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Autore: happylight    29/12/2011    10 recensioni
"Il posto in cui Norvegia ama di più lasciarmi, le rare volte in cui mi porta con sé in Danimarca, è qui accanto alle alte finestre del suo salotto; da qui vedo il mar Baltico, e il porto di Copenaghen.
Che piova o che sia bel tempo, la luce entra dai vetri immensi e scorre sulle scanalature del mio legno, sulla fine corda dell’archetto.
Anche io che sono solo un violino capisco che è un bello spettacolo."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il posto in cui Norvegia ama di più lasciarmi, le rare volte in cui mi porta con sé in Danimarca, è qui accanto alle alte finestre del suo salotto; da qui vedo il mar Baltico, e il porto di Copenaghen.

Che piova o che sia bel tempo, la luce entra dai vetri immensi e scorre sulle scanalature del mio legno, sulla fine corda dell’archetto.

Anche io che sono solo un violino capisco che è un bello spettacolo.

 

Anche stavolta ha fatto così.

Sono strane le volte in cui mi porta qui.

Quando Danimarca viene a casa nostra è sempre allegro e passa le giornate ad importunare il mio suonatore; non si lascia scoraggiare dai suoi sbuffi e dai suoi insulti, e ad ogni schiaffo o pugno ricevuto si rialza più sorridente di prima.

Quando Norvegia mi porta con sé da lui, il danese ci apre sempre la porta in silenzio, ci accompagna in camera e ci lascia da soli senza aprire bocca. La mia custodia si apre appena in tempo per cogliere una specie di smorfia sul suo viso: è come la brutta imitazione del suo sorriso.

Mi piace la risata di Danimarca; anche se quando lui ride di solito Norvegia non ha tempo per suonarmi. Ma quando lo fa, dopo che lui se ne è andato, fa vibrare nelle mie corde delle melodie talmente gioiose!

È come risentire il rumore della cascata a primavera, è come vedere spuntare i fiori sotto i propri piedi. Per questo mi piace.

Ma quando mi porta da Danimarca non c’è niente di tutto questo. L’aria è densa, cupa e triste come in un giorno di nebbia d’inverno; nel loro silenzio sento dolore e tensione.

 

Per fortuna non succede spesso: nella mia memoria di legno ricordo due, tre occasioni.

Allora Norvegia mi posa qui sul mio piedistallo, accanto alla finestra, e mentre guardiamo assieme le onde del mare lambire i piedi della Sirenetta, Danimarca entra nel salotto e si siede sulla solita poltrona.

Rivolge un mezzo sguardo al mio suonatore, e sta zitto.

Anche Norvegia non dice nulla. Sospira, mi solleva, mi porta sulla sua spalla, appoggia il mento sul mio legno, afferra con delicatezza l’archetto.

Fa vibrare le mie corde, lentamente.

Danimarca continua a guardare fuori dalla finestra.

Norvegia chiude gli occhi e continua a suonarmi.

Piano piano, sento che tira fuori dal mio legno una melodia triste: l’abete rosso e l’acero piangono lacrime invisibili, le note risuonano di dolore.

Percepisco il corpo del mio suonatore tendersi nello sforzo di assecondare la musica; la mano talvolta trema leggermente e la corda stride, come il singhiozzo che ogni tanto interrompe il pianto.

Ma Norvegia continua a suonare.

E Danimarca guarda sempre fuori; ma la mano sul bracciolo si chiude in un pugno e i suoi denti mordono leggermente il labbro inferiore.

Qualcosa si muove nell’aria, lo sento.

La nebbia si alza un po’, la tensione si scioglie e compare una specie di sollievo, leggero e impalpabile.

Qualcosa cambia anche nella musica.

Il mio suonatore ora tiene l’archetto con più delicatezza ed accarezza le corde con dolcezza; il legno non piange più.

Nascono delle note, si mettono in fila, si intrecciano e si dissolvono nell’aria salmastra del salotto.

E sono come un balsamo, come il bacio di una madre, come le carezze di un amante. Sfiorano l’anima e le sussurrano parole di conforto e ne leniscono i dolori.

Ma sento qualcos’altro che vibra nell’abete e nell’acero: un dubbio, una richiesta accorata.

Le note raggiungono Danimarca, che non fissa più fuori dalla finestra: ora guarda il mio suonatore, ed i suoi occhi brillano, la bocca è incurvata in un modo strano.

Norvegia continua a farmi cantare, ed io capisco cos’è che sta chiedendo disperatamente.

Perdonami, dice la musica che plasmiamo assieme. Scusami.

Le note cambiano.

Ah, ti amo, ha detto adesso.

La mano di Norvegia trema. Sento il suo spasmo, il suo disperato desiderio nel mio legno.

Sono inebriato da queste emozioni che mi permeano. Vorrei che non finisse mai, vorrei continuare a creare cascate di melodie con lui per sempre; ma sento il suo dolore nelle dita che impugnano l’archetto.

È triste che questa musica meravigliosa debba nascere così.

Ma io sono un violino, e di questo vivo.

La melodia cessa.

Danimarca si è alzato ed ha posato la sua mano su quella del mio suonatore. Norvegia lo guarda: ha gli occhi lucidi, le labbra sono di nuovo incurvate in un sorriso. Lentamente, annuisce. Ha capito.

Norvegia mi posa piano piano sul mio piedistallo, e si lascia avvolgere dalle braccia del danese. Poggia la testa sulla sua spalla e gli stringe spasmodicamente i capelli sulla nuca.

Non dicono nulla, perché le loro labbra sono troppo impegnate ad incontrarsi.

E nel silenzio, sento che la nebbia si è dissolta. È di nuovo primavera.

 


 

Note & Chiarimenti

I troppi cenoni accumulati in questi giorni e le troppe fanart con Norvegia che suona il violino hanno prodotto questo; mentre nel mio stomaco il salmone al forno dichiarava guerra al panettone e alle tagliatelle con i funghi, la mia mente ha prodotto questa domanda. Norvegia  come potrebbe chiedere scusa a Danimarca? Questo è il risultato.

Poi, cosa mai possa aver fatto Norge per far arrabbiare Danimarca, proprio non riesco a figurarmelo.

Se vi viene qualche idea scrivetemela in una recensione, e tanto che ci siete ditemi cosa ne pensate della fan fiction!

Buon Natale (in ritardo) e buon anno nuovo (in anticipo) a tutti!

   
 
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