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Autore: KiaeAlterEgo    25/08/2006    8 recensioni
C'era una volta, in un paese lontano, un povero e vecchio negoziante che aveva tre figli...
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene, sono proprio contenta di vedere quante persone abbiano apprezzato questo mio esperimento! ^_^

Perciò prima della storia, farò i ringraziamenti:

Per Elisa: Grazie della recensione ^_^ Per quanto le risposte alle tue domande... Non voglio fare nessuna anticipazione! Anche perché si può dire che questo esperimenti rispetti e non rispetti l’originale...

 

 

Per Nadeshiko: Oh somma Nade–chan (posso chiamarti così, vero?) Sono felicissima della tua recensione!!! Grazie a te sono riuscita a “convincere” Seto a recitare quel miniscolo ruolo di fratello maggiore. Ma il modo si scoprirà tutto alla fine, quando verranno ringraziati tutti gli “attori”. Per il consiglio, grazie! Spero di essere riuscita a metterlo in pratica! ^_^

 

 

Per Gris Latifoglie: Grazie della recensione! ^_^ Eh, hai ragione, Yugi è veramente puccioso!

 

 

Per Darklight92: Grazie per la recensione ^_^ Sono proprio contenta che ti abbia fatto così tanto ridere! Spero che anche questo non ti deluda!

 

 

Per kisa: Grazie della recensione ^_^ Spero che anche questo capitolo ti piaccia!

 

Beh, nell’altro capitolo non l’avevo scritto perché mi sono, ehm... dimenticata ^_^”

 

ALLORA, I PERSONAGGI NON SONO MIEI, MA DI KAZUKI TAKAHASHI E LA STORIA DEL GATTO CON GLI STIVALI NEMMENO! NATURALMENTE IO NON CI GUADAGNO NEMMENO UNA LIRA, PER NON PARLARE DI EURO...

 

 

 

CAPITOLO II

 

Il gatto si tenne fuori dalla portata del giovane, per quanto riusciva.

Purtroppo, dopo un paio di giorni, Joey riuscì a prenderlo e non giovarono affatto i discorsi sull’amicizia del micio né la sorpresa nel sentir parlare un gatto.

Per il gatto, erano gli ultimi istanti di vita.

Ma accadde che sulla fronte del micino, a causa di tutta la paura che lo aveva preso nel vedere il suo migliore amico in preda ad una follia che nemmeno Marik e la sua barra del millennio erano riusciti a produrre, comparve uno strano simbolo luminoso e con un’abile mossa, il gatto riuscì a liberarsi dalla presa di Joey.

«Non disperarti così, padrone mio– disse con un sorriso furbo e una voce calma e sicura –Fidati di me. Facciamo una scommessa. Procurati un paio di stivali, un cappello di piume e una sacca di tela robusta ed entro tre mesi saremo a palazzo reale e vivremo meglio di Seto e Mokuba».

Joey guardava allibito e stupito la trasformazione che aveva subito il suo gatto. Non c’erano dubbi. La carnagione ambrata, gli occhi violetti dal taglio allungato, il tono di voce, quello era proprio il Faraone. Ecco dov’era finito! Con le orecchie scure dritte tra i capelli e la coda che si muoveva tradendo la sua sicurezza, si sedette a terra, osservandolo. «Allora? È come un gioco. Se vinco, tu sei a palazzo e non mi mangi. Se perdo, allora diventerò la tua cena. Tre mesi. Che mi dici?»

Il gatto sorrise con quel suo solito ghigno strafottente comune ogni volta che sapeva di poter vincere facilmente. Insomma, si vedeva la sua esperienza millenaria in fatto di trucchetti e sotterfugi che gli avevano salvato più di una volta la vita, o l’anima, o tutt’e due dai pericolosi giochi delle ombre.

Joey, che sembrava ritornato in sé, annuì: «D’accordo gatto, tre mesi. Io non ho niente da perdere e tutto da guadagnare. Entro tre mesi. Ma dove la prendo la roba?»

Il gatto, o meglio Yami, sorrise, intrecciano le mani dietro la nuca e sdraiandosi a terra: «Questo è affar tuo. I tre mesi saranno calcolati da quando avrai preso la roba». Yami chiuse gli occhi e dopo breve, incominciò a fare le fusa.

Joey osservò dubbioso il gatto per qualche minuto, poi iniziò a scervellarsi per trovare ciò che il micio gli aveva chiesto.

 

 

Faceva caldo, nonostante fosse solo primavera anche se l’estate non era troppo lontana. L’idea sopraggiunse nella mente del giovane fulminea, ovvero, dopo quattro giorni circa. Prese il mantello di panno e tutti gli indumenti invernali e andò a venderli. Con il ricavato riuscì a comprare quello che gli aveva chiesto il gatto, spendendo fino all’ultimo centesimo.

Portò al micio subito la roba.

Yami aprì gli occhi, come un vero gatto l’unica cosa che aveva fatto era stata dormire beatamente per tutto il tempo.

Osservò critico gli stivali consumati, avevano l’aria di aver vissuto giorni migliori, e il cappello che era sì di piume, ma ormai queste erano rovinate. «Qui ci vuole Mahad... Autrice, ho bisogno di Mahad!»

Il tempo si fermò di nuovo. Questa volta arrivarono due persone. Una era il Mago Nero, mentre l’altra la sua inseparabile allieva. Anche lei non aveva il suo solito vestito. Indossava una camicia di seta nera come il suo maestro, aperta come lui che rivelava il top scuro che le fasciava il petto. La gonna corta era di pelle nera e degli stivaletti le proteggevano i piedi. I biondi capelli erano raccolti in una coda alta: «Atem, Lei vorrebbe dirti che non dovresti interferire così sui fatti della fiaba...» gli disse la Giovane Maga Nera severa, incrociando le braccia e poggiando con noncuranza il bastone magico su una spalla.

Joey osservava tutto, semplicemente.

Non si poneva domande né faceva congetture.

Sarebbe stato troppo per lui. «Allora, a parte che non dovrei essere qui se non per la mia incondizionata lealtà verso di lei, perché voleva la mia presenza, mio Signore?» chiese il Mago.

Yami sospirò: «Atem, Mahad, Atem. Quante volte devo dirtelo? Comunque... Riesci a metterli a posto?»

Il Mago guardò dubbioso la roba che aveva portato Joey: «In teoria dovresti farcela con questi oggetti...»

«Ma sentitelo! Provaci te a parlare con un re vanitoso cole Lui conciato così, alla bell’e meglio!– ribatté Yami –Ti pare possibile che la storia possa svolgersi con della roba così scadente?»

«Maestro, in effetti Atem avrebbe ragione... Ma l’autrice dice che non si può...»

«Vi chiedo un piccolissimo aiuto per non finire il pasto a quello lì!» esclamò il micio, indicando l’espressione vacua di Joey.

Il mago sospirò e nella sua grande pazienza e infinita bontà che lo distinguevano acconsentì, assumendosi ogni responsabilità in caso di eventuali ire e rappresaglie dell’Autrice. Poi, bloccando l’esuberante allieva che avrebbe voluto dargli a tutti i costi una mano, mosse un poco il suo bastone e sparì.

Ora Yami guardava soddisfatto i suoi nuovi stivali di fattura pregiata, il migliore cuoio cucito a mano e il cappello a larghe falde e piume lunghe. «Bene!» annuì soddisfatto. Joey si sdraiò a terra e si mise a dormire. L’unica cosa che doveva fare ora era aspettare tre mesi. La scommessa era iniziata.

 

 

Yami passeggiava tranquillo per la foresta, indossando i suoi nuovi stivali rialzati e il cappello. Fu uno scherzo per lui catturare una lepre bella in carne. La mise nel sacco di tela e si diresse senza esitazione al palazzo reale. Alla vista del palazzo, nascose accuratamente le orecchie e la coda e si presentò alle guardie: «Voglio essere ricevuto dal re in persona!» esclamò con un tono secco e deciso.

Una della due guardie, un biondino dalle spalle ampie protette dalla corazza lucida si abbassò alla sua altezza: «Non credo che il re voglia vederti, nanerottolo!»

Spingendo il mento in alto e ignorando l’insulto della guardia, Yami esclamò, altezzoso: «Non mi impedirai di vedere il re, armadio!»

La guardia sputò a terra: «E chi ti manda?»

«Il mio signore, il marchese di Carabas».

«Non lo conosco. Vattene!» la guardia cerò si afferrare Yami che però, dimostrando che essere piccoli può essere un vantaggio, sgusciò via agilmente e riuscì ad entrare quando ancora la guardia si guardava attorno per capire dove fosse finito.

Sospirando di sollievo, Yami raggiunse la sala del trono.

Il re lo squadrò da capo a piedi, trattenendosi dal ridere della sua altezza nel vederlo. «E tu cosa vorresti?» Re Dartz era un uomo vanitoso e buongustaio, i suoi capelli scendevano lunghi fino in vita, del colore dell’acqua mentre i suoi occhi dorati erano fissi in quelli violetti di Yami. Lui si schiarì la voce: «Oh splendido sovrano, sono qui solo per consegnarvi umilmente questo piccolo dono da parte del mio padrone, un vostro onesto suddito, il marchese di Carabas». Così dicendo si inchinò ed estrasse la stupenda lepre dal sacco che portava appeso dietro la schiena.

Il re, che al pensiero di come sarebbe stata gustosa quella lepre una volta cotta gli era venuta l’acquolina in bocca, accettò il dono, chiedendosi però nello stesso tempo chi cavolo era questo marchese di Carabas. Anche sua figlia, la principessa Mai, era rimasta impressionata. Era una bella ragazza formosa e bionda, sofisticata e intrigante. Il gatto intanto aveva lasciato la sala del trono, camminando all’indietro inchinato finché il re non avrebbe potuto vederlo, poi uscì con un gran sorriso rivolto alla guardia che non voleva farlo entrare, ritornò nella foresta e riuscì a catturare la cena per sé e Joey.

 

La mattina seguente il gatto tornò a palazzo, portando quattro splendidi fagiani dorati e continuò tutte le mattine a portare questi doni al re, doni dal marchese di Carabas, come continuava a ripetere ogni mattina.

Il re e sua figlia continuavano sempre a chiedersi chi fosse questo marchese, in particolare, la principessa Mai stava iniziando a sognarlo le notti, conquistata dalla sua generosità.

 

 

Bene, come andrà a finire? Come farà il tenero gattino a far diventare marchese il nostro Joey? Ma soprattutto chi sarà l’orco? Sono aperte le scommesse!

  
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