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Autore: Kuroi    02/02/2012    4 recensioni
Un cielo di notte, quello rosa, coperto e striato.
La Spenta, un Ragazzo coi denti storti, una Bambina con la cravatta gialla e un Maggiordomo vestito d'organza.
E anche se questa piccola storia non è un giallo, il colpevole è sempre lui, il maggiordomo.
Ma solo lui?
"Spolverò il comò che troneggiava grasso nel corridoio, vedendo controluce la polvere danzare divertita." Dedicata a chi ama il caffè.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una storia nuova nuova,
forse un po’ triste, forse solo consapevole.
A chiunque si avventuri, grazie… E Buona lettura!

 

Involucro

Era affascinata dal cielo di notte, quello rosa, coperto, striato.
E quella sera pioveva a dirotto: ne fu felice. La Spenta ne fu felice.
Il tramonto stava risucchiando inosservato una giornata angustiata da sensi di colpa e di inettitudine.

Un altro giorno. Sono sopravvissuta anche oggi. Pensò. 

Spolverò il comò che troneggiava grasso nel corridoio, vedendo controluce la polvere danzare divertita. 

Non. Sono. Capace. 

Spolverò più forte. 

Sono. Una. Fallita. 

Cadde il primo soprammobile finto e indesiderato. 

Merito. Solo. Il. Peggio.

Il centrino ingrigito trascinò giù nella rupe un vasetto di coccio colorato e un posacenere d’argento, mai utilizzato. 

Con rabbia, iniziò a calpestare tutto quel ciarpame, grugnendo più che urlando. Poi iniziò a strepitare, agitando le braccia, come un’ossessa. 
Sono. Pure. Pazza. Farfugliò, con risatina degenere.
La gola iniziò a far male, tanto cercava di sopprimere –male- quei latrati.
Molle e debole, come un biscotto rimasto nel tè bollente per troppo tempo. 

Andò ad aprire la porta. Era sicura che loro fossero là. 

Un uomo vestito d’organza, maggiordomo silenzioso e raffinato.
Una bambina con la cravatta gialla.
Un ragazzo coi denti storti e gli occhi blu. 

Entrate.

L’avrebbero fatto comunque. 

La bambina con la cravatta gialla andò in cucina a prendere una piccola scopa munita di paletta. Rassettò il corridoio lastricato di vergogna e se ne stava lì, buona buona, riavviandosi la cravatta come una sciarpa, per non farla strusciare per terra.
Il ragazzo invece abbracciò La Spenta. Le regalò una penna con l’inchiostro verde e spiritoso.

Dobbiamo parlare. Mugugnò serio. La Spenta ne fu atterrita. 

Il maggiordomo preparò in un baleno dell’ottimo caffè americano. Lo pose in una bella brocca smaltata e in un vassoio depose quattro tazze dipinte di fiori e paranoie. Il centrino finì in una bacinella con dello sbiancante: la bambina sapeva che solo l’uomo vestito d’organza gli avrebbe ridonato l’antico splendore.

“Hai passato nuovamente la tua giornata a farti del male, vero?”
Il ragazzo coi denti storti lo sussurrò, sibillino.

“Non piangere più…” Continuò, affranto. 

“Non ho più lacrime, sai?” Aveva il colore di un’affermazione travestita da domanda arrochita. 

“Lo dicono tutti, ma non è vero per nessuno. Non piangere più! Non farlo!” 

La Spenta annuì, debole come uno scroscio di nevischio, impercettibile.
“Te lo prometto.”

 “Sei così triste e rassegnata da far venire voglia a chiunque ti veda di stringerti ed amarti, senza il coraggio di saperne il motivo.” 

La bambina prese una tazza di ceramica, che mostrava imperiosa immagini di cartoni animati degli anni novanta. La carezzò, con fine delicatezza e poi s’arrabbiò: non si intonava affatto alla sua cravatta. Imprecò con un grugnito malmesso, poi sorrise e si scusò.
Il maggiordomo ridacchiò, versando caffè nelle altre tazze. Aspettò che tutti fossero comodi nel divano e si sedette anche lui, osservando gli altri sorseggiare la bevanda nera.
“È caldo, e buono.” La Spenta lo disse di tutto cuore, trovando tutti d’accordo con lei. 

I denti storti del ragazzo sussultarono al calore del caffè. Mangiò del ghiaccio per spegnere il dolore e fissò con amore la bambina e il maggiordomo.
Quest’ultimo prese la parola, schiarendosi prima la voce, percorrendo il giro di do. Al sol settima iniziò a parlare. “Amica, verremo a trovarti sempre, ma dobbiamo capire se lo vuoi davvero.” 

“No.”
E tutti se ne stupirono.

“No?” Replicò la bambina, scolando le ultime gocce e facendo cicalare la tazza sul tavolino di vetro opaco.

 “No.” La Spenta era decisa. Ma distrutta.
“Sono un abominio, ma non una vittima! Andate via!” Urlò. “Sparite, non voglio la vostra pietà! Faccio schifo, lo so, sono un involucro di melma bastarda! Non sprecate il vostro tempo con me! Non ve l’ho mai chiesto! Sparite! Sparite dalla mia vista! Fuori di qui, fuori!” 

“Andiamo.” Il maggiordomo buttò tutto giù dal tavolino e le tazze e la caraffa si ruppero malamente. Riusciva comunque a emanare fastidiosa compostezza, nonostante il momento poco elegante.
La Spenta iniziò a provare a piangere, ma il dolore era troppo e non usciva dai suoi occhi la minima lacrima. Niente. 

Niente. 

L’organza dell’abito dell’uomo tintinnò, soffocata.
La bambina si ribellò, in ansia, stringendosi la cravatta al collo come per ricomporsi e soffocarsi. 

“No! Non capisci che chiederci d’andar via è la più grande prova di volerci qui, con lei?” 

“È vero,” aggiunse il ragazzo, “cosa ti prende? Dai di matto? Abbracciamola e facciamola finita.” 

Il maggiordomo rise sguaiato e istigatore.
“Fate come volete, giovinastri. Ma imparerete presto ad andarvene, ve lo assicuro. Poi, il caffè. È ora che impariate a farvelo da soli.”
Sbatté la porta e tutti rimasero a bocca aperta, terrorizzati da tanta malvagia saggezza di adulto.

La Spenta iniziò a pulire, con un secchio blu e uno straccio biancastro.
Passarono i minuti seguenti a scuotere il capo, non sapendo cosa dire.

“Che condanna tremenda, questo silenzio.” La Spenta lo pensò greve. 

Ad un certo punto [sembravano passati anni] la bambina schioccò al ragazzo uno sguardo di spergiurata intesa. In tutta risposta, lui fece risplendere i dentini storti. 

Si alzarono e andarono verso la porta.

Chiusero a chiave e guardarono la padrona di casa, catatonica sul divano. 

“Tieni la chiave, così saprai che non andremo via.”

La Spenta sorrise, poco convinta. Poggiò la chiave che le avevano teso sul tavolino di vetro opaco e notò che risplendeva come ottone svigorito.
Apprezzò commossa la loro voglia di esserci, anche se sapeva che sarebbero cresciuti anche loro, molto presto.
Si accese una sigaretta e la bambina e il ragazzo le fecero compagnia.

Trovò la nicotina assassina e affascinante.

Usarono tutti e tre l’intonso posacenere d’argento e canzonarono lo sventurato oggetto per il resto della serata.

 

***

Grazie con tutto il cuore a chiunque sia giunto sin qui.
Fiori, caffè e gioia a voi.
Kuroi

  
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