Libri > Il diario del vampiro
Ricorda la storia  |      
Autore: Blue_Bones    19/01/2012    5 recensioni
Il tempo ha le sue ragioni e noi lo sappiamo, ma come sono andate le cose a casa di Bonnie, quel giorno? Cosa ha fatto scattare la sua rabbia e cosa ha fatto aprire gli occhi a Damon?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il tempo.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prima che cambi il tempo
Prima che cambi il tempo.

Il freddo filtrava da qualche fessura della finestre mentre la pioggia cominciava a scrociare. Bonnie alzò lo sguardo dal libro da cui tentava di carpire qualcosa di utile per il test che avrebbe dovuto affrontare l'indomani mattina, ma nulla le entrava in testa. Aveva spento tutte le luci, aveva staccato ogni spina esistente e si era rintanata nel luogo più sicuro della casa, si sarebbe rinchiusa nell'armadio se non avesse avuto il terrore di vederlo diventare la sua bara. I suoi pensieri, da un po' di tempo a quella parte, erano sinceramente inquietanti e non faticava a immaginare il motivo di tutte le scene macabre che venivano messe in scena nel suo cervello. Sospirò, affranta. Non solo non sarebbe riuscita a cavare un voto decente, ma avrebbe anche passato la notte terrorizzata. Durante i temporali soleva stare con i suoi, in salotto, fino a tardi per evitare la stanza abbagliata dal blu dei lampi che illuminavano il cielo scurissimo e dai tuoni che squarciavano il rumore della pioggia, che lei riusciva sempre a ridurre, nella sua testa, a un semplice brusio di fondo. Quel giorno, però, era sola. Gettò il libro nel mucchio di fianco al letto, sconsolata. Quando il primo tuono le rimbombò nelle orecchie, si portò una mano al petto, spaventata a morte. Il cuore le era salito in gola e batteva furiosamente. Maledizione a lei e al suo essere così fifona. Prese le cuffie dell'mp3 e le infilò con rabbia. La canzone partì immediatamente e il volume le permetteva di fingere che fuori non stesse infuriando un temporale. Adorava quella canzone e aveva la pessima abitudine di non riuscire a frenare la sua voglia di cantacchiare saltellando per casa. Sapeva anche a chi dedicarla. Ovviamente il centro dei suoi pensieri era lei o meglio lui e il fatto che non l'avesse mai vista davvero. Avrebbe voluto mandarlo all'inferno con il primo diretto, ma sarebbe stato sputato fuori anche da lì e lei lo sapeva bene. Nonostante tutto, cantando quella canzone non riusciva a non pensare che, in fondo, l'unica a soffrire, quando vedeva il suo viso, era lei. Era bello da fare male e riusciva a farlo anche per davvero. Era egoista ed egocentrico. La canzone era cambiata, ma non il gruppo e mi maledicevo perché una volta avrei voluto trovare un ragazzo dagli occhi azzurri come quelli del cantante in questione, ma mi ero ritrovata a pensare che quella era la mia ultima canzone per un paio di occhi così neri che la notte sembrava rischiarata dal sole, così profondi da fare invidia allo spazio. Sapevo che era inutile dire quella sarebbe stata l'ultima canzone, ma volevo illudermi che il titolo e il testo riuscissero a darmi la forza per staccarmi da quella follia. Continuavo a cantare, ignorando il frastuono del vento, i lampi che fingevo essere delle luci di un palco in un teatro senza spettatori, non avrei mai avuto nemmeno il coraggio di immaginarmi qualcuno fermo ad ascoltarmi, a fissarmi, a farmi avvampare con qualche sorriso sarcastico e gli occhi simili a due pozze di petrolio. Temeva la fine di quella canzone, la certezza dell'esistenza della canzone successiva la faceva quasi tremare di rabbia, perché, in fondo, sapeva che dopo sarebbe toccato ammettere che lui gli mancava e che, alla fine, la speranza continuava a farla soffrire, a dividerla tra il sogno di averlo per sé e la consapevolezza di essere solo una ragazzina illusa. Stava gustando quelle parole, false come le illusioni che un girono lui si sarebbe accorto di non amare il suo Angelo e si sarebbe presentato alla sua finestra. La porta non era nel suo stile. Crollò a terra, ma non smise di cantare, dando sfogo a tutta la sua frustrazione, alla delusione, a quell'amaro che le riempiva la bocca e le stringeva la gola in una morsa soffocante, ma che non le impedì di continuare quel lamento. Doveva ammettere di essere piuttosto stupida. Insomma chi era il genio che metteva quel genere di canzoni quand'era depresso? Solo tutto il mondo. Eccetto Elena, certo, lei non era mai depressa per questioni di cuore a meno che non si trattasse di un dilemma amletico su chi sciegliere dei numerosi pretendenti o accontentarsi del ragazzo che aveva accanto e che non l'amava solo per la sua bellezza, che l'adorava e che accettava nonostante tutti i suoi difetti. Si morse le labbra piene e per poco non si ferì. Non serviva essere vampiri per avere denti affilati e lei non poteva permettersi di vedersi altro rosso addosso. Insomma, le bastavano i capelli rosso fragola e le labbra naturalmente rosee, in netto contrasto con la pelle diafana che metteva in evidenza ogni vena blu che passasse sotto uno strato di pelle più sottile. Era l'emblema di tutto ciò che un vampiro avrebbe considerato attraente per una cena, riflette. Si passò una mano tra i ricci definiti e si accorse di non aver ancora smesso di cantare. Un accenno di sorriso le comparve sul volto, sentiva le guance tendersi e distendersi. Le lacrime si erano asciugate e del loro passaggio rimaneva solo una traccia fastidiosa di qualche sale appiccicaticcio. Vi sfregò le mani e si sentì meglio. S'impuntò, doveva riprendersi subito. Così si alzò e corse in bagno a darsi una rinfrescata mentre canticchiava allegramente un pezzo che le teneva compagnia da quando era nata. Sgambettava per la stanza ridacchiando. Le bastava sempre poco per riprendersi. Un po' di cioccolata o un buon libro per calmarsi e la musica per sfogare ogni emozione superflua e negativa. Lei era la solare e dolce Bonnie, era un uccellino indifeso, ma con il sorriso perenne. Era così presa che quando si buttò sul letto, esausta, non si accorse di qualcuno che la guardava dalla finestra. Un corvo la fissava, per quanto fosse strano vedere un animale squadrare una persona.

Il mattino dopo Bonnie si svegliò lentamente. Il sole afoso dei giorni precedenti era tornato a splendere filtrando dalle finestre. Si era scordata di tirare le tende, ma non era importante, le piaceva svegliarsi con il sole. Si alzò, decisa a farsi una doccia, tranquilla. Fece scivolare la camiciola da notte ai suoi piedi. Le piaceva, era nera, si seta. Le ricordava gli occhi di Damon, ma questo non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Il sole le scaldava la pelle nuda e solo in quel momento s'accorse di essersi immobbilizzata davanti alla veste, si mise a giocare con un ricciolo mentre, lentamente, raccoglieva la veste e l'appoggiava, con attenzione, sopra il letto. Dopo la doccia si sentì decisamente meglio. Sapeva di dover asciugare i capelli prima che diventassero una massa senza capo né coda, ma decise che prima si sarebbe vestita. Entrando nella stanza sentì una leggera brezza accarezzarle la schiena. Non ricordava di aver aperto la finestre e, reggendo l'asciugamano, la chiuse stupendosi del repentino cambiamento climatico. Aprì l'armadio di legno e estrasse le prime cose che le capitarono a tiro. Non era mai stata una persona attenta, una ragazza con manie di persecuzione o cose simili, certo, gli avvenimenti degli ultimi tempi avevano cambiato un po' il suo modo di vedere le cose, ma ancora non riusciva a modificare il suo modo di fare. Così, quando si voltò e si ritrovò a fissare il suo letto tra il terrorizzato e l'imbarazzato, si diede mentalmente della stupida. Arrossì irrimediabilmente mentre Damon le diceva - Mi piace come ti sta questa - disse mostrandole la mini camicia da notte - stacca da tutto il rosso che ti caratterizza e lo risalta. Sembra quasi il tuo sangue sui miei vestiti, uccellino, lo sapevi? - Bonnie, in tutta risposta cadde a terra con lo sguardo perso nel vuoto. La sua espressione cambiava ogni minuto e Damon, annoiato, decise che non era lì per assistere alla crisi emotiva della streghetta e se ne andò con noncuranza.

Non era stata una decisione facile, ma doveva ancora nutrirsi e averla guardata per tutta la notte non faceva che destabilizzare il suo autocontrollo. Non voleva chiederle sangue perché sapeva che lei non si sarebbe opposta, ma che poi si sarebbe pentita. Aveva assistito alla crisi di pianto del giorno prima e sapeva di essere la causa principale di quello stato emotivo incontrollabile. Non che si sentisse in colpa, lui non sapeva sentirsi in colpa, però non gli piaceva vederla piangere. Bonnie era così diversa da Elena che fare un raffronto era quasi ridicolo, eppure gli venne spontaneo. Il suo Angelo non faceva che pestare i piedi a terra se non otteneva qualcosa, si intestardiva ed era terribilmente orgoliosa, tanto da voler controllare sia lui che il fratello, era abbastanza concentrata su se stessa da non vedere che Meredith doveva sempre stringere la mano a Bonnie quando le sue dimostrazioni d'affetto, verso di lui, diventavano plateali. Non si curava del fatto che Stefan soffrisse e a lui non importava molto di questo, la cosa davvero assurda era la sua noncuranza di fronte al fatto che anche lui soffriva. La sua indecisione faceva stare bene solo lei, a scapito degli altri. Per quanto fosse bella ed eterea era anche molto consapevole dell'effetto che aveva sugli altri e ne aproffittava per ottenere ciò che voleva. Spesso le faceva tenerezza, probabilmente si era avvicinato a lei proprio per la loro somiglianza, ma capì, in quel momento, di doversi ricredere. Lui ammetteva di far soffrire le persone e, sebbene non cambiasse le cose, ciò lo rendeva ben diverso dal modo di fare di Elena. Lei non voleva vedere la sofferenza e non voleva accettare il fatto di essere lei a procurarla. Infilava la testa sotto la sabbia, faceva i capricci, ci aggiungeva un paio di moine e tutti la trattavano come la vittima della situazione. Bonnie era fragile, non credeva in se stessa e ogni sua azione era guidata dai seentimenti e da ciò che le passava per la testa in quel momento. Era quieta e rilassata, a volte era triste. Si dispiaceva, s'imbarazzava, s'intestardiva, ma senza l'autorità di Elena. Era difficilissimo farla arrabbiare e lui lo sapeva, da quando la conosceva si impegnava per farle perdere le staffe e non c'era ancora riuscito, nemmeno quella mattina. Lo spettacolo che gli aveva offerto prima di farsi la doccia aveva rischiato di mandarlo al manicomio e aveva dovuto artigliare l'albero da cui la spiava per evitare di aprire quella finestra e farle chissà cosa. Era davvero bellissima anche se in maniera del tutto poco convenzionale. Era bassa, a differenza di Elena, e smilza anche se il tutto non la slanciava come avrebbe dovuto. Quando si era stiracchiata aveva visto la sua spina dorsale inarcarsi e per un istante aveva perso ogni contatto con la realtà. I suoi capelli scendevano sulla sciena come una cascata di lingue di fuoco che le accarezzavano la pelle esangue. Aveva dei piedi piccoli e graziosi, non era da lui notare quel genere di cose. Se fosse stato in sé avrebbe ripensato al suo seno non più grande di una seconda ben riempita. Se fosse stato in sé avrebbe ripensato al dove terminava la sua schiena e a quanto fosse perfetto. Se fosse stato in sé avrebbe ripensato alla curva del suo collo invitante. Tutto ciò che riusciva a pensare in quel momento, però, era a come fosse proporzionata. Non riusciva a togliersi dalla mente il sorriso estasiato mentre cantava, gli occhi nocciola ricolmi di lacrime mentre piangeva, alla piccola mano che asciugava le guance e il nasino perfetto, ricoperto di efelidi. Non smetteva si sentire un dolore lancinante alla bocca dello stomaco e un calore insolito propagarsi nel petto, ma era così dannatamente allegro che il tempo aveva seguito le sue sensazioni. Arrivato al pensionato non riuscì a credere di essere riuscito a pensare a tutte quelle cose in così poco tempo e si accorse appena di Elena che si accicinava per abbracciarlo. Si scansò senza pensarci, ma non riuscì a chiedersi che cosa gli fosse preso. Di solito avrebbe sogghignato, raggiante per quella conquista, ma in quel momento aveva ben altro per la testa.

Bonnie, d'altro canto, ci aveva messo un po' a riprendersi dai tremori. Sapeva che se lui era lì allora era sempre stato lì. L'imbarazzo le imporporava le guancie, ma quella volta qualcosa irruppe a sconvolgere le sensazioni che era abituata a provare. Dallo stomaco le partì una fitta di bile che arrivò al cervello, rendendola vigile e attenta. Si vestì velocemente con i vestiti che ancora stringeva in mano. Si tastò i capelli ormai irrimediabilmente asciutti e maledisse Damon Salvatore. Si alzò, indossando velocemente un paio di converse e si diresse a passo spedito verso il pensionato mentre una serie di pensieri fastidiosi aumentavano la sua rabbia fino a farle toccare il suo potere come se fosse stato a un passo da lei. Lo sentiva spandersi e sentiva il bisogno di bearsi di quella presenza. Odiava essere quella debole, quella da salvare o quella da mettere in imbarazzo. Odiava essere la seconda scelta. In quel momento odiava Elena e le sue manie di protagonismo e odiava Damon per il suo essere un pervertito doppiogiochista. Sentiva la rabbia scorrerle dentro. Sempre la seconda, sempre indietro di un passo di troppo, sempre inferiore e mai abbastanza. Non era mai stata abbastanza per essere presa in considerazione, ma almeno lei sapeva di essere fatta così e di bastare a se stessa. Per quanto fosse innamorata di Damon aveva saputo soffrire in silenzio senza cedere, senza diventare un vegetale come avrebbe fatto Elena, forse a volte si era compatita, ma poi aveva ripreso in mano la sua vita e si era data da fare per non sentirsi meno di lei e per evitare di diventare come lei. Lei non aveva paura della solitudine e ci conviveva senza problemi, ma era stufa che tutti pensassero a lei come ad una personcina senza spina dorsale, poco coraggiosa e con scarse capcità. Lei non si sentiva migliore di nessuno, ma era consapevole di non essere inferiore a nessuno. Non era meno bella di Elena, anche se non era bella nel suo stesso modo, non era meno di Meredith sppure non avesse la stessa spiccata tendenza a razionalizzare tutto. Lei viveva, viveva le cose, viveva il dolore e viveva la gioia e non le importava un bel niente di cosa avrebbero pensato gli altri, in quel momento voleva solo riscattarsi, voleva vivere tutto quello che poteva, voleva essere migliore e dimostrare a chi non credeva in lei che lei viveva molto più di loro. Così decise di vivere quella sensazione di fastidio che le stava scaldando il corpo, prese il suo potere come se fosse stato una ventata e lo sferzò sulla porta del pensionato che si aprì di scatto rivelando i ragazzi fermi sulle scale, intenti a discutere. Quando fece il suoi ingresso tutti si immobilizzarono e per un momento giurò di vederli sopresi, poi spaesati e infine quasi, spaventati. Tutto ciò, per quanto insano, per un momento, per un solo istante, la fece sentire bene. Era una sensazione così perversa e cattiva che le risultò insana ed estranea, ma era una parte di sé che non aveva mai saputo accettare e che ora stava abbracciando per sentirsi quello che era. Inoltre non sarebbe stato così male diversi con la sopresa dei suoi amici. Era pericolosamente sbagliato, ma così dannatamente divertente che, per una volta, si lavò le mani del giudizio altrui, delle emozioni del prossimo e scateno la sua ira.

* * *

Ecco a voi uno sclero momentaneo che ha portato a scrivere ciò che è accaduto prima di 'Le ragioni del tempo.' che vi invito a leggere, in caso vi piaccia questo momento di ordinaria follia. Passiamo ai chiarmienti, in realtà devo ringraziare gli All-American Rejects che grazie a  Gives You Hell e The Last Song (yeah la 'famosa' ultima canzone) hanno dato il via a questo delirio, ai Simple Plan e alla buona dose di disperazione data da Untitled che hanno permesso a Bonnie di sfogarsi un po' e agli Skillet che con buona parte della loro discografia (degne di nota sono le canzoni del CD 'Comatose' che hanno, in buona parte, accompagnato la stesura di questo pezzo). Ringrazio la mia mente malata (e il mio fisco altrettanto cagionevole) per aver partorito questo come seguito al testo sopracitato. In realtà è un prequel quindi mi sto esprimendo male, ma credo che sia normale. Spero vi piaccia e che spendiate una minuscola quantità di tempo a recensirla! 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il diario del vampiro / Vai alla pagina dell'autore: Blue_Bones