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Autore: VaniaMajor    01/01/2012    6 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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AUTHOR'S NOTE: Buon 2012, folks! Inizia qui la mia nuova fanfiction, spero che sarà di vostro gradimento! Un abbraccio a tutti, vi auguro un anno di grandi soddisfazioni! Enjoy!

CAPITOLO 1

SEGUENDO IL SOLE

La giovane studentessa guardò il foglio davanti a sé nemmeno si trattasse del suo peggior nemico, la matita alzata a mezz’aria come per sferrare un colpo. La fronte liscia era corrugata per la concentrazione, le labbra serrate. Poi, il suo viso si distese in un sorriso trionfante e la matita scese a vergare segni sul foglio con impressionante velocità. Finalmente aveva la soluzione! Poteva riuscire a finire il test, quella era l’ultima domanda!
La campana suonò quando si trovava a metà dell’equazione. Un piccolo grido di sconforto le uscì dalle labbra, mentre l’insegnante diceva: «Matite sui banchi. Il tempo è scaduto. Consegnate il test.»
“Ancora un istante! Ce la posso fare!” pensò Kagome, febbrile, ma il foglio venne sfilato da sotto la sua mano e scomparve nel mucchio degli altri impilati sul braccio del professore, che stava passando a ritirare i test di banco in banco. Kagome guardò allontanarsi la propria fatica di quella settimana con espressione rassegnata, sapendo di aver racimolato niente più che una sufficienza risicata. Se solo avesse potuto finire quell’equazione! Maledetta matematica!
Si alzò, sospirando, mentre attorno a lei si levava la cacofonia di chiacchiere tipica della pausa pranzo. Tutti comparavano le risposte al test, ma lei non aveva voglia di sapere cos’era andato male prima del tempo. Pensare che quella era l’unica materia che le dava difficoltà! Nel resto aveva quasi il massimo dei voti!
«Kagome! Vieni a comprare una crocchetta o nonostante il ritardo ti sei ricordata l’obento di tua madre?» le chiese la sua amica Yuka, sogghignando nel sottolineare quanta fatica facesse Kagome ad alzarsi in orario la mattina.
«Ho l’obento, grazie.- rispose Kagome, facendole una linguaccia- Vi aspetto sotto il ciliegio, così mangiamo insieme? Basta che non mi parlate del test!»
«Come vuoi!- ridacchiò Yuka, allontanandosi con Saori e Nanako- Ci vediamo là!»
Kagome prese la scatola del pranzo, avvolta in un fazzoletto azzurro, e scese allegramente le scale. Frequentava il primo anno del Junjo High, una scuola famosa per i suoi club sportivi, e si trovava a suo agio. La divisa bianca e azzurra era molto graziosa e il regolamento non era troppo restrittivo. Inoltre, il liceo aveva un club di tiro con l’arco che partecipava a gare professionistiche e dalla primavera Kagome era diventata una kohai della squadra.
Sapeva che un giorno sarebbe diventata la miko del Tempio affidato alla sua famiglia. La cosa non le dispiaceva, era affezionata allo stile di vita che l’accompagnava da quand’era una bambina, ma per ora voleva dedicarsi solo alle attività sportive e magari vivere qualche avventura. Anche trovare un ragazzo non le sarebbe dispiaciuto!
Scese in cortile, poi svoltò a destra e costeggiò le aiuole del club di giardinaggio per raggiungere il ciliegio che cresceva non distante dal campo da calcio. Era un posto tranquillo, avrebbe potuto pranzare senza stare in mezzo al caos.
«Ciao Kagome!»
Rallentò al suono della voce familiare, poi sorrise e sventolò la mano verso Hojo, un suo vecchio compagno di scuola che adesso frequentava un’altra classe e faceva parte della squadra di calcio. Dall’espressione sul suo volto capì che avrebbe voluto lei lo raggiungesse, ma Kagome proseguì con un ultimo sorriso verso la sua meta. Hojo era un caro ragazzo e le tirava il filo fin dal primo anno delle medie, ma lei non era interessata e non intendeva farlo soffrire dandogli speranze. Rimanere amici era la cosa più giusta.
Si sistemò sotto al ciliegio, poi aprì la scatola del bento. Rimase seduta sull’erba, le mani in grembo, godendo della piacevole brezza primaverile mentre attendeva le sue amiche. Le sfuggì un sospiro. Di norma si sentiva serena, in pace. La sua vita scorreva senza scossoni fin da quando era una bambina. Sì, aveva dovuto fare a meno della figura paterna, ma Kagome non si ricordava di lui e per questo non ne aveva mai sofferto molto. Le bastavano il nonno, la mamma e suo fratello maggiore, Sota, che stava per terminare il liceo. Eppure, di quando in quando, Kagome sentiva che le mancava qualcosa. Quando il vento tiepido della primavera sapeva di fiori di ciliegio, soprattutto, le lacrime le salivano spontanee agli occhi mentre veniva assalita da un senso di lutto senza spiegazione.
Le sue dita salirono al collo, agganciando la sottile catena d’argento a cui era appesa una piccola pietra tagliata a prisma, un frammento dal delicato colore rosa. Portava quella collana fin da quando poteva ricordare, le dava fiducia come se fosse stata protetta da un portafortuna. Inoltre riusciva in qualche modo a calmarla quando il suo umore prendeva quella inspiegabile strada verso la depressione.
“Eppure la primavera mi piace così tanto!” pensò, non per la prima volta. Chissà se la mamma avrebbe saputo trovare una spiegazione per quello strano fenomeno? Si ripromise di chiederglielo: per qualche motivo, rimandava sempre all’anno successivo, così al fiorire dei ciliegi si trovava punto e a capo!
Si accorse che le sue amiche stavano per raggiungerla e si affrettò a far scivolare di nuovo il pendente sotto la casacca della divisa. Il sorriso le tornò spontaneo sulle labbra nel notare la mole di cibo che le amiche avevano comprato.
«Avete intenzione di sostituirvi alla signora della mensa o pensate di mangiare tutto?!» chiese, ridendo.
La malinconia dei fiori di ciliegio fu messa da parte ancora per qualche ora.

***

«Allora ciao, Kagome, a domani!» la salutò Yuka, saltando sull’autobus.
«A domani! Ricordati di portarmi il cd dei Go!Go!» le ricordò la ragazza, prima che le porte a soffietto si chiudessero e il mezzo si mettesse in moto lasciando dietro di sé uno sgradevole odore di gas di scarico. Kagome tossì piano, poi continuò a camminare verso il tempio, canticchiando a bassa voce. Rallentò in prossimità di un negozio di fiori, poi si fermò, scrutando a occhi socchiusi oltre la vetrina inondata dalla luce del sole morente. Sorrise quando vide una testa bionda china sui fiori, accucciata vicino a due grandi vasi di iris rossi.
Si affrettò verso la porta, spalancandola in un rumoroso tintinnare di campanelli.
«Onee-chan!» la salutò con entusiasmo, prendendola alle spalle. La ragazza si voltò senza spaventarsi, con un sorriso luminoso negli occhi chiari.
«Kagome-chan! Non ci vediamo da tre giorni!» disse, alzandosi da terra.
«Sai, ho avuto da fare con gli allenamenti e ieri non eri di turno in negozio.- si scusò Kagome- Piuttosto, come ti trovi?»
«Bene. Questo posto mi si addice, non credi?» rispose lei, guardandosi attorno con viso sereno.
Kagome sorrise, contenta ma allo stesso tempo sconfitta. Aveva sperato che l’esperimento di indipendenza della sua onee-chan fallisse, perché la cruda verità era che la sua compagnia le mancava moltissimo.
Anna Seimei non era davvero sua sorella. La ragazza era un’orfana, affidata a cinque anni ad una zia che non ne aveva avuto la minima cura. Il nonno di Kagome l’aveva presa sotto l’ala protettrice del Tempio Higurashi e le due bambine erano cresciute come sorelle. Anna era una mezzosangue, con occhi e capelli chiari, e fino ai diciassette anni aveva vissuto grazie alla carità del Tempio. Da quando aveva iniziato il terzo anno del liceo, viveva da sola e lavorava part-time per mantenersi. Fin da bambina preferiva passare il tempo con le piante piuttosto che con le persone. Quando erano piccole, i fedeli e gli abitanti del quartiere le chiamavano “le Principesse del Tempio”.
«Stavo parlando agli iris.- disse Anna, distogliendola dai suoi pensieri- Visto? Sono sbocciati ieri mattina!»
«Sono bellissimi!» ammise lei, guardando i fiori dalla corolla rossa.
«Com’è andato il test di matematica?» chiese la ragazza più grande, andando dietro al bancone e spazzolando via la terra dalle ginocchia. Kagome fece una smorfia, strappandole una risata.
«Vieni a mangiare al Tempio? La mamma stasera prepara l’oden.» le propose, tirandola per una manica. Anna scosse la testa.
«Mi spiace, devo chiudere io, stasera. Mangerò un boccone a casa mia.» la deluse. Kagome mise il broncio.
«Stai diventando misantropa, lo sai?» borbottò. Anna sorrise, poi le prese una mano.
«Sei di cattivo umore?» le chiese, comprensiva. Kagome annuì, poi scrollò le spalle.
«Sai…i ciliegi in fiore…» mormorò. L’amica annuì, corrugando la fronte. Quella era un’altra cosa che condividevano, un segreto custodito fin dall’infanzia. Anna amava tutti i fiori, ma si teneva ben lontana da quelli di ciliegio. Come per Kagome, le occludevano la gola di pianto senza spiegazione.
«Abbi pazienza, durerà ancora una settimana.- le disse, sorridendo, poi cambiò discorso- Perché non prendi questi narcisi? Hanno il gambo un po’ rovinato e non posso venderli…Portali a tua madre, da parte mia!»
Kagome accettò i fiori, poi si arrese all’evidenza di non poterle far cambiare idea e uscì dal negozio, seguita dal saluto affettuoso della sua onee-chan. Il sole era tramontato e il cielo era di un bel blu, in pausa sull’orlo della notte. Kagome si affrettò verso il Tempio, avvertendo un certo appetito. Salì di corsa la lunga scalinata, avvolta dal profumo dei narcisi, poi attraversò il cortile, sfrecciando accanto al tempietto dell’Hokora. Vi lanciò uno sguardo distratto. Da quanto tempo non vi entrava più? Anni…
Una volta lei e Anna si erano calate nel pozzo, affascinate dalla sua profondità, e non erano più riuscite a uscirne. Avevano dovuto aspettare di essere trovate dal nonno di Kagome, tutte e due piangenti e impaurite come se là dentro si celassero dei mostri. Da allora, se ne erano tenute alla larga.
“Oggi la mia mente è portata a divagare.” pensò, stupita di aver riesumato un ricordo tanto vecchio e inutile.
«Sono a ca…» iniziò a dire, con una mano sulla porta, ma non appena la socchiuse venne investita dalla voce di suo fratello Sota.
«Come sarebbe a dire?!» stava gridando. Suo fratello…gridava?! Sota era un ragazzo tranquillo, non credeva di averlo mai sentito gridare in vita sua!
«Ma che succede?» borbottò Kagome, entrando nell’atrio. Le voci arrivavano dalla sala da pranzo.
«Volevamo che tu lo sapessi prima di Kagome, Sota. E’ arrivato il momento di dirle la verità, è abbastanza grande. Stasera le parleremo.» disse la mamma.
«Non diteglielo…per favore, non diteglielo!- continuò a gridare Sota, facendo venire i brividi a Kagome- Che bisogno c’è? Ne sto soffrendo io, figuriamoci lei! Non è necessario che lo sappia!»
«Anche a noi fa male questa situazione, Sota, ma è giusto che Kagome sappia. Non cambierà nulla, ma è meglio che lo scopra da noi piuttosto che da un estraneo…» disse il nonno.
«Lei sarà sempre mia sorella!» sbottò Sota, facendole defluire il sangue dal viso. Di cosa stavano parlando?!
«Come sarà sempre mia figlia, Sota, tanto quanto te.- disse la mamma, con voce dolce e venata di pianto- Però Kagome deve sapere che non conosciamo i suoi veri genitori.»
Fu un colpo in pieno petto. Il cuore di Kagome si fermò per un istante. Le gambe minacciarono di cederle e barcollò all’indietro, verso la porta. I fiori le caddero dalle mani, atterrando con un fruscio appena percettibile sul pavimento.
«Cosa potrà pensare sapendo di essere stata trovata nell’Hokora quando aveva pochi mesi?!» continuò Sota. La sua voce le echeggiava nelle orecchie come se fosse amplificata. Forse stava per svenire. «Povera Kagome…abbandonata nel tempietto, con nient’altro che una coperta e il suo portafortuna stretto nel pugno!»
Kagome si lasciò sfuggire un ansito. La mano destra salì inconsciamente a stringere il pendente sotto la casacca.
«Anna-chan lo sa?» chiese ancora Sota, con voce rauca.
«No, non ne sa nulla. Avremmo adottato anche lei, ma aveva una parente in vita e non abbiamo potuto.- disse il nonno, poi sospirò- Povere piccole, entrambe orfane…Non mi ha mai sorpreso che fossero tanto legate. Fortunatamente, abbiamo potuto accogliere Kagome nella nostra famiglia e trattarla come una figlia.»
Prima ancora di pensare a quanto stava facendo, Kagome si voltò e uscì di corsa, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle. La gola era chiusa da singhiozzi aridi, senza lacrime; le sembrava di vivere in un incubo.
«Kagome? Kagome!»
La voce di sua madre – ma non lo era davvero…- la raggiunse. Dovevano aver visto i fiori sparsi sul pavimento. Incapace di affrontare la sua famiglia in quel momento di panico e confusione, Kagome si guardò attorno per cercare un nascondiglio. Il tempietto! Nessuno l’avrebbe cercata là dentro, almeno per un po’; sapevano che provava paura per quel posto. Si infilò nel piccolo edificio di legno, chiudendosi la porta scorrevole alle spalle. Dopo un paio di minuti udì i suoi che si sparpagliavano per il cortile, chiamandola a gran voce. Quando si furono allontanati, si permise di scostarsi dalla porta e avvicinarsi al buio margine del pozzo. Vi si appoggiò, sfinita come se avesse corso per chilometri.
Orfana. Era una trovatella! Una neonata abbandonata da chissà chi proprio nei pressi di quel pozzo, rifiutata dai genitori e cresciuta grazie alla carità della famiglia Higurashi. Lei e Anna erano più simili di quanto avesse mai pensato! Finalmente le lacrime trovarono la strada per i suoi occhi e Kagome cominciò a piangere silenziosamente, sconvolta. Cos’avrebbe fatto, adesso? Come avrebbe dovuto comportarsi? Poteva tornare tutto alla normalità, oppure…
«Cosa devo fare?» gemette. Strinse forte il pendente, poi lo guardò, con le lacrime che le rigavano le guance. Anche al buio, riluceva di un debole chiarore rosato. Per quella sera non se la sentiva di tornare a casa. Sarebbe andata dalla sua onee-chan, chiedendole ospitalità. Il giorno dopo, alla luce del sole, forse quelle novità non sarebbero sembrate tanto terribili.
Si deterse il naso che colava sulla manica dell’uniforme, poi sospirò profondamente, imponendosi di smettere di piangere. Fissò il pendente, poi vi posò un lieve bacio.
«Mi piacerebbe che tu potessi dirmi da dove vengo.» mormorò al piccolo prisma. Sospirò di nuovo. Se voleva rifugiarsi da Anna, per quella notte, avrebbe fatto meglio ad approfittare della lontananza dei suoi. Fece per voltarsi verso la porta, quando dalle sue dita serrate sgorgò una potente luce rosa che le ferì gli occhi. Kagome lasciò andare il pendente con un grido. Stava…brillando! Splendeva di una luce calda e intensa, come una piccola stella.
«Ma cosa sta…» balbettò, poi perse il fiato. Anche dentro al pozzo si era accesa una luce. Una luce gialla, come quella del sole. Diventava sempre più forte, pulsava a tempo con quella emanata dal prisma che portava al collo. Kagome sul momento si sentì gelare, terrorizzata, poi il suo stato d’animo cambiò. Quella luce non aveva nulla di negativo. Riusciva ad avvertirlo anche con i suoi sensi di miko. Era calda, accogliente…piacevole. Invitava ad affidarvisi senza timore.
Lentamente, pronta a correre via al minimo segno di pericolo, Kagome si avvicinò al bordo del pozzo. La luce brillava in fondo ad esso, facendolo apparire come un tunnel infinito verso il centro della terra. Appoggiò le mani al bordo, lasciando che il pendente dondolasse in aria sopra a quel piccolo sole. Il suo lucore rosa aumentò ancora.
«Che cos’è?- mormorò, rapita- Da dove viene tutta questa luce?»
Scrutò nel cuore di quella luce, cercandone l’origine con gli occhi e con i suoi poteri ancora acerbi. D’un tratto comparve un’immagine sfocata, come attraverso uno specchio dalla superficie appannata. Un uomo, un ragazzo dai lunghi capelli neri, giaceva oltre quella luce. Sembrava dormire. O forse era morto? Era lui che emanava quella luce? Forse…era caduto nel pozzo e non riusciva ad uscirne? I pensieri coerenti di Kagome erano ormai andati alla deriva.
«Chi sei tu?» chiese, allungando una mano verso l’interno del pozzo. Desiderava toccarlo, vedere i lineamenti del suo volto. Allo stesso tempo, avvertiva un senso di pericolo, di lutto. Gli occhi tornarono a riempirlesi di lacrime, ma non per sé.
«Io…ti conosco?» chiese alla figura dormiente, sporgendosi di più, tendendo le dita al massimo. Nemmeno si accorse della forza che la attrasse all’interno del pozzo, facendola precipitare dentro la luce ambrata. Voleva vedere quel volto, a tutti i costi.
Cadde senza un grido, senza potersi avvicinare al miraggio che precipitava con lei. Poi, il mondo esplose e fu di nuovo notte.

***

Quando Kagome riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu la luna. Era enorme. Troppo grande e troppo…viola?!
Sbatté le palpebre, cercando di schiarirsi la vista. Come faceva a vedere il cielo notturno?! Era all’interno del tempietto dell’Hokora…o no? Si alzò a sedere, confusa. Accanto a lei c’era effettivamente il pozzo, anche se ricoperto di rampicanti tanto da esserne quasi celato. Non si trovava, però, all’interno dell’edificio che conosceva sin da bambina.
Era in una radura, circondata da alberi alti e scuri, le cui fronde mormoravano alla brezza notturna. Sopra la sua testa splendeva davvero una gigantesca luna di un viola delicato. Tutt’intorno era silenzioso, un silenzio profondo che chi viveva in città non poteva conoscere.
Kagome rabbrividì e si tirò in piedi, cercando di fare mente locale. Si era infilata nel tempietto dopo aver saputo in modo tanto brusco di essere stata adottata, poi il suo pendente si era illuminato e in risposta si era accesa quella luce gialla che…
«…che mi ha tirata dentro al pozzo.» finì ad alta voce. Si guardò ancora attorno, spaventata. La notte premeva in ogni direzione. Le luci si erano spente, la persona che aveva seguito fin lì era scomparsa. Forse non c’era mai stata.
«Dove…dove mi trovo?» gemette Kagome, con voce tremante. Non si trovava al tempio…forse non era nemmeno il suo mondo, quello! Altrimenti come si spiegava quella luna pazzesca?!
«Sei tu?»
La ragazza si voltò di scatto al suono della voce maligna poco distante, alle sue spalle. Ciò che vide la convinse: o si trattava di un incubo troppo vivido, oppure era finita in un luogo che non avrebbe dovuto esistere. Dall’ombra degli alberi sbucava la forma orrenda di un busto di donna che terminava nel lungo, segmentato corpo di un millepiedi. La fissava con occhi gelidi in cui si specchiava la luce della luna, ondeggiando sul corpo mostruoso, le sei braccia ripiegate come a prepararsi ad afferrarla. Sorrise, un sorriso pieno di denti.
«E’ quella, vero? E’ Shinsetsu la Hoshisaki che porti al collo?» chiese, insinuante.
«La…cosa?!» balbettò Kagome, coprendo istintivamente il pendente con le mani.
«Oppure è uno dei falsi che i pellegrini portano al Principe Morto?- ponderò il mostro, leccandosi le labbra- Naraku lo saprà. Mi ha detto lui di venire qui. Intanto, ti divoro e prendo la Punta, sia vera o falsa. Che ne dici?»
«Non so di cosa parli. Stai lontana da me!» ansimò Kagome, facendo un passo indietro.
«Ferma dove sei!» esclamò il mostro, lanciandosi contro di lei. Kagome si voltò per fuggire, ma immediatamente le mani del mostro le si serrarono attorno alle braccia e la sollevarono in aria. Kagome lanciò uno strillo e si torse nella presa crudele.
«Lasciami andare!» gridò, schiaffeggiando una delle mani che la teneva. Con sua somma sorpresa, vi fu una sorta di esplosione e lei, improvvisamente libera, cadde a terra insieme ad una pioggia di frammenti di carne. Si voltò sulla schiena e vide il mostro osservare con ira la mutilazione che ora le troncava una delle braccia poco sopra al gomito.
«Una miko…una schifosa sacerdotessa!- sibilò il mostro- Come hai osato danneggiare Mukadejoro?! Ti farò uccidere dai miei sottoposti, dannata mocciosa! E poi ti divorerò il cervello!»
A quelle parole, una torma di esseri diabolici sciamò dal folto, riempiendo la notte e dirigendosi su Kagome. La ragazza gridò, terrorizzata, coprendosi il volto per non dover vedere la morte piombarle addosso. Poi, la cacofonia di versi e ululati fu squarciata dal grido di una limpida voce femminile.
«Hiraikotsu!»
Sopra alla testa di Kagome qualcosa passò a grande velocità, inondandole il volto di capelli corvini. Poi, una pioggia di disgustoso sangue tiepido le cadde sulla pelle, strappandole uno strillo. Kagome si raggomitolò sull’erba mentre il grido si ripeteva, seguito da uno spezzato gemito di dolore, poi cadde il silenzio.
Incerta, tremando di paura, Kagome si azzardò ad aprire gli occhi. La radura era disseminata di cadaveri smembrati. Su tutti spiccava quello di Mukadejoro, tagliata a metà, gli occhi vitrei aperti sul cielo notturno. Kagome sobbalzò quando colse un movimento. Una figura vestita di scuro si stava avvicinando a lei, tenendo sulle spalle quello che sembrava un gigantesco boomerang.
«E’ tutto a posto, i demoni sono morti.» disse la figura con voce gentile, allungando una mano verso di lei. Si trattava di una ragazza dal volto serio, più o meno della sua età. I lunghi capelli erano acconciati in una coda.
«Io…chi sei tu? Dove mi trovo?» chiese, incerta se fidarsi o meno.
«Dovrei essere io a chiederti chi sei e cosa ci fai nella foresta in piena notte. Sei un’incosciente.- la freddò la ragazza, corrugando la fronte- Se io fossi arrivata prima di notte al villaggio, saresti morta per mano degli yokai di Naraku. Perché ti aggiri attorno al sacro Honeido? Questa zona è…»
Kagome vide gli occhi della ragazza appuntarsi sul suo pendente e gemette dentro di sé, ma, prima che potesse anche solo pensare di nasconderlo, la nuova arrivata la afferrò bruscamente per la casacca.
«Questa…è Shinsetsu?!» le chiese in un ansito. Kagome capì che i suoi guai erano appena cominciati.

   
 
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