migliorata.” Cerchi di rimediare. “Ma l’avevo notato già dal dipinto che hai spedito alla professoressa McGrannitt.”
Batte le palpebre. “Oh, quello. Ne ho una copia esposta qui. Ti è piaciuto?”
“Non c’è niente che non mi piaccia qui dentro.” Dici e ti mangeresti la lingua. Merlino, come un ragazzino alle prime armi.
(Pur vero che non ti sei mai allenato particolarmente nei complimenti.)
Sembri non essere poi così terribile, perché Lily si illumina. Una volta era totalmente aperta nel farlo, era quasi doloroso notare quanto le tue parole le facessero effetto. Adesso è più contenuta.

Come immaginavi. Ciò che provava per te è passato come passa una brutta malattia.
Eccellente.
“C’è un dipinto…” Inizia dopo un breve silenzio dove tu hai guardato una natura morta di melograni sentendo l’amarezza seccarti la bocca. “C’è un dipinto che non ho esposto, ma che volevo vedessi. L’ho portato. Vuoi…?”
“Naturalmente.” Convieni con educazione da vecchio zio di famiglia. Ti fissa un po’ stranita e ti senti improvvisamente in imbarazzo. Stai solo cercando di mantenere le distanze. Non dovrebbe esserti grata? Fai un cenno brusco. “Fa’ strada.”
Lily ha un curioso guizzo di sorriso, poi annuisce e procede verso quello che sembra il magazzino della galleria, un angusto sottoscala.
Non dovresti essere qui, pensi. Non dovresti essere qui e sentirti completamente agitato e fuori assetto. Percepisci la vena del collo pulsare e diavolo, sarebbe il momento perfetto per un colpo apoplettico.  
“Non vorrei farti tardare, immagino tu abbia una festa a cui attendere.” Dici mentre sparisce sotto le scale.
“I miei cugini avranno già aperto le danze.” È la replica attutita. “Tra mezz’ora saranno tutti talmente brilli da non ricordarsi chi o cosa festeggiano.”
“Capisco.”

La senti quasi ridacchiare. Sta ridacchiando. “Credimi Severus, mi stai facendo un favore.”
La prima cosa che esce dal sottoscala è una tela coperta; la prendi e poi ti vedi tendere la sua mano. Una mano forte da artista, non esile come quella di una ragazza che non hai mai usato le dita come strumenti, come fa lei. La prendi per aiutarla a salire e la stretta è sempre tiepida e salda come un tempo.

Non sai se questo è un bene però.
“Non ho voluto esporlo, anche se il Signor Collins ha fatto di tutto per convincermi.” Dice con un sorrisetto divertito. “Secondo lui è uno dei miei pezzi migliori.”
Aggrotti le sopracciglia confuso; il punto di questo genere di manifestazioni è farsi conoscere, specie se si è giovani e alle prime armi. “Perché hai rifiutato?”
“Perché è un regalo per te e non volevo che qualcuno ci mettesse gli occhi sopra.”

La risposta ti secca le parole sulla punta della lingua. Ti prende la tela tra le mani e si sposta nell’angolo più luminoso della sala. “Ci vuole la luce giusta!” Ti spiega con le guance colorate per lo sforzo.
“Non c’era bisogno…” Inizi quasi ti facesse uno sgarbo. Non hai mai saputo come gestire la gentilezza quando non la meriti. E collateralmente, non sai gestire la giovane donna che hai di fronte.
“Sì invece.” Ti interrompe. “Mi piace fare regali ai miei amici.” Come può avere quel tono scanzonato, come se tutto fosse semplice?
Non è te, molto semplicemente.
“Temo di non averti preso nulla in cambio.” Avresti dovuto, ti castighi silenziosamente. Ti dimentichi sempre dei maledetti fiori.
“Non dovevi. Dovevi solo venire qui.” Posa la cornice su uno dei supporti vuoti. Ha venduto qualcosa, ti fa piacere. Davvero. Ti aggrappi a tutto pur di non guardarla direttamente. “Sei qui, no?”
“Così sembra.” Convieni.

Lily sorride e con un colpo di bacchetta scioglie lo spago che chiude l’imballaggio.
La prima cosa che vedi è il verde che si mischia all’azzurro. E poi una macchia scura, forte ed immobile.
È un vecchio soggetto. È il Connemara, è la scogliera di Ardmore, è casa tua.
È il vostro Connemara, realizzi. Perché è quello che vedevate entrambi con gli stessi occhi.
“Non aveva molto senso disegnassi il Giappone per te, se non ci sei mai stato. Ma potevo disegnare te. E visto che non ti piacciono i ritratti…” Mormora toccandoti di nuovo il risvolto della giacca con le dita. Ed è intenzionale stavolta, può darsi lo fosse anche alla prima.
Ti eri scordato quanto fosse capace d’esser sottile.
“Ho visto molti posti, molti paesaggi…” Continua con sguardo assorto nel dipinto. “… sul serio, tanti. Ma questo rimane il mio preferito. Forse perché lo sento anche un po’ mio.” Ti scocca un’occhiata delle sue, trasparenti come se ti rispecchiassi in una polla d’acqua. “Tu che ne pensi? Lo senti tuo, Severus?”
Una delle sue dannate domande scomode. Non rispondi.
Essere investiti da più di un emozione, da un’intera, dannata sinfonia dà lo stesso effetto che venir colpiti da uno schiantesimo. Per te è stato sempre così.
È così adesso.
Istintivamente cerchi la bacchetta per difenderti, ma quello che ti trovi a stringere è un palmo caldo. La mano di Lily.
“Sapevo che saresti venuto,  magari in ritardo, magari quando non c’era più nessuno, ma saresti venuto.” Dice stringendo la presa, impedendoti di sfuggirle. Vorresti dirle che non ne hai la minima intenzione, ma non è il caso. Davvero no. “Pensi che di solito il curatore lasci chiudere ad una delle espositrici? L’ho supplicato di lasciarmi rimanere.” Fa un sorrisetto saputo.
“Non hai una festa a cui andare?”
“Non c’è nessuna festa.” Ribatte. “Ho chiesto agli altri di non farla. Aspettavo te.”

Ti ha fregato. E in maniera piuttosto magistrale.
È sempre stata maledettamente sicura di sé; è una Potter, non potevi aspettarti niente di meno.
Quello che non ti eri preparato ad affrontare è che ti aspettasse. Che ti sorridesse con lo stesso calore e affetto di una volta.

“Fa freddo qui… possiamo andare a casa tua?”
“Lily.” Tenti. Che sia messo agli atti che tenti. Non sai se riuscirai a mantenere lo stesso distacco che hai qui, quando sarete soli in un ambiente che ti è familiare e che ti porta automaticamente ad abbassare le difese. Non sai come potresti reagire perché non sai cosa vuole da te.
È spaventoso.
“Ho tante cose da raccontarti.” Replica stringendosi nelle spalle. “E non voglio farlo rischiando un raffreddore.” Ti scocca un’occhiata. “Non è come se fosse la prima volta che vengo a casa tua, no?”  
Non ha intenzione di mollare la presa. Sospiri. E capitoli.
 
 
Il fuoco scalda i piedi nudi di Lily. Noti che non ha smesso di dipingerli di tutti i colori dello spettro percepibile da un essere umano e forse anche da qualche insetto.
Mentre le unghie delle mani ne sono ormai sfornite, le dita dei piedi si mostrano ancora orgogliosamente arcobaleno.

Sono passate ore e la tazza di the con cui la casa l’ha accolta ora riposa vuota tra le sue mani.
Avete parlato o meglio, Lily ha parlato tanto. Ti ha raccontato del suo anno in Ucraina – ecco qual’era il paese con i timbri postali in cirillico - presso un’amica di piuma. Ti racconta di come abbia deciso di spostarsi in Giappone quando l’amica in questione si è rivelata poco amichevole all’idea che il suo fidanzato si fosse invaghito di lei.
‘Non gli ho dato la minima corda, credimi Severus! Quel tipo era matto come un calderone scoppiato!’
Di come poi si sia trasferita in Giappone, a Kyoto, e di come si sia innamorata delle sue atmosfere antiche millenni.
‘Ho trovato la mia ispirazione lì, Severus… credo di aver dipinto qualcosa come centinaia di quadri, o tele. Ho dipinto tanto da farmi venire i calli!’
Hai idea che ometta molte parti della storia; dubiti che il suo trasferirsi all’altro capo del mondo sia stato così agevole. Le mani, ad osservarle giocherellare con la tazze e accarezzare Cagliostro, sono rovinate sulle unghie. Ha lavorato, ed ha lavorato per babbani, forse. Anche la sua bacchetta sembra raccontare una storia, quando l’ha gettata distratta sulla credenza, al suo vecchio posto.
Ti parla con la solita confidenza sfacciata di un tempo, continua a mangiarsi le parole quando si emoziona troppo nel raccontare.
Ma è tutta una finzione. Sono passati cinque anni, e l’ultima volta che vi siete visti è stata con l’intenzione di dirvi addio. Almeno da parte tua.
E lei non può non ricordarlo.
“Hai intenzione di aprire una galleria?”
Lily fa una smorfia, baciando il muso di Cagliostro, che fa le fusa senza sosta da quando l’ha vista. Speravi morisse di gioia. Letteralmente.

“Non lo so. In realtà non so se voglio vendere quello che dipingo.” Si mordicchia un labbro. “Ci ho provato. Anche stasera, ho venduto due tele. Ma solo a mio fratello Al e ai nonni.”
“Se adottassi alcuni accorgimenti…”
“Non so se voglio dipingere per vivere, Severus. Farci soldi, intendo.” Ti interrompe, guardandoti. “Mi infastidisce farmi pagare per quello che creo. Donarli magari, ma solo a chi voglio io.”
“Molto idealista, ma come pensi di guadagnarti da vivere?”
Sospira, ravviandosi una ciocca di capelli. Li ha sempre tenuti lunghi, e continua a farlo. Senti le dita formicolare dalla voglia di toccarli. Ricordi che erano morbidi.

Merlino, datti una calmata. Non sei una bestia in preda agli istinti.
Sei un uomo razionale.
“Non lo so. Il Signor Collins mi ha proposto di lavorare per lui. Non sarebbe male.” Mormora. “Non dipingendo, comunque. È una cosa che faccio, che faccio per sentirmi bene. Mi aiuta, è chi sono.” Sovrappone di nuovo le parole. Al contrario la sua pittura è sempre stata chiarissima. “Non mi piace l’idea di vendere i miei dipinti a gente che magari li infilerebbe tra due orrendi ritratti storici delle guerre dei folletti.”
Inarchi appena le sopracciglia. “Di cattivo gusto.”
“Sarei capace di spedir loro una fattura.” Sbuffa divertita, lanciandoti un’occhiata. “Non hai mai provato fastidio a vendere pozioni a gente che sicuramente non saprà assumerle a dovere?”
“Continuamente.” Replichi tuo malgrado divertito. “Mi appaga però sapere che gli effetti collaterali saranno tutti loro.”
Ride e ti senti il cuore caldo come se te l’avessero appena buttato nel fuoco.

Non resterà. Ti ripeti che non resterà e che devi custodire questi ultimi momenti, perché poi tornerà alla sua vita, e tu alla tua.
“Non è che hai un posto come pela-radici?” Dice di colpo. Sei talmente spiazzato che per un momento la guardi senza parlare.
Poi capisci che è una battuta e il sangue ricomincia a circolare a dovere.
Non resterà qui, non pensarci neanche. Non osare illuderti, vecchio sciocco.
“Le tue capacità devono essere peggiorate drasticamente da quando non correggo più i tuoi errori. Mi faresti esplodere il laboratorio, sciocca ragazzina.” Sbuffi come da copione.
Quello che non ti aspetti è il sorriso caldo che ti investe come lo Scirocco.
“Merlino, Severus… mi è mancato da morire, intendo dire… tutto questo.”  
Sì, lo so. Che cinque anni pensi abbia passato, Lily?
Non lo dici però, limitandoti ad un lieve cenno rigido. “Se non vuoi dipingere per commissione, cosa hai intenzione di fare?”
Scrolla le spalle, e non ti sfugge il lampo deluso che le passa nello sguardo.
Non ricorda che tu non rispondi mai a certe esternazioni?

“Non ne ho idea. Non so neanche se mi fermerò in Inghilterra dopo il compleanno di papà.”
Il compleanno di Potter è tra meno di due settimane.
Annuisci, sentendoti un peso in fondo allo stomaco. “Tornerai in Giappone?”
“Non è che abbia molto da fare anche là.” Posa Cagliostro a terra e gli dà un’ultima carezza prima di guardarlo andare via. “Forse potrei andare in Francia da mia cugina Victoire. Sono anni che mi invita.”

La Francia è meglio del Giappone, ma per te non c’è molta differenza. Che siano poche miglia di Oceano a separarvi, o un intero continente … non sarà qui, ecco tutto.  
“Perché sei tornata?” Sbotti aggressivo e quasi ti stupisci di un tono che credevi aver perso all’epoca della guerra.
Ma ti senti male come allora. Ti senti furioso come allora. Non esattamente, non precisamente. Ma la deriva è quella.
Lily ti guarda attentamente, poi si volta verso di te con tutto il corpo. “Tu perché pensi che sia tornata?”
“Non ne ho la minima idea.”
“Non è vero.”
“Per il compleanno di tuo padre?” Azzardi sapendo di sbagliare.
“Mio padre compie gli anni ogni anno, Severus. È il punto dei compleanni, ho idea.” Sorride appena. Non si è cambiata dal kimono che indossava per la mostra. Non è un vestito aderente, ma neppure qualcosa che copre quanto dovrebbe. Ha allentato la cintura alla vita per sedersi in libertà ed ora una porzione di pelle, dal collo alla clavicola è scoperta. È bianca, è morbida, puoi immaginare, e liscia. E non ci vuole immaginazione neppure per proseguire con lo sguardo.

Fissi il fuoco come se volessi gettarci i bulbi oculari.
“Vuoi infastidirmi ancora per molto? Dimmelo e basta.”
“Ho ricevuto una proposta di matrimonio.”

Registri la notizia e poi senti un dolore acuto alla mano. Ti accorgi di aver spaccato il bicchiere – il tuo bicchiere da whisky preferito peraltro – tra le mani.
Imprechi doverosamente, recuperando la bacchetta e pulendoti la mano dal sangue e le schegge di vetro. Fai evanescere quel che resta del bicchiere e fermi il sangue con un breve incantesimo curativo.
In tutto questo Lily ha avuto uno scatto – uno solo, quando si è rotto il bicchiere – si è alzata in ginocchio, pronta a correre in tuo aiuto.
Poi deve aver realizzato che hai spaccato un bicchiere proprio mentre ti annunciava del suo prossimo matrimonio.

Coincidenza curiosa, no?
“Congratulazioni.” Mormori e non ci crede più nessuno. Tu per primo.
Razza di idiota.
“Non mi sposo.” La fissi e ti sta sorridendo con aria divertita.
“Hai appena detto che ti è stata fatta una proposta di matrimonio.”
“Proposta che non ho accettato.” Replica alzandosi in piedi e stiracchiandosi. Dovrebbe davvero sistemarsi quella cintura. Dovrebbe perché il caldo che senti al viso non è il fuoco, dato che non è quel tipo di calore.

“È una specie di scherzo?” Sibili con il tuo tono peggiore. Sei infuriato, oltre a tante altre cose. Sta giocando con te, ti sta stuzzicando. E tu hai sempre detestato i giochetti.
Lily batte le palpebre e sembra leggere la tua rabbia, perché assume un’aria colpevole. “No, io… era solo. Non mi sto sposando. Non voglio sposarmi.” Aggiunge frettolosa. “C’era questa… persona… che mi è stata molto d’aiuto in Giappone.”
Che bruci tra le fiamme dell’inferno.

“Mi è stato amico, e gli sono sinceramente affezionata. Avevo capito da un po’ che si era … diciamo invaghito di me?” Scruta la tua espressione, ma la rendi anodina come Occlumanzia vuole. Benedetta arte del saper nascondere. “E… niente. Non lo amo, quindi gli ho detto di no.”
“Questo non spiega perché tu sia tornata qui.” Rifletti. “Ti ha forse costretto in qualche modo a lasciare il paese?”
No, che non bruci tra le fiamme dell’inferno. Gli spauracchi babbani non sono poi così efficaci.

Che incontri te.
“No!” Scuote la testa con forza. “Merlino, no, assolutamente! È solo che ho pensato…” Esita, poi si fa forza. E ti sembra di aver già visto questa scena. Oh, sì. Compleanno. Il suo. “Ho pensato che non potevo restare in Giappone a ricevere proposte di matrimonio da persone che non amavo, quando l’unica persona con cui volevo stare era lontana miglia. Quando Eisuke mi si è proposto ho pensato che non era lì che dovevo stare. Ma qui, con te. È sempre qui che sono voluta stare.”
Il bastardo ha un nome. Ridicolo peraltro. E comunque…

E comunque Lily l’ha fatto di nuovo. Incredibilmente, assurdamente è di nuovo di fronte a te e ti si sta dichiarando.
È ancora innamorata di te.
E tu stavolta ti senti ancora peggio, perché non c’è più quella meravigliosa remora morale che ti frena dall’alzarti per toccarla, stringerla e…
… e rovinare tutto.
Non ti dà tempo di dire niente. Tira invece fuori una chiave. E con sgomento, la riconosci come la vecchia Passaporta di Potter. Ricordi di avergliela lanciata addosso durante la vostra ultima conversazione.
Ora ce l’ha di nuovo Lily.
“La riconosci?” Fa pendere la catenella tra le dita. “Ti ricordi quando ero piccola? Era programmata per attivarsi ad una certa ora. L’ho fatto mentre parlavamo.” Non coccolava Cagliostro, incantava la chiave. “Tra pochi secondi si attiverà, e tornerò a casa di mia madre.”
Perché?
Poi capisci perché. Ti sta dando un ultimatum. Un conto alla rovescia come nel peggiore dei film babbani.

“Questa è l’ultima volta Severus. Ti ho aspettato stasera, ieri sera, una settimana fa e per cinque anni… sono tanti.” Sussurra e la chiave continua ad ondeggiare. Comincia a brillare, lo vedi dalla poltrona in cui ti senti ancorato. “Non aspetterò se deve continuare a fare così male. Perché fa male non sapere se mi ami o meno. A diciassette anni forse volevi proteggermi… ma non adesso.”
Ti amo – urla quel bambino malmesso, quel ragazzo spaventato e solo, quel giovane tormentato e te, l’adulto cinico e rovinato.
Ma dalla tua bocca non esce un suono. Chissà se era così che si sentiva, quando tutti le intimavano di parlare e lei non voleva?
“Ti ho dato del codardo, ma non è vero.” Mormora piano, quasi un sussurro, che però ti rimbomba addosso come se stesse gridando. “Sei solo spaventato. Posso avere coraggio per entrambi, se me lo permetti. Posso, Severus.” Fa una pausa e la voce si incrina, come il suo sorriso, la sua espressione. “Ti prego.”
Ti prego amami – diceva quel ragazzo cresciuto male come una pianta in un armadio  Vi prego, qualcuno mi ami. Perché a tutti e non a me?
Ed ora ecco qua. Qualcuno finalmente ti ama, Severus. Cosa intendi fare?
La chiave brilla violentemente e tra pochi secondi, solo tra pochi attimi, Lily verrà scaraventata a miglia da qui.
La chiave ha un lampo. E poi senti il suo rumore attutito sul pavimento mentre rotola sotto la poltrona.
Senti il peso di Lily tra le braccia e la catenella che le hai strappato di dosso tra le dita.

Percepisci anche il tuo respiro affannato. Percepisci il modo in cui il suo petto si alza e si abbassa contro la tua camicia.
Non ci sono altri rumori all’infuori di voi. Voi. Lily è ancora qui.
La Passaporta non si attiva senza qualcuno che la tocchi e Lily sta toccando te, non la chiave: ti ha passato le braccia attorno al busto e ti ha posato il viso sulla spalla. Ha serrato la presa quando l’hai strattonata contro di te.
Sei consapevole di quello che hai appena fatto. Lei ne è consapevole.
Ne siete consapevoli.
Molto lentamente alza il viso e ti guarda. “È un sì?” Dice piano, quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
Il tuo buonsenso, probabilmente.
“Stupida ragazzina.” Ringhi, e non ottieni un’espressione spaventata come al solito, ma una risata sommessa.
“Ho sempre sognato di avere una dichiarazione così.” 
Se la stringi ancora più forte finirai per farle male. Ma è difficile non farlo, vero?
Quand’è l’ultima volta che sei stato in una situazione intima come una donna? C’erano già i telefoni cellulari?
Ti fai questo genere di domande totalmente imbecilli e poi ti accorgi che Lily ti sta già baciando.
Alla fine non ha aspettato. Prevedibile.
È l’ultima cosa che pensi, perché non sei un pezzo di granito e perché una donna che ti bacia come ti sta baciando lei non è qualcosa da cui distogliere l’attenzione.
Rispondi e non dovresti, è sbagliato è… meraviglioso.
Ti eri dimenticato della sensazione appagante che può dare un bacio. Meglio, non l’hai mai avuta a pieno, perché non hai mai baciato una donna che era per te il significato stesso della vita.
Perché Lily è vita.
Staccarti è un supplizio, ma ci sono cose che devono essere dette. Fatte. Pianificate.
Non hai la minima intenzione di vederla partire per la Francia, da nessuna dannata cugina.
“Oh…” Mormora ed ha le guance rosse e gli occhi liquidi. Ringrazi il tuo lungo addestramento al controllo degli impulsi, perché ne stai disciplinando almeno una  cinquantina. “Non vorrei annoiarti elencando gli stereotipi da letteratura romantica che stai appena incarnando…” Bisbiglia sognante. “Ma wow.”
“Sì, certo.” Borbotti sentendoti quasi lusingato. “Dobbiamo…”
“Se mi dici che dobbiamo fermarci, giuro che ti schianto.” Ti apostrofa con aria così determinata che contempli sinceramente l’opzione lo faccia davvero.

“Dovremo…” Metti le mani avanti ed è un sollievo che non abbia la bacchetta a portata di mano; non ha un’espressione rassicurante. Potter e Weasley insieme creano progenie facili allo scatto. “… rallentare.” Proponi saggiamente. “I sentimenti che proviamo adesso sono esasperati dalle contingenze.”
“Col cavolo.” Sbotta, poi sospira vedendoti inarcare le sopracciglia all’inflessione da Devonshire profondo che le è appena sfuggita. “Okay. Ascolta. I miei sentimenti non sono esasperati né acerbi. Ho avuto anni per rendermi conto che ti voglio. E adesso, aggiungerei, da morire.”

“Cinque anni…” Resistere alla tentazione. I babbani hanno scritto molto su questo tema; vi hanno anche fondato una religione. Vedere le sue labbra rosse, umide, dischiuse e notare come il maledetto kimono ormai assomigli ad una vestaglia semi-aperta…
‘Resistere è futile’.
“Non cinque anni, Severus. È da quando ho capito cosa significava volere un uomo che voglio te, razza di insopportabile testardo.” Sussurra, ed è quasi minacciosa mentre ti si avvicina. “Solo te.” Ti passa le dita sul risvolto della camicia e le punte toccano la base della cicatrice. “Adesso.”
Ah.
L’inadeguatezza ti striscia addosso improvvisa come una brutta febbre. Da quant’è che non tocchi una donna? Come dicevi, anni. Alcuni dicono sia come montare su una scopa dopo un’inattività prolungata. Si ricorda tutto.
Non ne sei tanto sicuro. E comunque, non vuoi dare a Lily quel genere di esperienza.
Hai fatto sesso con donne per urgenza, per bisogno, per calore. Non che non sia stato piacevole…
… ma piuttosto che farle provare un briciolo della desolazione che hai provato tu dopo, ti ammazzeresti con le tue mani.
Ti scruta. “Cosa c’è?”
Intuitiva come sempre. “Non credo di essere all’altezza delle tue aspettative.” Se un fulmine ti stroncasse sul colpo, quasi ringrazieresti il tuo karma disgustoso. “Ho fatto sesso, Lily. Tutto qui. Niente di più che appagare un istinto.”
Ti passa le mani lungo le spalle e poi le ritira, lasciandole lungo i fianchi.
Oh, fa freddo. D’improvviso.
“Vuoi fare sesso con me?” Il candore con cui lo pronuncia ti fa deglutire a vuoto.
No. Ti ho appena detto che non voglio affrettare le cose, e tantomeno in quel modo. Fingi di non capire?!” Stringi i pugni e la vorresti fuori di casa. No, dentro casa.
Stai avendo una crisi di nervi.

(Alla tua età. Essendo un uomo. Con esperienze. Complimenti.)
Cerco di capire. Non sei un uomo facile da decifrare.” Replica senza battere ciglio. È l’espressione che le scorgi negli occhi a farti abbassare di colpo i toni. “Mi ami?”
Non vorrà fartelo ammettere.
Per fortuna, no. “Se mi ami, non puoi voler fare sesso con me. Con me farai l’amore… ed è quello che vogliamo entrambi, se interpreto bene.” Ventun’anni. Immaginavi che avesse imparato ad usare le parole meglio di quando era una timida diciassettenne.

Non così tanto però.
“Non ho ancora detto niente, mi pare.” Ultima strenua difesa mentre il resto di te sembra aver lava al posto delle vene. Non pensavi di poter provare di nuovo un desiderio così forte, così totalizzante, non dopo tanti anni.
Ma l’hai mai provato, poi?
“Non hai detto niente…” Si allaccia alla tua vita. “… ma mi dispiace avvertirti, Severus, non sei più il grande Occlumante che credi.”
Ti dispiace? Era uno dei tuoi più grandi vanti. Ti ha salvato la pelle innumerevoli volte.
No, non ti dispiace – realizzi quando hai Lily tra le braccia, senti scivolare via il suo kimono e realizzi che non ne hai più bisogno.



“Sei arrabbiato con me?”
La domanda si insinua nella penombra della tua stanza da letto. Pensata per un uomo privo di compagnia affettiva, è piuttosto desolante . Il kimono di Lily, posato sulla sedia dello scrittoio è però una macchia di colore.

Non ha voluto che spegnessi la luce. Il tuo pudore ti ha subito fatto andare all’interruttore, ma ti ha fermato con la mano, quasi ti avesse letto nel pensiero.
“No.” Ti ha detto semplicemente, prima di baciarti di nuovo. Ed hai scoperto o meglio, ricordato, come non sei mai stato in grado di negarle nulla.  
Socchiudi gli occhi e la trovi accoccolata al tuo petto che ti fissa estremamente seria.
“C’è un motivo particolare per cui dovrei esserlo?” Sospiri, sapendo che potrebbero, in effetti, esservene molti.
Stranamente non ti senti neppure un’oncia di rabbia addosso. È qualcosa dovuta ad un processo meramente fisiologico, certo, ma provi anche quiete.
Ecco come ti senti. Ed è simile all’ebbrezza che deve provare un ragazzetto alla sua prima sbronza.
Lily segue il contorno del tuo viso con un dito, e ricordi faccia così anche con pennello e tela. È tanto che non lasci entrare qualcuno nel tuo spazio vitale, e ti scopri a pensare che forse, così, non l’hai mai fatto.
Entra sottopelle, Lily Luna.
“Ho giocato sporco…” Sussurra con un sorriso che non sfigurerebbe sulla Monna Lisa.
“Sì, non c’è dubbio.”
“Tu non avresti fatto niente.” Aggrotta le sopracciglia. “Mi avresti lasciata andare.”
Non replichi. Il fatto che non smetta un secondo di sfiorarti il viso ti fa intuire che in qualche modo sta cercando rassicurazioni.

Non sei un uomo semplice. Non sei neanche un uomo giusto. Non c’è niente che dovrebbe attrarre una ragazza come Lily ad uno come te.
“L’avrei fatto. E forse dovrei anche adesso.”
Non sei abituato a pensare che le cose belle possano succedere a te. Cose tranquille, magari. Ma non cose belle come avere la donna che ami tra le tue braccia.

Non questo genere di cose, no.
E infatti, credi sia tutta una gigantesca allucinazione indotta dal whisky incendiario a cui hai dato fondo.
Lily non dice niente, ma si sporge per un bacio. È uno sfiorarsi di labbra, e il sangue si accende di nuovo e … le prendi il viso tra le mani e la allontani appena.
Sospira, appoggiando la fronte contro la tua. “Non me ne vado da nessuna parte.”

“Sì.”
“Severus, sul serio. Non me ne vado. Non voglio.” Ti bacia ancora e non riesci ad allontanarla di nuovo. “Cosa devo fare per convincerti?”

Il mondo fuori potrebbe essere di parere diverso.
Detesti il mondo fuori. L’hai sempre detestato. Vorresti, in questo momento, che sparisse, cancellato da qualche enorme, spaventosa magia.
“Non sono…” Sospiri. Ah, le parole. La ragazzina aveva ragione a dire che siete pessimi. Diventi un virtuoso solo quando si tratta di fingere. O insultare. “… non sono particolarmente bravo in questo genere di pensieri.”
“Pensieri felici?” Indovina.

“Esattamente.”
Un’altra donna ti avrebbe giustamente mandato al diavolo per immalinconire un momento perfetto. La luce della luna – coreografica al punto giusto – il rumore delle onde. Il silenzio in cui è immerso Ardmore e le sue scogliere.
Fortunatamente – o sfortunatamente per la tua pace interiore – Lily non è quel genere di donna.
“Posso essere io il tuo pensiero felice?”
C’è stata un’altra donna che ti ha difeso dai Dissennatori. L’unico Mangiamorte in grado di produrre un Patronus.
(Ti chiedi perché quegli idioti non abbiano mai sospettato nulla.)

Non che tu non ne abbia avuti, di pensieri felici. Solo che erano a senso unico, vecchi e dolorosi.
“Lo sei.” E da molto più tempo di quel che sospetti – vorresti aggiungere, ma lasci perdere. È probabile che lo sappia già.
Ti senti sorridere e dal modo in cui ricambia Lily – le leggi sollievo in viso – sai che almeno questo, lo stai facendo giusto.
 
 
“Stasera non hai una festa?”
Lily alza il viso dalla Gazzetta, mentre si pulisce da una briciola con il lembo di una tua vecchia camicia che ha preteso di indossare.

(Ha addotto spiegazioni come la preziosità del kimono e il terrore che ha di sporcarlo. Certo. Lily che si preoccupa di un vestito. Credibile.)
È mattina, siete in cucina e la ragazzina ha preparato quantità da reggimento. Ti eri scordato quanto cibo riuscisse a processare con la leggerezza di un uccellino.
(Digestione Weasley, senza ombra di dubbio.)
È una di quelle mattine gloriose per il Connemara, in cui persino tu apri le finestre per dar aria alla casa.
Comunque. Ti senti un idiota.
Hai finto di leggere la rubrica di Pozioni per tutta la colazione. La triste realtà? Hai fissato la giovane donna che hai davanti per tutto il tempo.
Fortuna ha voluto che non se ne sia accorta, troppo occupata a divorare un articolo su chissà cosa.
“Ah, già…” Borbotta disinteressata girando una pagina. “La cancellerò.”
“Lily.” Richiamarla all’ordine è qualcosa che forse non dovresti fare, dato che è maggiorenne. Ma ti diverte ancora.

Fa una smorfia afferrando un altro scone e dandoci un morso. “Non ci voglio andare. Di solito è tutta una congiura per farmi conoscere qualcuno. Non penso sarà diverso stavolta.”
Accartocci tra le dita la pagina dell’inserto. Immagini ragazzotti con la bava alla bocca all’idea di carpire una briciola del suo interesse.  “Capisco.”
“Io ho te, che bisogno ho di conoscere ragazzi? Mai avuto, per inciso.” Replica ed è surreale come se ne esca con certe frasi che spiazzerebbero un uomo con uno sviluppo emotivo normale.

Figurarsi te.
“A proposito di questo…” Schiarirsi la voce sarebbe da completi idioti. Riesci a trattenerti. “Dobbiamo parlare.”
Inarca le sopracciglia perplessa. “Stiamo parlando.”
“Seriamente.” E il tuo tono sembra infine scalfirla, perché hai la sua attenzione. “Questa situazione va definita.” Inspiri. Cerchi di scacciarti via la strana euforia che ti accompagna da ieri sera, orrenda perché ti rende un rammollito che fissa una ragazza per un quarto d’ora come se fosse la cosa più interessante dell’universo. “Suppongo tu ti renda conto che avere una relazione significherebbe andare incontro a molti ostacoli.”
Lily abbandona la lettura del giornale e si appoggia allo schienale della sedia. “Ci ho pensato, sì…” Mormora seria, e per un momento un idiotica sensazione di panico ti assale.
Comprensibile ci abbia pensato; sei più vecchio di lei, talmente vecchio che probabilmente se fossi un babbano potrebbe essere considerata pedofilia visiva.

Sanno tutti chi sei, e tutti sanno chi è lei.  
Oltre a questi trascurabili particolari, ci sei tu: un agglomerato di amarezze, rimpianti, problemi, con un carattere che è quanto più lontano dall’essere amabile.
“E sei giunta a qualche conclusione, che non sia indossare le mie camicie e depredarmi la dispensa?” Benedetto sarcasmo. Lo accogli come un vecchio e complice amico.
Lily ti spiazza con un sorriso disarmante. La cosa più sorprendente di lei è che non si è mai offesa da che la conosci. Sembra che le tue frecciatine le scivolino addosso.
Meglio. Sembra che la divertano.
Frecce spuntate al tuo arco.
“Sono giunta alla conclusione che non ne importa nulla.” Replica serafica e prima che tu possa chiedere delucidazioni o imporle serietà, ti afferra la mano al di là del tavolo e stringe. “Severus.
Ed ecco che ha la tua completa attenzione. Vecchio pipistrello idiota.  
“Mi conosci. Ho sempre detestato essere al centro dell’attenzione e le persone… Quindi, immaginati quanto mi importa della loro opinione. Non sei ciò che l’opinione pubblica vuole per me? Perché dovrebbe importarmi?”
“Ti importerà.”
“Mai importato e dubito che cambierò idea nei prossimi ventuno, quarantuno e cento anni.” Mormora sfiorandoti le dita. È buffo notare come entrambi le abbiate macchiate oltre ogni speranza: tu dalle pozioni, lei dalla sua pittura.

È una cosa che ti fa stare bene, per quanto sia assurdo.
“E la tua famiglia?” Sai quanto vi è legata, a modo suo. Lo sai da come parla entusiasta dei fratelli maggiori, di come si sia sempre lamentata dei cugini troppo invadenti. Da come, infine, sia in conflitto con Potter perché non riesce a non volergli bene, anche se hanno due caratteri incompatibili.
A questo si rabbuia appena. “A loro parlerò. Non sono terribili come ti immagini, sono solo…”
“Weasley e Potter.” Ti esce naturale.

“Precisamente.” Ghigna. Poi si alza in piedi e per qualche motivo trovi del tutto ragionevole lasciarle sedertisi in grembo. “Non preoccuparti. Posso gestire la mia famiglia.”
E poi il suono del campanello squarcia il silenzio perfetto della casa.
Lily sobbalza, non essendoci più abituata, ma il tuo sguardo va invece alla bacheca magica appesa sul frigorifero, ingegnoso artefatto che ti permette di sapere esattamente chi è alla porta di casa.

E come nelle peggiori commedie babbane, si tratta di Harry Potter.
“Alzati.” Ordini e Lily, intuitiva, balza giù guardandoti confusa. “È tuo padre.”
“Al diavolo!” Esclama di nuovo con quel suo accento del Devonshire va-e-vieni. “Come cavolo ha fatto…” Fa una smorfia. “Ah, giusto. È un Auror.”

Questo spiega molto, in effetti.
Devi aprire perché hai l’impressione che Potter entrerebbe comunque, trovando così la sua adorabile ultimogenita seminuda nella tua cucina. Con una tua camicia addosso, tra l’altro.

Oltre ogni possibilità di fraintendimento.
Intimi a Lily di non muoversi con uno sguardo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non la ascolti, tirando dritto verso la porta.
Potter è vestito a festa ma ha il solito covone incolto al posto dei capelli; hai notato, dopo la sua separazione da Ginny e la maretta che ne deve essere conseguita con il Clan Weasley, che ha preso a vestirsi come un essere umano.
Supponi che la persona con cui convive non tolleri vederlo con accostamenti che pure un barbone londinese avrebbe remore ad indossare.
“Professore…” Mormora inspirando con la bocca. Materializzazione vivace. “Lilù è qui?”
Sì, è qui e starà qui per ancora molto tempo, se dipende da me. Addio – ma naturalmente non è il mondo delle intenzioni, ma dei fatti.

“È di nuovo scappata?” Chiedi urbanamente, beandoti del suo viso paonazzo di irritazione e imbarazzo.
Non vi siete lasciati esattamente in buoni termini: l’ultima cosa che ricordi e che gli lanciavi addosso la Passaporta e lo minacciavi di ritorsioni fisiche. Peraltro, minaccia ricambiata.
“Non scherzi.” Sei colpito dal fatto che non ti abbia colpito; dall’espressione sembrava averne tutte le intenzioni. “Ieri sera doveva andare a dormire da Ginny, ma non si è fatta vedere… e non ha mandato neppure un Gufo per avvertire sua madre, o i suoi fratelli!”
“E perché pensa che possa essere qui, Signor Potter?”
Tituba di colpo e si passa una mano trai capelli. “Oh… non.” Si blocca, realizzando. “Ecco, sì … immagino di aver pensato che fosse da lei, per abitudine.” Quasi ti dispiace vederlo così mortificato per aver pensato la cosa giusta. “È che ho paura sia partita di nuovo senza dire niente a nessuno.”
“Il suo bagaglio è ancora a casa della madre?”
“Sì, certo.”
“E allora ritengo che non sia salpata per nuove terre, ma che sia semplicemente a casa di amici.” Osservi pieno di spirito caritatevole.

Potter annuisce con un sospiro. “Naturalmente. Mi scusi… è che sono preoccupato. Le ho anche mandato dei Gufi ma sono tutti tornati indietro. A parte uno, il suo vecchio alloco, se lo ricorda? Magari Ginny ha già avuto risposta.”
“Ne sono sicuro.” Fai per augurargli una buona giornata e sbattergli finalmente la porta in faccia quando noti la sua espressione. Fissa un punto sopra il tuo tetto e lo fissa come se avesse appena visto qualcosa di assolutamente inaspettato.
Segui il suo sguardo e per un attimo persino il tuo consumato aplomb si incrina.

Il maledetto allocco di Lily è appollaiato sul tuo tetto. E stringe una dannata lettera nel becco.
“Perché l’allocco di Lily è qui?” Si volta verso di te e a questo punto, non resta che l’onestà. Edulcorata.
“Lily è qui.” Dici con tutta la calma possibile, dato che hai davanti un Auror con licenza di lanciare incantesimi mortali e sua figlia in déshabillé a solo un paio di stanze di distanza. “Non voleva essere disturbata.”
“Voglio vederla.”
“Pensa l’abbia usata come ingrediente per qualche pozione? Non sia ridicolo Potter, sta bene. Sta facendo colazione.” Lo apostrofi con il tuo miglior tono gelido. Tentenna per un attimo, ma poi lo sguardo si fa di nuovo d’acciaio.

“Voglio vederla.” Ripete ottuso.
Non ti resta che scostarti per farlo passare. Hai la singolare impressione che sia un po’ troppo ansioso dato le contingenze.
Per quanto ne sa lui, sei solo un vecchio amico d’infanzia.

O per quanto ne sai tu?
“Lily!” Sbraita. Per un momento ti chiedi se non si sia davvero convinto che tu l’abbia uccisa, fatta a pezzi e nascosta.
E Lily appare. E tu senti il fiato scivolare via. La sciocca ragazzina non si è rivestita. È sempre comodamente infilata nella tua camicia.
E certo, potresti avergliela prestata in mancanza di pigiama, ma…
“Ciao papà.” Dice come se l’avesse incontrato per sbaglio in un caffè, completamente vestita e da sola.
E poi guardi Potter, pronto a qualsiasi reazione inconsulta; perché ha capito, gli si legge in faccia, nel misto di sgomento, realizzazione e orrore che compone la sua espressione.
Grifondoro; sono libri aperti e a colori.
Poi accade l’impensabile; non urla, non dà di matto come ricordavi amasse fare durante l’adolescenza. Non tenta neanche di schiantarti sul colpo.
Perde semplicemente colore. Diventa talmente pallido che sembra una comparsa di un vecchio film in bianco e nero.
“Papà?” Lily ha un moto di preoccupazione e diventa un’esclamazione quando lo vedi appoggiarsi al muro e inspirare profondamente.
Il-Ragazzo-che-è-sopravvissuto-per-essere-stroncato-da-un-infarto.
Papà!” Esclama Lily e gli corre incontro. Si volta verso di te, con lo sguardo tra lo sgomento e lo spaventato. “Che cos’ha?”
“Una realizzazione in corso.” Mormori tranquillo,  perché sei un orrendo insensibile. E perché conosci la progenie di James. “Potter, respira. Dobbiamo parlare.” Gli intimi sbrigativo. “Mi seccherebbe conversare con un morto.”

Potter, che è sempre lo stesso ragazzo insopportabile e arrogante, pare riscuotersi di colpo. Riprende colore, perlomeno quello sufficiente a riuscire a raddrizzarsi e parlare. “Lilù, puoi lasciarci soli?” Mugugna.
“Certo, così tirate fuori le bacchette!” Esclama, e non ha tutti i torti. Anche tu pensavi ad una risoluzione simile. I maghi non hanno molti modi per confrontarsi quando sono in preda a forti emozioni, e i Duelli sono ancora estremamente in voga.

Specie tra gli ex-Grifondoro.
Lanci un’occhiata a Potter e rifletti. “Lily, non credo ci scontreremo a suon di incantesimi. Esci.”
“Di casa? Neanche per sogno!”
“Esci.” Le intimi senza mezzi termini, e ti fissa come per dirtene quattro, ma alla fine capitola con un sospiro. Ha capito che la sua presenza per il momento è più o meno come un Molliccio per il padre.

‘La mia più grande paura? Oh, vedere mia figlia andare a letto con il mio ex-professore.’
“Resterò nei paraggi. E…” Esita. “… vacci piano con lui, okay?”
“Naturalmente.” Menti con disinvoltura.

Quando si è chiusa la porta alle spalle, Potter riprende a respirare come un uomo normale e non come un moribondo.
“Lei…” Esordisce. Fa una lunga pausa. “Ha qualcosa di forte in casa?”
Lo scruti perplesso, ma dopotutto è quasi una domanda legittima data la situazione. “Whisky incendiario.”
“È perfetto. Ha anche un salotto?”
“Ho una casa, Potter.”
Si infila in salotto senza una parola e quasi non te la senti di riprenderlo. Lo segui e versi due bicchieri, allungandogliene uno.

Il fatto che non abbia ancora iniziato ad urlare come una banshee, vomitandoti addosso tutto quello che già sai… non sai se è un bene o un male.
Vuota di un colpo il bicchiere. E poi ti pianta gli occhi addosso.
Per anni è stata una tortura guardarlo in faccia. Anche solo cercarlo tra la folla. Un supplizio a cui ti sottoponevi ogni giorno che il ragazzo metteva piede nei tuoi spazi vitali. Per espiare.
Adesso ti scopri a notare che ha solo gli occhi verdi. Quegli occhi. Ma occhi.
“C’è andato a letto?”
Non ti aspettavi fosse così diretto, ma dopotutto è quasi un sollievo.

“Sì.” Una semplice sillaba e Potter potrebbe ammazzarti seduta stante e probabilmente l’opinione pubblica lo giustificherebbe.
Riprovevole. Un uomo così vecchio, con quel passato poi… con ragazza così giovane, così innocente.
Che cosa disgustosa.
Lo vedi stringere il bicchiere e quasi ti aspetti che lo rompa. Invece no. Ha miglior controllo di te, è shockante.
Lo è sul serio.
“Voglio solo sapere una cosa…” Il suo tono è estremamente basso, e per un momento immagini che Voldemort abbia sentito proprio questo timbro ad un passo dalla fine.
È piuttosto credibile.
“… è perché vuole trovare un surrogato di mia madre?”
Non sai neanche come sei scattato in piedi. Ti trovi a stringere il pugno e poi ricordi che la bacchetta è rimasta in cucina, vicino al bollitore del the. Potter non si è mosso e continua a fissarti.

“Come osi…”
“Oso eccome.” Replica asciutto. “Stiamo parlando di mia figlia. E non sarò il padre migliore del mondo, ma è mia figlia, e lei è stato incapace di amare chiunque tranne mia madre. Oso eccome.” Ripete. “Non permetterò che lei la usi…”
“Potter, un’altra parola e giuro che dovranno ripescare il Bambino Sopravvissuto nelle profondità dell’Atlantico!” Ringhi. Senti la rabbia scorrerti addosso come da anni non ti succedeva. “Se pensi che sia così meschino da investire Lily di un peso simile, allora non ha avuto il minimo senso che ti abbia dato quei ricordi.”
È il momento di parlare. Odi esporti, ti sembra di strapparti la carne di dosso, ma devi.

Per Lily. Questa Lily. La tua Lily.
Potter ti fissa e batte velocemente le palpebre. “Non credo di aver capito…”
“Ho amato tua madre, ma lei non mi ha mai amato.” Ispiri lentamente e vedi una vaga scintilla di pena brillare nello sguardo di Potter. Vorresti ammazzarlo, ma continui. “… è una cosa con cui sono venuto a patti, da anni ormai. Non la incolpo, a quel tempo ero oltre la possibilità di essere perdonato. O amato, per quanto vale.”

Continua a non parlare e gliene sei grato, perché una sola obiezione ti farebbe fare qualcosa di inconsulto.
Certe cose non cambiano mai.
 
‘Posso essere io il tuo ricordo felice?’
 
Inspiri lentamente, e continui più calmo. “So il motivo per cui l’hai chiamata Lily. O perché hai dato una sfilza di nomi ingombranti agli altri due.”
Lo vedi sussultare appena.
“Non le somiglia affatto. Perché è così che funziona, Potter. Ogni persona è unica. Nel bene e nel male.” Dici e poi, semplicemente, concludi. “Lei è morta. Non tornerà.”

Segue un lungo silenzio.
“Lo so.” Sussurra infine, e il lampo di dolore che gli cogli nell’espressione, beh, lo condividete tutto. “Merlino…” Si passa una mano trai capelli. “… ho detto una cosa orribile di mia figlia, non è vero?”
“Se fossi stato un uomo diverso avrei preso la bacchetta, Potter.” Replichi, ed è un sì, ma sei abbastanza magnanimo da girarci intorno. “Fortunatamente conosco la tua riprovevole inclinazione a dar aria alla bocca.”
Fa un mezzo sorriso, stanco. “Sì, immagino di averlo fatto.” Fissa il bicchiere vuoto. “Mi dispiace.”
Di tutte le cose che avresti pensato sarebbero uscite dalla bocca di Potter, questa era l’ultima. Anzi, non era direttamente contemplata.

Ti siedi di nuovo e vieni ghiacciato da una nuova domanda. “La ama? Perché per Lilù… lei è… più o meno la cosa più importante del mondo.” Sospira ed è incredibile, sta sorridendo. “All’inizio pensavo fosse perché era l’unico che non rimaneva male ai suoi silenzi … perché la capiva. Ma c’è di più, vero? Ecco perché mi ha aggredito in quel modo, l’ultima volta.”
Annuisci, troppo sbalordito dalle sue capacità di deduzione. E dal fatto che non stia cercando di ucciderti.
“La ama?” Di nuovo.
“No, mi è indifferente. Ho rischiato di provocare un infarto all’Eroe del Mondo Magico per un capriccio.” Sbotti e ti aggrappi alle profondità del tuo whisky.
Senti un rumore provenire dalla sua poltrona, e speri che si sia strozzato con la sua saliva.
Invece sta ridacchiando.
“Sa…” Dice ed è certo, qualcuno ha corretto il whisky con un potente allucinogeno. “Se si va oltre il fatto che insulta praticamente chiunque ogni volta che le si fa una domanda, ha un senso dell’umorismo niente male.”
Oh, per la barba di Merlino.

“Potter, non l’ho sviluppato negli ultimi anni. L’ho sempre avuto.”
“Non avevo un gran senso dell’umorismo da ragazzo.” Sorride quieto. “Uno psicopatico cercava di uccidermi e dominare il Mondo Magico. Non suona molto divertente, no? E poi lei era davvero odioso con me.”

Potter conosce la sottile arte dell’ironia. Ed è simile a quella di Lily, perché è l’unico motivo per cui ti senti quasi bendisposto nei suoi confronti.
Oltre al fatto che non ti ha giustiziato.
“Le sta… bene?” Chiedi, perché ormai la curiosità va oltre il tuo naturale riserbo.
Scrolla le spalle. “Ho sconfitto Voldemort perché sapevo che amare qualcuno è qualcosa più forte del buonsenso o della propria stessa vita. Di tutto, in realtà. Sarei un ipocrita se impedissi ai miei figli di amare chi amano.” Si toglie gli occhiali e li pulisce con il fazzoletto del taschino. Un fazzoletto; chi se l’è preso in casa l’ha addomesticato. “E poi… so cos’è capace di fare lei, per amore.”
Lui e Lily hanno la stessa capacità di dire cose pesanti con la leggerezza di una conversazione da bar.
Si rinfila gli occhiali, e si alza. Lo imiti per non restare a fissarlo come la statua di sale che ti senti di essere.
“Credo… mi ci vorrà un po’ per digerire l’intera faccenda.” Ammette con una smorfia imbarazzata. “E conoscendo Lily, finiremo per litigare se… Beh. Cercherò di forzare le cose.” Sbuffa. “Può dirle che…” Esita.
“Le dirò che tornerà a trovarla.” Decifri.
Harry Potter Il-Dannato-Ragazzo-Sconcertante sorride. “Grazie.” Ti tende la mano e non c’è nulla da fare. Devi stringerla. La stringi.

Devi ammettere che Potter ha gli occhi che si merita. Ma non lo ammetterai mai ad alta voce.
“Si prenda cura di lei.” Stringe e poi lascia la presa.

“È mia precisa intenzione.”
Annuisce e poi, con un colpo di vento, si è smaterializzato.
 
Lily è seduta in mezzo all’erba, nel digradare lento che porta alla scogliera. Si alza in piedi quando ti sente arrivare. Ovviamente ti avrà sporcato tutta la camicia d’erba. Puoi fartene una ragione.
“Va tutto bene?” Ti scruta. “Sei tutto intero.” Mormora meravigliata.
“Tuo padre è un Auror, non un macellaio.” Replichi.
Ti scruta diffidente. “Tu che lo difendi? Che vi siete detti?”
“Alcune cose.”
“E me le dirai?”
“Alcune di esse, sì. A tempo debito.”

Sbuffa, ma sorride. Le brillano gli occhi in quest’estate irlandese. Ed è, in effetti, estate finalmente. Anche per te.
Le tendi la mano e lasci che si stringa in un abbraccio, baciandoti il viso e le labbra quante volte vuole. Le baci i capelli rossi come il fuoco, ricci, ribelli.
Lily è una figlia del Connemara. Ha avuto natali altrove, certo, ma sembra che sia sempre stata qui. In un certo senso, ti senti figlio anche tu di questa terra aspra, che ha saputo accoglierti e perdonarti.
“Sembri felice.” Dice accoccolata al tuo petto. “Lo sei o mi sbaglio?”
“Non ti sbagli.” Ammetti.

“D’ora in poi lo sarai sempre.” Ti mormora all’orecchio. “Saremo felici sempre, te lo prometto.”
Sei quasi incline a crederle.

 
Saresti dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di una donna che hai amato senza speranza.
Invece sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una donna che ti promette quel sempre che hai cercato per tutta la vita.
È chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui, non aveva ancora finito con te.
Lo senti quasi sorridere.

 
 
E i giorni passavano e l'oceano li stava a cullare
e il vento alla fine del mondo portava un canto del mare…
 
 
****
 
Note:
 
Un’epopea praticamente. Argh. Però mi son divertita da matti.
La realtà è che la seconda persona è uno spasso. Ed è peggio di una droga.

Questa la canzone che fa da colonna sonora al capitolo. Di solito non uso canzoni italiane, lo trovo… inadatto. Però questa, cavolo, è perfetta.
1.White Bush: variante del Bushmill, whiskey irlandese della Contea di Antrim, dove si trova l’omonima città.  
  
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