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Autore: Minako_86    21/12/2011    5 recensioni
"Lights will guide you home/and ignite your bones/and I will try to fix you."
Shottina-regalo di Natale, su quel capolavoro dell'omonima canzone dei Coldplay.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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, non è esattamente il capitolo di "Gabrielle" che tutti attendevate.(Quello avrà per tuuutte le vacanze, dopo Natale e il conseguente delirio di regali e parenti.) E non è nemmeno - credo - la shot natalizia che vi aspettereste. MA, c'è sempre un ma, dietro a tutto questo apparentemente casuale discorso c'è un senso e un progetto e un regalo che un po' di tempo fa ho deciso di fare.

 

Questa è una Joick. { , avete letto bene, siete avvisate, se non vi aggrada potete chiudere e leggere altro. } La mia PRIMA Joick, precisamente. Ed è appositamente per Simona, alias fadingsound alias @hellyeahjoick.

Per la passione che ha, per le sue fanfiction che mi hanno tenuto compagnia, risollevata e fatto sorridere in momenti veramente di buio totale. Per il modo in cui li ama e me li ha fatti amare, ancora più di quanto già non facessi. Come coppia, come fratelli, come Jonas.

 

 

A lei, quindi, ma anche a tutte voi che mi seguite, mi leggete e magari amate questa coppia,

 

Buon Natale.

 

~Me.

 

 

~Fix You

 
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When you try your best but you don't succeed.
When you get what you want but not what you need.
When you feel so tired but you can't sleep,

stuck in reverse.

 

Appese le ultime luci sul cornicione ed attaccò la spina con un gesto stizzito. Gli facevano schifo. Sbuffò. Non sopportava quell'insulsa catena di led blu comprata all'ultimo momento, o il grosso albero di Natale al centro del salotto, addobbato con una precisione quasi maniacale. I regali già incartati e sistemati con cura.

Quel suo appartamento nuovo ed enorme e stipato di roba così costosamente inutile, ma comunque fottutamente vuoto gli premeva addosso come una gabbia. Dorata, forse, ma pur sempre una maledetta gabbia del cazzo. Sedette pesantemente sul divano di lucida pelle bianca - tremila dollari, centesimo più e centesimo meno - e si passò le mani fra i capelli come se volesse strapparseli via da un momento all'altro. Sì, quell'anno la sola idea del Natale gli provocava intensi e continui conati di vomito.

L'i-phone vibrò nella tasca dei suoi pantaloni e Nicholas ce lo rificcò con decisione, non appena si fu accertato che fosse soltanto l'ennesima chiamata di sua madre: l'aveva rassicurata troppe volte nell'ultimo periodo, per poter essere disposto a perdere altro tempo nel convincerla che non si sarebbe impiccato al lampadario del salotto. Non per il momento, comunque. Affondò nei cuscini, con la fronte che pulsava dolorosamente ed un fastidioso bruciore alle giunture. Passare le notti seduto sul pavimento a scrivere inutili canzoni, invece che dormire come tutti i cristiani non gli stava facendo certo del bene. Glielo avevano detto tutti - ma proprio tutti - che sembrava invecchiato di dieci anni in poche settimane. Il telefono si animò di nuovo. Soffocò un'imprecazione, poi buttò un occhio all'sms. Uno dei suoi fratelli, di certo.

 

 

«Vatti a comprare qualcosa in Rodeo Drive, cerca gli orecchini da regalare a mamma.

Passa da Starbucks e ingozzati di brownies dietetici... Entra in un pub e ubriacati, se ti va.»

 

 «Basta che esci di lì.»

 

 

Il secondo messaggio arrivò qualche istante dopo il primo, facendo sussultare il cellulare fra le dita di Nick che grugnì e cacciò la testa sotto le braccia. Kevin. Era profondamente diviso a metà fra l'impulso di dargli retta e mandare platealmente a fare in culo lui e le sue noiose saggezze da "sono-più-grande-e-queste-cose-le-so". Invece no, che non sapeva. Nessuno sapeva quale fosse davvero la fonte - causa prima e unica - di tutto quel dolore cieco e violento. Quel grandissimo stronzo impunito.

Soffocò un singhiozzo e si schiacciò le palpebre contro gli occhi fino a che piccole macchie di luce presero a guizzargli nell'iride e le lacrime furono ricacciate indietro, una ad una. Non è un episodio di Dawson's Creek, cazzo. Ed in effetti no, quella era la vita. La vita reale.

 

- D'accordo, bro. - Prese una giacca dall'attaccapanni, le chiavi della Mustang e si buttò in strada.

 

 

•••

 

 

Faceva caldo - il ventidue di dicembre -, caldo abbastanza da girare con addosso solo un bomber di pelle leggera e una maglia sottile. Potevano riempire le vetrine di neve sintetica e ovatta fino a farle scoppiare sulla strada: fuori c'erano comunque quasi venti gradi e Natale non sarebbe stato tale nemmeno in fotografia. Prese a calci un sassolino e lo spedì  sul cerchione di una Mercedes di lusso, parcheggiata qualche metro più avanti. In quella parte di Los Angeles erano tutti ricchi da fare schifo - ci si metteva anche lui stesso -, quanto potevano interessarsi al fatto che ci fossero o meno cumuli di neve sui marciapiedi, banchetti di caldarroste agli angoli delle strade, pupazzi - veri - nei cortili delle case e- boh? Quello non era il New Jersey e tanto bastava. Era una cazzo di città dei sogni, in cui la primavera dura trecentosessantacinque giorni l'anno.

Se la sentiva stretta. Si sentiva stretto tutto, soprattutto le insulse decorazioni natalizie che occhieggiavano languide dei loro glitter, dall'ingresso di un grosso store d'abbigliamento. Entrò, guidato più dall'idea di staccarle ad una ad una che altro, si sentiva più Bastian Contrario del solito. Se fosse stato con Lui, lo avrebbe mandato ai matti di certo- ma queste erano poi cose che non doveva nemmeno pensare.

 

- Buongiorno e buon Natale! - Trillò una commessa fin troppo giovane, esattamente all'altezza del suo orecchio destro. - Posso aiutarla? -

 

Nicholas scrollò le spalle stizzosamente e per un momento pensò di farle notare quanto estremamente stupido fosse, fare gli auguri con tre giorni d'anticipo e - a ben riflettere - avrebbe avuto un paio di interessanti considerazioni anche riguardo il succinto abitino scarlatto, orlato di finta pelliccia bianca che più che coprire, scopriva in abbondanza. Sospirò: aveva ben poca voce in capitolo, dopotutto. "Sono più gay di Elton John, stellina - avrebbe voluto dirle - lascia perdere", ma alla fine si risolse per un blando ed educato cenno di diniego col capo ricciuto. Affondò un po' di più nel collo alzato della giacca.

 

- No, grazie. Do solo un'occhiata in giro. - Sparì velocemente dietro un espositore di giacconi.

 

Forse avrebbe potuto comprarsi qualcosa di nuovo. Un paio di scarpe perfettamente lucidate o una bella cravatta da mettersi per andare dai suoi, il giorno di Natale - a Denise piaceva tanto vedere i suoi figli vestiti a modo, per le occasioni speciali. Guardò uno dei tanti grossi specchi appesi in giro, trovandosi in viso una strana smorfia contratta: non sarebbe stato piacevole, quell'anno, pranzare con la famiglia. Prevedeva un lungo, orribile, snervante faccia a faccia che avrebbe fatto crescere il lui solo la voglia di tagliarsi le vene col coltello da burro. Buttò la Ralph Lauren blu scuro che aveva provato sul banco più vicino e fece per prenderne un'altra, ma un certo qualcosa lo fece rimanere bloccato con le dita a mezz'aria e i profondi occhi color mogano spalancati, vacuamente fissi sul muro che gli stava di fronte.

Vide la polo nera che qualche diligente ragazzina in sottoveste natalizia aveva ripiegato e sistemato col cartellino in bella mostra. La vide rovesciata, malamente arruffata sul pavimento della sua camera - faceva contrasto con la pallida fantasia grigia dell'intimo Calvin Klein che vi era stato malamente lanciato sopra -, ma in realtà non era un'immagine così nitida: c'erano macchie confuse, lenzuola scomposte e appiccicate malamente alla sua schiena sudata. Delle mani forti, bollenti, lo afferravano per la nuca e lo spingevano verso l'alto e a quel punto i suoi occhi si perdevano in un mare d'ambra e capelli scuri e barba leggermente sfatta. Affogava, al ritmo sussultorio e irregolare di un fiato caldo contro il collo, le labbra umide e un lungo brivido di piacere gli saliva dal basso, lungo la spina dorsale leggermente inarcata e su, fino al cervello.

Quando tornò alla realtà - una pila di appendini vuoti era crollata al suolo con un orrendo rumore di plastica e metallo schiacciato - una lacrima fredda si era fatta strada sino all'angolo della sua bocca.

 

 

And the tears come streaming down your face,
when you lose something you can't replace.
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?


 

Si asciugò velocemente, augurandosi che nessuno lo avesse visto. Sembrava comunque che nel negozio ci fossero soltanto la ragazza di poco prima ed un adolescente brufoloso intento a provare un paio di jeans col cavallo più basso possibile. Afferrò la polo - sapeva perfettamente quale era la taglia adatta - e si precipitò a pagarla, insieme con la sua cravatta rossa che forse, in fondo, avrebbe indossato volentieri.
Un momento dopo se ne stava buttato su una banchina al bordo del marciapiede con la maglia fra le mani e si dava mentalmente del coglione. Perché l'aveva comprata e perché sapeva benissimo di non averlo fatto per sé stesso, che l'avrebbe impacchettata con la sua carta più bella e riposta sotto l'abete che avevano scelto insieme. Poi avrebbe passato l'intero periodo delle feste a guardare quel regalo così ostinatamente chiuso e sperare l'impossibile. La rificcò sul fondo dell'elegante busta di carta, mentre il nodo che aveva in gola tornava a stringere dolorosamente e si alzò per tornare all'automobile.

Prese a scivolare velocemente fra i passanti, schivando borsette e piccoli cani al guinzaglio o bambini che camminavano distrattamente accanto ai genitori, fino al punto in cui si ritrovò a correre davanti ai negozi senza nemmeno vederli. Si fermò da Starbucks e continuò a battere nervosamente i piedi sul pavimento piastrellato, per tutto il tempo che gli ci volle a fare la fila, ordinare e lasciare sul bancone una manciata di monetine già contate: riprese a respirare regolarmente soltanto quando si fu chiuso la solida portiera della Mustang alle spalle. Guardò i due sacchetti malamente poggiati sul sedile del passeggero e scoppiò in un pianto sconsolatamente liberatorio, picchiando con rabbia i palmi aperti sul volante.

 

- Merda. - Decisamente mantenere i buoni propositi gli riusciva molto meglio quando aveva sei anni.

 

Allora si trattava semplicemente di non svuotare il barattolo dei cookies di sua madre, o rinunciare a sbagliare apposta gli esercizi di solfeggio per far arrabbiare l'insegnante di pianoforte. Non c'era nessuno straziante senso di vuoto, né l'orribile sensazione di aver perso ogni cosa.

Sentì un singhiozzo più forte degli altri salire a scuotergli le spalle e si odiò, perfino più di quanto non avesse fatto nelle ultime ore. Era sul serio finito a piangere come una ragazzina, chiuso in macchina per non farsi vedere e con un bicchiere di caffè caldo per alleviare, dopo. Un cliché vivente, altro che telefilm.

Tutta la sua vita si era trasformata in un grande stereotipo, a partire dal momento in cui si era scoperto innamorato. Impantanato in una di quelle storie d'amore che non lasciano scampo, danno tutto e - allo stesso modo - tutto si portano via, quando qualcosa si rompe inesorabilmente. E lui, quei ricordi, lo erano... ogni cosa. Tornavano a fiotti, sempre nei momenti più inaspettati e di solito esattamente quando credeva di averli rinchiusi per sempre in un angolo buio e inesplorato del suo cervello. Tu pensi troppo, Nicholas. Cazzo, se avevano ragione a ripeterlo e ripeterlo e ripeterlo. Si passò i palmi ghiacciati sugli occhi, cercando di tamponare la pelle già gonfia e arrossata e più giù, sulle guancie mentre il respiro gli si attorcigliava in gola ancora spezzato e convulso. Doveva calmarsi e smettere, smettere una buona fottuta volta di pensare a quanto immensa era la voragine che quel bastardo - meraviglioso bastardo - gli aveva lasciato dentro. Prese un sorso di caffè bollente e ripose il bicchiere nel suo supporto accanto al sedile. Poi girò la chiave e il motore emise un lungo ruggito sordo, mentre il cuore gli batteva furiosamente nel petto sino a fargli male.

Nonostante avesse scelto di prendere la strada costiera - Dio solo sapeva quanto liberatorio poteva essere correre sul bordo roccioso dell'oceano, col finestrino abbassato nonostante l'aria pizzicante e l'odore di acqua e di cielo a riempire i polmoni -, leggermente più lunga rispetto a quella del centro, parcheggiò davanti al vialetto di casa sua dopo appena un quarto d'ora.

I sacchetti ciondolavano lentamente contro il suo ginocchio ed i pensieri si erano incastrati da qualche parte tra l'idea di telefonare a Kevin per quella faccenda degli orecchini ed un paio di versi che sarebbero stati benissimo in qualche nuova canzone, per questo gli ci volle tutto un intero minuto ad accorgersi dell'ombra appoggiata contro lo stipite della sua porta: le braccia incrociate al petto muscoloso e leggermente contratto sotto la t-shirt scura, un giubbotto di pelle del tutto uguale a quello che indossava lui. E quella catenina sottile attorno al collo, jeans, sneakers alte...  rigorosamente Nike. Lo scannerizzò dalla punta dei capelli alla pianta dei piedi. Portava quell'inconfondibile cappellino nero, Wayfarer ed un sorrisino fin troppo convinto sulle labbra perfette. Nick sgranò gli occhi, mentre il doppio espresso di Starbucks inzuppava le sue scarpe ed il bicchiere di carta rotolava via.

 

- Joseph. - Gli sfuggì, come un sussurro.

 

 

High up above or down below,
when you're too in love to let it go.
But If you never try, you'll never know
just what you're worth.

 

 

- Ciao, Nicholas. Ti trovo veramente... male. - Aggrottò le sopracciglia. - Allora mamma diceva la verità: sembra che ti sia passato addosso un camion. Due o tre volte di fila. -

 

- Non prendermi per il culo. - Sibilò.

 

Ficcò la chiave nella toppa senza troppe cerimonie, con rabbia. E si graffiò le dita. Non voleva neppure guardarlo, non più di quanto avesse già fatto in quei pochi istanti che gli erano bastati ad imprimersi nella testa ogni singolo dettaglio di lui. Il colore caldo degli occhi, sempre più ambrato e la forma delle labbra e della mandibola appena spolverata di barba e i nei scuri sempre allo stesso posto lungo la linea del collo e l'incredibile voglia che già era scoppiata di mettergli le mani addosso. E tutte quelle belle cose a cui non avrebbe più - nel senso cristallino di mai più - dovuto pensare. Scattò in avanti e quando Joe si mise in mezzo per ostacolargli il passaggio, gli si buttò praticamente contro per poter entrare in casa.

 

- Sei ancora qui? - Ringhiò. Avrebbe voluto chiudergli la porta in faccia, ma l'altro teneva saldamente un piede fra quella e lo stipite laccato.

 

- Aspettavo che mi invitassi ad entrare. - I Ray-Ban scuri finirono inghiottiti fin troppo in fretta dalla tasca interna della giacca.

 

- Non credo di volerlo fare. - E tantomeno di cederti così facilmente, rifletté.

 

- Io penso di sì, invece. -

 

Lottarono per qualche secondo, poi Nick finì per cedere e la porta si spalancò di schianto. Boccheggiò, mentre suo fratello la richiudeva con cura e si assicurava di dare almeno una mandata alla serratura: Joseph era di nuovo lì, imponente, nella sua casa e nella sua vita. Lo piantò nell'ingresso, come se potesse veramente seminarlo - per magia - e si trascinò fino al salotto dove crollò sul divano con le buste ancora strette in mano e il bomber umido addosso. Doveva rimettere ordine nelle sue priorità sconvolte: Joe non poteva essere in cima alla lista, non di nuovo... Forse il suo culo dannatamente perfetto dentro quei levi's scoloriti sì, ma Joe - in quel certo modo - proprio no. Si diede mentalmente dello stupido e buttò la testa all'indietro, sullo schienale morbido. Smettila, Nicholas, adesso.

 

- Mi sono comportato da coglione, ok? - Come? Cosa...? Spalancò gli occhi di colpo e lo vide in piedi dietro la spalliera, leggermente chinato su di lui con le mani affondate nel cuscino.

 

- Se vuoi farti dare ragione, sei sulla strada giusta..! - Mormorò, sconvolto.

 

- Qualche volta me ne rendo conto anch'io, se una cazzata è una cazzata. - Si inumidì le labbra. Il beanie di lana e la giacca erano stati lanciati in qualche modo sulla poltrona. - E questa volta ho decisamente peccato di vigliaccheria. -

 

- Che. Stai. Dicendo. - Voleva strangolarlo. Violentemente. E forse voleva anche baciarlo.

 

- Che non ho avuto le palle! - Sbottò. - Credevo che fottermene di tutto e  tutti, tenermi dentro il mio segreto e andare ad ubriacarmi la notte con gli amici, dopo essere finito al pronto soccorso con lo stomaco spaccato fosse roba da duri. Invece non sono altro che un'immensa testa di cazzo, Nicky. E tu avevi ragione. Ragione su ogni cosa. -

 

- Credi che sia così semplice? - Si raddrizzò e puntò gli occhi fiammeggianti dritto in quelli del fratello. - Mi hai preso in giro, Joe. Hai riso di me e mi hai praticamente dato della checca isterica, quando mi sono scaraventato al Children Hospital alle tre del mattino... per te ed i tuoi stupidi dolori. Ero fottutamente preoccupato che il mio rag- fratello potesse avere un buco grande quanto un quarto di dollaro nello stomaco |si chiama ulcera, sai| o chissà che altro. E tu mi sei scoppiato a ridere in faccia. - 

 

- Lo so. Hai ragione. - Nick era in piedi ora, si fronteggiavano. - L'unica checca sono io. Io ho avuto paura di dirlo a Kev, mamma e... soprattutto a papà. Io ho mandato tutto a puttane. -

 

- Riconoscere di avere un problema è il primo passo per risolverlo- -

 

- Io voglio tornare con te. - Ammutolirono entrambi. Nicholas perché quelle parole gli erano piovute addosso come grandine d'estate. Inaspettate e violente. Joseph perché non sapeva quale reazione si sarebbe scatenata in lui ed aveva il terrore di avere ancora ed una volta di più, sbagliato tutto.

 

- ... Scusami? - Strinse i denti. Il suo sguardo era tagliente.

 

- Voglio dire a tutti la verità. Non mi importa di quale sarà la loro reazione, se ci accetteranno o meno...! Voglio te, Nick. Tu e basta: il resto non conta un benedetto cazzo di niente. E se dovremo andarcene, io verrò ovunque. - Piegò le labbra in una smorfia sbieca. E Nick sapeva bene perché: si era sentito parlare come in una commedia americana di quelle sciocche e prive di trama, che finiscono sempre ostentatamente bene. E lui detestava quel tipo di romanticismo stereotipato e senz'anima.

 

- Non lo so, se ti credo. Tu fai sempre così. -

 

Era sempre stato capace di muoversi così, veloce come una raffica di vento ed altrettanto impetuosamente. Non potevi prevedere né anticiparlo, era sempre, già troppo tardi. Lo stava baciando. Joe si era letteralmente buttato in avanti, contro il divano. Allungando le braccia, aveva lasciato scivolare le dita tra i ricci ancora un po' troppo corti e premeva le labbra sulle sue con dolce decisione. Rabbrividì e per una frazione di secondo ebbe l'impulso residuo di tirarsi indietro, ma la mano di suo fratello era saldamente premuta dietro il suo orecchio e lo tratteneva esattamente dove stava. Già completamente drogato di quel sapore - come se non avesse mai smesso di mischiarlo al suo -, s'arrese e lo ricambiò fino in fondo. Strizzò il collo a V della t-shirt di lui fin quasi a strappargliela di dosso e continuò a cercare la sua bocca, passandoci la lingua e mordendogli piano il labbro inferiore. Le sue ginocchia erano tese allo spasmo e puntellate contro il divano per permettergli di spingersi di più su Joseph, se l'avesse lasciato andare, probabilmente il rinculo l'avrebbe fatto finire lungo e disteso sul tappeto. In mezzo ai fottuti regali.

 

- Tu, invece, così non l'hai mai fatto...! - Ansimò l'altro. - Che cazzo...! Se volevi convincermi a farlo direttamente contro il muro del tuo soggiorno, ci sei riuscito. -

 

 - Come sei romantico...! - Biascicò, il respiro ancora irregolare e le labbra arrossate.

 

Joe scoppiò a ridere e un momento dopo, aveva già scavalcato il dannato sofà e gli si era praticamente sdraiato addosso. Lasciò scivolare la mano sul suo petto ed arrivò con velocità più che sorprendente alla cintura dei jeans slavati e senza marca. Fece appello a tutta la sua residua forza di volontà, al buon senso, ai freni inibitori - che non fossero già andati a farsi letteralmente fottere - ai santi e alle Madonne tutte. A qualsiasi cosa potesse impedirgli di lasciarsi calare i pantaloni ed abbandonarsi lascivamente a qualsiasi cosa suo fratello volesse fargli. L'afferrò saldamente per il polso e lo trattenne con fermezza.

 

- Aspetta. -

 

- Cosa...? - Replicò Joseph, piuttosto seccato. Odiava venire interrotto.

 

- Prima che tu mi infili le mani nei pantaloni, voglio essere sicuro che sei seriamente convinto di quello che hai detto...! - Non staccò gli occhi dai suoi per un solo secondo.

 

- Oh, porca troia, Nicholas. Io ti amo, capito? Ti amo. - Piegò le labbra in uno di quei suoi sorrisi sghembi e maledettamente stupendi. Poi si abbassò sino a lasciare fra di loro giusto lo spazio d'un respiro. - Sono venuto qui in ginocchio sui ceci, per implorarti di perdonarmi e riprendermi nella tua dannata, paranoica vita. Quindi smettila di farti tutte queste seghe mentali e passiamo a qualcosa di un po' più... concreto, mh? -

 

Nel petto di Nick si smarrì un battito. O forse erano tre, dieci, cento mentre Joe tornava a baciarlo sulle labbra e poi giù lungo la mandibola e sul collo, sino a strappare anche l'ultimo brandello di fiato rimastogli in corpo. Sorrise, ansimando leggermente: se non altro, i fianchi snelli e muscolosi che spingevano, si muovevano contro ai suoi ed il rumore ruvido, sensuale dei jeans che sfregavano fra loro - impietosi - provocavano un bellissimo senso di deja-vù.

 

Il cuore decise di volergli esplodere dentro, proprio in quel momento.        

   

 

•••

 

 

Cercò di rigirarsi - in  qualche modo - sul cuscino, ma il peso caldo del corpo di suo fratello lo teneva inchiodato in quella posizione raggomitolata. Gli accarezzò la schiena nuda, inspirò profondamente l'odore familiare della sua pelle e lo sentì borbottare qualcosa nel sonno. Ridacchiò silenziosamente, poi si allungò a cercare i jeans finiti chissà dove sul pavimento, nella luce bianca ed intermittente della catena avvolta al cornicione. Improvvisamente, gli piaceva. E l'albero. E tutto il resto. Trovò l'i-phone proprio nel momento in cui quello prese a vibrare, sbloccò la chiamata e se lo porto all'orecchio.    

 

- Dille che metterai la  cravatta. - Sogghignò Joe contro il suo collo. - Sei sexy, con la cravatta...! -

 

- , mamma. - Sorrise, tanto che sentì le guancie dolere e gli passò le dita sui capelli a spazzola, dietro la nuca. - Saremo a casa per Natale. -

 

 

Lights will guide you home
and ignite your bones...
And I will try to Fix You.

{Fix You - Coldplay}

  
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