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Autore: _aspasia_    16/12/2011    1 recensioni
Questa flashfic è nata da un'idea del gruppo Slytherin di Semplicemente Harry Potter di FB. In futuro dovrebbe essere votata, e devo ammetterlo se vincesse godrei come riccio, ma aspetterò il verdetto. Se non siete di tale gruppo non preoccupatevi, anzi leggete, e lasciatemi un commentino. Fareste felice una povera serpe abbandonata al suo destino.
Detto questo riassumo la storia: Daphne Greengrass e Pansy Parkinson. Cosa sarebbe successo, cosa avrebbero pensato se si fossero innamorate? Se si fossero sedotte? Spero che leggiate.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Daphne Greengrass, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Era meravigliosa, e lo sapeva bene. Anzi, lo aveva sempre saputo e ci si crogiolava in quella sicurezza, perché è inutile quello che si dice che l’importante è essere belle dentro; avete mai visto un ragazzo che prima di parlarvi pensa a quanto interessante sia il vostro cervello? Tutti, nessuno escluso, prima di rivolgere la parola a qualcuno guardano l’aspetto fisico e poi ci si regola di conseguenza. Essere belle, e di quella bellezza disarmante e terribile che aveva lei, era la più grande arma che una ragazza potesse avere. Perché lei oltre ad essere terribilmente meravigliosa, era pure intelligente e maledettamente furba. Come una volpe, anzi, era proprio una serpe, che ti ammaliava con la sua eleganza, con i cuoi occhi magnetici e quando ormai eri alla sua mercé ti stritolava tra le sue spire. Perché lei non amava, si divertiva a giocare con le sue vittime e poi le lasciava nel loro dolore, distrutte e rideva di loro.
Era terribile, ma non per questo l’amava di meno.
Era proprio quel suo carattere impossibile, il suo essere incredibilmente pericolosa che l’aveva fatta innamorare di lei. Ma non l’avrebbe mai ammesso, neppure sotto un cruciatus, nemmeno se l’avesse fatto Bellatrix.
Non perché non si fidasse dei suoi compagni di casa, anzi, pensandoci bene anche per quello, a Serpeverde ci si parava le spalle, si incontravano veri amici, ma per nulla babbei; e solo gli stolti rimangano a combattere quando si accorgono che potrebbero rimetterci qualcosa. E tutto, poteva essere usato contro gli altri, perché in quella casa ci si preparava per il mondo reale, popolato da Mangiamorte, di tirapiedi, di doppiogiochisti; e non c’era posto per tutti quei bei sentimenti che i Grifondoro andavano decantando. La casa di Salazar era meravigliosa, ammaliante e terribile allo stesso tempo, come lei, e come il mondo reale.
Avrebbe potuto guardare i suoi capelli per giorni interi, erano semplicemente fantastici, sembravano fili di oro bianco. Non quell’oro giallo così pacchiano bensì quello bianco che riluceva nelle luce argentee della sala comune e quei fili lisci e morbidi le ricadevano sulle spalle e sul seno.
Il suo cuore cominciò a galoppare. Perché dannazione le faceva quell’effetto? Perché? Diamine, non poteva permetterselo, lei non doveva sentire dei sentimenti. I sentimenti inibiscono il cervello e bisogna sempre prima pensare, valutare tutte le possibilità e decidere se seguire il cuore sia una cosa conveniente o meno. E il suo cuore impazzito chiedeva una cosa impossibile, da suicidio. Se avesse detto quello che provava ai propri genitori l’avrebbero mandata in esilio, di peggiore vi era solo sposare un babbano! O anche un Sanguesporco.
Non avrebbero capito, come non avrebbero capito nemmeno i suoi compagni di casa.
Ma poi a cosa serviva crucciarsi su tali problemi? Lei non la degnava di uno sguardo, la considerava sua amica, sua confidente; ma nulla, nulla di più.
E lei moriva dentro ogni volta.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per sfiorare quelle labbra rosse come le rose, rosse come il sangue. E la sua pelle diafana come la perla, e attorcigliarsi i suoi morbidi capelli intorno alle dita.
Era una tentazione, una tentazione enorme, terribile.
Sarebbe impazzita lo sapeva benissimo. Ma era così bello impazzire per lei.
Come poteva solo sperare che qualcuno la degnasse di uno sguardo? Lei con il suo colorito malaticcio e i capelli color del corvo, gli occhi piccoli e scuri; niente a che vedere con quegli sprazzi di cielo che aveva lei. Era il suo opposto fisicamente, quando invece erano totalmente simili.
Entrambe votate al successo, all’inganno, alla vendetta, ai sotterfugi. Per l’amore non c’era posto. E poi che cos’era quel sentimento che tutti agognavano e temevano allo stesso tempo? Una mera illusione, e una fine terribile per chiunque, anche quelli che prima di esso potevano vantarsi di essere i più saggi, i più cauti, i più calcolatori. Perché i sentimenti, tutti sono pericolosi, ma l’amore era quello più infido, perché inganna, ammalia ti toglie il fiato e la ragione e ti fa compiere azioni che non avresti mai immaginato. Non potevano correre nemmeno il rischio di pensarci, figuriamoci abbandonarvici.
La vedeva camminare per i corridoi con una grazia che lei non avrebbe mai avuto. Era l’orgoglio della casa di Salazar, persino il Barone quando la vedeva passare come se stesse fluttuando sorrideva. Perché Daphne a volte pareva inumana con quell’eleganza di altri tempi, sembrava essere uscita dal passato, da un tempo che le donne vestivano di merletti e guardavano i loro cavalieri morire. Idiozie, Daphne non avrebbe guardato, ne sarebbe stata l’artefice.
La sua abilità in pozioni e soprattutto nei veleni era inquietante, dannatamente pericolosa. E la faceva impazzire. Perché stare con lei avrebbe voluto dire vivere il pericolo, sentire l’adrenalina scorrere nelle vene ogni giorno. Stare con lei, poterla sfiorare sarebbe stata una sfida, ogni tocco un premio, ogni sbuffo uno schiaffo derisorio.
Ma non poteva nemmeno partecipare a quel duello che aveva quel demone biondo come premio, la vittoria era un’inutile illusione che era il suo miele più dolce ed il fiele più amaro.
Sbuffò, allontanandosi i capelli dal viso facendo una smorfia. Basta. Doveva smetterla. Era patetica.
“Cos’hai Pansy? Hai dimenticato di cruciare qualcuno?” le chiese sottovoce Nott nella Sala Comune.
“Fatti gli affari tuoi Nott”.
“Adorabile come sempre mia cara.”
L’occhiataccia che rivolse al ragazzo valeva più di mille parole, vi era il fuoco in quegli occhi, e la rabbia vi si leggeva chiaramente.
Uscì dalla Sala avventurandosi nei sotterranei, camminare le avrebbe fatto bene, le avrebbe schiarito le idee e calmato l’animo. La calma era quello che le serviva, ritrovare la sua calma glaciale, e totalmente micidiale.
Era il suo frutto proibito, e lei giovane Eva ne era ammaliata, per la sua bellezza e per l’amore della sfida.
I suoi passi risuonavano ovattati per i corridoi deserti, nessuno tranne i figli di Salazar percorrevano quelle vie; gli altri studenti preferivano rimanere nei piani superiori, al caldo, alla luce; dove tutto era pieno di vita e di rumore.
Stolti. Il silenzio è qualcosa che risuda magia, mistero. Esso è sacro e sarebbe meraviglioso poter vivere così, circondati da un languore perenne. Niente problemi, niente tristezza, niente amore e niente dolore. Amare vuol dire soffrire vero Pansy? È inutile quanto tu ti allontani, quanto tu voglia stare lontana da lei, tentare di dimenticarla, avere un po’ di pace. Non ci riuscirai mai, perché lei è più forte di te. Lo è la sua bellezza etera, lo è il suo sorriso terribile che sa di gioia e terrore. Lo è il suo profumo che sa di Bella di Notte, un fiore perfetto per lei.
Finirai al San Mungo se continui così e lo sai bene. Anche se la tua non è una ferita procurata dalla magia, o forse sì? È a causa di un filtro d’amore che passi le notti insonni, o è solo il tuo cuore arido per una vita intera che riprende a battere?
Non importa. Quello che servirebbe ora sarebbe un Tassorosso da maltrattare e forse allora si sarebbe tranquillizzata, distratta. Incredibilmente non ne aveva voglia. Doveva veramente stare male per rinunciare ad un sano momento di bullismo giovanile, lei che ne era la più fiera.
Girava l’angolo la ragazza dagli occhi di granata, e ad un tratto ne incontrò altri due, a lei fin troppo conosciuti, dal color ceruleo.
 
 

  
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