Any moment,
everything can change…
PROLOGO
Come
inizia questa storia?
Un
po’ come iniziano tutte le storie; con un incontro. Un
incontro tra due
persone, come tutti gli altri, apparentemente casuale, semplice, che
potrebbe
capitare a tutti, certo. Ma di sicuro, i due protagonisti della nostra
storia, fin
dal loro primo sguardo avevano capito che non era stato un caso che
proprio
loro due si fossero incontrati. Sapevano di essere speciali e questo
perché il
destino li aveva scelti, e quando il destino ti scegli per far parte
dei suoi
piani e adempiere al suo volere, non puoi fare altro che assecondarlo.
Dunque
il destino li aveva scelti e
li aveva
legati l’uno all’altro, li aveva legati con un
sentimento forte; l’amore.
Ma
badate bene, non un amore convenzionale, non quello che si vede tutti i
giorni
passeggiando per strada. Andava ben
oltre quello fra due amici, ben oltre quello di due
fidanzati…un amore al di là
dei consueti schemi, fatto di complicità, di comprensione,
di disponibilità, di
litigi, di riconciliazioni; e non importava dove andassero, non
importava cosa
facessero o dicessero, sapevano che c’era sempre qualcuno su
cui poter contare.
Una
macchina scura si era allontanata da poco più di due minuti
dal cancello di
casa Yoshida quando Miroku Kinomya, un curioso bambino di sette anni,
scavalcò
la siepe che divideva quella da casa sua e si avvicinò a una grande finestra, lasciata
aperta per
permettere alla fresca brezza primaverile di entrare
nell’abitazione, e spiò
all’interno. La finestra si apriva su una grande sala al
centro della quale
stavano un salotto e due poltrone disposte a semicerchio di fronte al
camino
spento, sulla destra una rampa di scale portava al piano superiore;
quando un
improvviso colpo di vento fece svolazzare le sottili tende che ornavano
la
finestra, Miroku ricordò il motivo che, a distanza di due
settimane dall’arrivo
dei nuovi inquilini in quella casa, lo aveva spinto ad avvicinarsi
tanto.
Ogni
giorno a quell’ora una macchina scura parcheggiava davanti
all’abitazione, ne
scendeva una bella signora, e poi la vettura ripartiva. Nemmeno qualche
minuto
dopo il lieve suono di un pianoforte si librava nell’aria,
accompagnato da una
lieve voce cristallina che intonava delle canzoncine, talvolta dolci,
semplici
o molto allegre, altre volte tanto tristi, ma sempre piene di
sentimento. Fino
ad allora il bambino si era accontentato di sedersi tranquillo nei
pressi della
siepe, sul prato, per ascoltare; talvolta, quando il cielo era limpido,
si
distendeva sull’erba e, guardando le nuvole, immaginava che
queste si
muovessero, improvvisando, solo per lui, un divertente balletto; oppure
chiudeva
gli occhi blu e immaginava di compiere lui stesso favolosi viaggi tra
le
nuvole, viaggi che venivano bruscamente interrotti quando la musica
cessava e
la bella signora andava via.
Tuttavia
quel giorno aveva deciso di osare un po’ di più,
era fermamente deciso a
scoprire a chi appartenessero quella voce e quelle…dita.
Sebbene non riuscisse
a vedere bene all’interno, nessuno si era accorto di lui,
così decise di
restare lì, se non altro avrebbe sentito meglio.
E
di nuovo lo pervase una sensazione di leggerezza, rivisse i suoi
splendidi
viaggi, vide mari, monti e colline verdeggianti, librandosi sul dorso
di uno
splendido gabbiano. Stava talmente bene che nemmeno quando la musica si
fermò
smise di sognare; sfortuna (o fortuna) volle che qualcun altro mettesse
fine
alle sue fantasie.
«E
tu che ci fai qui, chi sei? »
Miroku
trasalì spalancando gli occhioni blu per incontrare quelli
color cioccolato di
colei che lo aveva riportato alla realtà. Era una bimba, non
molto più piccola
di lui, piuttosto magrolina, con lunghi capelli castano scuro raccolti
in due
codini e lo guardava incuriosita, aggrappandosi a stento al davanzale
della
finestra.
«Oh…scusa!
» Esclamò il bambino allontanandosi lievemente.
«I-io abito nella casa vicina,
ero curioso di sapere chi suona il piano…» Disse
con aria colpevole.
«Lo
suono io. » Rispose la bimba un po’ acida.
« Ora devo andare. » Dicendo così
fece per allontanarsi verso le scale alla sua sinistra ma Miroku la
fermò.
«Aspetta,
» Esclamò.
«Ma tu…sei un angelo? »
La
bambina si voltò alzando un sopracciglio, visibilmente
scocciata. «E cosa te lo
farebbe pensare? »
«E-ecco
» Balbettò
Miroku facendosi un po’ rosso
essendosi reso conto dell’assurdità della sua
domanda. «Mio papà è morto quando
ero piccolino, tanto piccolino che non me lo ricordo, e la mamma mi
dice sempre
che lui ora è in cielo, con tanti angeli che gli stanno
vicino; così se tu eri
un angelo ti chiedevo se mi salutavi papà e se gli dicevi
che gli voglio tanto
bene… »
Lo
sguardo acido e distaccato che fino a quel momento aveva albergato sul
volto
della piccolina lasciò il posto a curiosità e
dolcezza; con un lieve sorriso si
arrampicò sull’ampio davanzale, dandosi la spinta
con un piccolo sgabello. «E
che altro ti ha detto la tua mamma degli angeli? » Chiese
inclinando la testa
su un lato.
Il
bambino parve riflettere per un istante, assumendo aria
d’importanza, poi
disse: « Mi ha detto che hanno la pelle candida e le guance
rosee, occhi grandi
e una voce melodiosa, come te, che la usano per rendere felici le
anime…. »
Miroku
pensava che la bambina sarebbe rimasta stupita, invece la sua
espressione era
impassibile; probabilmente, pensò il piccolo, non era una
bimba molto allegra,
almeno quando non cantava, perché quando lo faceva Miroku
percepiva la sua
gioia. Altrimenti come avrebbe potuto sentire dei sentimenti in una
canzone se
questi non venivano espressi?
«Peccato
che non sei un angelo. » Riprese il bambino dopo un
po’ con crescente
delusione. «Quando ti ho sentito cantare ci avevo sperato
tanto…ora come farò a
parlare con papà? »
Chiese a se stesso.
«Ma
lui non ti abbandona mai… » Miroku la
guardò stupito; stava sorridendo. «Mia
mamma dice che se una persona che ami va via, non va mai via del
tutto…è sempre
qui,» Disse toccandogli il petto «nel tuo
cuoricino…Perciò se vuoi dirgli
qualcosa, basta che chiudi gli occhi, lui ti leggerà nel
pensiero»
Miroku
dovette ricredersi; quella bambina non era affatto antipatica, anzi.
Era
gentile e con due parole aveva risolto il suo problema. Ora sapeva che
poteva
parlare con il suo papà ogni volta che voleva.
All’improvviso
la bambina scattò all’in piedi, saltando
giù dal davanzale; la sua mamma la
stava chiamando. «Ehi, bambina!
» Gridò
Miroku. «Come ti chiami? »
«Sango…»