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Autore: Emily Alexandre    11/12/2011    5 recensioni
Sono passati anni dall'ultimo incontro, la fanciulla è diventata una donna, una moglie e una madre.
Sono passati anni dall'ultimo incontro, il ragazzo sognatore è diventato il Bardo Immortale.
Siamo a corte, come allora, e una giovane cresciuta nel culto di William Shakespeare incontra il poeta e lo invita a pranzo per presentarlo alla madre.
Non sanno, Portia e William, che il destino per mezzo della figlia di lei ha deciso di far incrociare nuovamente le loro vite. Per un istante? Per sempre? Un amore mai finito, il sogno di un'eterna notte che finalmente diventa palpabile, reale, vivo. Quanto sono cambiati i due giovani che si innamorarono, i volti celati dalle maschere e l'anima a nudo? Quanti ruoli hanno recitato prima di trovarsi nuovamente insieme?
"-Ho letto tutto di te, William. Era l’unico modo per averti vicino.
-Puoi avere molto di più, ora.
-Pare quasi un sogno.
-Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.
-E questa che opera è?
-Una che deve ancora essere scritta."
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
- Questa storia fa parte della serie 'Attraverso la Storia. Attraverso l'Amore'
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Questa storia è il naturale seguito Masquerade - The Merchant of dreams per cui vi suggerisco di leggere la prima one shot e poi di proseguire con la lettura di questa. Masquerade è una serie a cui sono particolarmente affezionata e a cui, chissà, potrebbe seguire una long. Non credevo sarei mai tornata a scrivere di loro, ma da qualche tempo avevo bisogno di immergermi nuovamente nella vita di Portia e William. Grazie a tutti voi che in questi mesi avete dimostrato il vostro affetto per i miei due adorati protagonisti, spero che questo seguito sia all'altezza delle aspettative...
Per chiunque volesse rintracciarmi mi trovate nel Blog (per spoiler, missing moments e pensieri vari), nel Gruppo facebook (spoiler, chiacchierate, video, contest e chi più ne ha più ne metta), nella Pagina facebook (per le citazioni dalle storie e spoiler vari) e con il Contatto facebook (sarò lieta di aggiungervi, ma per problemi personali non accetto più nessuno che non mi scriva almeno due parole per dirmi chi sia).

Infine grazie ad Erika, preziosissimo aiuto.

Buona lettura,
Emily Alexandre



 

Masquerade
 The Breath of the Snow

 
Passi veloci e delicati al tempo stesso, piedi di fanciulla che sfiorano appena il legno del pavimento, risate cristalline che si disperdono nell’aria.
Una porta massiccia si aprì davanti alla giovinetta, permettendole di accedere alla biblioteca del palazzo dove, accanto al fuoco, attendeva sua madre. Avanzò silenziosa, quasi danzasse, e, con un gesto fluido, si inchinò ai piedi della donna per riceverne la benedizione.
Infine si rialzò, diritta in tutto il suo splendore: aveva i capelli dello stesso biondo dai riflessi cuprei di suo padre e gli occhi verdi della nonna paterna, ma il corpo sottile ed eretto, il volto dai lineamenti delicati e nobili, le labbra piene e rosee erano eredità materna, esattamente come lo spirito.
La contessa sorrise compiaciuta a sua figlia e ne ammirò l’abito elegante, ma non volgare, l’acconciatura curata, ma non pretenziosa: l’aveva cresciuta come la nobile che era e sapeva che si sarebbe comportata in maniera impeccabile.
Quando la porta si aprì di nuovo entrambe si voltarono verso il bel giovane che era fermo sulla soglia, abbigliato con abiti scuri di ottimo taglio e con il cappello tra le mani.
-Sorella, è ora di andare.
La fanciulla annuì, chinandosi a baciare la mano della madre prima di raggiungere il fratello.
-Siete sicura di non voler venire?
Sapeva che a nessuno dei suoi figli piaceva l’idea di lasciarla a casa da sola, ma era giunto il momento per Katherine di fare il suo debutto a corte. Era una giovane in età da marito, non poteva tenerla chiusa con sè tra quelle mura per sempre. Il compleanno di Henry Frederick Stuart, principe di Galles, le era parsa l’occasione perfetta.
Consapevole di aver educato entrambi nella maniera migliore, Eileen scosse la testa e li lasciò andare serena: era esistito un tempo in cui l’idea di una festa l’avrebbe emozionata, ma quel tempo era finito da molti anni.
Si alzò per guardare la carrozza uscire dal cancello, celando alla sua vista Katherine, Henry e sua moglie Sophia, e, non appena il mezzo fu inghiottito dal buio della notte, si portò una mano sul cuore e  represse un sospiro: l’invito parlava di spettacoli e intrattenimenti, re James I, forse, non era amato dal Parlamento, ma sicuramente lo era da tutti gli artisti che, da novello Mecenate, aveva preso sotto la sua ala, a partire dalla Compagnia del Ciambellano, ormai trasformata nella Compagnia del Re.
Lui sarebbe stato a corte e la donna era fuggita, una volta ancora, una volta di più.
 
Il palazzo di Whitehall addobbato a festa e coperto di neve superò qualsiasi aspettativa Katherine avesse nutrito; fino a quel giorno si era limitata a rimirarlo da lontano, nelle rare trasferte a Londra, solitamente diretta a teatro con la madre, ma mai si era trovata così vicina alla reggiacome quella sera, né, tanto meno, mai ne aveva varcato la soglia.
Le donne le parvero belle come divinità nei loro abiti eleganti e gli uomini non le sembrarono da meno; quanto ai reali, re James, forse, non era bello, ma emanava regalità in ogni gesto, mentre sua moglie, Anne di Danimarca, aveva un volto piacevole e un portamento magnetico.
L’attenzione di Katherine, però, fu calamitata soprattutto dai principi, a partire dal principe del Galles, il festeggiato, un ragazzo magro, dall’aria emaciata; accanto a lui stavano sua sorella Elisabeth, una giovane fanciulla, impettita nei suoi abiti regali, e Charles, principe di York, debole e malaticcio.
Non appena ebbe terminato l’attenta analisi dei reali, Katherine si distrasse ad ammirare la corte, ma ben presto suo fratello richiamò la sua attenzione: il momento era arrivato.
Avanzarono lungo la sala a testa china, fino ad inginocchiarsi al cospetto delle Maestà.
-Conte di Stafford, siate il benvenuto a corte.
Henry si alzò in piedi con modi impeccabili e fece cenno ad un paggio di avvicinarsi –Grazie, Vostra Maestà. Permettetemi di offrire a Vostro figlio un dono di compleanno da parte della mia famiglia.
James I assentì lievemente –Vostra madre sta bene, Vostra Grazia?
-Molto, Maestà, grazie. Vi manda i suoi migliori auguri.
-Ricambiate. È un peccato che lady Eileen si mostri così poco a corte.
-Apprezza la vita ritirata, come era solito fare suo marito.
-Ricordo bene, sì. E le donne che accompagnate chi sono?
-Forse ricorderete mia moglie, lady Sophia Stafford.
La contessa si alzò con eleganza, mostrando finalmente il bel volto.
-Certamente. Vi siete sposati da poco.
-Tre mesi Maestà.
-Figli?
-Ancora no, ma arriveranno presto, a Dio piacendo.
-Non bisogna metter fretta alla natura.- La regina fece sentire la sua voce per la prima volta; guardò la contessa con apparente indifferenza, poi spostò lo sguardo verso la fanciulla ancora inginocchiata e le fece cenno di alzarsi.
Henry tese una mano alla sorella e l'aiutò a rimettersi in piedi-Permettetemi di presentarvi mia sorella Katherine.
-Non è mai stata a corte.
-No, Maestà.
La regina parve apprezzare ciò che vide, perchè sorrise apertamente alla giovane, tanto che la ragazza arrossì.
-Una splendida fanciulla. È promessa?
-Non ancora.
-Immagino che, dopo stasera, le proposte di matrimonio si affolleranno alla vostra porta.
Nessuno si aspettava una risposta, così si congedarono e tornarono tra la folla; Katherine, ancora confusa dall’incontro, si strinse al fratello che le sorrise.
-La regina ha ragione, Kathy, sono sicura che i giovani, da stasera, accorreranno come le api al miele. Ho promesso a nostra madre che ti saresti divertita, dunque, non ti limiterò, ma resta dove possa vederti e non ballare due volte con la stessa persona, potrebbe creare delle aspettative che non desideriamo.
Per la ragazza fu strano vedere Henry così serio, ma, fortunatamente, Sophia accorse in suo aiuto e trascinò il marito a ballare, così Katherine potè continuare aosservare cosa accadeva attorno a lei.
Contro ogni sua aspettativa le previsioni della regina si rivelarono esatte: dopo aver danzato con suo fratello, i nobili di corte parvero fare a gara per ballare con lei e Katherine si godette ogni attenzione, nonostante l’innata timidezza. Alla fine, dopo il decimo ballo, chiese scusa e si avvicinò ad una finestra per prendere aria, ma, mentre cercava Henry con lo sguardo, si scontrò contro qualcuno
Si voltò mortificata, rossa in volto -Perdonate signore, non...- le parole le morirono in gola quando riconobbe l'uomo con cui stava parlando e i suoi occhi si sgranarono per lo stupore -Mastro Shakespeare!
-In persona.- l'uomo si inchinò, sorridendo all'espressione deliziata della fanciulla -E voi siete?
-Katherine Stafford, mio signore. È un onore per me conoscervi, signore, sono praticamente cresciuta con le vostre opere.
-L’onore è mio.- William sorrise, colpito da un’istintiva simpatia –So di non essere un aitante giovane nobile, ma vorreste di grazia accordarmi il prossimo ballo?
-Con piacere, signore.
Shakespeare porse la mano alla ragazza e la accompagnò in pista, ma, dopo i primi passi,fu avvolto da una sensazione di familiarità: le movenze ingenue e castigate di Katherine gli ricordavano qualcuno, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare chi.
Alla fine del ballo, si lasciò accompagnare dal fratello a cui Katherine lo presentò con orgoglio.
-Perdonate l’ardore di mia sorella, mastro Shakespeare, ma per noi è davvero un onore conoscervi di persona. Nostra madre ci ha portato spesso a teatro ad assistere ai vostri spettacoli.
-Spero sia stato piacevole.
-Assolutamente.
-E vostra madre è qui?
-No, viviamo in campagna e non viene mai a corte, ma sono sicura che si dispiacerà di non essere stata qui stasera.-
Katherine guardò il fratello, le labbra serrate in una muta richiesta, ed Henry sorrise.
-Mia sorella mi farà impazzire se non ve lo chiedo, dunque vi prego di scusare l’ardire. Sarebbe un onore per noi invitarvi a pranzo domenica prossima, così che possiate anche conoscere nostra madre.
William sorrise: quei due giovani gli piacevano e una gita in campagna non gli sarebbe dispiaciuta, anche se, forse, avrebbe significato sopportare le chiacchiere di una vecchia nobile. Dopotutto Henry e Katherine sembravano valere la pena.
-Sarà un piacere.
-Bene. Allora vi attendiamo domenica. Manderò una carrozza a prendervi.
-Bene. Buona serata conte. Contessa. Lady Katherine.
 
Eileen sapeva di essere una donna fortunata: l’uomo che suo padre aveva scelto per lei era molto più vecchio di lei, ma l’aveva rispettata in ogni istante della loro vita insieme, regalandole due figli che erano tutta la sua vita e che l’amavano profondamente. Dopo due anni suo marito ancora le mancava: la placida compagnia, la risata sincera avevano lasciato un vuoto che difficilmente avrebbe colmato, ma, a trentadue anni, Eileen era una donna felice.
Quando, la mattina dopo, Katherine l’aveva raggiunta in sala da pranzo, si era messa comoda per ascoltare il resoconto della serata precedente, ma l’unica persona di cui sua figlia riusciva a parlare era l’unica di cui non voleva sapere.
Assistere alle rappresentazioni delle sue opere era un conto, ma sentire tesserne le lodi dalla sua bambina era qualcosa per cui il suo cuore non era pronto: in tutti quegli anni si era sforzata di pensare che William Shakespeare fosse un attimo di gioia regalatole per sopportare tutto quello che era seguito, ma, per quanto cercasse di convincersene, la nostalgia era una costante troppo forte per essere ignorata.
Nostalgia, per quell’uomo, solo sfiorato, ma che le era entrato dentro come mai nessun'altro.
Nostalgia, per ciò che sarebbe potuto essere e che non era mai stato.
William era la sua più grande gioia e il suo più cupo dolore.
Faticò a comprendere cosa i figli le stessero annunciando, il pensiero stesso che, la domenica seguente, il Bardo avrebbe pranzato alla sua mensa non riusciva ad attecchire nella sua mente, tanto le pareva folle.
Eppure...
Era una strada senza uscita e, quella volta, non sarebbe riuscita a fuggire.
 
Anni prima, in un tempo che pareva quasi appartenere al sonno tanto era lontano e sfocato, aveva indossato una maschera per essere, finalmente, se stessa, e, quel giorno, mentre si guardava allo specchio, sapeva ne avrebbe indossata un’altra per celare quanto custodiva nel cuore.
Lo scorrere del tempo era stato clemente con lei, la bellezza della fanciulla era divenuta quella di una donna, più morbida, consapevole. L’avrebbe trovata bella?
Non ricordava di essersi mai posta quella domanda, neppure il giorno in cui aveva incontrato il suo promesso sposo, ma con lui, con William, tutto era diverso.
Tutto era sempre stato diverso.
Qualcuno bussò alla porta e, un istante dopo, Sophia fece il suo ingresso, elegante e bellissima come sempre.
Eileen la guardò appena, ma non le sfuggì l’occhiata sorpresa che la nuora le riservò –Siete splendida, Eileen.
Nulla in lei manifestò quanto quel commento l’avesse sollevata; si limitò ad un cenno del capo e a una domanda –I miei figli?
-Vi attendono all’ingresso.
La superò in un gesto fluido, senza mai guardarsi indietro: se quell’incontro doveva avvenire, sarebbe stato inutile rimandare...
E, in cuor suo, nonostante tentasse di negare quel pensiero con tutte le sue forze, era felice di poterlo incontrare di nuovo.
La gioia di Katherine si conteneva a stento e neppure l’espressione preoccupata di Henry riusciva a mitigarla.
-Ha nevicato tutta la notte, speriamo non ci siano problemi.
-Ti stai preoccupando inutilmente, mio caro.- Sophia lo prese sottobraccio e gli indicò qualcosa oltre la finestra –Guarda.
-Madre, sta arrivando!
A quelle parole il cuore di Eileen perse un battito, forse  si rese conto solo in quel momento della reale portata di quanto stava per succedere. Non poteva, non ancora, non quella volta.
-Accoglietelo voi.- sorrise ai figli e alla nuora nel tentativo di non lasciar trasparire il suo turbamento , ma nulla era riuscito a fermare il tremore delle membra e la corsa impazzita del suo cuore. -Siete i padroni di questa dimora, dopotutto. Io lo aspetterò nel salottino.
Nessuno ebbe qualcosa da ridire e Eileen voltò le spalle alla porta -e all'uomo-, come già aveva fatto molti anni prima.
Era ormai una donna, ormai una madre, eppure, mentre le voci e i passi si facevano sempre più vicini, Eileen sentì un nodo stringerle la gola e le lacrime offuscarle la vista. Era una reazione sciocca, infantile, non avrebbe mai dovuto permettere ai sentimenti di prendere il sopravvento. Ma non aveva scelta. Lì fuori, ad un battito di ciglia, c'era l'unico uomo che avesse mai amato.
Udì la porta che si apriva, fruscii di stoffe, voci che si affievolivano...
-Madre, mastro Shakespeare è arrivato.
Eileen strinse i lembi del vestito tra le dita e si costrinse a respirare. L’avrebbe riconosciuta? L’aveva vista senza maschera solo un istante ed erano già passati lunghi anni.
Era una domanda sciocca: il suo cuore lo sapeva. Lui l’avrebbe fatto ancor prima di voltarsi del tutto. L’avrebbe riconosciuta come lei lo avrebbe riconosciuto, ovunque, in qualsiasi circostanza.
Lo vide sgranare gli occhi per la sorpresa e seppe che, proprio come stava accadendo a lei, anche il suo cuore si era fermato, ma, poi, anche lui, abile attore, indossò una maschera e si esibì in un perfetto inchino.
-Contessa, è un onore per me potervi conoscere.
-È un onore per me potervi ospitare.
Nessuno dei due si arrischiò a sfiorare l’altro: i loro occhi esprimevano tutte quelle parole a cui non potevano dar voce, i tormenti dell’animo e le gioie soffocate che, se espresse, rischiavano di dilagare e distruggere un equilibrio precario. Sarebbero sopravvissuti a quello spettacolo?
Per la prima volta in vita sua, Eileen sentiva la sua maschera incrinarsi, scivolare via... Ogni fibra del suo essere aveva bisogno di lui.
Fu un pranzo eterno in cui entrambi cercarono di comportarsi nel modo più naturale possibile ma, seduti l’uno accanto all’altro, erano come compressi tra il desiderio di sfiorarsi e la paura di quanto sarebbe capitato se l’avessero permesso.
Di tutte le maschere che avevano indossato in vita loro, di tutti i ruoli che avevano interpretato, l'indifferenza reciproca era il più difficile.
 
La neve aveva iniziato a scendere a metà giornata, candida e lasciva, come una donna dai molteplici volti; Eileen si era incantata a guardarla, negli occhi lo stesso entusiasmo che li tingeva quando non era che una bambina, nel cuore la gioia di chi sa di avere accanto le uniche persone che contino.
I suoi figli.
L’Amore.
Sospirò e tornò a guardare il salottino dove Katherine e William discorrevano amabilmente delle opere dell’artista; era Henry il capofamiglia e lei raramente imponeva il proprio volere, ma quel pomeriggio era un dono inaspettato che non aveva intenzione di lasciar scappare.
-Mastro Shakespeare, vi piacerebbe visitare i giardini?
L’uomo alzò la testa di scatto e Eileen sorrise del puro stupore che si dipingeva sul suo volto –Con piacere contessa.
Le aiuole intricate, le fontane in stile francese e l’elaborato labirinto avevano reso quel luogo l’orgoglio personale della contessa e l’invidia di molte signore dei dintori.
William lo ammirò in silenzio, cullato dal respiro della neve che pareva avvolgerli tra le sue delicate spire; le prese la mano e la nobile lo lasciò fare, mentre i loro cuori si armonizzavano sullo stesso ritmo cadenzato.
Alla fine, fu il poeta a spezzare in mille frammenti il silenzio cristallizatosi tra loro –Non hai freddo?
-Appena. Voglio farti vedere una cosa prima di rientrare.
Il tono familiare era nato spontaneo: dopotutto, non si conoscevano, forse, da una vita intera?
William la seguì senza fiatare lungo passaggi apparentemente incomprensibili, celati agli occhi di tutti, fuorchè di quelli delle due statue che facevano mostra di sè nel cuore del labirinto.
Due giovani abbracciati.
-Romeo e Giulietta?
L’incredulità che traspariva dalla voce di William fece sorridere Eileen.
-Il labirinto era appena stato concluso ed ero alla ricerca di una statua. Non avevo idee ma poi sei arrivato tu. Sei sempre arrivato tu. Quando mio figlio nacque chiesi a suo padre di chiamarlo Henry come padre della regina Elizabeth, ma la verità è che è nato l’anno in cui è andato in scena l’Henry IV[1]; mia figlia è nata prematura di due settimane, le doglie sono iniziate di ritorno dalla prima di The Taming of the Shrew[2]e deve il suo nome alla tua protagonista. I miei cani si chiamano Puck[3]e Feste[4], il mio cavallo Falstaff[5]. Era come essere circondata da te senza poterti avere davvero.
-Tutto questo tempo. Non mi hai mai cercato.
Non era un’accusa, ma un’amara constatazione, l’inevitabile realtà.
-Che senso avrebbe avuto? Ci era stato donato un istante, ero grata alla vita per questo.
-Portia.
Un sussurro.
Una preghiera.
Una carezza appena accennata.
-Sei l’unico a chiamarmi così. Non l’ho fatto perchè non volevo essere trovata, ma perchè questo secondo nome è stato quello che ho sempre amato di più.
-Ho scritto la tua storia.
-La nostra storia. Comunque siano andate le nostre vite, William, io e te vivremo per sempre nelle tue parole.
-Sei stata felice?
Eileen annuì –Ho avuto un marito affettuoso e due figli che amo profondamente. E avevo le tue parole.
Gli prese le mani, le portò alle labbra, riempì i polmoni del loro odore.
-Le tue mani sono sporche d’inchiostro.
 
 
Le vostre mani sono sporche d’inchiostro.
 
L’eco di un amore nato e morto troppo in fretta, l’argentea scia che quella notte aveva lasciato dietro di sè.
Bastò un attimo per perdersi –troppo tempo passato a rincorrersi, troppe vite a frapporsi tra loro- e un attimo per ritrovarsi –mani nelle mani, bocca su bocca, respiri e sogni-.
E tutti gli anni, i matrimoni, i figli, i dolori e le gioie parvero svanire, per lasciare solo due giovani che si scoprivano, su un terrazzino illuminato dalla luce della luna.
Le uniche parole le portava con sè la neve, nei suoi sospiri, nei suoi palpiti.
Rientrarono quando freddo e buio diventarono insopportabili, vicini senza mai sfiorarsi, desiderosi solo di poter fermare il tempo.
 
-Mastro Shakespeare, sta arrivano una tormenta, è pericoloso viaggiare in queste condizioni. Permettetemi di invitarvi a restare per la notte.
-Ve ne sono grato,conte.
Henry sorrise –Ne sono felice. Madre, faccio preparare la camera accanto alla vostra? È la migliore della casa.
Eileen annuì, nella speranza che nessuno si accorgesse del tumulto che aveva nel cuore.
Un’altra notte. Forse, un altro giorno ancora.
Forse potevano ingannare il tempo stesso.
Mai come quella sera Eileen apprezzò le doti oratorie di suo figlio: Katherine si congedò subito dopo cena e Sophia si recò in cucina a dare disposizioni, così nel salottino non rimasero che loro tree nè Eileen nè William avevano molta voglia di parlare.
Quando sua nuora comparve con il solo intento di congedarsi ed Henry non diede segno di volerla seguire, Eileen decise di imitarla: suo figlio sembrava deciso ad intrattenere l’ospite fino alla fine, senza lasciar loro la possibilità di rimanere da soli così, celata l’amarezza, salutò entrambi.
Forse, il tempo non voleva farsi ingannare.
Brevi istanti, così fuggevoli da essere appena percepibili.
Salì nelle sue stanze e si sedette davanti al tavolo della toletta, in attesa di un suono che non tardò ad arrivare: una decina di minuti dopo la porta della camera vicino alla sua si aprì e si richiuse.
Solo allora si mosse, ma le mani le tremavano e non riusciva a sciogliere i capelli.
La giornata si era conclusa, ma il pensiero di averlo così vicino a lei la torturava senza tregua, perseguitandola come un' Erinne in cerca di vendetta.
Non sarebbe sopravvissuta a quella notte.
L’aria le mancò improvvisamente e, impossibilitata a rimanere tra quelle mura anguste, uscì diretta all’esterno, ma, quando passò davanti alla porta della camera degli ospiti, una mano la bloccò e la trascinò dentro.
Si trovò addosso al muro, con William davanti a sé, illuminato appena dal tenue bagliore di una candela.
-Ma cosa...- la voce le morì in gola -Qualcuno potrebbe vederci.
-Non ci siamo che noi qui.– le rispose, tenendola ben salda –Se tu non fossi uscita sarei venuto io. Credevi che sarei riuscito a dormire sapendoti così vicino a me?
-Non possiamo.- Sì, lo voglio -Lasciami.- Non abbandonarmi più
-Non posso lasciarti, non ho mai potuto né voluto farlo.
-Siamo due persone adulte e sposate.
-Tu sei vedova.
- Ciò non di meno, tu hai una moglie.
-Un matrimonio privo d’amore, una donna che non vedo da anni.
-Ma esiste.
-Tu esisti. Tu esisti, Portia, ora, qui, tra le mie braccia. Tu sei sempre esistita, nella mia mente, nelle mie parole. Sei sempre stata la cosa più vera della mia vita, anche se la vita ci aveva donato solo pochi attimi... Ma, ora, sei qui.
Non era forse ciò che lei aveva sempre pensato, provato, vissuto? Lui era quanto di più reale riuscisse ad immaginare.
-L'amore non è lo zimbello del Tempo, anche se rosse labbra e guance cadono nel compasso della sua falce ricurva; l'amore non muta con le sue brevi ore e settimane, ma resiste fino all'orlo del Giudizio. Se questo è errore e mi sia provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.
William le sorrise, accarezzandole la guancia –Hai letto anche i miei sonetti.
-Ho letto tutto di te, William. Era l’unico modo per averti vicino.
-Puoi avere molto di più, ora.
-Pare quasi un sogno.
-Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.
-E questa che opera è?
-Una che deve ancora essere scritta, quando sono con te, creare mi risulta più naturale persino del respirare.
-Non devi mai smettere di scrivere.
-Lo so, me lo ripetevo ogni volta che la vita mi metteva alla prova. Portia... Oh Portia.
Non era che un sussurro accanto al suo orecchio, sulla sua pelle, nella sua anima.
Era stata una moglie ed era una madre, ma in quel momento, per la prima volta in vita sua, fu una donna.
Una donna che desiderava un uomo. Un desiderio che durava da quasi vent’anni.
Fece cadere a terra la maschera che l’aveva accompagnata in tutti quegli anni e si lasciò baciare, in ascolto del corpo che si risvegliava, a quel tocco.
L’amore può resiste fino al giorno estremo, fino al Giudizio e il suo per William non sarebbe mai finito.
Accolse un bacio. E un altro ancora, e un altro, fino a quando anche l’ultimo barlume di razionalità non si spense e quello che non avevano avuto il coraggio neppure di sognare, finalmente, accadde.
 

 



[1]Enrico IV, dramma storico
[2]La bisbetica domata, commedia
[3]Folletto di “Sogno di una notte di mezza estate”
[4]Buffone di “La dodicesima notte”
[5]Personaggio che appare nelle due parti di “Enrico IV” e “Le allegre comari di Windsor” ed è nominato in “Enrico V”.

 

   
 
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