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Autore: Eman    28/01/2012    6 recensioni
La storia è tratta da un sogno che ho fatto l'altra sera. Un sogno talmente assurdo che mi chiedeva di essere messo per iscritto. Inizia in media res e non segue un andamento logico come e tipico dell'ambiente onirico, spero tuttavia sia di vostro gusto e se anche non fosse vi prego di farmelo sapere. Grazie. Buona lettura ^.^
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza era lunga e solo le poche lampadine che penzolavano dal soffitto la illuminavano creando inquietanti giochi d'ombra sulle sagome in movimento. Mi trovavo in una casa dell'orrore, sapete quelle classiche dove manichini mostruosi si susseguono mano a mano che tu vai avanti sul carrello meccanico. Solo che lì i manichini avevano qualcosa di strano, la pelle era lucida e da come muovevano le braccia si intravedeva quella che sembrava una struttura ossea al loro interno. Sinceramente non vedevo l'ora che finisse. Ero arrivata in fondo alla stanza e un'alta porta di legno di stagliava davanti a me, scesi dal carrello e lanciai un'ultima occhiata ai manichini che erano visibili da quella posizione. Una sagoma, quella più vicina a me, raffigurava una donna nell'atto di accoltellarsi lo stomaco e lanciare in giro le sue stesse viscere, il sangue era rosso brillate, come se fosse bagnato, il risultato era grottesco. In quell'istante la porta si aprì con numerosi cigolii e io feci di tutto per non correre verso l'uscita, ci sarebbe potuta essere qualche telecamera di sicurezza, non avrei voluto farmi vedere terrorizzata.

La luce del mattino mi sembrò accecante dopo la penombra che c'era nella stanza. L'uscita della casa si affacciava su boschetto, i magri rami degli alberi si innalzavano sul cielo invernale e un piccolo sentiero segnava la strada che avrei dovuto fare per ritornare nel paesino dove abitavo. Lo imboccai decisa a lasciarmi quel posto alle spalle.

Pochi metri più in là una piccola casetta in stile rustico si affacciava sulla destra, dalle finestre vidi il volto di un ragazzo che mi guardava, gli sorrisi di rimando, ma lui impassibile si limitava a fissarmi, i suoi occhi marroni erano spalancati su di me. Aumentai il passo chiedendomi perchè fossi andata in quel posto da sola. Superai la casetta e sentii una porta sbattere, mi girai terrorizzata da quello che avrei potuto vedere. Il ragazzo era ora sul sentiero, gli occhi erano sempre fissi su di me, aveva il braccio alzato e stava sventolando qualcosa. Riconobbi l'oggetto come il mio cellulare, allora, anche se riluttante, ritornai sui miei passi, fino a raggiungere il giovane. Era di bell'aspetto, i lineamenti erano regolari, gli occhi grandi e marroni.

< Ti è caduto questo > mi porse con un sorriso il cellulare e mio mi tranquillizzai. Era un normale ragazzo.

< Chi sei? > gli chiesi

< Vieni con me > la sua voce era atona, mi fece paura. Mi voltai di scatto e corsi via, lasciando perdere la dignità almeno per quella volta. Corsi per un quarto d'ora prima di arrivare al paesino, mi guardai intorno ma del ragazzo non c'era traccia, pensai che forse ero stata un tantino esagerata, la giostra mi aveva fatto più paura di quello che pensassi. Poco male, col sorriso attraversai la strada asfaltata, era un piacere vedere tutte quelle persone indaffarate nei normali problemi quotidiani dopo essere stata in quello strano posto. Stai studiando troppo, mi dissi, hai bisogno di una pausa se non vuoi impazzire del tutto. Solo una volta rientrata in casa mi accorsi del cellulare che stringevo ancora nella mano, lampeggiava una lucina nella parte inferiore, segno che era arrivato un messaggio. Lo aprii, il mittente era un numero sconosciuto : DEVI RITORNARE, NON FARMI VENIRE A PRENDERTI.

Le gambe iniziarono a tremarmi e mi dovetti sedere sul divano per non cadere . Sprofondai la faccia sui morbidi cuscini di stoffa pensando a cosa fare, dovevo cercare aiuto? Mi avrebbero presa per pazza. Però forse se li avessi fatto leggere il messaggio... No era meglio consultarsi con un qualcuno prima di far muovere la polizia. Digitai sul touchscreen il numero di Laura, era la ragazza più controllata che conoscevo, avrebbe sicuramente saputo cos'era meglio fare. Avevo digitato la quinta cifra quando sentì qualcuno bussare impaziente alla porta. Lasciai cadere il cellulare dalla mano, pietrificata dalla paura. Quand'ero entrata avevo dimenticato di chiudere a chiave la porta. Presto se ne sarebbe accorto, infatti vidi il pomello girare e sentire quel tanto familiare clack. La porta si aprii e io scattai in piedi. Il ragazzo della giostra era davanti a me, in casa mia. Chiuse con un colpo secco la porta e mi si avvicinò, io indietreggiai finché non sentì la superficie ruvida e fredda dal muro. Era a pochi centimetri da me, mise una mano sulla parete, poco sopra la linea delle mie spalle.

< Vogliamo andare ora > il suo fiato era caldo sul mio collo. Non risposi. Avrei voluto, ma riuscivo solo a fissarlo.

< Hai paura > disse sorridendo. Aveva un sorriso magnifico, in un altro contesto mi avrebbe fatto sciogliere.

< Bene > avvicinò la bocca al mio orecchio < Mi piacete di più quando avete paura > l'ultima parola fu un sussurro.

< P... perchè? Cosa ho fatto? > riuscii a dire.

< Oh non hai fatto niente piccola > rispose accarezzandomi la guancia. sembrava esserci quasi dolcezza nei suoi occhi. < Ma vedi > continuò < ne ho bisogno, lo devo fare > un vortice di desiderio ora era il suo sguardo.

< Vuoi sapere cosa si prova? > mi chiese

< Immaginati là distesa sul lettino. Partirò dalle gambe, parto sempre dalle gambe. Prima saranno taglietti superficiali, poi, quando ci saremo entrambi scaldati > mi sorrise < farò le cose seriamente > iniziò a toccarmi una gamba < Sai a quanta pressione resistono le ossa prima di spezzarsi? E' assurdo pensare a tutto il peso che possono sopportare. > fece scorrere il dito sulla mia coscia, salendo fino all'inguine < Ma alla fine si spezzano > disse lasciandomi d'improvviso la gamba. < Basta una pressa decente per farle schizzare fuori dalla pelle, là inizierà la parte dolorosa. > mi guardò, avevo gli occhi lucidi.

< Alla fine vi comportate tutti allo stesso modo. Alla fine piangete tutti. > mi sorrise di nuovo.

Fui folgorata da un'idea, lui era solo un ragazzo, muscoli sodi si intravedevano dalla camicia, ma era pur sempre solo uno, forse se fossi riuscita a coglierlo di sorpresa...

< Andiamo ora > disse bruscamente

< No > risposi

il ragazzo in un primo momento si accigliò, poi roteò gli occhi divertito, fu in quell'istante che mi lanciai su di lui.

Dovevo semplicemente sorpassarlo e uscire dalla porta, poi sarei stata in salvo, cercai di aggirarlo e lui non fece niente per impedirmelo. Raggiunsi la porta e misi una mano sul pomello dorato.

< Fossi in te non lo farei >

Mi voltai e vidi la canna di una pistola che mi stava guardando. Appoggiai la schiena alla pota e mi lasciai scivolare giù fino a ritrovarmi seduta, avevo perso.

< E' la seconda volta che cerchi di fregarmi, non hai ancora capito con chi hai a che fare >

non sembrava arrabbiato

< Ora vuoi farmi il piacere di seguirmi? >

Annuì. Mi fece passare un braccio dietro la sua schiena e lui fece altrettanto dietro la mia in modo da nascondere la pistola che intanto sentivo fredda sul mio fianco.

Scendemmo in strada come una coppia di fidanzati e ci dirigemmo sul sentiero. La gente intanto ci passava di fianco ignara, non urlai solo perchè il freddo della pistola mi ricordava a che fine sarei incorsa.

Entrammo nel sentiero, là eravamo da soli.

< Ora puoi camminare liberamente > disse sciogliendomi dall'abbraccio.

Camminai, ma solo grazie al principio di inerzia.

Dopo mezz'ora di silenzio arrivammo alla casetta sul sentiero, ma invece di entrare dalla porta principale mi condusse nel seminterrato. L'interno era molto simile alla stanza degli orrori, la qualità della luce altrettanto scarsa e due manichini avvolti nel chellopane erano poggiati su un bancone. Oltre a quello c'erano una serie di attrezzi, i più dei quali non avevo idea di quello a cui servissero.

Mi girai verso il ragazzo, stava preparando una specie di lettino. Afferrai di nascosto due lamette molto lunghe e affilate e le nascosi ognuna sotto una delle due maniche. Facendolo mi tagliai e sperai che il sangue non macchiasse visibilmente la maglietta, se così fosse stato il ragazzo si sarebbe certamente accorto delle armi che avevo preso. Il giostraio mi dava ancora la schiena, mi avvicinai, potevo intravedere i muscoli sotto la camicia che lavoravano per sollevare la pesante pressa di cui mi aveva parlato prima.

Come potevano convivere tanta bellezza e tanta follia nello stesso corpo?

Mi avvicinai un po' di più, mi sorprese il fatto che non badasse minimamente a cosa stessi facendo io. Possibile che fosse così sicuro che non avrei farri nient'altro per scappare? Mi avvicinai ancora, ormai ero a pochi centimetri dalla sua schiena, presi il una lama, la strinsi tra le dita senza badare al dolore.

Il ragazzo si voltò di scatto e con uno sgambetto mi vece cadere. Si inginocchiò a terra di fianco a me. < Cosa volevi fare? > mi sussurrò. Il suo viso sfiorava il mio e il mio cuore accelerò. Si allungò per afferrare la lametta e sentii il peso del suo corpo su di me. Prese l'arma e la lasciò scivolare sulla mia pelle, sentii un dolore acuto e gemetti. Nello stesso momento il suo petto si mise a muoversi più velocemente. Stava ansimando. Un sorriso che non dimenticherò mai si dipinse nel suo volto mano a mano che la lametta scavava sul mio braccio. Cercai di divincolarmi ma lui si sedette sopra di me, bloccandomi con il suo peso.

Stranamente lucida mi ricordai dell'altra lametta, la feci uscire lentamente dalla manica e con uno scatto gliela conficcai sullo stomaco. Mi guardò come se lo avessi deluso, poi gorgogliò e rotolò mettendosi supino. Si toccò la ferita con una mano che subito si colorò di rosso. Dopo pochi minuti morì, senza altra parola. I suoi meravigliosi occhi spalancati a fissarmi.

  
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