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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    08/01/2012    5 recensioni
[AU][FRANADA][USUK]
Francis e Matt vivono a Toronto, Alfred e Arthur a Londra. Ma se un giorno Francis prendesse un'importante decisione e necessitasse dell'aiuto dell'americano?
“Francis Bonnefoy, sei l’uomo più schifosamente romantico che io abbia mai conosciuto!”
“Felice di dare quest’impressione, cherì! Ma l’importante è che la mia idea piaccia a Matt, non a te.”
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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THE PROPOSAL

CAPITOLO 2

WOULD YOU MARRY ME?

St. Patrick St. era tranquilla e non troppo trafficata quella mattina, quando uscirono dal palazzo tutti e quattro assieme, come un gruppo di amici particolarmente affiatato o piuttosto “come una famigliola in vacanza” come li aveva definiti il portiere, che avevano incrociato sulle scale mentre uscivano.

Arthur era arrossito visibilmente sotto i ciuffi biondo ocra e Alfred era scoppiato a ridere, cingendo le spalle del fratello e del fidanzato con le braccia; Francis non aveva detto nulla, ma il sorriso che gli illuminava il volto era più che eloquente.

“Una famigliola in vacanza?! E tu chi saresti, la mamma?” borbottò l’inglese, rivolgendosi al francese con espressione imbronciata mentre salivano in macchina.

L’auto uscì dal garage e si immise sulla strada, dirigendosi a tutta velocità verso nord: erano ormai le dieci passate e, sulle vie principali, c’era parecchio traffico, ma Francis non aveva intenzione di farsi passare il buonumore per una motivazione così stupida.

Dal sedile posteriore, sentiva la voce allegra di Alfred, vanamente rimproverato da Arthur, che tradiva però la sua soddisfazione nell’essere lì, in vacanza una volta tanto e di una cosa il francese era certo: Kirkland avrebbe dovuto concedersi più giorni di relax, il suo umore ci avrebbe sicuramente guadagnato.

“Benvenuti al tour cittadino Bonnefoy.” esclamò all’improvviso, schiarendosi la voce e modulandola fino a trasformarla in quel lezioso falsetto tipico delle guide turistiche che affollavano la zona della City Hall o il Toronto Centre of Arts: “Prego tenere eventuali effusioni amorose per dopo, a meno che queste effusioni non siano concesse al sottoscritto dal suo Matt.” precisò con un sorrisino malizioso, che fece avvampare il biondo seduto al suo fianco.

“Umpf, maniaco…” borbottò l’inglese dal sedile posteriore: “Sei proprio un maniaco.” disse, incrociando le braccia al petto con aria severa; con una risata, Francis si voltò verso di lui, approfittando del semaforo, “Devo ricordarti, cherì, quello che hai combinato ai danni del povero Alfred a Capodanno? Eri totalmente ubriaco e quel santo ragazzo ti ha assecondato in tutto, anche quando lo hai trascinato davanti al camino e ave-umpf!”.

Subito, Matt si sporse a chiudergli la bocca nell’unico modo possibile, un bacio, per evitare inutili spargimenti di sangue da parte di un Arthur letteralmente paonazzo, a stento trattenuto da un Alfred che rideva come un matto.

In quel momento, scattò il verde e ci volle qualche clacson per permettere al francese di riprendersi dallo shock del bacio inaspettato.

Il francese sorrise compiaciuto prima di pigiare sull’acceleratore con forse troppa foga, tanto da mandare l’inglese a sbattere col naso contro il poggiatesta del sedile del guidatore.

“So già che non ne uscirò vivo da qui…” mugolò dolorante Kirkland, massaggiandosi il setto nasale nel punto dove aveva preso la botta.

“Dove stiamo andando?” chiese Alfred, guardando fuori dal finestrino con curiosità: non riusciva proprio a capire cosa c’entrasse quella gita con l’idea di Francis, “Ehi, fratellino,tu riconosci questa strada?” proseguì, aggrappandosi allo schienale del sedile del passeggero per sporgersi verso Matt.

Questi annuì: “Dundas Street West, ma non riesco a pensare a un posto…” s’interruppe improvvisamente, ricordava.

Si voltò verso l’americano seduto dietro, era raggiante: “Toronto Eaton Centre! Ecco dove stiamo andando!” esclamò, mentre Francis accanto a lui annuiva con aria sorniona, “Ho pensato che un po’ di shopping avrebbe disteso i nervi di tutti, soprattutto i tuoi, cherie.” e così dicendo, il francese spiava Arthur con la coda dell’occhio.

Intanto che parlavano, l’auto aveva già raggiunto la fine della strada e, svoltato a destra, aveva imboccato Victoria St, con gli alti palazzi che coprivano il sole.

In un paio di minuti, avevano raggiunto Yonge St e, con essa, la loro destinazione.

“Benvenuti al Toronto Eaton Centre, il più grande centro commerciale dell’Est-Canada!” annunciò Francis mentre imboccavano la rampa che portava al parcheggio sotterraneo; s’infilarono nel primo posto libero e, in un attimo, Alfred si era già precipitato fuori, afferrando il fratello per il polso e trascinandoselo dietro: “Sai per caso dove trovare un negozio di videogiochi?” gli chiese.

Il più piccolo annuì: “È qui vicino.” assicurò.

“Noi andiamo! Se avete bisogno di noi, chiamateci!” esclamò l’americano, prima di sparire oltre le porte scorrevoli, i due giovani uomini li fissavano sconvolti, vedendoli allontanarsi su per le scale mobili.

“Quell’Alfred… è decisamente iperattivo. Tanto è tranquillo il mio Matt tanto lui è esagitato.” sospirò rassegnato Francis, voltandosi verso Arthur: “Ti và di aiutarmi in questa ricerca?”

L’inglese lo guardò di sottecchi, poi annuì: “Almeno la mia presenza qui servirà a qualcosa.”.

E, come già avevano fatto i due ragazzini prima di loro, entrambi varcarono le porte scorrevoli e si gettarono a capofitto nella folla confusionaria.

§§§

“Feli, sei qui?”

Il primo negozio dove Francis aveva trascinato il malcapitato avvocato vendeva giocattoli.

E non semplici giocattoli, ma peluche di tutte le forme e dimensioni e di ogni tipo: dai portachiavi ai modelli in scala.

Era il negozio adatto ai bambini e difatti vantava una discreta fama, anche grazie ai suoi proprietari, soprattutto uno dei tre.

Feliciano Vargas, un adorabile ragazzino, di poco più giovane rispetto al francese, di origine italiana: lui e Kiku, un loro vecchio compagno di college, si erano trasferiti assieme a Ludwig, il fidanzato di Feli, lì a Toronto, dove avevano intrapreso quella particolare attività commerciale, che dava i suoi frutti.

E col carattere dell’italiano, così aperto ed espansivo nei confronti di tutti, non poteva che essere l’idolo dei più piccoli.

Si udì un tramestio e un tonfo sordo provenire dal retro bottega mentre, da una porticina a scomparsa dietro il bancone comparve uno strano ciuffo ricurvo: “Francis, arrivo!” esclamò una vocetta lamentosa dall’altra parte, “Scusa, Kiku e Lud mi hanno lasciato da solo in negozio mentre loro andavano a ritirare il tuo pacco dal corriere… E mi è crollata addosso una scatola piena di leoni.”.

Finalmente, Feliciano fece la sua comparsa, teneva ancora in braccio uno degli “attentatori” e sembrava appena uscito da una lotta di cuscini, tanto era spettinato e con gli abiti stropicciati: “Quindi è arrivato?” chiese il francese, poggiando i gomiti sul bancone, “Veh, Kiku ha fatto i salti mortali per fartelo avere. A quanto pare era fuori produzione da parecchio, ma è riuscito a convincere un suo vecchio amico a vendergliene uno tra quelli che ancora teneva in magazzino.”.

Bonnefoy sorrise: “Grazie di cuore, Feli. Mi hai salvato. Senti, riguardo a quella faccenda lì… Sapresti consigliarmi un metodo per far capitolare anche quell’orso di Arthur?”.

Vargas lo guardò con espressione stupefatta: “Ma Francis, non puoi sposarti con entrambi!” esclamò.

“Scemo! Non voglio sposarmi con lui! Devo convincerlo a proporsi ad Alfred!”.

L’italiano sembrò sollevato: “Perché non chiedi ad Antonio? È il proprietario della gioielleria qui accanto. Anche se, secondo me, lui e il fratellone hanno qualcosa da nascondere, ogni volta che gli chiedo qualcosa, è sempre in grado di aiutarmi! È la persona ideale a cui chiedere consigli.”.

Francis fece per aprire bocca, per dire al più giovane che forse era l’unico a non sapere della relazione tra lo spagnolo e il fratello, ma decise di tacere: non voleva essere lui la causa di un fratricidio.

“D’accordo, chiederò a lui allora. Tanto devo passare a ritirare una cosa.” concluse, guardandosi nervosamente attorno: sperava solo che Alfred riuscisse a tenere Matt lontano abbastanza a lungo per permettere loro di concludere tutte le faccende.

“Benvenuti, Francis-san, Arthur-san.”.

Ed ecco comparire alle loro spalle Kiku Honda, seguito da Ludwig, che portava su un carrello un grosso pacco, con timbri doganali stampati un po’ dappertutto, e l’aria visibilmente soddisfatta: “Almeno non l’hanno tenuto a prendere la polvere in ufficio per dei mesi.” aveva esclamato il tedesco mentre scaricava, cercando di staccarsi al contempo di dosso una piattola dal lungo ciuffo ricurvo.

Il giapponese fece un leggero inchino all’indirizzo dei due ex compagni di studi, che ricambiarono a loro volta: “Sei stato fortunato, Francis-san. Questo particolare oggetto era stato prodotto in pochissimi esemplari e credevo che, difficilmente, ne avrei trovato uno. Ma la tua buona stella ti ha aiutato.” disse lui, andando dietro il bancone.

Francis si avvicinò al pacco mentre Ludwig si apprestava ad aprirlo, Feliciano era visibilmente su di giri, tanto che perfino Arthur mollò il peluche a forma di hamburger che stava guardando per raggiungerli: doveva ammettere che era curioso di vedere cosa si nascondesse in quel grosso pacco.

Ciò che si palesò dinanzi ai loro occhi aveva dell’incredibile.

Un paio di vispi occhietti neri e lucenti li fissavano, contornati da una folta e morbida pelliccia bianca che, al tatto sembrava quasi seta, chiunque avesse prodotto quel meraviglioso pupazzo non doveva aver lesinato sui componenti.

Era un adorabile orsacchiotto di peluche, grosso quanto una persona.

Francis se n’era innamorato subito, non appena l’aveva visto su un vecchio catalogo del negozio, e Kiku, in virtù della loro amicizia, aveva smosso mari e monti per trovarlo: non sembrava, ma era stato proprio così, aveva chiamato praticamente chiunque, sia in madrepatria sia lì in Canada, fino a trovarlo.

“Ecco a voi Kumajiro!” esclamò Feli, cadendo quasi nella scatola nel tentativo di accarezzarlo.

“Prima di permettervi di andare via,” aveva aggiunto Honda, riemergendo da dietro il bancone con un filo dorato in mano, “Voglio mettergli questo.” e così dicendo, si portò a fianco dell’inglese, inginocchiandosi di fronte al pacco e legando il nastrino al collo dell’orsacchiotto, “Matthew-kun ne sarà entusiasta.”.

Poi, alzata la testa verso Arthur, sorrise: “Arthur-san, Alfred-kun ti ama, questo lo sai, vero? So che certe cose non andrebbero dette da chi non c’entra nulla, però è anche vero che un sentimento del genere non va assolutamente lasciato morire. Afferra il cielo con le mani, adesso che puoi.”.

Francis non capiva quelle parole ma, quando vide Arthur arrossire imbarazzatissimo e indicare, senza aprire bocca, un grosso peluche a forma di hamburger sorridente, più o meno delle stesse dimensioni del Kumajiro che stazionava ancora nel pacco, fu come se una lampadina gli si fosse accesa nel cervello.

“Chèrie, non dirmi che ti sei deciso, finalmente!” esclamò con gli occhi luminosi: “Sono orgoglioso di te!”.

Arthur era paonazzo, ma cercò di darsi un contegno.

Con l’aiuto di Ludwig, e di Feliciano che aveva deciso di partire alla ricerca dei due ragazzi di modo da placcarli nel caso si fossero avvicinati troppo al parcheggio, il francese e l’inglese avevano caricato entrambi i colli nel bagagliaio dell’auto, coprendoli con una pesante coperta di modo che non si vedessero dall’esterno.

Una volta tornati in negozio, trovarono l’italiano tutto esagitato che parlava con Kiku: “Feliciano dice che sono ancora nel negozio di videogiochi al piano di sopra e che non sembra abbiano voglia di andarsene molto presto da lì, almeno per quanto riguarda Alfred-kun.”.

Francis ridacchiò, massaggiandosi la testa: “Forse è meglio che vada a salvare il mio fidanzato dalle grinfie di suo fratello. Ma prima, ancora una cosa.”.

Il viaggio nella gioielleria avvenne con l’ausilio dell’onnipresente Feli che, offertosi di aiutare Arthur nella ricerca di un anello anche per Alfred, li aveva accompagnati: Antonio, così si chiamava il proprietario, era stato gentilissimo e aveva avuto tanta pazienza con l’inglese, che non riusciva a trovare qualcosa che lo soddisfasse appieno senza sembrare troppo barocco o eccessivamente svenevole e stucchevole.

Alla fine, ripiegò su uno d’argento, senza troppi fronzoli e con una leggera doratura al centro.

Stavano per uscire quando, all’improvviso, Antonio placcò l’italiano e gli borbottò qualcosa all’orecchio mentre gli altri aspettavano fuori.

“Che ti ha detto?” chiese curioso Francis, non appena Feliciano ebbe messo piede fuori: “Mi ha chiesto di dire al fratellone Romano di ricordarsi che devono vedersi stasera… Chissà perché…” borbottò il ragazzino, affondando le mani nel grosso grembiule che indossava sopra i vestiti.

Il francese scosse la testa: decisamente Feli non avrebbe mai capito.

Salutarono l’italiano sulla soglia del negozio, promettendogli che lo avrebbero informato in merito alla “missione segreta”come lui la chiamava, prima di dirigersi a passo sostenuto verso il piano superiore: “Vedo che Kiku ci sa fare con te.” ridacchiò il biondo, spiando l’espressione stranamente beata dell’inglese, “È riuscito a convincerti in meno di mezzo secondo.”.

“Taci!” esclamò lui, imbarazzato: “E non osare dire una parola ad Alfred prima del tempo, sono stato chiaro?!” ma questo suo tentativo di mostrarsi deciso ebbe come unico effetto quello di far ulteriormente sganasciare l’amico dalle risate.

“Cosa è successo di tanto divertente?” “Vogliamo saperlo anche noi!”

Alfred e Matthew si erano materializzati in cima alla scala mobile e li fissavano incuriositi.

“Assolutamente nulla, mon amour!” dichiarò il francese, baciando il proprio fidanzato sulle labbra con dolcezza: “Siamo passati a salutare Kiku in negozio e stavamo rivangando i bei vecchi tempi del college, quando il qui presente inglese era frigido come un iceberg.”.

Alfred sghignazzò, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Arthur.

“Forza, andiamo a mangiare qualcosa!”.

§§§

Con un sospiro cupo, Matthew guardò distrattamente la tazza di caffè ormai tiepido dinanzi a sé mentre lui e Alfred, seduti al tavolino di un bar, aspettavano, in teoria, Francis e Arthur, che erano scappati subito dopo pranzo per…

“Su, non fare quella faccia, dopotutto non sono andati a divertirsi.” cercò di consolarlo il fratello, tentando al contempo di non scoppiargli a ridere in faccia: sapeva che, in realtà, non era così, però non importava, tutte quelle bugie erano per una buona causa.

I due erano stati chiari: tenere Matt distratto per il tempo necessario a concludere i preparativi per “l’idea malsanamente svenevole” del francese, come amava rimarcare l’inglese. E così, con la scusa di una “telefonata di lavoro particolarmente urgente”, erano schizzati sulla macchina, dritti verso casa.

L’americano aveva preso dannatamente sul serio il suo ruolo e si era impegnato a tenere il più possibile su di morale il fratellino in attesa della chiamata del fidanzato e del “cognato”, anche se era difficile: il suo malumore sembrava quasi contagioso.

“Però lo cercano sempre, anche quando è il suo giorno libero, non è molto gentile da parte loro.” borbottò il biondo, sbocconcellando di malavoglia un biscotto: “Vuol dire che sanno di potersi fidare di lui, che è una persona capace e in grado di fare qualunque cosa. Trovo che sia molto positivo!” esclamò Alfred, dando un poderoso morso al suo hamburger, “Mmmh, salsa canadese, deliziosa!”.

L’altro si lasciò andare a una risatina malinconica: “Però mi chiedo come mai sia andato con lui anche Arthur.” bofonchiò lui, osservando con grande interesse il liquido scuro nella tazza.

Ecco, quello sarebbe stato più difficile da giustificare…

“A quanto pare, l’avvocato della compagnia di assicurazioni si trova in ferie!” replicò, forse con troppa enfasi: “E quel brontolone del mio fidanzato si è offerto di aiutare Francis in onore della loro vecchia amicizia!”.

L’americano pregò che il fratello ci credesse.

Sembrava di si, perché Matt fece cadere il discorso e propose di andare a fare un giro al negozio di peluche di Kiku-san: “In libreria e al negozio di videogiochi siamo passati stamattina, dopotutto.” aveva aggiunto.

Per un attimo, Alfred sentì il cuore balzargli in gola: di Ludwig e del giapponese ci si poteva fidare, un segreto erano perfettamente in grado di tenerlo… Ma con Feli non si poteva mai essere sicuri!

“Ehi, fratellone, hai sentito quello che ho detto?” lo scosse Matt, fissandolo preoccupato.

Il biondo annuì: “S-Si, d’accordo… Andremo a dare un’occhiata, ma dobbiamo sbrigarci. Siamo a piedi e dobbiamo tornare a casa.” replicò, “Ma sono appena le cinque, abbiamo un po’ di tempo.” si difese il canadese, alzandosi in piedi e prendendo la tracolla, “E poi non dobbiamo fare tanta strada…”.

L’americano inghiottì il resto del panino con un paio di morsi mentre Matthew chiedeva il conto alla cameriera: pagarono in fretta e si alzarono dal tavolo, muovendosi tra la gente che s’affrettava nello shopping, urtando ragazzine con le buste delle compere che sballottavano da tutte le parti e osservando distrattamente le vetrine che riflettevano il loro cammino.

Erano ormai a pochi metri di distanza dal negozio, quando, all’improvviso, Matt si fermò, tenendo lo sguardo basso, in mezzo alla folla pulsante.

Alfred, non sentendo più il passo regolare del fratellino, si voltò di scatto e lo vide, immobile tra la calca; si morse un labbro, non gli era mai sembrato così piccolo e indifeso, neppure quando erano bambini.

Gli andò davanti e, senza dire nulla, lo abbracciò, incurante della gente che li fissava e di ciò che tutti potevano pensare nel vederli in quella posizione: “È mio fratello, non devo dare spiegazioni a nessuno.” borbottò tra sé e sé l’americano, stringendolo ancora più forte.

Voleva solo capire come mai tutto d’un tratto avesse avuto quella reazione, non era da lui.

“Veh, Mattie! Al!”

Una voce allegra ed estremamente bambinesca li fece sobbalzare e staccare precipitevolmente, come se fossero stati bambini sorpresi con le mani nella marmellata.

Davanti a loro, materializzatosi quasi all’improvviso, c’era Feliciano, con un grosso cesto di delfini di peluche dai meravigliosi toni del blu e dell’azzurro, con gli occhietti talmente lucidi da sembrare vivi.

“Successo qualcosa?” chiese l’italiano, preoccupatosi per lo sguardo triste del canadese.

Ma questi scosse la testa, tornando apparentemente di buon umore mentre si asciugava una lacrima fuggiasca: “Allora venite in negozio! Lud e Kiku saranno contenti di vedervi!” e senza dire altro, mollò poco gentilmente in braccio all’americano il cesto e afferrò i polsi di entrambi, trascinandoseli dietro in una specie di strana gimkana tra le persone. Che a malapena riuscivano a evitarli.

I tre arrivarono al negozio con Alfred che aveva un paio di peluche trattenuti a malapena tra le dita, nel tentativo di non farli cadere a terra.

“Ma che modi sono…?!” brontolò lui senza fiato, scoccando un’occhiataccia all’italiano ma sentendosi infinitamente più sereno nel vedere Matt che rideva a crepapelle.

“Feliciano! Cos’hai combinato?”

Il tono severo di Ludwig pose fine alle ultime risate del più piccolo, che aiutò il fratello a rimettere i delfini nel loro cesto e li consegnò all’italiano: “Grazie, mi ha fatto bene ridere un po’.” disse, prima di seguire il tedesco all’interno del negozio.

Kiku li aspettava nel retro, seduto a un basso tavolino con un certo numero di cuscini tutti intorno e cinque tazze disposte in bell’ordine, con una teiera fumante al centro.

Non appena il giapponese vide entrare i due ragazzi, alzò la testa, rivolgendo loro un sorriso gentile e invitandoli a prendere posto con un gesto della mano: “Avevo il sospetto che sareste passati, oggi.” affermò lui, passando a Feliciano il piattino coi dolciumi da unire al thè.

Lo sguardo del giapponese si spostò su Matt, mentre si sedeva accanto al fratello, poi con un sorriso comprensivo gli passò un fazzoletto: “Asciugati gli occhi, Matt-kun.” gli disse con tono paterno, versandogli il tè nella tazza; lo osservò con pazienza, mentre anche il tedesco si affrettava a prendere posto, dopo essersi richiuso la porta alle spalle.

“Ma non c’è pericolo che arrivi qualche cliente?” s’informò Alfred, pescando un dolcetto dal piattino: “No, abbiamo chiuso per oggi.” replicò il tedesco, accomodandosi accanto a Feliciano, che gli si accoccolò contro all’istante, “Aspettavamo voi.”.

A quelle parole, il canadese alzò di scatto la testa, non capiva proprio dove volesse andare a parare: “Francis-san e Arthur-san sono passati qui, prima di andare in ufficio, e ci hanno chiesto di riaccompagnarvi a casa perché loro avranno parecchio da fare per stasera… e non riusciranno a tornare in un tempo ragionevole.”.

Alfred prevenne ogni malinconia del fratello cingendogli le spalle col braccio.

“Mattie, su! Non essere triste!” cercò di consolarlo Feliciano, tirando fuori una marionetta da sotto il tavolo: “Guarda guarda! Anche il Capitano non vuole che tu lo sia!” e così dicendo, gliela agitava sotto il naso, sembrava un bambolotto vestito alla marinara, l’americano trovava che somigliasse incredibilmente all’italiano.

“Veh, veh! Ascolta il Capitano, figliolo. Non andare mai in nave se soffri il mal di mare, ma resta sulla spiaggia e raccogli conchiglie.

Il canadese lo guardò stupito: “Ma non c’è la rima.” notò il ragazzo.

“E chi l’ha detto che doveva esserci?” ridacchiò Feliciano, muovendo il bambolotto tramite i fili per farlo ballare sul tavolo, tra le tazze e la teiera.

Mentre tutti erano troppo presi dal buffo spettacolo messo su in quattro e quattr’otto dal bruno, nessuno si era accorto del telefonino di Alfred che squillava, o meglio, vibrava, nella sua tasca: facendolo scivolare fuori con attenzione, l’americano vide che gli era arrivato un messaggio da parte di Francis.

Beau-frère, qui è tutto pronto. Potete tornare a casa.

§§§

“Guarda che restare a fissare quel cellulare non serve a granché.”.

Semi-sdraiato com’era sul divano del salotto di casa dei due piccioncini, Arthur squadrava l’amico con aria critica, e un poco preoccupata.

Perché quella reazione quando era così vicino al suo obiettivo, al suo sogno?

Sembrava triste, quasi malinconico, e anche spaventato, in un certo senso.

“Non mi dirai che ci hai ripensato?!” sbottò l’inglese mentre quel sospetto cominciava a farsi strada nella sua mente: non credeva che Francis potesse essere così vigliacco!

“Non è così!”saltò su improvvisamente il francese, facendo cadere a terra il cellulare con gran fragore: “Io amo Mattie,” mormorò, con tono velato di tenerezza, “è solo che…”.

Solo che…

“Se non volesse che io gli stia accanto per tutta la vita?”.

§§§

Nel frattempo, i due fratelli erano in macchina con Ludwig e Feliciano, stanchi e un poco assonnati per la lunga giornata.

Malgrado tutto, però, Williams non riusciva assolutamente a prendere sonno.

C’era qualcosa che lo punzecchiava, qualcosa che gli impediva anche solo di chiudere un poco gli occhi.

Sbagliava o il suo cellulare vibrava insistentemente in tasca?

Spalancare gli occhi e tirarlo fuori, annaspando e facendolo cadere, furono le uniche azioni che riuscì a compiere, mentre il cuore gli balzava in gola alla vista del mittente della chiamata: forse Francis e Arthur avevano finito di lavorare e li avrebbero raggiunti.

Preda di una sorta di euforia, che cercava in tutti i modi di scacciare la malinconia e l’orribile sensazione di gelo che lo aveva attanagliato, il ragazzino rispose: “Francis, noi stiamo tornando a casa, Lud e Feli ci stanno portando indietro. Voi-“.

Ma la voce del francese suonava incrinata e stranamente seria mentre parlava con…

“Arthur…?” balbettò il giovane, sgranando gli occhi per lo stupore.

“Hai preparato tutto con cura, vedrai che capirà. Non farti venire strane idee… Piuttosto, dove hai infilato quegli accidenti di biglietti!? E poi, ricordati di preparare le valigie, che l’aereo domattina non aspetta.”.

“Lo so, accidenti di un inglese, lo so! Non mettermi ancora più sottopressione, che finisce che non riesco a dire nulla a Matthew e ci faccio la figura dello stronzo che illude le persone!”

“Perché, non lo sei, in fondo in fondo?”

“Non voglio che Matthew pensi questo di me!”

Quel dialogo era assurdo…

Anelli, aerei, biglietti, valigie…

Cosa stava succedendo?

“Ohi, Matt, cosa ti prende?!” esclamò Alfred all’improvviso, accorgendosi del fiume di lacrime che avevano invaso il viso del fratellino minore, che non si decideva a mollare il telefono.

Con un modo forse un po’ troppo brusco, riuscì infine a strapparglielo di mano e a guardarne lo schermo: sentì il cuore balzargli in gola quando sentì la voce del “cognato” e del fidanzato provenire dall’apparecchio.

“…e non dimenticare che ho dovuto portarmi sulla schiena quell’accidenti di orso di peluche perché non entrava nell’ascensore! Mi hai fatto viaggiare fino a qui di notte e su un aereo, perdipiù! Anche a costo di prenderti a ceffoni, ti farò rinsavire!”.

“Io non ho detto di non amare Matthew, anzi! Se non lo amassi, pensi che avrei organizzato tutto questo per chiedergli di sposarmi?! Ho solo paura della sua reazione! È ancora molto giovane…”

L’americano maledisse ad alta voce sia il fidanzato che l’altro deficiente: ma si poteva essere più ottusi?! Far partire una stupida chiamata in quel modo… Era naturale che suo fratello si fosse spaventato! Senza sapere nulla di quello che stava accadendo, chiunque si sarebbe preso un coccolone coi fiocchi.

“RAZZA DI DEFICIENTI CHE NON SIETE ALTRO!” gridò il biondo, stringendo al contempo con forza la mano di Matt.

Poi richiuse la comunicazione, accogliendo tra le sue braccia il fratellino, che singhiozzava senza controllo.

“Lud, Feli… Potete accelerare un pochettino?” chiese Jones con tono dimesso: “Quei due cretini hanno rovinato tutto.”.

Senza chiedere nulla, il tedesco annuì, infilandosi attraverso un intrico di stradine laterali e deserte, mentre l’italiano, con ansia, guardava verso i due ragazzi seduti dietro: “Mattie, non piangere… O piango anche io…” bisbigliò il bruno, allungandosi verso di lui, “Il fratellone Romano si arrabbia se piango!” aggiunse.

Ma dal più giovane non giunse alcuna risposta.

§§§

Impegnati com’erano nella loro discussione, i due nell’appartamento si accorsero a malapena del campanello che suonava.

Fu solo quando udirono le chiavi girare nel chiavistello che vennero presi dal panico!

Ma perché non avevano chiamato?!

“Razza di deficienti integrali! Venite a darmi una mano!”

Il tono furente di Alfred, e la totale assenza della voce di Matt, impensierirono non poco entrambi, che si precipitarono nell’ingresso, solo per trovare l’americano che teneva stretto tra le braccia il fratellino, svenuto e incredibilmente pallido, tra le lacrime che scendevano dalle palpebre chiuse.

“Che è successo?!” quasi urlò il francese, accogliendo tra le proprie il corpo privo di sensi del fidanzato.

Mentre lo portava in salotto per stenderlo sul divano, Arthur e Alfred lo seguivano.

“È successo, duo di coglioni che non siete altro, che avete fatto partire una fottuta chiamata al telefonino di Matt, e vi ha sentito!”.

Se Francis non era sobbalzato, poco ci era mancato.

“I-In che senso…?” balbettò l’inglese, perdendo quel poco di colorito che ancora aveva.

“Nell’unico senso possibile! Eravamo in macchina con Ludwig e Feliciano quando Matt ha ricevuto una telefonata. Sulle prime non ci ho fatto granché caso, ma non sentendolo parlare mi sono preoccupato. E l’ho visto piangere! Quando ho preso il telefono, vi ho sentito. Spiegatemi cosa cavolo vi siete messi in testa.”.

I due si guardarono negli occhi con aria confusa, colpevole e anche cupamente consapevole.

“Dev’essere successo quando la donna mestruata qui presente si è fatta prendere dall’ansia del proposal.” sfottè l’inglese, guardando storto l’amico.

“Non voglio sapere di chi è la colpa. Era partita bene come giornata, vediamo di non rovinare tutto per una cazzata, okay?”.

Certo che l’americano era un bel peperino.

“E ora, Francis. Sveglia mio fratello e digli quello che devi, su!”.

“N-Non è necessario… Sono già sveglio.”.

Lo sguardo ferito e triste di Matt era la cosa più brutta che Francis avesse mai visto in vita sua.

“Non saltare subito alle conclusioni errate, little bro.” lo apostrofò il biondo, pur se con evidente tenerezza nella voce, sedendosi poi accanto a lui sul divano per accarezzargli i capelli con affetto: “Questi due hanno piantato un casino immenso senza volerlo davvero.” Li guardò con espressione truce, “Ti fidi di me?”.

Gli occhioni di Matt esprimevano tutta la fiducia che aveva nei confronti del fratello maggiore.

“Perfetto! Ora, prima che la qui presente donna mestruata decida di buttarsi dalla finestra per la sua stupidità, ti consiglio di stare ad ascoltare quello che ha da dire.” continuò, poggiandogli lievemente le labbra sulla fronte.

Scivolando giù dal divano, Alfred lasciò totalmente campo libero a Bonnefoy, che si avvicinò al fidanzato con lo sguardo basso.

Solo in quel momento, il canadese notò, alle spalle del francese, qualcosa di incredibile, stagliato contro i vetri da cui entrava il riverbero del tramonto su Toronto.

Sbagliava o era un orsacchiotto di peluche, grosso quanto lui per di più?

“Mi spiace per quello che hai sentito… Doveva essere una sorpresa, io…”.

Si morse il labbro, incapace di continuare.

Eppure lui amava Mattie, accidenti! Ne amava il sorriso ogni mattina al risveglio, ne amava le guance arrossate ogniqualvolta rientrava dall’università in pieno inverno… Ne amava la presenza quando, di notte, erano abbracciati mentre stavano a letto.

Lo amava, punto.

E allora perché esitava?!

D’impulso, lo prese tra le braccia, stringendolo con forza al petto e lasciando il più giovane basito, incapace di comprendere cosa stesse succedendo.

Entrambi scivolarono all’indietro, verso quel pacifico orsacchiotto in loro attesa, e quando la presa sulle proprie spalle si dissolse, il canadese si ritrovò disteso in grembo al peluche, con una scatoletta di raso blu sul naso.

“Aprila…” gli sussurrò all’orecchio Francis.

Mettendosi goffamente seduto, il biondo annuì, prendendo l’oggettino con le mani tremanti.

Dentro, c’era lo stesso anello che avevano scelto al mattino con Antonio, anzi… Ce n’erano due!

A quella vista, Arthur annaspò terrorizzato, gettandosi sul piccolo contenitore ma colpendo gli occhiali di Matt nel tentativo, che andò a cozzare contro il morbido pelo dell’orso polare alle sue spalle.

Ridendo per l’espressione da triglia bollita di Alfred, che non aveva capito nulla di ciò che stava succedendo, Bonnefoy, spinse in avanti Jones, che atterrò sull’hamburger sorridente, e tirò su in piedi Kirkland, che lo fissava con odio.

“Su, cherì. Siamo in ballo e dobbiamo ballare!” esclamò il francese, agguantando la scatoletta e consegnando uno dei due anelli all’inglese.

“Voulez-vous m'épouser?”  

“Would you marry me?”

§§§

 

ANGOLO DEL LEMURE:

Sono conscia del fatto che ho detto che la fic sarebbe durata solo due capitoli, ma questo è già di 13 pagine, e c’è ancora moltissimo da dire, quindi mi vedo costretta a interrompere qui e a rimandare il tutto al prossimo capitolo! Non credevo sarebbe stata così lunga, mi spiace >< Visto che si è spupazzata il capitolo in anteprima, la dedica a Elena è quasi doverosa e d’obbligo!

Alla prossima per vedere se…

   
 
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