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Autore: Milako    09/08/2006    3 recensioni
"Oh!, Maedhros! Maledetta fu la tua avanzata solitaria fra le schiere di Morgoth, e scure e prive di sostegno sono state per me le ore in cui, unico vile fra i Noldor, meditavo di diserzione! Invero allora più che mai la nostalgia di Aman la Beata pulsava in me, maggiore e più dolce fra le torture dai Valar imposte agli Esiliati!".
Le riflessioni di Maglor dopo il salvataggio di Maedhros.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia appartengono a Tolkien e a chi ne detiene i diritti. Non scrivo a scopro di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa.
Per citare/riprendere/tradurre questa storia in parte o in toto dovete avere il mio esplicito permesso.

Songmaker’s cry

Vergogna.
Prima dei Remotissimi Tempi, prima del principio di ogni Epoca, quando Arda non era ancora né i Valar l’avevano designata loro dimora, esisteva – fra tutte le cose da Eru Ilúvatar disposte nella Sua mente – l’idea della vergogna immonda e disonorevole?
Se è cosí, fratello, sono certo che Egli l’abbia resa torbido sangue e ne abbia colmato ogni mia vena.

Le ali di Thorondor, Re delle Aquile care a Manwë, hanno sorvolato i campi dei Noldor, nell’Hitlum, colmandoci di stupore e paura. Fingon il Valoroso – figlio di Fingolfin e nostro parente a metà – è disceso mesto in volto dal dorso dell’Aquila; recava fra le braccia il tuo corpo emaciato e mutilo, coperto unicamente di sangue.

Quando, tacita e amara, l’ora della morte colpì nostro padre sulle pendici dell’Ered Wethrin, egli, con l’ultima fiammata del suo spirito, ci impose una vendetta senza requie. Allora la signoria della casata passò a te, Maedhros, il maggiore fra i legittimi eredi di Finwë e Míriel Serindë.

Si dice che mai nessuno fra i Figli di Ilúvatar abbia tenuto più da conto di Fëanor il proprio padre; ma il tuo cordoglio fu forse minore?
Forse le tue lacrime da sole non furono più di tutte quelle versate dai Noldor per la caduta del loro Sire?
Per quanto il lutto ci straziasse l’animo e la perdita ci tormentasse, nessuno fra noi fratelli poté partecipare appieno al tuo dolore: tu, infatti, avevi vissuto in sua compagnia anni in cui noialtri ancora non eravamo venuti al mondo e l’ombra di Morgoth era lungi da Tirion la Bianca.

L’Oscuro Sire ci inviò subdoli latori di pace e tu, solo fra sette fratelli, scegliesti di fronteggiare l’infima ambasciata.
Infelice e insidiosa fu quell’ora! Infatti, accecati dall’afflizione – e forse vilmente sicuri del tuo valore – abbiamo lasciato che, con una scarsa schiera, cogliessi la sfida di Morgoth.
Grande è la tua virtù, fratello, ma gli agguati del Nero Tiranno sono vili e disonesti: egli massacrò i compagni che erano con te, e tutti li scannò e trucidò, senza che nessuno riuscisse a scampare alla rovina.

L’ira dei Valar sovrasta i Noldor come il più rabbioso dei cieli; senza posa riversa su loro mortifere piogge di pianto e taglienti bufere di strazio.
Fra i torti che Morgoth ha arrecato agli Eldar, Maedhros, non ultima è stata la tua cattura da vivo e la lunga prigionia a cui ti ha costretto nella cupa Angband!

In poco tempo sono stato privato di mio padre, delle mie terre e del più prode fra i miei fratelli; mi sono ritrovato ad essere Sire di genti esiliate, la cui unica forza stava nella disperazione e nell’antica tenacia: ero sconfortato e privo di amici; di alleati che si ponessero fra me e il Grande Nemico.
L’avvilimento mi si strinse attorno come una nera caligine, e per un periodo rimasi incapace di pensare a qualunque cosa eccetto la disfatta e la ritirata.

Morgoth ci mandò a dire che ti teneva prigioniero in Angband e che ti avrebbe rimesso in libertà solo a condizione che i Noldor si ritirassero dalla guerra; questa mi sembrò un’imprevista speranza, tale era la mia sfiducia e tanto grande era il desiderio di strapparti al più lugubre fra i luoghi di supplizio che mai vi sono stati e vi saranno.
Ecco dunque che Maglor, Principe Regnante dei Noldor nel Beleriand, aspirava segretamente ad un’ignominiosa fuga. Non ne ho mai fatto discorso con nessuno, nemmeno fra i nostri fratelli: essi erano avidi di guerra e vendetta e mi dissuadevano sempre più apertamente.

Continuavano a dirmi che il Cuore Nero, avendo in ostaggio l’erede del più odiato fra la vasta schiera dei suoi nemici, non avrebbe mai mantenuto la promessa di liberarlo; piuttosto avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio e diletto. In tal modo egli avrebbe ottenuto – oltre alla ritirata dei valenti e temuti Noldor – il nostro strazio e la nostra collera: di queste cose egli gioisce massimamente
Infine, non ultimo in goduria nel numero dei suoi capricci, sarebbe stato la causa e l’unico giudice dei supplizi di un così prezioso prigioniero.

I nostri fratelli, alla luce di queste congetture, mi istigavano a rimanere nell’Hitlum e non si dicevano disposti a rinunciare alla guerra contro Morgoth, per quanto disperate paressero le circostanze; il pensiero che andava di continuo all’uccisione di nostro padre e alla tua prigionia era un pretesto bastevole – ma non l’unico – ad infiammare di continuo la loro tempra. Soprattutto Caranthir che è detto lo Scuro, e che fra i figli di Fëanor è il più rapido alla collera, ha cercato di far prevalere il suo sdegno sul mio sconforto.

E alla fine ho ceduto, stremato com’ero da dubbi e speranze, in quanto ho ritenuto saggio fidarmi delle loro parole e non delle ingannevoli proposte di Morgoth; è stata la ragione a guidarmi, non il cuore.
Così, agendo alla stregua di Morgoth, ti abbiamo considerato merce di scambio, un’offerta a cui rispondere “sì” o “no”; non più né il fratello né il compagno di cui ci avevano privati. Ma non sono forse proprio queste le trame del Nemico, minare le alleanze e troncare le i saldi vincoli di affetto?
Sotto le stelle dell’Hitlum i Noldor meditavano pensieri oscuri, nel sospetto e nella tensione; ma ben più oscuri e più mesti sono i miei pensieri, fratello mio, ora che mi sei di fronte smunto nella tua malattia, né gli spasmi ti lasciano in pace durate il sonno.
La ragione è stata il motivo della tua cattura, la ragione ti ha condannato a rimanere ostaggio in Angband; ma ora la ragione può forse concedermi il tuo perdono? Può lenire le tue piaghe?
Non sento più il cuore battere dentro al petto, tanto che mi pare si sia fermato e tramutato in pietra; nei momenti della tua prigionia, dunque, non avevo più un cuore?
Posso forse negare che esso mi riferiva incessantemente i tuoi supplizi e mi mormorava di agguantare la spada e di volgermi, da solo se inevitabile, in tuo aiuto?
Ma io sono un cantore, e il cantore è abile solo con le parole; un vigliacco è stato Maglor, tuo fratello, ad ignorare le sue inquietudini.
Combinazione nefasta è quella data da ragione, paura e vigliaccheria: cattivi consiglieri sono stati per me i Noldor, così pieni di odio e smaniosi di vendetta. Gli aspri echi del giuramento da noi pronunziato sulle creste del Túna continuavano a richiamarci, senza tregua, in battaglia.


Oh, Maedhros! Maledico la tua avanzata solitaria fra le schiere di Morgoth; ricordo quanto buie e prive di sostegno siano state per me le ore in cui, unico vile fra i Noldor, meditavo la diserzione! Allora più che mai, la nostalgia di Aman la Beata pulsava in me, maggiore e più dolce fra le torture imposte agli Esiliati dai Valar!

In Aman dalle vaste colline ero un poeta; la mia voce si udiva lontano, per mari e per monti, e nessun canto – eccetto quello di Yavanna Kementári – possedeva tanta grazia e al contempo tanta possanza. Ero fra tutti gli Eldar quello che sommamente amava e trovava delizia nell’arte della musica e della lirica; i versi che componevo erano intonati ovunque nella Terra Beata. Questo è uno strano genere di maestria nella nostra casata, in cui piuttosto sono comuni la destrezza nella lavorazione delle gemme e l’abilità nel maneggiare le armi. Nostro padre, tuttavia, era amante sia dell’opera delle mani sia di quella della mente, e si mostrava fiero della bravura di tutti i suoi figli.

Ma Morgoth rubò i Silmaril – il tesoro che Fëanor adorava intensamente e sopra ogni cosa – e versò il primo sangue degli Eldar assassinando Finwë, il nostro avo, il solo che non era fuggito di fronte all’incedere della sua Ombra.
Allora la Lunga Notte si abbatté sul popolo di Aman; le parole di vendetta e rivalsa di nostro padre riecheggiarono ovunque in Tirion ed egli ci chiamò al suo fianco: anche io sono stato pronto a sguainare la mia spada contro il Nemico, contro i Valar stessi e le loro leggi. Le nostre armi sono state levate contro le nostre belle terre, contro la vita beata che avevamo condotto sino all’arrivo di Morgoth: quel giuramento che tutt’oggi ci richiama all’appello è valso ai Noldor l’esilio imperituro.

Com’erano dure e prive di rimpianto le parole di Fëanor, mentre ci guidava verso queste sponde! Ma egli non ha mai avuto nostalgia di Aman: per lui era diventata un paese di inganni in cui abitava gente della stessa schiatta di ladri e assassini; grandi erano la sua delusione e il suo sdegno per i Valar, ai quali rimproverava con ferocia l’incapacità di difendere se stessi, il loro regno e i tanto amati Eldar. Davvero possente era il fuoco che ardeva nel figlio di Finwë; quello che anima Maglor il Cantore non ha mai avuto la stessa possanza.
Il mio amore per Aman è devoto e insopprimibile, e né i crimini di Morgoth né le inquietudini dei Noldor hanno potuto insidiarlo.
Sciocco è il cuore del poeta, che ama profondamente e senza fine: i ricordi dei giorni della bellezza non svaniscono mai del tutto e, anzi, sono come un sogno sempre più lontano, notte dopo notte! Vile e facile allo sconforto è colui che abbandona le antiche glorie per una marcia nel buio; molte ho tremato in silenzio, nell’ignoto di queste nuove terre intrise solo di guerra e dolore.
Un cantore non è un guerriero: e io bramavo piuttosto la pace fittizia offerta dai Valar che una guerra raminga condotta sotto cieli sconosciuti.

Maedhros, la mia ignavia per poco non ti è costata la vita; al tuo risveglio con quale animo potrai ancora chiamarmi “fratello”?
Penso che da oggi in poi dovrai chiamare così solo Fingon il Valoroso: egli è giunto nella Terra di Mezzo con la schiera di Fingolfin, sfidando il Ghiaccio Stridente e le insidie del tradimento; non ha esitato a marciare in tuo aiuto, non ha perso tempo né si è consultato con chicchessia. Sì, ricordo bene che, in Aman – prima che voci di infedeltà cominciassero a insinuarsi tra le casate degli Eldar – l’amicizia che lo legava a te era forte e salda; ma il vostro legame è pure sempre quello di un cugino con un cugino, non quello di un fratello con suo fratello! Eppure egli solo, nonostante tutto, ha provato sincera pietà e rabbia per le vili torture che affrontavi.

E se Fingolfin si fosse arreso di fronte allo sleale incendio delle candide navi dei Teleri in Losgard; se avesse maledetto la nostra stirpe e con la sua schiera fosse tornato indietro da Araman per tentare il perdono dei Valar; o se Fingon si fosse comportato come chi, giustamente offeso dalla slealtà dimostrata, rifiuta il suo aiuto ai vecchi compagni e gioisce dei loro mali, che ne sarebbe stato di Maedhros figlio di Fëanor?
Angband sarebbe stata la tua prigione eterna e nessuno fra coloro che pensavi di poter chiamare “amici” avrebbe spezzato le tue catene? Per quanto tempo Morgoth, l’Oscuro Nemico, ti avrebbe sottilmente tormentato rinfacciandoti l’appartenenza ad un popolo di pusillanimi incapaci perfino di essere fedeli al proprio Principe?
I tuoi fratelli avrebbero portato avanti la guerra e si sarebbero occupati di te solo in un giorno distante anche per quelli che sono i tempi della vita degli Eldar.
Fingon figlio di Fingolfin, soltanto lui fra i Signori dei Noldor è meritevole di essere chiamato da te “fratello”; mentre chi ti è fratello nel sangue, e si è tirato indietro nel soccorrerti, non è degno nemmeno di accostarsi a te e di posare lo sguardo sulle tue ferite.

Se la vita ardesse ancora in nostro padre, Maedhros, credo che più di una testa salterebbe fra quelle dei Noldor e la prima sarebbe quella del suo secondo figlio. Di tre colpe, infatti, sarei maggiormente imputabile.

La prima – la più imperdonabile nella mia condizione – è il mio assiduo e tacito struggermi per Aman, per la grandezza e per la gloria di quelle terre che sempre hanno dato ispirazione al mio cuore di poeta e che a lungo ho cantato con le mie arpe. Nostro padre ha accusato i Valar Signori di Aman di essere simili a Morgoth; io, però, non ne ho mai avuto alcun sentore, e trovo che queste lande dominate dal male dell’Oscuro non abbiano niente in comune con le Terre Beate. Sono forse l’unico fra i Noldor che non desidera rimanervi, né tantomeno essere fra i capi di una così grande guerra. Tuttavia mi guardo bene dell’esprimere questi considerazioni in pubblico e a voce alta: il mio cuore si consuma di lacrime per la follia che dilaga fra i Noldor e che mette il padre contro il figlio, né desidera alimentarla.

La seconda delle mie colpe è stata la vigliaccheria che ti ha abbandonato fra i supplizi di Morgoth: essa cerca di soffocare anche il giuramento pronunciato in Tirino. Se pure io provassi a sfuggire alla dannazione, e a ritardare il momento in cui le parole da me declamate esigeranno di essere messe in atto, il mio sarebbe un tentativo vano. Promettendo vendetta all’illegittimo possessore dei Silmaril i Noldor hanno segnato la loro condanna, poiché le Gemme della Luce di Aman sono fra le mani di un Vala, terribile in potenza benché malvagio e corrotto.
Nostro padre fu davvero un grande oratore; enorme fu, in quel momento, la sua capacità di mutare il mite cantore in un implacabile guerriero!

E infine, il terzo fra gli errori che senza dubbio lo deluderebbe, è il mio essere grato a Fingon figlio di Fingolfin, colui che ti ha tratto in salvo. So che da tempo scorre cattivo sangue fra la nostra dinastia e quella dei figli di Indis, e molti scontri e veleno designano anche me nemico della seconda linea di Finwë; ma potrei forse non dimostrare tutta la mia stima e la mia riconoscenza al solo degli Esiliati che si è riscosso dagli antichi rancori e ha posto la tua salvezza in cima alle sue priorità?
Troppe colpe verso te, verso nostro padre e verso il nostro patto tormentano il mio animo e insudiciano i miei pensieri; meriterei unicamente lo sdegno dei Noldor e il tuo ripudio.

Le Aquile nobili, le Aquile care a Manwë, le Aquile maestose nunzie di Aman ti hanno portato in salvo qui, nei campi dell’Hitlum; Aquile portatrici di salvezza e sollievo.
Ma alle mie orecchie le loro urla sono grida di indignazione e rimprovero, e tutte le volte che ne odo l’alto stridere è come se esse mi ammonissero: “Vergognati, codardo! Infimo fra gli abietti della progenie degli Eldar!”.
Allora mi sembra che ogni parte del mio cuore crolli in infinite schegge, troppo minute per venir ricomposte, ma grandi abbastanza da ferirmi se tento di recuperarle; tremo pensando che per me non esista più alcun cielo sicuro sotto il quale fuggire e nascondermi.

Le brume della viltà mi saranno sempre compagne e ammonitrici, in queste valli di pianto.

Mandos ha condannato i Noldor a lacrime innumerevoli: troppo indulgente è per Maglor il Vile questo castigo.
Oh, Varda Elentári! Oh, Manwë Súlimo!, voi che siete i più gloriosi fra i Potenti! Se ancora prestate ascolto alle suppliche di coloro che sono miseri fra gli Esiliati, questo è ciò per cui Maglor figlio di Fëanor vi invoca: fate sì che io possa vivere in una sofferenza cento volte più dilaniante di quella patita da mio fratello, e che infine Mandos sbatta le porte delle sue Aule in faccia al mio spirito stremato da diecimila secoli di dolore! Possa il mio animo non trovare requie fino alla Fine di questo mondo, e che dopo la Fine i Valar intercedano per me presso Eru Ilúvatar, così che Egli sigilli il più vile fra i suoi Figli nel Vuoto Atemporale. Tale desidero che sia la mia sorte.

La viltà ha ghermito il poeta e ne ha fatto un reietto.



* * *


Note:
Era da anni che non scrivevo più nulla da pubblicare; questo perché niente mi ha fornito la… l’ispirazione (che brutto termine…)? No, diciamo… l’affascinante voglia di raccontare.
Poi ho letto il Silmarillion; e il Silmarillion farebbe innamorare anche un sasso.
Una delle cose belle di questo libro è che è pieno di sottointesi, di scene che ci sono state ma non vengono raccontate, di incontri e riflessioni lasciate alla fantasia del lettore. I pensieri di Maglor, secondo figlio di Fëanor in età, dopo che Fingon ha salvato Maedhros da Angband, secondo me sono stati simili a quelli che ho cercato di raccontare.
Spero di non essere stata troppo profana: ho cercato di adeguarmi allo stile del Silmarillion e la cosa è stata doppiamente difficile, dato che il mio narratore è un poeta: ciononostante sono abbastanza soddisfatta, sia per la riuscita linguistica sia per la coerenza dei personaggi.
Mi auguro, con questa one-shot, di essere riuscita in miliardesima parte in ciò in cui è sempre riuscito il professor Tolkien.

Ho citato un paio di versi di due canzoni: una è Noldor (Dead Winter Reigns) dei Blind Guardian; l’altra Breathe no More degli Evanescence. Il titolo stesso della one shot, Songmaker’s Cry, è una citazione da Dead Boy’s Poem, dei Nightwish.

Grazie al prezioso aiuto di Dama Gilraen ho risistemato la storia, alleggerendola dal punto di vista dei vocaboli e della sintassi.

   
 
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