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Autore: Akrois    01/01/2012    8 recensioni
Amico, la vuoi sentire una storia? È una storia interessante, te lo giuro. Potrei benissimo raccontartela se mi offri un bel bicchiere di gin, o anche due. Facciamo tre, dai, non fare lo spilorcio.
[AU, slash, one-short, Destiel ♥ "generale" perché non sono assolutamente in grado di selezionare un genere dignitoso.
Buona lettura ♥]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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The whorehouse pianist's story.

 

 

 

 

 

 

Amico, la vuoi sentire una storia? È una storia interessante, te lo giuro. Potrei benissimo raccontartela se mi offri un bel bicchiere di gin, o anche due. Facciamo tre, dai, non fare lo spilorcio.

 

 

Oh, beh, grazie, diciamo che questo basterà per la prima parte della storia. Dunque, ti dicevo, io ho lavorato come pianista in una casa d’appuntamenti, hai presente? Uno di quei bordelli di lusso in cui è bella anche la guardarobiera, c’è carta da parati barocca e i letti hanno tutti le coperte di seta.

Era un bel posto, te lo assicuro. Cinque piani di bellezze, tutte a tua disposizione per esaudire qualunque tuo sogno. Io suonavo il pianoforte al secondo piano. Stavo lì tutta la notte e alle volte anche durante il giorno e suonavo jazz senza fermarmi mai. Mi ci sono consumato le dita su quei tasti, te lo giuro.

Finito il bicchiere. Ma che peccato. Me ne ordini un altro, amico?

 

 

 

Bravo, così ragioniamo.

Dunque, io facevo il pianista in questo bordello. Non saprei contare quante belle donne in lingerie mi sono passate davanti, tutte fornite della loro bella sigaretta con il bocchino d’argento e le labbra scarlatte.

Sai com’è bella una donna subito dopo che ha fatto sesso, amico? Il suo odore, la luce che ha negli occhi, la pelle arrossata? Certo, le donne del bordello erano un po’ diverse. Per loro fare sesso era un dovere, come lo era per me suonare. Praticamente ogni cosa perdere la sua poesia quando la fai per mestiere.

Ma lasciami passare oltre. Questo bordello era un po’ particolare, leggermente diverso dagli altri.

Noi non avevamo solo donne. Avevamo anche degli uomini. Pochi, tre o quattro, a seconda del periodo e dell’anno. La maggior parte delle volte li tenevamo lì solo per i lavori pesanti, sai, sposta questo, alza quello, trasloca quest’armadio, porta il pianoforte al piano di sopra, robe così.

Ma uno almeno uno, lo tenevamo lì per altro.

Dai amico, non fare quella faccia, lo sai come andavano queste cose. Anzi, come vanno. Semplicemente a questo c’è gente che non gli tira se non vede un altro uccello, semplice no? E la Madame, la proprietaria del bordello, aveva capito che si potevano fare bei soldini offrendo un servizio del genere. All’epoca non potevi certo passeggiare per la città alla ricerca di bei ragazzi, c’era il rischio che qualcuno ti vedesse e se ti vedevano eri condannato a un lento e doloroso suicidio sociale e fisico. Quindi Madame ti offriva compagnia, amore e tenerezza a un prezzo modico, indipendentemente dal tuo orientamento sessuale o dalla presenza, nella tua vita, di cose come mogli e figli. C’è n’era uno che ne aveva sei di figli e veniva da noi due volte la settimana. Povera moglie cornificata e ingravidata.

Quindi, torniamo a noi, quell’anno c’era questo ragazzo, anzi, no, quest’uomo, che era arrivato nella nostra felice famiglia in una di quelle notti che piove e tuona come il diavolo ci avesse messo lo zampino.

Me lo ricordo ancora, pallido come un cencio, con la barba sfatta, i capelli neri appiccicati alla fronte e gli occhi più blu che io avessi mai visto.

Lo portò da noi Bal, un tale che faceva da barista al mio piano. Era un tipo strano, con la bocca larga e l’aria di uno che può pugnalarti dietro le spalle o baciarti sulla bocca senza motivo.

Mi stava simpatico però.

Bicchierino?

 

 

 

Bene, torniamo al nostro ragazzo. Allora, ti dico che in tutto il tempo che ho passato là di ragazzi ne ho visti pochi, ma di puttane ne ho viste molte e ti posso assicurare che se uno ha l’indole da puttana si vede subito, indipendentemente dal sesso.

Lui non aveva l’aria da puttana. Mi ricordo che ne stava lì a fissarsi le scarpe, grondante di pioggia, mentre il nostro Bal parlava con Madame.

Ogni tanto qualche ragazza seminuda gli passava accanto, qualcuna lo salutava o gli faceva l’occhiolino, ma lui non alzava lo sguardo e si limitava a qualche parola. Era carino, lo dovevo ammettere.

Bal ci disse che aveva passato tutta la vita in un collegio cattolico o qualcosa del genere, ma poi i suoi genitori l’avevano cacciato di casa per un qualche motivo e lui era stato costretto a lasciare il collegio “Ora non ha un posto dove andare”, ci disse “e neanche dei soldi. Quindi pensavo che potremmo fare qualche lavoretto, non saprei, piastrellare i bagni o roba simile.”.

Penso che quel poveraccio si sia pentito subito di aver portato il suo amico al bordello. Negli occhi di Madame c’era quello sguardo avido che tirava sempre fuori quando vedeva qualcuno che poteva farle guadagnare un bel po’ di soldi.

Il ragazzo entrò a far parte del nostro entourage quella notte stessa.

Era un tipo tranquillo, piuttosto sulle sue. Parlava poco e mangiava come un lupo. Gli piaceva la musica, questo lo sapevo. Appena era libero cominciava a ronzare attorno al mio pianoforte e mi chiedeva di suonare questa o quell’altra canzone, tutte a tema rigorosamente religioso. Io lo guardavo storto “Cas”, gli dicevo “non posso suonarti questa canzone, lo sai. Nessuno vuole mettere le corna alla moglie mentre il pianista suona Amazing Grace” e lui metteva su una faccia depressa da cucciolo bastonato che mi faceva sentire una merda per settimane. Se dopo l’alba erano andati via tutti, allora lo accontentavo e suonavo qualcosa per lui. Mentre suonavo lui se ne stava poggiato al pianoforte con un sorriso e mugolava a labbra strette qualche canzone che dovevano avergli insegnato i frati, le suore o chiunque altro si fosse occupato della sua educazione.

Solo Bal riusciva a scucirgli qualche parola di senso compiuto.

Sembrava che questo suo silenzio piacesse molto ai clienti. Si lasciava fare praticamente qualunque cosa senza emettere un verso.

E quando dico qualunque cosa, intendo proprio qualunque cosa. Ma ora sarebbe il caso che tu ti muovessi amico, il mio bicchiere non si riempie da solo.

 

 

 

In quel periodo lavoravano da noi due fratelli, due ragazzoni orfani che erano finiti nel bordello alla ricerca di un lavoro e di un tetto. Madame sembrava non valutarli molto redditizi e li aveva relegati a lavori più tranquilli, di quelli che si svolgono fuori delle dai letti. Il che era un peccato, perché erano entrambi parecchio bellocci. Ma erano entrambi due teste dure, oddio, il maggiore lo era, il minore era un tipo più calmo.

Comunque, il maggiore era stato messo a fare il buttafuori e il minore era stato relegato in uno studio a cercare nuovi metodi per far evadere le tasse a Madame.

Ricordo certe sere in cui il maggiore gironzolava al mio piano o si afflosciava su una sedia e si beveva una birra in attesa che un urlo troppo forte o un campanello lo facessero scattare in piedi e correre verso la stanza incriminata con gli occhi rossi e una faccia che sembrava un toro.

Ti giuro, era il miglior buttafuori che avessimo mai avuto. Magari non si ricordava un corno della Guerra di Secessione, ma in compenso sbatteva la gente fuori dalla porta che era un piacere guardarlo.

Ma quella sera, quella me la ricorderò tutta la vita. Ero entrato al bar per bermi qualcosa quando vidi il buttafuori, Bal e il ragazzo.

Il ragazzo stava seduto su uno degli alti sgabelli del bar e si teneva uno straccio sul viso. Bal gli passava una mano fra i capelli, mentre il buttafuori lo guardava a braccia incrociate “non puoi lasciarti trattare così” diceva “non m’importa quanto bisogno di soldi hai o qualunque altro problema angosci la tua esistenza, ma non puoi lasciarti fare tutto. E ora fammi vedere quell’occhio.”

Ti giuro che quello era il peggior occhio nero che avessi mai visto, amico. Cioè, non era ancora un occhio nero, ma lo sarebbe diventato in neanche dieci minuti, te l’assicuro.

Bal sospirò e andò ad aggiungere altro ghiaccio “Cassy, potevi almeno urlare” disse porgendo il fagotto di ghiaccio al ragazzo “Dean sarebbe venuto ad aiutarti”, lui scosse la testa “Non gli piace se urlo” e ti giuro amico, persino da dov’ero io potevo vedere quei suoi occhi così terribilmente grandi e terribilmente tristi da spezzare il cuore.

Dean lo guardò. Bal gli passò un braccio attorno alle spalle e se lo strinse al petto. Io me ne andai e basta.

Ci sono cose che quello che suona il pianoforte deve far finta di non vedere, lo sai amico?

Rividi il ragazzo qualche giorno dopo. Aveva in faccia una terribile macchia di trucco di un colore troppo scuro per la sua carnagione e un labbro spaccato che non avevo notato nel bar. Si poggiò al mio pianoforte e mi sorrise “Questa sera me la suoni?” mi domandò con un mezzo sorriso triste “Amazing Grace” . Il buttafuori si dondolava su una sedia vicino alle scale. Io guardai il ragazzo e sorrisi “Questa sera sì”.

Poi successero un sacco di cose interessanti. Una delle nostre ragazze rimase gravida e la Madame la buttò giù dalle scale cercando di farle perdere il bambino, ma ottenne solo di troncarle il collo di netto. L’abbiamo seppellita io e il buttafuori nella discarica due isolati più avanti. Era una ragazza sola, una povera anima. Nessuno avrebbe chiesto niente di lei.

Si scoprì che il fratellino del buttafuori era il padre, ma lui faceva comodo a Madame, quindi si risparmiò il volo dalle scale e il viaggetto finale nella discarica. Il buttafuori se ne andò in giro spargendo bestemmie a mani larghe come semi di grano in un campo per giorni.

Un paio di clienti vennero cacciati fuori a calci in culo, una ragazza venne licenziata e un’altra strozzata nel suo letto e tre belle fanciulle giunsero a riempire le stanze vuote.

Qualcuno ruppe un braccio al ragazzo. Doveva essere un tipo parecchio forte e parecchio stronzo e se me lo chiedi, sì, penso fosse lo stesso tipo che gli aveva regalato quella prugna sull’occhio.

Amico, riesco a vedere il fondo del mio bicchiere, sai cosa significa questo, vero?

 

 

 

Dunque, dov’ero? Ah, sì, al caro Cas tutto rotto. Vedevo il buttafuori mangiarsi i gomiti ogni volta che il ragazzo gli passava accanto. Ogni tanto si faceva coraggio e gli chiedeva come stava, o gli urlava contro tutti gli insulti possibili ed immaginabili per essere stato così stupido da non chiamarlo, da non chiedergli aiuto, da non fuggire.

Cas lo guardava con quei suoi occhi profondi come il mare e Dean sembrava calmarsi d’un tratto, gli passava una mano sul viso e sospirava qualcosa come “Devi chiedere aiuto” e poi tornava alla sua sedia.

Ricordo il modo in cui il ragazzo lo guardava stranito, senza capire cosa era appena successo, e poi zoppicava verso la sua stanza.

Una mattina, saranno state le dieci del mattino o qualcosa del genere, il buttafuori era sparito.

Quasi nessuno l’aveva notato, quella era l’ora delle coccole e dei saluti e non succedeva mai niente di troppo violento che una prostituta con dieci unghie e la rabbia di una donna non potesse gestire da sola.

Ma io lo notai. E notai anche quelle due figure nascoste della penombra del sottoscala, il suono soffocato di un bacio e un braccio ingessato che cercava di svolgere il suo ruolo e stringersi attorno alle spalle di un uomo.

Quel giorno rimasi a suonare fino a mezzogiorno, quando il buttafuori ricomparve dal nulla “Bella musica” mi disse sistemandosi la camicia “è un dixieland?” gli sorrisi e continuai a suonare.

Cas zoppicò dalle mie parti poco dopo.

Okay amico, credo di dover usare un momento il gabinetto. Alla mia età la vescica è grande quanto il tuo bulbo oculare, purtroppo. Aspettami, okay?

 

 

 

Bravo, mi hai aspettato. Sei uno straniero intelligente o molto curioso. O magari hai solo molto tempo da perdere.

Ovviamente non pretendo che tu mi spieghi cosa ci fai in questa bettola merdosa in una città dimenticata da Dio a parlare con un vecchio pianista che si considera graziato se non si piscia sui piedi.

Ma suvvia, torniamo al nostro racconto. Comunque ormai è quasi finito amico.

Cosa ti aspetti che succeda? Hai tirato le somme, immagino, hai capito la relazione che c’era fra quei due.

Cosa ti aspetti che succeda adesso? Il buttafuori che si licenzia, cerca un lavoro e una casa come Cristo comanda e poi torna a prendere la sua bella, anzi, il suo bello, lo carica sul suo cavallo bianco e poi galoppano verso il tramonto? Amico mio, questo non succede neanche nelle favole, figuriamoci nella vita reale.

Successe una cosa molto più semplice: una bella notte tutti sentimmo uno sparo.

Le stanze si svuotarono, io smisi di suonare, persino Bal corse al nostro splendido terzo piano. Tra la folla di donne seminude e uomini sconvolti c’era anche Madame con la vestaglia di seta dipinta e le mani fra i capelli.

Io ero accanto a lei e forse ero l’unico che riusciva a sentire il mormorio soffocato delle preghiere che la nostra fredda Madame stava regalando a quell’anima in fuga.

Dean ci guarda tutti, immobile con la pista in mano. Un uomo era riverso a terra, con più cervello sullo splendido tappeto rosso rubino comprato da Madame che nella sua calotta cranica.

Mi ricordo Balthazar che strisciava i piedi fino al letto con la faccia di uno a cui hanno appena ammazzato il fratellino tanto amato, ma credo che per lui Cas fosse proprio quello, un fratellino tanto amato.

Lui era steso sul letto con gli occhi spalancati fissi sul muro. Ma sai una cosa, amico, non erano i suoi occhi a sconvolgermi. Era il suo braccio. Quello che era rotto, esatto. Pero all’epoca si era sistemato.

Lo vedevo che pendeva fuori dal materasso, le dita leggermente piegate verso il palmo e l’indice che sfiorava il pavimento. Non era l’uomo morto a terra o quello morto sul letto a terrorizzarmi, ma quel braccio. In quel braccio, in quella mano, c’era tutta la morte che un essere umano può sopportare, amico.

Bal gli chiuse gli occhi con una mano e gli tirò il lenzuolo bianco fino al volto per poi voltarsi verso Dean.

Spiegazioni. Lui voleva delle spiegazioni. In effetti le volevamo tutti.

Dean ci guardò “L’ha strozzato” berciò indicando l’uomo morto con la pistola “l’ha strozzato. E l’ha ucciso, questo figlio di puttana ha ammazzato Cas! Capite? L’ha ammazzato!”.

Una donna si avvicinò a Balthazar e gli mise una mano sulla spalla, sussurrandogli qualcosa. Lui invece guardava fisso Dean con due occhi di ghiaccio amico, occhi che avrebbero potuto uccidere chiunque “Perché non sei venuto prima?”. Beh, anche quella frase avrebbe potuto uccidere chiunque. Dean lo guardò e poi abbassò il viso “Ma lui non mi ha chiamato” disse “lui non mi ha chiesto aiuto.”

Mi passi l’ultimo bicchiere?

 

 

 

Dunque amico, la nostra storia finisce così.

Vuoi sapere cos’è successo dopo?

Vediamo, Bal è rimasto a lavorare con noi e anche il fratellino del buttafuori. Il cadavere del caro Cas è scomparso assieme a Dean. Spero che il primo riposi finalmente in pace e che il secondo abbia la pace nel cuore. Povero ragazzo, era troppo giovane per dannarsi su un amore perduto tutta la vita.

 

 

 

Bene amico, io ti saluto. È stato un piacere parlare con te.

Comunque, sai una cosa amico? Mi sembra di averti già visto da qualche parte. Ma sarà la vecchiaia.

Sai, mi sembra di vedere volti familiari ovunque, ultimamente.

 

 

 

 

 

 

A.Corner____

 

Yeeee!*_*/

 

 

 

Buon capodanno a tutte, prima di tutto (*O*/) che quest’anno sia pieno di gioie, cioccolatini, felicità e Balthazar (la prima, terza e quarta opzione per l’autrice sono più o meno uguali).

Questa storia non mi soddisfa particolarmente, ma vabbè. Non cercate di dare un nome o una faccia al pianista, perché neppure io ho fatto lo sforzo di identificarlo con un personaggio. Anzi, guardate, il pianista sono io stessa, ecco. Mi avete beccato.

In realtà io faccio la pianista in un bordello di New Orleans e vengo dal 1924.

Ecco nella riga qui sopra c’era il luogo e il tempo in cui si svolge la storia (ù.ù/).

Però vi do la più totale libertà d’interpretazione su chi è la persona che il nostro buon pianista riconosce alla fine della storia.

E… e… e…

Non ho altro da dire, in fondo (*___*””) qualunque errore troviate è solo ed unicamente colpa mia.

 

 

 

   
 
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