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Autore: HappyCloud    30/01/2012    21 recensioni
Una giornalista e una scommessa fatta da ubriaca che le travolgerà la vita, facendole incontrare molti uomini per poi giungere al punto in cui è sempre stata: dal suo Lui.
Sullo sfondo, un intricato caso su cui investigare e al quale trovare una soluzione per aiutare un amico. Guardandosi sempre bene alle spalle, perché il nemico non è mai troppo lontano.
Dal secondo capitolo:
Gli lanciai un’occhiataccia che non lasciava nulla all’interpretazione.
- “Tu sei pazzo se pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo”.
Nick non si scompose neanche per un secondo.
- “Sammy, tu hai già accettato” mi rispose, sventolando quel dannato foglio che riportava la mia firma, con un dannato ghigno di scherno stampato sul viso.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'C'eral'acca'
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Capitolo trentasei. Somewhere Only We Know.
 
Amanda Denise Jenkins non era la persona che stavamo cercando. Quella J maiuscola all'inizio del suo cognome era sufficiente a togliermi anche il più insistente dei dubbi. Ciò che invece mi tormentava sapere era come avesse approfondito la conoscenza di José, dopo il primo incontro a cui avevamo partecipato tutte. Se la loro relazione aveva raggiunto un livello tale da fare di lui il suo fidanzato, significava necessariamente che i due si erano visti molte più volte, oltre la sera dell'addio al nubilato di Valerie. Ed era lecito pensare che la dolce Mandy non fosse tornata al Pumping Pumpkin da sola...
- "Siamo arrivati. - mi avvertì Nick, posteggiando l'auto di fronte alla piccola casetta bianca. - Cosa ci aspettiamo da questa visita?".
- "Non so cosa ti aspetti tu, ma io ho le idee chiare", replicai.
Scesi dall'auto, mentre Nick arrancava per slacciarsi la cintura di sicurezza e raggiungermi fuori dall'abitacolo, sul vialetto di ghiaia attorniato dall'erba.
- "È un lavoro di squadra, - mi fece notare. Lo ignorai e suonai il campanello. - Ehi, mi ascolti?".
- "Portami gli altri nove ragazzotti in pantaloncini e poi ne riparleremo", liquidai la questione.
Non fece a tempo a ruotare gli occhi che Lacey, la figlia diciassettenne di Amanda, venne ad aprire la porta.
- "Sam?", chiese sorpresa, sbirciando dietro le mie spalle ad un Nick sorridente, placido nella sua posizione da vecchietto a passeggio con le mani incrociate dietro la schiena.
- "Già. Cerco tua madre, è in casa? ". L'attenzione di Lacey era già perduta, carpita in modo molto scorretto dal bel visino del ragazzo che mi seguiva.
- "Non mi presenti il tuo amico, prima?", ribatté sfacciata.
D'un colpo, il pudico scollo della maglia che indossava si abbassò tragicamente, lasciando in mostra le ben poche grazie in via di sviluppo.
Maledette adolescenti che hanno ancora la speranza di riempire in futuro una terza coppa b.
- "Lui è Warren, mio migliore amico e checca al 200%".
Nick non commentò, ma l'espressione di Lacey si fece seria e, come per miracolo, l'orlo della t-shirt ritornò a coprire l'abbozzo di seno.
- "Ah, - commentò delusa, una smorfia di disappunto in faccia. Si scostò per farci entrare nel modesto soggiorno e chiamò svogliata la madre. - Beh, se cambi idea..." disse provocante, salendo le scale che portavano al piano di sopra, alla zona notte.
- "Sì, sì..." commentai disinteressata e le feci segno di proseguire pure per la sua strada in salita, in senso metaforico e reale.
Amanda comparve dallo studiolo in fondo al corridoio, un grembiule legato in vita e l'aria sciupata da mamma alle prese con una teenager incazzata col mondo.
- "Samantha? - mi guardò stupita. - E Nick? Che ci fate qui?".
- "Allora non si chiama Warren!". La voce di Lacey ci arrivò dalla cima della rampa e, sporgendomi, notai anche un dito accusatore puntato verso di me con aria scandalizzata.
- "È il mio fidanzato, okay?" le risposi scocciata, sperando di zittire quella boccaccia grondante ormoni.
- "Oh, vi siete messi insieme? - squittì Amanda elettrizzata. - Sono così contenta per voi!" corse ad abbracciarmi e mi stritolò nella sua morsa materna.
Mossa sbagliata, immagino.
- "Potresti avere molto di più... " commentò l'arpia, poggiata al corrimano, mangiandosi con gli occhi Nick. La fulminai con lo sguardo: non aveva proprio idea con chi avesse a che fare: chi sarebbe stato quel tanto millantato molto di più? Una brufolosa ragazzina dalle mutande in subbuglio e l'ombretto marcato da tossica scampata ad una retata?
Sua madre intervenne e, con parole più morbide di quelle orgogliose nella mia mente, la rispedì in camera sua.
- "Allora, colombelle, - tornò a rivolgersi a noi - finalmente fidanzati, eh? Non c'era bisogno di fare tutta questa strada per annunciarmelo. Non vedo l'ora di fare un'uscita a quattro!".
- "No. - dissi secca. - Siamo qua per un'altra ragione".
- "Già. - intervenne sardonico Nick, facendosi spazio tra noi due e sedendosi pomposo sul divano. - Non siamo venuti per quello, perché vogliamo mantenere un profilo basso". Amanda guardò il cretino comprensiva.
- "Piuttosto, - lo interruppi - ti ricordi la sera in cui sei tornata al Pumping Pumpkin?".
- "Certo. Era una piovosa sera di... " cominciò a raccontare, prendendola molto alla larga.
- "La versione breve. - la pregò Nick e lei se ne risentì, perciò lui tentò di ammansirla. - Sai, io e la mia lucertolina vorremmo avere più tempo per noi".
Lucertolina?
- "Sono andata con Jade. Sarebbe stato troppo umiliante chiedere a te o a Valerie. Strano, almeno. Siamo entrate insieme, ma poi diciamo che l'ho persa di vista. Ero... impegnata. Però, mi ha aspettata per tornare a casa, quindi credo che sia rimasta lì tutto il tempo. Perché lo volete sapere?".
Lasciai a Nick il compito di inventare una scusa abbastanza convincente da soddisfarla e mi concessi un sorriso quando capii che i miei sospetti erano confermati; non ero contenta di aver scoperto di essere stata pugnalata alle spalle da un'amica, oltre che da una collega, ma perlomeno avevamo aggiunto un tassello al puzzle: Jade Harlings era l'unica sospettata.
 
Tornati in macchina, cominciammo a fare congetture; non avevamo molto tempo per approfondire l'argomento, dal momento che il giorno dopo sarebbero arrivate le ragazze dalla Moldavia al porto di Brighton, ottanta miglia ed un'ora e mezza di distanza da Londra.
- "Jade accompagna Amanda al Pumping Pumpkin, vede Banks con una ragazza e decide di ricattarlo. È verosimile" ipotizzai.
- "Scopre che lui ha un affare losco in atto e ha due opzioni: denunciarlo e prendersi la gloria, o ricattarlo e guadagnarci un sacco di soldi. Sceglie la seconda e Sam scopre che colui che lo sta minacciando è uno dell'ufficio" proseguì Nick.
- "Visti i trascorsi, pensa che sia io. Quindi rapisce Romeo nel tentativo di mettermi fuori gioco e assume quel simpatico gorilla per appendermi al muro. Salvata in extremis da una telefonata e da un mi sono sbagliato''.
- "Tutto coinciderebbe, ma... niente prove; quelle foto non dimostrano che sia stata lei a scattarle e hai detto che il mittente sulla busta non è chiaro" sbuffò, contrariato.
Aveva ragione: quell'imbranato cannaiolo del ragazzo della posta aveva annullato ogni traccia d'inchiostro del nome - oltre ad un misero Mr [...] H -, grazie ad una bella dose di acqua.
- "Senza prove non possiamo accusarla. Il fatto che il suo cognome cominci per H non fa di lei una ricattatrice o una complice di Banks, nonostante sia l'unica che avrebbe avuto sia l'occasione che il movente. - riflettei ad alta voce. - Ah, lasciamo perdere, magari lei non c'entra nulla".
Ci stavamo entrambi demoralizzando: un passo avanti e tre indietro. Il vero problema era che non avevamo altro tempo per indagare, dal momento che l'incontro tra Sam1 e le ragazze moldave sarebbe avvenuto il giorno dopo a Brighton, una città sul mare nell'Inghilterra meridionale.
All'improvviso, però, gli occhi di Nick brillarono di rinnovata speranza: aveva avuto un'idea, un ricordo più precisamente. Il giorno dell'aggressione ai miei danni nel vicolo, eravamo stati invitati entrambi a casa di Valerie, a cena. C'eravamo noi due, i padroni di casa, Katy ed Amanda; molto strano che Jade non si fosse fatta vedere. Quanto meno curioso, visto che non mancava mai alle uscite tra amiche.
Una straordinaria coincidenza, soprattutto alla luce del fatto che l'energumeno aveva asserito di aver sbagliato persona. Forse era uscita allo scoperto mentre mi stavano appendendo al muro come un quadro?
- "Speriamo di non aver preso un abbaglio. - sbuffai. - E cosa ne sappiamo del rapporto tra Banks e la guardia del corpo di Ralph?".
Nick strizzò gli occhi, concentrandosi, come per cercare di riportare alla memoria delle informazioni.
- "Ehm... Robert Theodore Zehir III, americano, 4 settembre 1975, lavora per Ralph da cinque anni e vive sostanzialmente con lui ventiquattro ore al giorno".
- "Aspetta un attimo: hai detto americano? - Nick annuì confuso. - Sam ha fatto l'università negli Stati Uniti".
- "La Columbia, a New York" confermò.
- "Potrebbero essersi conosciuti lì" azzardai.
- "Big Bob non mi sembra molto il tipo da college".
- "Magari si è iscritto, ma poi ha abbandonato gli studi... chiamiamo Will, ha un compito per noi".
Tornammo veloci a casa mia e ci scapicollammo al computer. A Portland era pomeriggio inoltrato, perciò non fu difficile riuscire a contattare il mio vicino di casa tramite Skype.
- "Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me" saltai i convenevoli e passai direttamente al punto.
Will sorrise e scosse la testa dal disappunto, bofonchiando qualcosa sulle vecchie abitudini, dure a morire.
- "Ciao Sam, - gracchiò irritato. - Domani sarò a Londra e potrai chiedermi qualunque cosa, Raviolo".
Domani? Troppo tardi.
- "Mi servirebbe ora, - replicai dura. - Il tuo volo prevede degli scali, vero?". La mia era una speranza, più che una certezza.
- "Sì, a San Francisco".
Nessun problema.
- "Cambialo" affermai sicura, stupita di come Will non ci avesse pensato prima.
Ah, giusto. Non ha la minima idea di cosa gli sto per chiedere.
Gli occhi gli balzarono fuori dalle orbite come un cucù dall'orologio.
- "Scherzi? - starnazzò con un urletto stridulo e scandalizzato - Il mio biglietto non è rimborsabile e trovarne uno per un altro volo all'ultimo minuto mi costerà un patrimonio!".
Purtroppo non aveva torto, ma avevamo un estremo bisogno di un qualsiasi documento che certificasse l'eventuale iscrizione di Big Bob alla Columbia una decina di anni prima. Quindi proseguii dritta per la mia strada, con l'unica soluzione che mi paresse accettabile.
Sam, quante paia di scarpe ti potrebbe costare un viaggio aereo da Portland (Oregon, Stati Uniti, America) a Londra (Gran Bretagna, Europa) comprato last minute? Un oceano. Un Atlantico di scarpe.
- "Offre Nick. - proposi, dopo un rapido calcolo delle mie finanze, guadagnandomi un'occhiataccia da parte dello stesso Nick. - Ho bisogno che tu abbia un paio di ore almeno per andare a New York, alla Columbia di preciso, perché ci servono dei certificati d'iscrizione".
- "Beh, fateveli spedire per posta elettronica" scrollò le spalle.
- "Non è possibile, sono carte private. Il che ci conduce al secondo favore: lavorati le segretarie, prometti cene e prosciutti, sesso favoloso e fai complimenti. È un vero peccato che non ci sia Nick al tuo posto, è un esperto di queste frivolezze" gracchiai acida.
- "Deduco che tu intenda soprattutto per il sesso favoloso" si pavoneggiò, provocando una risata idiota da parte di Will. Quest'ultimo si grattò il mento cogitando prima di rispondere.
- "Si può sapere che state combinando?".
- "Lunga storia. - tagliò corto Nick - Segnati questi due nomi: Samuel Francis Banks e Robert Theodore Zehir III. Ci serve tutto per domani. - Will si appuntò tutto su un piccolo block notes poggiato sulla scrivania e promise di fare il possibile. - E niente business class!".
 
Quella notte non chiusi occhio. Rimasi vigile a fissare il soffitto e la gigantografia del povero Ralph in quella strana posizione da macho. Guardai l'orologio ogni mezzora, sperando di leggervi un orario decente per alzarsi e cominciare a preparare le poche cose per il viaggio verso Sud. Mi vestii comoda, infilai le scarpe da tennis e aspettai il suono del clacson dell'auto di Nick sotto casa mia. Durante il tragitto, nessuno dei due era particolarmente in vena di chiacchierare; ognuno ne se stava sulle sue, più interessato ai propri pensieri per concedersi il lusso di distrarsi da essi.
Eravamo agitati, eccitati dal pericolo, ma anche preoccupati: avevamo paura.
Trascorremmo la giornata ad un tavolo appartato di un piccolo locale sul lungomare ad organizzare le mosse della serata e ad aspettare una chiamata di Will.
Dai tombini del porto turistico di Brighton saliva un fumo bianco e denso, dall'odore acre di petrolio bruciato. Il molo era deserto, e solo il rumore delle barche mosse dalle onde e gli schiamazzi lontani dei locali sul lungomare spezzavano la quiete del luogo. Era perfetto per lo scopo di Sam1: buio, non commerciale - perciò poco ricambio di gente - e l'unica telecamera adibita a controllare la zona era stata debitamente rotta.
Un posto che conoscevamo solo noi.
 
I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
 
Io e Nick eravamo ormai da ore nascosti dietro una catasta di casse in legno, esposti alle correnti d'aria da e verso l'acqua. Finalmente sentimmo dei passi provenire dalla strada; ci addossammo al muro e vedemmo un gruppetto di quattro uomini e una donna. Parte di me fu enormemente delusa di riconoscere il volto di Jade, ma fui anche sollevata di sapere che i nostri sospetti non erano sbagliati.
- "È tutto sistemato, Banks?" sbraitò uno, afferrando per un gomito un malfermo Sam.
- "S-sì, - rispose l'altro, la voce che ostentava sicurezza, nonostante fosse un po' tremula. - verranno con me".
- "Dove?" chiese timida Jade.
- "In quel container laggiù. - indicò un punto poco dietro di noi. - C'è una piccola finestrella, se la faranno bastare fino a York".
Nick digrignò i denti con rabbia, strisciando il ginocchio sul terreno polveroso per sporgersi ancora un poco verso i nuovi arrivati.
- "Quando arriva la polizia?" domandai inquieta.
La temperatura era stabilmente di qualche grado sotto lo zero e, in quella posizione accovacciata, avevo le gambe anchilosate. In più, il fatto che le povere ragazzine moldave sarebbero finite nella scatola di latta dove eravamo noi al momento, non era era proprio motivo di tranquillità.
- "Spero presto. L'ho chiamata più di mezzora fa, ma credo che non interverrà prima di essere certa della flagranza del reato". Nemmeno la sua risposta fu molto confortante.
Santo Marc Jacobs, aiutaci tu, facci arrivare a casa con tutte le ossa integre e al loro posto. E già che ci sei, che ne diresti di eliminare i paraorecchie dalla faccia della Terra?
Un rumore di motore preannunciò l'arrivo di una modesta imbarcazione sovraffollata, con a bordo una decina di ragazze e due uomini; uno era posto a comando del motoscafo, l'altro teneva una pistola spianata verso il prezioso - e terrorizzato - cargo umano. Banks e soci si approssimarono alla riva ed io e Nick avanzammo cautamente per raggiungerli, sostando dietro alcune cabine bianche, a circa venti metri di distanza dalla banchina.
- "Sto morendo di paura..." biascicai e mi strinsi le braccia attorno al corpo, per placare il freddo e infondermi un po' di coraggio.
- "Merda! - sussurrò Nick - Stanno venendo qui".
Mi voltai di scatto e ciò che vidi mi fece ricadere addosso ancora più angoscia: le donne, seguite dal nutrito gruppetto di gentiluomini, stavano procedendo a passo spedito nella nostra direzione. Non avevamo vie d'uscita; scappare a sinistra o a destra avrebbe significato consegnarsi direttamente al nemico ma, d'altro canto, la piccola rientranza scura tra le cabine non era sufficiente ad ospitare entrambi. In ogni caso, almeno uno dei due sarebbe stato scoperto a spiarli e, si sa, gente di quel genere non ama essere osservata.
Soprattutto mentre fa entrare clandestinamente nel Paese dieci giovanotte da iniziare alla nobile arte della prostituzione.
- "Che facciamo?" sussurrai, presa dalla concitazione del momento.
- "Nasconditi! - lo guardai senza capire e lui mi spinse con veemenza nell'angolino buio tra i ripostigli bianchi - Io mi farò trovare".
Atterrai malamente sul sedere, le gambe in aria e la schiena distesa sul terreno.
Io mi farò trovare.
- "No!". Tentai di rialzarmi, ma Nick mi tenne ferma, bisbigliando che sarebbe stato più facile giustificare la sua presenza, piuttosto che la mia. Guardai attraverso una fessura e notai Banks arrivare con l'allegra combriccola. Nick li anticipò alzandosi in piedi, un'espressione furba stampata in viso. Sam1 si fermò di colpo e lo fissò incredulo.
- "Che-che diavolo ci fai qui? Ti avevo detto di non farti vedere" urlò isterico. Uno dei suoi puntò la pistola contro MacCord, ma Banks lo intercettò e gliela fece abbassare.
- "E io ti avevo detto che non avrei accettato un no come risposta" replicò con fare sicuro.
Stavo trattenendo il fiato ed avevo un timore folle che Nick avesse fatto il più grosso errore della sua vita, decidendo di farsi vedere.
Ma dove diamine è la polizia?
Sam sembrò piacevolmente colpito da tanta sfacciataggine, ma i suoi compagni di merende non parevano altrettanto impressionati.
- "Chi cazzo è questo, Banks?".
- "Un amico" rispose lui sorridente.
Le ragazze, accerchiate, se possibile diventarono ancora più inquiete e si strinsero le une con le altre.
- "Ed è normale che il tuo amico abbia una tracolla con le paillettes?".
Mi misi una mano davanti alla bocca per non urlare. Accanto ai piedi di Nick, il riflesso della luna e dei pochi lampioni presenti non faceva che enfatizzare i piccoli dischetti luccicanti applicati sulla mia borsa.
Sto per morire per colpa di Yves Saint Laurent.
Calò il silenzio; tutti sembravano troppo intenti a cercare sul terreno tracce della paillettes per notare subito il modo in cui Nick mi afferrò alla cieca per la giacca e mi attirò a sé con quanta più forza avesse nelle braccia. Mi ritrovai barcollante sui miei piedi e assolutamente impreparata alla corsa disperata che lui aveva in mente. Mi prese per mano e mi trascinò verso di lui, mentre alle nostre spalle anche gli altri cominciavano a realizzare che la nostra fosse una vera e propria fuga.
- "Corri, Sammy, corri!" urlò Nick, senza mai fermarsi. Mi stava schiacciando le dita con le sue e i passi concitati dietro di noi non facevano che aumentare il ritmo della corsa. Ad ogni colpo di pistola che ci sfiorava o s'infrangeva su materiali e muri accanto a noi, strizzavo gli occhi e speravo che il successivo non ci colpisse.
- "Non ce la faccio più" provai a dire, il respiro corto ed un fiatone degno di un'asmatica.
Nick mi strattonò ulteriormente, girandosi rapido a controllare che i nostri inseguitori fossero a debita distanza ed accelerò il passo, di nuovo.
- "Ce la fai, invece. - mi spronò - Immagina di essere ad una svendita. - il ragazzo sapeva bene come incentivarmi. - Corri, ti stanno rubando le scarpe!".
Brutte galline, sono mie!
Il mio cervello assecondava Nick, desiderava farlo, ma le gambe si stavano facendo sempre più molli. L'unico fattore che mi recasse sollievo era che nessun'altra pallottola era stata esplosa. Per il momento, almeno.
- "Sto per avere un infarto!" dissi, sprecando stupidamente fiato ed energie. Però, in quegli attimi, persino morire sembrava una prospettiva più allettante del correre senza sosta.
Un'auto sbucò all'improvviso da dietro l'angolo e io e Nick non riuscimmo a frenare in tempo la corsa; ci schiantammo contro la fiancata destra e cademmo a terra come birilli da bowling. Dopo un istante di terrore, la grande scacchiera gialla e blu disegnata sulle portiere e la scritta Police mi permisero di sdraiarmi completamente e respirare di nuovo.
Arrivarono altre tre volanti e ne scesero una decina di agenti che cominciarono a rincorrere Banks e i suoi. Un poliziotto rimase di proposito indietro, mentre gli altri ci scavalcavano, per assicurarsi che stessimo bene e, solo dopo che si fu accertato di ciò, raggiunse gli altri.
Nick si sedette con la schiena contro lo sportello e iniziò a ridere a crepapelle per smaltire lo stress nervoso accumulato.
- "Ce l'abbiamo fatta!" sorrise trionfante.
Gli scompigliai i capelli con una mano e gli diedi un piccolo scappellotto sulla testa, che ricadde pesante tra le sue ginocchia allargate. Mi alzai in piedi e scossi via dai vestiti un po' della polvere e sabbia che c'era per terra.
Un po' di relax, ora.
Ma un braccio maschile mi afferrò da dietro e mi bloccò il collo. La presa non era particolarmente stretta e il tremore dell'arto e della voce mi confermò l'identità dell'uomo alle mie spalle: Banks.
- "Non ridete più?".
Nick s'improvvisò mediatore e si sollevò sulle proprie gambe. Non ero davvero impensierita dalla pistola che Sam brandiva in mano; ero convinta che fosse una delle precedenti, scariche di munizioni dopo la fuga. E poi era pure quella mezza calzetta del mio caporedattore e c'era più probabilità che si sparasse accidentalmente ad una gamba, piuttosto che ferisse me. Ero lucida e la situazione andava affrontata con razionalità.
- "Lasciala andare. - gli intimò Nick - È una cosa tra me e te, lei non c'entra".
No, di nuovo la storia dell'eroe, no!
- È stata una spina nel fianco sin dal primo giorno. - rispose l'altro. Io una spina nel fianco? Ma sentilo! - E tu mi hai fregato, perciò scusa se non sono propenso a seguire i tuoi suggerimenti".
La situazione si stava facendo noiosa e il continuo gesticolare di Banks con la pistola in mano mi stava dando sui nervi.
Tienila salda e minacciami, dai!
Gli concessi ancora qualche battuta con Nick, - giusto per non ferire l'orgoglio di nessuno - e poi mi decisi ad agire; infilai la mia preziosa arcata dentale superiore nel lembo di carne del braccio lasciato scoperto dalla giacca e premetti con forza.
Che razza di smidollato: almeno stringi un po': così mi fai il solletico.
Sam mollò subito il mio collo e urlò a squarciagola dal dolore, attirando l'attenzione dei poliziotti che stavano tornando alle auto con quasi tutta la banda in manette, Jade compresa. Immobilizzarono anche Banks, che cominciò a frignare finché non venne portato via.
- "Ottima mossa, Grayson" mi abbracciò Nick.
- "Mi ero scocciata delle vostre chiacchiere. Stavo per morire. Di vecchiaia" lo scansai.
Rimase una sola volante con due poliziotti, uno dei quali ci bloccò e ci costrinse a seguirli in centrale per rendere una dichiarazione completa su quanto accaduto prima del loro arrivo. Impiegammo ore a descrivere con dovizia di particolari le informazioni che cui eravamo in possesso. Chiamammo Will, rimanendo in sospeso finché non ci confermò che effettivamente  i due erano iscritti alla Columbia, sebbene Big Bob avesse frequentato solo un semestre. Purtroppo non era riuscito ad ottenere i certificati d'iscrizione, ma alla polizia sarebbe bastata una chiamata per ottenerli.
- "Mi dovete un sacco di favori. E due chili di salame italiano" aggiunse.
Prima di tornarcene a Londra, sporchi e stanchi, chiedemmo anche notizie delle giovani moldave arrivate clandestinamente e ci venne detto che in attesa di essere rimpatriate nel loro Paese, sarebbero state ospitate in un centro specifico.
- "Volevi adottarne una, Nick?" gli domandai.
- "Ne ho adocchiata già una, in effetti".
E non sono ancora sicura che fosse una battuta.
 
Stilammo la storia dell'inchiesta insieme, ma distanti, ciascuno la propria parte. Non fu necessario - né possibile - vedersi per discutere, perché il London Express e Music Magazine decisero tutto al posto nostro: entrambi conoscevamo abbastanza a fondo lo scoop da poterne scrivere senza l'ausilio dell'altro. I redattori di entrambi i giornali avevano decretato che fosse sufficiente una telefonata per risolvere ogni eventuale dubbio mio o di Nick. Stavano tentando di proteggere i propri interessi ed era comprensibile, soprattutto da parte dei colleghi di Nick, che non avevano accolto con grande entusiasmo il fatto che fosse spuntata un'altra giornalista a condividere l'indagine. Venne decretato che mi sarei occupata in particolare del rapporto tra Banks, Big Bob e Ralph - lasciare al London Express il compito di distruggere uno dei dirigenti del nostro magazine non era parsa una buona idea a valerie -, mentre MacCord avrebbe scavato nel profondo del Pumping Pumpkin, analizzando con maggiore attenzione la questione delle ragazzine moldave.
Le vendite andarono molto bene, soprattutto ed inaspettatamente - o forse no - nella zona di York e cittadine limitrofe. Decine di persone si affrettarono a rilasciare dichiarazioni alle tv e alla carta stampata locale, spiegando con quale stupore avessero appreso la notizia dell'amato Sam criminale e frequentatore di prostitute. Ma nelle loro parole, io non lessi solo stupore; c'era anche sollievo, come se aver scoperto il lato torbido di Banks avesse in qualche modo alleggerito la coscienza comune. Sapevano che non era un santo, però era molto più facile trincerarsi dietro la facciata del farsi gli affari propri, piuttosto che ammettere che l'eroe senza macchia, in realtà avesse un gran brutto vizio.
Nelle due settimane dopo Brighton, io e Nick praticamente non ci parlammo, se non per questioni inerenti al lavoro. Ci incontrammo un paio di volte, ma giusto per perfezionare le ultime minuzie e per rilasciare qualche intervista a canali televisivi o a giornali. Ci stavano addosso come iene su una carcassa, come sugo sui maccheroni, come Kay su quella buon'anima di Will.
E proprio quest'ultimo, ormai stabilitosi definitivamente in Inghilterra, mi aveva dato notizie di Nick, irrompendo in casa mia armato di rondella per pizza e sporco di farina sulla maglietta. Dopo avermi insultato per non aver risposto né al cellulare né al telefono fisso - non volevo incorrere nella centesima richiesta di partecipare ad un talk show -, mi aveva annunciato di avere notizie circa la mia serata: Nick lo aveva infatti chiamato per domandargli di intercedere per lui; voleva che uscissi con lui, in un posto tranquillo, vestita rigorosamente casual a chiacchierare e scambiarci opinioni sugli ultimi avvenimenti.
Ero agitatissima: che cavolo vuol dire vestita rigorosamente casual?
 
- "Avevo capito che fosse un'uscita informale, da maglia sformata, coda di cavallo e scarpe da tennis... che ci fai in quell'abito da sera, ipertruccata, con i capelli raccolti e i tacchi?" chiese Will perplesso, mentre stendeva la pasta della pizza sul tavolo di casa mia. 
Avevo deciso d'interpretare a modo mio la parola casual, soprattutto dopo averne parlato con Warren.
- "Zucchero, è una trappola! Stasera c'è un party nella sua redazione!" aveva affermato sicuro.
Offesa a morte dal mancato invito, non mi ero affatto scoraggiata: parrucchiera, estetista e un bel calcio - al momento solo morale, purtroppo, - a Nick.
Guardai Will e la sua ingenuità quasi mi fece ridere: era chiaro come il sole che le parole di Nick fossero un'imboscata. Pensava davvero che non sapessi della festa in suo onore organizzata dal London Express? In realtà, se il Gossip Boy di Londra non mi avesse aperto gli occhi, sarei rimasta nella più completa ignoranza, ma tutto ciò non era molto rilevante.
Mi avrebbe portata lì, lui tirato a lucido come un bambino alla prima comunione e io conciata da atleta dilettante post palestra, con gli scaldamuscoli e la fascia in testa, solo per avere l'occasione di dimostrare a tutti quanto fossi inadeguata ed incapace di reggere la pressione scaturita da un successo lavorativo. Aveva la palese intenzione di farmi sfigurare con la mia stessa inesperienza; non avevo mai trattato con altri giornalisti - di certo non a quei livelli, dove spuntano come funghi sotto casa tua e non ti mollano nemmeno se minacciati - e quella serata gli sarebbe servita per diventare il solo e unico titolare dell'inchiesta. Nessuno si sarebbe azzardato a chiamare me, una casalinga disperata in lotta con l'armadio ed il buon gusto, in trasmissioni televisive e i fotografi mi avrebbero preferito di gran lunga il bel ragazzo dal fisico curato e dallo sguardo magnetico. Grazie al cielo, il mio infallibile intuito femminile mi aveva fatto sentire la puzza di bruciato da lontano un miglio e mi erano serviti pochi istanti per smascherare la farsa imbastita da Nick. Ovviamente, non lo avevo reso partecipe dell'indignazione che provavo a causa della sua meschinità: lo avrebbe scoperto da sé quella sera stessa, abbagliato dai flash che i paparazzi avrebbero dedicato ad entrambi e non solo a lui. Il gongolamento sarebbe stato doppio, a quel punto, perciò tanto valeva pazientare.
- "È giusto una cosuccia" minimizzai, riducendo l'imponenza di quel vestito blu notte, lungo fino ai piedi, con un taglio a stile impero ed uno spacco fino a metà coscia che lasciava la stoffa leggera libera di fluttuare nell'aria ad ogni passo. Quando l'avevo comprato, qualche mese prima, ancora non sapevo che quel piccolo gioiellino mi avrebbe permesso un giorno di umiliare una persona con le sue stesse carte.
Will alzò le spalle in segno di resa: era già abbastanza difficoltoso sopportare ed interpretare le lune della propria fidanzata, cercare di entrare nella psicologia perversa anche della migliore amica sarebbe stato oltremodo sconveniente, oltre che un tantino suicida. Trovò potesse essere utile andare a rispondere al citofono per togliersi da quella situazione indefinita, sotto il mio sguardo indecifrabile.
- "Sali, Nick" gli sentii dire, mentre apriva la porta ed attendeva che il rumore dei passi sulle scale si facesse più vicino. Non appena il ragazzo ebbe raggiunto il pianerottolo, il mio vicino improvvisò un saluto militare e si smaterializzò dall'appartamento.
Nick non indossava esattamente quanto avevo previsto: lo smoking nero corvino e la camicia bianca immacolata avevano lasciato posto ad un paio di pantaloni neri ed un cardigan grigio, sopra ad una maglietta su cui era stampata la scritta New York. Dopo un attimo di vacillamento, le mie certezze tornarono solide come una roccia: stava certamente - e maldestramente - cercando di depistarmi. Il suo bel completo era di sicuro già nella sala affittata per la festa, pronto ad ospitare al momento opportuno il suo sedere sodo e bugiardo. Un vero peccato che la sottoscritta fosse così perspicace!
- "Ehm... - biascicò Nick non appena ebbe finito di squadrarmi da capo a piedi - Non prenderla per il verso sbagliato, ma come ti sei vestita?". Arricciai la bocca fingendomi stupita ed avanzai verso di lui.
- "Ho messo la prima cosa che ho trovato nell'armadio" replicai tranquilla. Afferrai la pochette argentata poggiata sul tavolino del salotto ed il cappotto sull'attaccapanni, ma Nick mi fermò la mano.
- "Inizierei a dubitare della mia memoria se non fossi assolutamente certo di averti detto di indossare roba casual stasera. - spiegò saputo - E sebbene qualcosa mi dica che tu abbia sentito bene e abbia deliberatamente scelto di ignorare le mie parole, oggi mi sento magnanimo e, prima che usciamo, ti rinnovo la raccomandazione di metterti una tuta e coprirti bene. Ti aspetto" concluse.
Lo fissai frastornata sciorinare tutto il discorso, ma non mi mossi da dietro il divano: non mi sarei fatta infinocchiare - di nuovo! - dalla sua parlantina: il mio povero cuore non avrebbe potuto reggere una prima pagina con scritto Samantha Grayson: lo stile, questo sconosciuto, dopo tutti i misfatti subiti.
- "Sto comoda così" provai a convincerlo, nonostante sembrasse assurdo persino alle mie orecchie il pensiero che il massimo del comfort per una donna fossero un paio di tacchi a spillo e un vestito svolazzante. Ideale per correre in caso di incendio, di tentativo di scippo o di stupro.
- "Morirai di freddo" mi ammonì.
- "Penso di sopravvivere" ribattei, un crescente ribollio di sangue nelle vene. Stavo cominciando ad irritarmi; se mai nella mia mente ci fosse stata in precedenza la minuscola speranza che lui volesse trascinarmi a quel party per espormi come trofeo, come prova che nulla e nessuno avrebbe mai potuto resistergli, - e se mi ero ridotta a desiderare di essere la sua donna oggetto, non ero di certo messa bene -, ora quel lumicino verde era scomparso sotto il peso della realtà: voleva umiliarmi, o, meglio, continuare a farlo come aveva fatto nei mesi prima.
Gli uomini non cambiano, avrebbe detto qualcuno e, d'altronde, come dargli torto: i vizi sono duri a morire, soprattutto quando hanno la forma di due chiappe decisamente dure.
- "Come vuoi. - lasciò perdere - Possiamo bere qualcosa prima di partire?". A quel punto le ipotesi erano due: o non c'era l'open bar alla festa e Nick stava cercando di puntare al risparmio, o il miserabile bastardo voleva farmi ubriacare, prima di mostrarmi alla stampa.
- "Acqua?" tentai di spiazzarlo, ma lui sorrise sornione ed annuì. Quell'assenso mi stupì e mascherai la mia indecisione e sorpresa allungando il passo verso la cucina, seguita da lui. Presi due bicchieri dall'armadietto accanto al frigo e mentre cominciavo a riempirli, squillò il telefono di casa. Poggiando la bottiglia sul tavolo, arrivai fino al salotto per prendere il cordless.
- "Pronto?". Il caratteristico suono continuo che indicava linea libera raggiunse il mio orecchio, provocandomi all'istante un'ondata di disappunto.
Senza mai rivolgerci la parola, bevemmo in silenzio e, imbacuccati nei nostri paltò, salimmo a bordo della macchina di Nick. Non avevo ancora deciso quale fosse l'atteggiamento più intelligente da mantenere: meglio fare la sostenuta oppure sciogliersi in complimenti e sorrisi alla vista degli altri invitati? Avrei improvvisato al momento, la mia specialità.
A mano a mano che Nick guidava sicuro e spigliato tra le vie ben note, una crescente stanchezza mi pesava sulle palpebre, causata probabilmente dalle poche ore di sonno che avevano caratterizzato gli ultimi tempi. Da quando il London Express e Music Magazine si erano spartiti lo scoop su Banks e Ralph J, il tempo per dormire e occuparsi di sé era drasticamente diminuito, lasciando ampio posto a interviste e altre inutili facezie che presto sarebbero finite nel dimenticatoio.
Potrei chiudere gli occhi finché non arriviamo alla fest...
 
Piuttosto buia come sala per party. Piuttosto tetra, fredda, nebulosa. Piuttosto... non era una sala per party. Era un cielo stellato, erano colline rischiarate dalla luna, era una colata ormai dissestata di asfalto grigio, era il frinito dei grilli nascosti tra i fili d'erba dei prati. Attraverso un parabrezza.
Dove cavolo sono?
Un'istintiva paura mi fece destare del tutto, mentre dei rumori che nulla avevano a che fare con la campagna provenivano dal retro dell'auto in cui ero imprigionata. Provai immediatamente ad aprire lo sportello della macchina, che era sempre quella su cui mi ero seduta qualche tempo prima, indefinibile, con Nick. La portiera si aprì subito ed io mi scapicollai fuori dall'abitacolo, un cattivo presagio che mi stava facendo temere il peggio. Che mi avessero rapita?
Così impari a farti sempre gli affari degli altri, stupida ficcanaso.
- "Sei sveglia, allora". La voce di Nick fece capolino dal portabagagli, spaventandomi tanto quanto la grossa chiave inglese che teneva in mano. Mi voleva forse uccidere? D'un tratto, l'ipotesi della donna oggetto non appariva tanto malvagia. La femminista che era in me quella sera sarebbe stata agilmente messa a tacere, di fronte all'eventualità di rimetterci le penne; dopotutto chi ero io per sovvertire l'ordine precostituito in duemila anni di storia?
- "Do-dove siamo?" biascicai, maledicendomi per aver scelto un paio di scarpe così inadatto alla corsa. A mia discolpa, dirò che non avevo idea che il pazzo maniaco che mi aveva rovinato gli ultimi mesi di esistenza avesse intenzione di rapirmi, farmi a pezzettini e lasciarmi in aperta campagna.
Nick sorrise e poggiò la chiave inglese in una borsone lasciato sulla strada. Si strofinò le mani in uno straccio che fece la stessa fine dell'arnese e mosse qualche passo verso di me. Si fermò all'altezza della portiera posteriore e l'aprì, mentre con un balzo rapido qualcosaatterrava sul cemento. La coda scodinzolante di Mister strusciò contro la carrozzeria dell'auto in modo confuso e frenetico, finché l'intero corpo si allontanò di qualche metro sulla strada per sgranchirsi le zampe.
Ero ufficialmente confusa: che ci facevamo nel bel mezzo del nulla con un cane, una chiave inglese ed un borsone? C'era da riconoscergli una certa vena creativa, se davvero voleva ridurmi in brandelli e abbandonare il mio cadavere nel fiumiciattolo che costeggiava la carreggiata.
Con le mani poggiate sul cofano, aggirai la parte anteriore della macchina, raggiungendo con un po' di difficoltà il terreno sterrato. La notte stava scendendo fredda e silenziosa, insieme alla paura di non uscire indenne da quella situazione. Gli occhi di Nick mi seguirono sempre più seri. Stritolai la stoffa del vestito che avevo rinchiuso tra i pugni e indietreggiai, guardandomi intorno per riuscire a vedere qualche via di fuga.
- "Ehi, Sammy! - mi chiamò - Che c'è che non va?".
Lo fissai stralunata, incredula della domanda.
- "Che c'è che non va? - ripetei con voce stridula. Se mi avesse fatto fuori quella sera, perlomeno sarei morta in pace con i miei pensieri. - Mi chiedi di uscire con te, mi fai credere di andare ad una festa e mi sveglio dopo non so quanto tempo in aperta campagna, soli io e te e il tuo cane, con quella chiave inglese formato Godzilla e un borsone sospetto! Sono io a chiederti che cosa c'è che non va in te!" urlai.
Nick richiuse lo sportello e mi raggiunse in un paio di falcate veloci. Era preoccupato e mi fissava con occhi smarriti, come se fosse stato lui quello ad essere ad un passo dalla dipartita finale! Mise entrambe le mani sulle mie braccia, mentre io cercavo di allontanarmi il più possibile da lui, incassandomi tra le spalle. Non poteva finire così, non potevo morire.
- "Ti prego, lasciami andare. - sussurrai sull'orlo del pianto – Ho solo ventiquattro anni, un Pulitzer da vincere e le Armadillo shoes da comprare; non che davvero intenda indossarle, devo averle perché Alexander McQueen era un genio e perciò credo che in un certo senso siamo affini... - Nick fece per aprire la bocca, ma lo bloccai. Ricevuto, non è il tempo per la presunzione. - E poi devo ancora imparare a cucinare, a stirare, a fare decentemente la lavatrice senza colorare di rosa la biancheria. Sono un disastro nel tenere in ordine la casa, lo so, però posso migliorare e sono certa di potercela fare. E non è vietato dalla legge uccidere qualcuno? La tua religione non te lo impedisce? Perché, sai, sono piuttosto convinta che il Cristianesimo non ammetta l'omicidio e nemmeno tutti quegli strani credo esotici... Induismo, Buddhismo e roba simile. Sull'Islam non sono molto ferrata, lo confesso e a questo punto credo che non conti. E comunque ci sono dei testimoni che sanno che sarei uscita con te stasera... Will, Will ad esempio! Porca miseria, Nick, è quasi Natale, e io amo il Natale; vuoi passare le feste e il resto della tua vita con il rimorso di avere ammazzato un essere umano? Vuoi essere una sottospecie di Grinch assassino? Per cosa, poi? Uno scoop del cavolo su un giornale? Almeno promettimi che non ucciderai Romeo..." piagnucolai, il respiro corto dopo la sfuriata.
- "Ad una condizione" disse serio.
Ecco. Non aveva detto ‘di che diavolo parli?’ oppure ‘non ho intenzione di martoriare il tuo corpo e gettarti nel fiume!’ o ancora ‘sei impazzita?’. Aveva accettato di trattare, di barattare la mia vita con chissà che cosa. Così sarebbe finita la triste e incompleta esistenza di una ragazza scozzese troppo ambiziosa.
Almeno avevo il vestito buono...
- "Cioè?" mi azzardai a domandare, la voce ridotta ad un fragile filo sottile. Con un gesto secco ed impetuoso di un braccio mi avvolse la vita e mi trascinò fino a cozzare contro il suo bacino.
- "Baciami" sussurrò e, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere, sigillò la mia bocca con la sua. Rimasi con le labbra serrate e gli occhi ben spalancati, in quella che non dubitavo essere una perfetta faccia da pesce lesso. Anche l'altro braccio mi circondò e la mano finì col posarsi sulla mia nuca, spingendomi ancor più verso di lui. Non gli permisi d'intrufolarsi nella mia bocca, di giocare con la mia lingua e confondermi le idee; aspettai che fosse lui a stancarsi di lottare contro le mie labbra e i miei denti, eretti limiti invalicabili di un accesso fisico e mentale che non ero pronta a concedere. Nick grugnì indispettito e si scostò da me, contrariato dalla mia mossa difensiva inaspettata. Ci fissammo in silenzio l'uno di fronte all'altra, le braccia di entrambi distese lungo i fianchi per non avere contatti inappropriati.
- "In questo modo mi obblighi ad ucciderti..." disse, rovinando l'imbarazzante quiete della campagna notturna.
- "L'hai fatto così tante volte moralmente che credo che non sarà più doloroso delle precedenti" scrollai le spalle e mi strinsi nel cappotto, insufficiente per contrastare il freddo gelido proveniente dai campi tutt'intorno.
- "Facciamola finita" esclamò serio. Mi prese per mano e, nonostante la mia diffidenza, mi lasciai condurre davanti al portabagagli dell'auto. Non avrebbe avuto senso cercare di divincolarsi, scappare, gridare. L'unica ancora di salvezza poteva essere un rospo che, baciato a dovere, si fosse trasformato in principe e mi avesse condotta al suo castello fatato.
L'ironia del destino voleva che quel pensiero infantile e fiabesco io lo avessi fatto più volte su Nick; ma di certo non si era mai sentito di un baldo e azzurro giovane passato al lato oscuro, nemmeno per merito di fantomatici biscottini.
Immagino ci sia sempre una prima volta.
Aprì il baule e in quel momento riuscii a notare che i sedili posteriori erano stati abbattuti e, nello spazio solitamente occupato da essi, troneggiava un materassino gonfiabile, di quelli da campeggio. Al di sopra, numerose coperte ed un piumone erano stati stesi sull'alcova improvvisato, illuminato da una piccola lanterna collocata tra due cuscini.
Guardai Nick sconvolta e senza parole, non capendo il senso di quell'allestimento campestre. Mi sorrise debolmente, invitandomi con un gesto della mano ad accomodarmi sulle trapunte.
Almeno morirò comoda.
Sollevai il vestito e mi sistemai sopra uno dei plaid e lui fece altrettanto sull'altro lato. Come diavolo aveva intenzione di farmi schiattare? Scartai l'ipotesi del gelo assassino nel momento in cui, con una certa fatica, chiuse dall'interno il portellone del bagagliaio.
Le mie scarpe non dovranno essere regalate a nessuno. Dovranno essere consegnate a mia sorella Lily, che porta il quaranta e non ha modo di calzare il mio trentotto.
- "Immagino ti stia chiedendo perché siamo qui..." cominciò Nick nervoso, sfregandosi una mano sul quadricipite e l'altra in mezzo ai capelli.
No, veramente sto facendo un testamento virtuale: dunque, lascio la mia adorata Birkin a... - breve ricognizione di amici e parenti - nessuno! Seppellitela con me.
- "Credo di doverti una spiegazione e, per essere il più chiaro possibile, temo di dover cominciare dall'inizio. - si schiarì la voce e si grattò la nuca nervosamente. - La prima volta che ti ho visto, ho capito che eri la persona perfetta per lasciarsi coinvolgere in una scommessa, di qualunque natura essa fosse stata. Eri spigliata con noi ragazzi, ma si capiva che molta della tua sicurezza derivava da una buona dose di alcool. Non ho pensato nemmeno per un attimo alle altre: ho voluto te sin dal primo momento... per la scommessa. - si affrettò a precisare. - Non immaginavo saresti stata così orgogliosa ed ostinata, persino nello scegliere l'oggetto del gioco. Forse tu non lo ricordi, ma mi hai lasciato a bocca aperta, proponendo di andare a letto con dieci uomini".
Questa era la parte che avrei volentieri saltato a piè pari.
 
And if you have a minute, why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
 
- "Credevi che avrei mollato?" chiesi, un po' intimorita dalla piega che stava assumendo la serata. Mi sentivo come in un prete in un confessionale, pronto ad accogliere le ammissioni di un peccatore. Un gran bel peccatore, in ogni caso.
Affido Romeo alle cure di Will Beckett, che dovrà rompere con Kay. Sono disposizioni testamentarie, rispettate le volontà della futura-e-probabile defunta!
- "Ero certo che avresti mollato. E invece sei andata da Ralph J, probabilmente l'ultimo uomo a cui pensavo ti saresti rivolta. Insomma, è davvero un cretino. - Allora avete qualcosa in comune, pensai, mentre lui ridacchiava tra sé – Poi sono venuto alla Tana del Grillo. Sono entrato con l'idea di farmi due risate, lo ammetto, ma sono uscito stravolto. Non avrei mai creduto che uno scricciolo maldestro come te sarebbe riuscito a farmi eccitare, soltanto cantando una canzone. Quella è stata la prima volta in cui mi sono accorto di volerti... fisicamente, almeno. Vorrei poter dire di essere tornato a casa con la coda tra le gambe, ma la verità è che c'era qualcos'altro al posto della coda. Ho passato l'intera notte ad immaginarti nuda sul tavolo della mia cucina".
Arrossii all'istante, nonostante fossi lusingata dai pensieri sconci che Nick aveva avuto su di me. Lui guardava fuori dal finestrino, forse maledicendosi per essersi lasciato scappare troppe rivelazioni, forse cercando di sfuggire all'imbarazzo palpabile tra noi. Non mi sentii di dire nulla; sapevo che qualsiasi cosa fosse uscita dalla mia bocca, avrebbe finito col rendermi ancora più nervosa o, peggio, ridicola. Abbassai lo sguardo e aspettai che fosse lui a continuare a parlare.
- "Le cose, poi, non sono certo migliorate; mi hai trascinato con te in quella specie di fuga con la macchina e mi hai costretto a dormire con te. Non avevo mai dormito accanto ad una donna senza averci combinato qualcosa. Mi hai svegliato nel cuore della notte ed ero convinto che mi stessi chiamando, ma in realtà dormivi. Hai mugugnato un paio di volte il mio nome e ti contorcevi, ti sei spalmata addosso a me per qualche minuto, prima di rigirarti. In quel momento ho realizzato che non mi bastava... volevo sentire il mio nome scivolare dalle tue labbra in quel modo un altro milione di volte".
Lascio il mio Pulitzer postumo - perché so che arriverà - al mio nipotino Alex, perché si ricordi sempre che zia assolutamente fantastica avesse.
...un attimo: cosa aveva appena detto? Mi ripetei mentalmente quell'ultima frase e diventai più rossa di un peperone vestito da pomodoro, con capelli di papavero e piedi di ciliegie. Non ero abituata a delle affermazioni così plateali e fuori dai denti, soprattutto se pronunciate con la stessa tranquillità con cui un essere umano normale discorrerebbe del tempo. Inoltre, ricordavo perfettamente il sogno che avevo fatto quella sera, più o meno nello stesso punto in cui mi trovavo ora, addormentata nel fuoristrada del signor MacCord.
- "Poi siamo andati al White Lizard con Will ed indossavi quel vestitino ridicolmente corto... piuttosto di vederti spogliata con gli occhi, mi sono preso l'influenza. Quello non era proprio il modo in cui ti avrei voluto nel mio letto, ma per il momento me lo sarei fatto bastare. Il problema è che non mi bastava".
E, infine, lascio il mio meraviglioso corpo alla scienza, perché nessuno si ritrovi più a soffrire ciò che ho patito io. Niente più tette piccole, amiche!
- "La notte in cui ti ho trovato davanti alla mia porta, ho creduto che fosse la sera perfetta. Sono entrato in bagno e stavi cercando di toglierti il vestito zuppo d'acqua bollente e... non ci ho capito più niente. Mi sono detto che una volta non mi avrebbe cambiato la vita, che, anzi, farlo con te mi avrebbe tolto lo sfizio o il desiderio di averti. Ho tentato in tutti i modi di trattenermi, di ripetermi che non potevo lasciarmi trasportare troppo, perché non mi potevo permettere nient'altro che una scopata, al momento. L'inchiesta su Banks aveva la priorità ed era pericoloso trascinare qualcun altro in questa storia; ma se non mi avessi fermato tu, ti avrei raccontato tutto, ne sono certo".
- "Avevi paura?" lo aiutai.
Nick mi guardò negli occhi e aggirò abilmente la domanda, una evidente minaccia per la sua virilità.
- "Ti hanno quasi strozzato perché pensavano che stessi ricattando Sam e mi hanno coinvolto in un incidente stradale per assicurarsi che non fossi uno smidollato... ho ritenuto fosse meglio non tirare la corda con gente di quel tipo".
Collegai immediatamente l'episodio citato che lo riguardava: lo squillo del cellulare nel bel mezzo della notte, la corsa in ospedale e il braccio rotto. Quello che non sapevo - e che mai prima d'ora avevo sospettato - era che dietro a quell'avvenimento ci fosse ancora una volta Sam1.
- "Ora arriva la parte difficile. - annunciò Nick esitante, fissando alternativamente il mio viso ed un punto indefinito nel buio oltre le mie spalle. - Mi sono sentito una merda, quando sono venuto a casa tua a Glasgow; né tu né tua zia e tanto meno la tua famiglia meritavate un comportamento simile. Non ne vado fiero, ma purtroppo è successo e non posso cancellare quello che è stato. Non proverò nemmeno a giustificarmi, però avrei potuto andare in Scozia in qualsiasi periodo dell'anno, eppure ho scelto quei giorni, perché sapevo che avevi bisogno di un amico, con Will dall'altra parte del mondo. Perciò, mi dispiace. - disse incerto - Ma credo dovresti scusarti anche tu".
Alzai un sopracciglio, presa in contropiede. Per quale ragione avrei dovuto chiedere perdono? Soprattutto a lui!
- "Io?".
- "Sì, per avermi detto di essere innamorata di me urlandomi in faccia, su quel marciapiede di fronte al Pumpinkg Pumpkin. Ero sotto shock. Sei talmente orgogliosa che non mi aspettavo trovassi il coraggio di ammetterlo, così presto poi... hai messo a dura prova il mio autocontrollo, avrei tanto voluto dirti qualcos'altro ma, di nuovo, non potevo. Ho dato un calcio ad una lattina e sono tornato a casa incazzato".
Qualcos'altro?
- "Te ne stavi lì davanti a me a gridare la tua delusione ed io non potevo farci nulla, nonostante l'ultima cosa che desiderassi fare fosse rifiutarti. - si mordicchiò un labbro e fece una pausa -Se non vuoi restare, se non vuoi più ascoltarmi, se non vuoi... me, - tentennò - basta che tu lo dica ed io ti riporterò subito a casa. Non ne parlerò più e ti lascerò in pace. Ma ho voluto provarci, ho dovuto provarci, qui, perché è in questo fuoristrada e in questo posto sperduto che ho capito che mi avevi fregato. Con tutte le scarpe".
Avrei tanto voluto negare, classificare quell'episodio davanti al Pumping Pumpkin come il frutto di uno smarrimento temporaneo, ma quel sentimento c'era ancora, non sopito come avevo voluto ingannarmi che fosse, ma in ogni centimetro di pelle, invadente e inarrestabile come un fiume in piena.
Se si fosse avvicinato di più, avrei creduto alle sue parole. Avrei ceduto alle sue parole. Respirai a fondo e fui sincera.
- "Se fossi più forte, te la farei pagare. Se avessi più determinazione, non sarei nemmeno qui. Se volessi più bene a me stessa, non avrei perso mesi dietro a te. La cosa più razionale da fare sarebbe chiederti di riportarmi a casa, subito, infilarmi il pigiama, andare a dormire ed alzarmi domani come se fosse di nuovo agosto ed io non avessi mai messo piede in quello strip-club. Ma il nevischio fuori dal finestrino mi ricorda che siamo a dicembre e che non posso negare ciò che è stato. E non riesco a fingere di non morire dalla voglia di baciarti. - Nick abbozzò un sorriso compiaciuto. - Spezzami di nuovo il cuore ed io ti spezzo una gamba, intesi?".
- "Non succederà" si affrettò a dire.
- "Sono dannatamente seria. - ribadii, minacciandolo con un indice puntato sul suo naso. - Un altro giochetto dei tuoi e mi divertirò ad estrarti un dente alla volta con una pinzetta".
- "Non sono perfetto, Sam. - Come se ci fosse bisogno di precisarlo... - Sono terribilmente ordinato, morbosamente attaccato al lavoro e vagamente ossessionato dallo sport in tv, ma la verità è che non vedo l'ora di trovare Romeo spaparanzato sul letto, d'inciampare nelle tue scarpe sparse sul pavimento e dividere un'altra inchiesta con te".
D'accordo, quest'ultima era una balla gigantesca.
- "Bugiardo" lo accusai e lui ridacchiò, colto in flagrante.
- "Okay, forse quello meglio di no. Non dovrei prometterti qualcosa che so già di non poter mantenere, perciò ecco una cosa che non farò: sbaciucchiamenti ed esternazioni affettuose in pubblico; non m'importa di dimostrare al mondo che siamo innamorati persi... conta solo ciò che pensiamo noi. Però, ti coccolerei e accetterei qualsiasi nomignolo imbarazzante tu volessi affibbiarmi. Guarderei infinite volte Sweet November con te e ti comprerei scorte industriali di caramelle e patatine per quel periodo del mese".
- "Sei sicuro?" lo sfidai, aspettando nient'altro che ritrovarmelo addosso.
- "Mi ruberai le coperte, mi trascinerai a comprare scarpe giorno sì e giorno no e ti dimenticherai di fare la spesa o i conti a fine mese?".
- "Sempre. La mia missione sarà renderti la vita un inferno" affermai sicura, anche di certezze, al momento, ne avevo ben poche.
Mi sdraiai completamente accanto a lui, in una posizione speculare alla sua: puntellati sul gomito a reggere la testa, ci guardavamo negli occhi, io in attesa di una risposta e lui nella perfida intenzione di farmela agognare il più possibile.
- "Allora sì" disse serio.
Non mi diede il tempo di ribattere, gettandosi con foga sulla mia bocca, schiusa dalla sorpresa. Stavolta non opposi resistenza e mi lasciai torturare le labbra dalle sue, carnose e morbide. Ebbi un moto di stizza, realizzando che non mi ricordavo come fosse baciarlo. Il suo sapore di menta nella mia bocca fece sparire angosce, liti e incomprensioni degli ultimi mesi; giocò con la mia lingua e non riuscii ad impedirmi di ridere sul suo viso, quando capii che non sarei più riuscita a fare a meno di quelle carezze e di quei dispetti.
Gli slacciai i cappotto e lui fece altrettanto con il mio, mentre aprivo la piccola cerniera delle scarpe per poggiarle sul sedile anteriore, al sicuro. Sciolsi i capelli dall'acconciatura che mi stava tirando i capelli e lasciai che ricadessero in disordine sul cuscino, mentre mi sdraiavo sopra le coperte. Mi abbassò gli spallini del vestito e mi costrinse ad alzarmi per sfilarlo, asserendo che lo stesse facendo solo per non sciuparlo. Rimase stupito nel constatare che non indossavo il reggiseno, ma la cosa sembrò infastidirlo, perché non c'è cosa più eccitante e provocante dello spogliarsi piano, scoprirsi mano a mano.
Mi baciò il seno e i capezzoli reagirono immediatamente, sotto il suo tocco delicato, ma deciso. M'irrigidii d'istinto, quando le sue mani si spostarono più in basso, verso l'inguine. Pensai di morire per la terza volta in poche settimane, sebbene in modo molto diverso dalle precedenti, perché Nick era in grado di farmi promettere e dire qualsiasi cosa, con le sue dita sulla mia pelle.
Prese uno dei cuscini quadrati parsi sulle trapunte e mi sollevò i fianchi, per posizionarlo sotto di me, all'altezza della zona lombare, in un gesto che avrebbe dovuto semplicemente agevolargli le manovre, ma che non fece altro che accendermi all'idea di poter sbirciare quello che aveva intenzione di fare. Spostò di lato le mie mutandine e si chinò tra le mie gambe, passando leggero l'indice e il medio sulla fessura tra le mie cosce. La schiuse e fece scivolare le dita all'interno; le mosse con delicatezza avanti e indietro e aggiunse l'anulare, quando si accorse che mi stavo rilassando. Le sfilò e si passò le dita in bocca; quel gesto mi fece arrossire fino ai capelli, perché era qualcosa di così eroticamente intimo che mi risultò impossibile rimanere indifferente. Nick rise del mio imbarazzo e s'intrufolò nuovamente tra le mie gambe, ma questa volta non concesse tregue o pause; baciò l'interno coscia, dal ginocchio in giù, e le dita lasciarono il posto alla sua bocca e alla lingua nello stuzzicarmi lì dove la carne è più morbida e sensibile.
Inarcai la schiena e strinsi tra le dita il lenzuolo, così come prima avevo fatto con il vestito, nel tentativo di scappare. Ma ora non avevo alcuna intenzione di muovermi da quel punto.
Al contrario, ero impaziente di affrettare le cose, di arrivare al dunque, perché per quanto potesse essere gratificante - e lo era parecchio - avere la sua testa tra le gambe, quando hai desiderato tanto a lungo una persona, non vedi l'ora di sentirlo addosso, sulla pelle, dentro di te. Si dovrebbe essere più parsimoniosi, più controllati, vivere e godere di ogni istante, senza bruciare momenti preziosi. Ma il problema è che ci illudiamo di avere tempo, di poterlo fare il giorno dopo, la volta dopo, quando ce ne ricorderemo. Era Nick il ragazzo sopra di me, l'incarnazione di pensieri proibiti e sogni sconci da sei mesi e non avevo davvero né la voglia né il tempo di fermarmi, di fermarlo. E forse non sarebbero state nemmeno necessarie altre occasioni per fissare nella memoria cosa volesse dire fare l'amore con lui: ero terribilmente brava a ricordare le cose piacevoli.
Percorse il mio corpo con le mani lungo la pancia, il seno ed infine il collo, dove fece leva per sollevarmi e farmi sedere. Cercò la mia bocca, mentre io trafficavo per sganciargli la cintura dei pantaloni ed aiutarlo a toglierseli il più rapidamente possibile. Si levò in un gesto solo calzoni e boxer, rimanendo nudo ed eccitato davanti a me. Strappò con i denti la carta argentata di quello che riconobbi essere un preservativo, ma non riuscì a fare nient'altro, dal momento che lo rubai dalle sue mani, offrendomi di metterglielo soltanto per poterlo toccare. Nick mi guardò incuriosito srotolare il profilattico sul suo membro, attratto dai miei movimenti su di lui e dalla mia neonata intraprendenza.
- "Non voglio sapere perché sei tanto esperta e rapida..." ridacchiò. Cercò di apparire divertito, però era evidente che la sua osservazione, in realtà, fosse da leggere ed interpretare con un non di meno. La verità era che quella era la prima volta in cui lo facevo: era un mestiere da uomini - non ci vuole mica una laurea! Non a caso ho detto da uomini... -, ma con Nick era tutto diverso. Io ero diversa: non era solo un piacere reciproco toccarsi, ma una necessità ed ero pronta ad afferrare al volo qualsiasi occasione per farlo.
Non risposi deliberatamente alla provocazione e cercai di abbindolarlo, strofinando la guancia sulla sua barba di qualche giorno che minuti prima aveva solleticato l'interno coscia. Si sdraiò su di me, puntellandosi con le ginocchia esterne alle mie gambe e le braccia ai lati della mia testa. Mi costrinsi a guardarlo dritto negli occhi e trattenni il fiato finché non lo sentii scivolare piano dentro di me e cominciare a muoversi a ritmo, poggiandosi ora sui gomiti, una mano stretta nei miei capelli.
 
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?
 
Il suo bacino schiacciato sul mio, la sua bocca a raccogliere improperi, speranze, paure, banali farneticazioni mentali e reali. Succhiò, leccò e fece suo tutto ciò che trovò sulle mie labbra, beandosi dei miei sproloqui e delle parole senza senso.
Raggiungemmo l'apice insieme, seduti sulle coperte, petto contro petto, dolorosamente incastrati per via della posizione scomoda. Solo dopo qualche minuto di silenzio, rotto solo da qualche morso scherzoso o da risolini ebeti, cominciai ad aver freddo. Molto freddo. E non era a causa di quei pericolosi vuoti che sentivo sempre nel post sesso - perché, quella era una delle rare volte in cui mi sentivo soddisfatta e basta, senza ripensamenti o dubbi -, ma era comunque dicembre e noi eravamo nudi in un fuoristrada dai vetri appannati nel mezzo del nulla. Era il posto più disagevole in cui avessi mai fatto l'amore; era tetro, gelido e inospitale... perfetto. Una stanza d'hotel a cinque stelle full optional ai Caraibi non sarebbe stata altrettanto bella. Quella carreggiata desolata, circondata da prati sterminati e qualche sporadica casa era e sarebbe stata solo nostra.
Beh, nostra e della società che gestisce le strade.
- "Sarà meglio rivestirsi, Sammy. - Allungò la mano al borsone sul sedile del guidatore e ne trasse due pesanti felpe - Sapevo che non ti saresti mai portata una tuta".
Mi aiutò ad indossare quella più piccola e poi s'infilò l'altra.
- "Eri così sicuro di riuscire a portarmi a letto e di farmi dormire con te?" lo guardai, sinceramente incuriosita dalla risposta alla mia domanda.
- "Ci speravo" ammise sorridente, allungandosi nuovamente all'indietro per afferrare una confezione di salviettine umidificate dal portaoggetti. Ci pulimmo come potemmo e, dopo aver indossato un paio di pantaloni felpati e uno di calze antiscivolo - se n'era ricordato! - m'infilai sotto i numerosi strati di coperte.
Nick si allontanò solo per aprire la portiera anteriore e far salire Mister, il cui ruolo in tutta la faccenda ancora mi sfuggiva. Il cane si accucciò sul sedile e il suo padrone fece scattare la chiusura centralizzata dell'auto. Poi, si sdraiò accanto a me e mi abbracciò da dietro. Mi girai sul fianco per dormire, ma il braccio di Nick ricadde pesantemente sul mio fianco e il suo corpo a ridosso del mio, il respiro sulla nuca.
- "Che fai? - mi lamentai - Non riesco a dormire, se ti ho così vicino. M'infastidisci".
- "Mi hai avuto dentro di te finora... e comunque ti sto proteggendo da eventuali aggressori esterni". D'un tratto capii: la funzione del suo cane era quella di controllare la zona. Credeva davvero che potesse passare qualcuno - oltre a noi - in quella stradina?
- "Pensavo che quel compito spettasse a Mister".
Nick mi guardò sospettoso.
- "Non c'è da fidarsi molto di quello".
- "Senti chi parla...".
 
Aprii gli occhi quando la luce del sole del mattino mi colpì il viso. Avevo un mal di schiena terribile ed ero più o meno nella stessa posizione in cui mi ero addormentata. Mi voltai verso Nick e lo trovai intento a stropicciarsi le palpebre con il dorso della mano.
- "Non dirmi che mi stavi guardando mentre dormivo" dissi, la voce un po' impastata.
- "Veramente mi hai appena dato una gomitata e mi hai svegliato" si giustificò, tirandosi le coperte fino al mento.
- "Vuoi essere il mio regalo di Natale?" gli domandai a bruciapelo.
Lui girò la testa verso di me, bellissimo persino mentre imprecava per il collo bloccato.
- "Così mi offendi".
Sorrisi e gli lasciai un bacio sul naso.
- "Meno male. Prova sdolcinatezza superata".
- "Sono il regalo di Natale e compleanno, almeno".
Avrei dovuto sapere che mi avrebbe fregata, ancora una volta. Mi attirò a sé e decise di essere troppo stanco per mettersi subito in marcia verso Londra. Gli proposi di guidare io, ma per qualche strana ragione, rifiutò la mia offerta.
Dormimmo ancora un paio d'ore, dandoci fastidio e calci a vicenda per il solo gusto di provocarci e trovare un modo creativo per chiederci scusa. Il viaggio di ritorno fu quanto di più lento ci potesse essere: ci furono delle tappe intermedie per mangiare e bere - Nick si era portato mezza credenza in quell'auto -, pipì, e testare i sedili anteriori reclinati. Quando arrivammo sotto casa mia, avrei tanto voluto trascinarlo fino al mio appartamento, ma purtroppo doveva andare via, dalla cara nonna Inge che mai come allora mi sembrò una nazista fatta e finita.
Scesi dall'auto e mi avvicinai al finestrino abbassato per un ultimo saluto.
- "Prima che tu vada, devo darti una cosa. - mi disse, sorridendo. Sollevò il sedere dal sedile e frugò nella tasca dei pantaloni. Non appena vidi un pezzettino di carta, uguale agli altri nove precedenti, mi feci seria - È giusto che finiamo quel che abbiamo cominciato".
Mi diede un bacio veloce sulla bocca e se ne andò, senza attendere risposta.
Non era cambiato. Una notte di sesso non lo aveva trasformato in un ragazzo serio, in un fidanzato serio; mi stava spingendo nelle braccia di un altro, in teoria per l'ultima volta, in pratica... chissà.
Dove non può l'amore, può orgoglio.
Rimasi con il fogliettino in mano sul bordo della strada, il vestito da sera che accarezzava l'asfalto e il mio umore a fargli compagnia, sotto un paio di sottili tacchi a spillo.
 
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?
 
 
 
Ci siamo. Innanzitutto, ricordatevi che mi volete bene, perciò nessun istinto omicida nei miei confronti. Secondo: manca un capitolo, perciò calma. Terzo: sono in ritardo, ma purtroppo capita che mi ricordi di avere degli esami da fare e quindi il tempo per scrivere scarseggia.
Stasera, anzi stanotte, visto che il capitolo è un papiro, sarò breve.
La canzone del titolo è "Somewhere only we know" dei Keane.
C'era qualcuno che si era focalizzato sul famoso rumore metallico del post dichiarazione di Sam: come ho detto, non era rilevante, ma il mistero della lattina è svelato.
Ringrazio di essere arrivati fin qui, ringrazio quella santa donna di Nessie che ha betato, nonostante i casini e le vedove.
Grazie come sempre delle recensioni, provvedo a rispondere!
Siamo al 30 di gennaio e io vi auguro buon 2012.
Baci,
S.
   
 
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