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Autore: KiaeAlterEgo    12/09/2006    3 recensioni
Scusate per il titolo poco originale... Una principessa vive tranquillamente a palazzo quando la sua vita viene sconvolta dall'annuncio del suo matrimonio...
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scusata, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate, scusate...

Ho avuto un po’ di cose da fare in questo periodo e sono in un terribile ritardo con l’aggiornamento...

Spero di farmi perdonare inserendo due capitoli anziché uno!

Quindi, di seguito, ecco a voi il capitolo diciannove e venti!

 

 

 

CAPITOLO XIX

In cui Jandel è costretta a scappare con Angelo

Quel giorno a scuola la professoressa entrò in classe con uno strano sguardo che fece preoccupare i due ragazzi e facendo scambiare loro un’occhiata interrogativa. Con uno strano tono acuto la donna chiamò Angelo e Jandel alla cattedra. Troppo tardi la ragazza si accorse del nastro con le scritte rosse: la professoressa aveva estratto una lama magica e aveva colpito Angelo al fianco, ignaro. Il ragazzo si portò le mani sulla ferita e cadde in ginocchio. Le ragazze urlarono. Giulia si alzò immediatamente per aiutare il fratello ma la falsa professoressa fece comparire una frusta nella mano libera e la colpì, facendola cadere e svenire. I ragazzi erano terrorizzati e non si mossero dal loro posto. Jandel si inginocchiò accanto ad Angelo. Il ragazzo, con le mani ancora sulla ferita, sorrideva in uno dei suoi odiosi sorrisi beffardi, gli occhi coperti dai capelli. La ragazza si chiese come faceva a sorridere. La donna annunciò alla classe terrorizzata: «Questi due, miei cari ragazzi, sono due schifosi ibridi». Con la punta della lama magica sollevò il viso di Angelo, che cercò di divincolarsi, ma sembrava non riuscisse più a muoversi. Era come paralizzato, l’unica cosa che si muovevano erano gli occhi. La donna si avvicinò alla sua bocca e iniziò ad aspirare. Qualcosa usciva dalla bocca del ragazzo e finiva in quella della donna, una sostanza trasparente e della consistenza simile all’acqua. Il ragazzo perdeva le forze a vista d’occhio e impallidiva. Jandel aveva capitò subito che la falsa professoressa gli stava succhiando il potere magico. Mentre la donna era distratta, Jandel creò una sfera magica di energia e la lanciò violentemente contro il ventre della donna, con una forza che neanche lei conosceva. Quella cadde all’indietro ed andò a sbattere sulla parete, rimanendo inerte. Angelo era visibilmente allo stremo delle forze, non riusciva neanche a celare le sue ali, ora visibili agli occhi stupiti degli studenti. Incurante dei suoi compagni, Jandel andò verso la donna inerte e ruppe lo strano nastro nero attorno al collo. Di conseguenza la marionetta si dissolse e il potere che aveva sottratto ad Angelo galleggiò lento nell’aria. Qualcuno nella classe urlò: «Non ho mai visto un potere così grande!» Un altro gli fece eco: «Prendiamolo!» Ci fu un grande rumore quando tutte le sedie vennero strusciate per permettere ai ragazzi si alzarsi e correre verso la strana bolla galleggiante. Jandel capì di doverla difendere. Si frappose tra la bolla e i suoi compagni, ma quelli cercarono di spostarla, facendola cadere. Quando perse l’equilibrio, una ciocca dei suoi capelli lunghi sfiorò la bolla. Tutti si fermarono: la ragazza venne colpita alla schiena dalla bolla, che entrò nel suo corpo. Ora, senza volerlo, aveva assorbito parte del potere del ragazzo e non sapeva come restituirlo. Tutti la guardavano attoniti: non se ne era accorta: le sue ali si erano rese visibili, aprendosi in modo spettacolare. Le reazioni furono immediate: «Due ibridi nella nostra classe!- Non dire sciocchezze, gli ibridi non esistono- presto, scappate!- Giulia, tuo fratello sta male!» Jandel si voltò verso Angelo, si alzò e lo raggiunse. La ferita era molto strana. Non sapeva cosa fare per aiutarlo. Avrebbe dovuto restituirgli il suo potere, prima di tutto, ma non conosceva il modo. Cercò di svegliarlo, scrollandogli le spalle, mentre la classe era discordante. Lui aprì gli occhi e gli fece un segno, come ad avvicinarsi. Lei si chinò su di lui e Angelo riuscì a mormorargli quel che doveva fare. Non molto sicura su quel che stava compiendo: poggiò una mano sulla ferita, come per coprirla e sussurrò le parole che le aveva detto il ragazzo. Sentendo dentro di sé i due poteri magici, il suo e quello di Angelo, operò l’incantesimo a lei sconosciuto ma sapendo inconsapevolmente che lo stava eseguendo correttamente. Sotto i suoi occhi la ferita si rimarginò e il ragazzo sembrò recuperare le forze. Si alzò in piedi senza fatica e le afferrò un polso, trascinandola via dalla classe. Tra i loro compagni c’erano alcuni che disprezzavano i semiangeli, altri che ne negavano l’esistenza e altri ancora che consideravano i pregiudizi delle barbarie senza senso. Questi ultimi cercavano di persuadere i primi a non far del male ai due ragazzi, che intanto avevano raggiunto il cortile. Jandel si bloccò: «Perché sei stato sopraffatto così facilmente?» La ragazza formulò la domanda che le premeva la mente da quando Angelo era stato colpito. Lui si fermò e si voltò: «Primo, io non sono invincibile. Secondo, quella era una spada magica: mi ha colpito iniettandomi del veleno che paralizzava e prosciugava velocemente le forze. Questo era un attacco pianificato, non un gruppo di ricercatori allo sbaraglio. Dobbiamo scappare, muoviti!» Ma la ragazza non si mosse. Aveva ancora una domanda che la assillava ma temeva la risposta, senza sapere il perché. Lui era irritato e si voltò: «Ma non ti rendi conto che siamo in pericolo? Secondo te perché abbiamo nascosto la nostra vera natura agli occhi di tutti? I pregiudizi contro di noi sono ancora vivi e di sicuro ci consegneranno ai Cacciatori!» Lei tuttavia non si mosse: «Io ho il tuo potere magico in me». Lui la guardò intensamente: «Lo so. Ma non c’è il tempo per rimettere le cose a posto, adesso dobbiamo andare». Lei iniziò ad incamminarsi esitante: non riusciva ancora a fidarsi completamente di lui. Improvvisamente dalle porte del castello si iniziò a scorgere un esercito che stava raggiungendo la fortezza. Il suono che annunciava l’intervallo rumoreggiò sul silenzio attonito del castello. Le classi che non avevano finestre che si affacciavano su quel lato del cortile si riversarono nello spazio, ma scorgendo i due ragazzi con le ali ancora visibili, si sistemarono timorosi attorno a loro, lasciando un’area libera che li circondasse. Lo strano esercito avanzava verso di loro. File di uomini avanzavano in formazioni compatte, seguiti da cavalli che trainavano terribili armi sputafuoco. Gli stendardi portavano il vessillo del ducato d’Alfan. Tutti si chiedevano che senso aveva per un esercito attaccare una scuola piena di studenti indifesi. Il corpo insegnati, comunque, sotto volere della preside sbarrò le porte barricando all’interno centinaia di ragazzi. Gli studenti, vedendosi tolta la possibilità di vedere la scena , si riversarono sulle mura di cinta. Jandel guardava le reazioni di Angelo, che concentrato lo sguardo sulla porta sembrava potervi vedere attraverso. Si sentì la voce forte e chiara di un messo: «Per ordine del re, confischiamo questo castello e sfratteremo tutti gli abitanti della città. Inoltre devono essere consegnati al duca Carlo d’Alfan, appena succeduto al suo defunto padre, il pericoloso ladro Giglio Nero e la principessa Ortensia, che si nascondono in questo edificio». Istintivamente tutti gli studenti si voltarono verso i due ragazzi al centro del cortile. Angelo era visibilmente infuriato, stringeva convulsamente i pugni continuando a mantenere lo sguardo concentrato sulla porta. Jandel guardava alternativamente il ragazzo, la porta e la massa di studenti. La preside si affacciò ad un parapetto e chiese l’identità dei due. Il messo replicò che li avrebbero trovati loro, bastava che i ragazzi si lasciassero ispezionare dai soldati. Gli studenti scesero in cortile. La preside si diresse sicura verso i due ragazzi al centro. Si fermò di fronte ad Angelo e con voce chiara e ben udibile da chiunque gli chiese: «È lei il Giglio Nero, ricercato come nemico del nostro regno?» Angelo si raddrizzò. Con espressione beffarda e con un tono provocante perfettamente udibile rispose: «Sono io il Giglio Nero. Cos’avrebbe intenzione di fare ora?» La donna rimase spiazzata dalla risposta. Evidentemente non si aspettava un tono così diretto e sicuro. Angelo non sembrava minimamente preoccupato, come al solito. Tra gli studenti si levò una voce rotta dal pianto: «Come hai potuto farmi questo?» Era Giuliana, che stava tremante con le guance rigate di lacrime. Lui si voltò lentamente verso la ragazza con uno sguardo terribile. Quella smise di tremare e il suo sguardo fu velato dalla paura. Il ragazzo sembrò zittire tutti con quello sguardo penetrante. Sempre tra gli studenti, qualcuno parlò: «Se veramente amassi mio fratello, non ti avrebbe sorpreso la sua natura». Giulia aveva lo sguardo irato e una fascia attorno alla testa. La preside intanto fece riaprire le porte. Jandel scorse con terrore a cavallo il Bello d’Alfan. Guardò Angelo, ancora con quello sguardo fisso e terribile, rivolto verso l’esercito. Un misto di emozioni si agitò dentro la ragazza, confuso e potente. Spalancò le ali e spiccò il volo, dirigendosi ad una velocità che non avrebbe mai immaginato e raggiunse la stanza del pianoforte. Tutti erano rimasti incantati. Angelo la seguì veloce, evitando abilmente i colpi degli sputafuoco ormai pronti a sparare. Quando la ragazza era partita le terribili armi si dovevano ancora caricare. La ragazza andò al pianoforte e intonò una melodia che era la ninnananna che aveva sentito da Angelo. Iniziò anche a cantare in quella strana lingua, senza capire quello che diceva ma andando istintivamente a memoria. Quando Angelo la raggiunse fece comparire il suo strumento argentato e insieme suonarono quella ninnananna, in un’atmosfera irreale. Nessuno si muoveva. Tutti riuscivano ad ascoltare il suono dolce e lento, amplificato inconsciamente dalla magia dei due ragazzi. Quando terminarono, il silenzio era generale. Neanche il Bello d’Alfan riuscì a spezzarlo, se non molto tempo dopo. I due ragazzi intanto erano scappati dal lato opposto, dove l’esercito era rimasto maggiormente incantato dalla ninnananna magica. Insieme entrarono nella foresta che cresceva su quel versante della montagna. Da lì non si curarono più dell’esercito. Evidentemente era stato mandato per occupare la fortezza. Da mesi circolavano strane voci, negate perché erano ritenute infondate, secondo cui uno strano esercito stava avanzando in quella direzione per conquistare la capitale, quindi la fortezza sarebbe stata un ottimo punto di difesa. I due ragazzi iniziarono la loro fuga in un sentiero accidentato che si inerpicava tra gli alberi maestosi e bianchi di neve della foresta. Jandell non aveva tempo di guardarsi intorno. Angelo avanzava ad una velocità incredibile, sembrava nato per camminare su quelle pietre che a volte si muovevano, disposte a casaccio su un sentiero strettissimo, creando dislivelli che rendevano faticoso il percorso. La ragazza camminava mettendo un piede davanti all’altro, senza badare ad altro. Inciampava frequentemente e prendeva molte storte, così che le facevano male le caviglie. Guardò il ragazzo in alto sul sentiero, che si era fermato a guardarla. Questo fatto le mise una forza incredibile e dopo ore di cammino, si fermarono in uno spiazzo costituito da uno spuntone di roccia abbastanza in piano. Jandel si sedette a terra, direttamente sulla neve, distrutta. Angelo la guardava divertito. Lei si infuriò: «Senti, io non sono abituata a queste scarpinate! Praticamente un anno fa ero una modesta principessa che camminava in scarpe scomodissime per pochi metri in piano, indossava vestiti che le mozzavano il fiato e l’unica cosa di pesante che sollevava erano le posate che usava per mangiare! Tu invece pretendi che mi trasformi in una perfetta montanara che corre in mezzo ai boschi come se niente fosse!» Lui continuava a sorridere divertito dalla sua reazione. Ripartirono, ma questa volta lui la tenne per mano per aiutarla ad avanzare o per sorreggerla nel caso rischiasse di cadere. Lei arrossì inconsapevolmente. La sua mano era fredda e un po’ sudaticcia. L’aria attorno a loro si stava raffreddando, man mano che il sole calava sull’orizzonte. Presto fu buio. La neve iniziò a cadere dal cielo. Andava a posarsi sull’intera foresta ma lasciando stranamente libero il sentiero, che sembrava protetto da un’antica magia che gli impediva di ghiacciarsi o di essere coperto dalla neve. Camminarono ancora per molto tempo. Poi Angelo si fermò davanti ad un’apertura nella montagna, una grotta inquietante e buia, ansimando anche lui per la strada fatta. Jandel non esitò ad entrare e sedersi, per riposarsi e sfuggire ai candidi fiocchi che entravano maligni attraverso il colletto della maglia. Non avevano niente per ripararsi dal freddo. Tutto era a scuola, i mantelli, le sciarpe, i guanti e i cappelli. Non avevano niente da mangiare né coperte per dormire. La ragazza cadde nello sconforto. Rese visibili le sue ali, stufa di tenerle nascoste e si sdraiò su di un fianco, cercando di non pensare ad una bella tazza di cioccolata calda. Accanto a lei, Angelo rese visibili le sue ali e si sedette. Tra i due frappose un fuoco magico in modo da riscaldarli e si sdraiò, cercando di dormire. Jandel si avvicinò ancora un po’ al fuoco, che non bruciava ma diffondeva un piacevole calore, e si addormentò, sentendosi cullata nonostante la scomodità del giaciglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO XX

In cui Angelo si diverte su uno slittino

Si svegliò riposata ma appena si ricordò in quale situazione si trovavano il suo viso si rabbuiò. Angelo era già sveglio e la fissava, con uno strano sguardo. Dopo un silenzio carico di imbarazzo lui si alzò e disse: «Forza, ci siamo quasi! C’è ancora un pezzettino in salita e il resto è tutta discesa!» L’aiutò ad alzarsi e si incamminarono. Jandel trovò il percorso ancora più arduo del giorno precedente ma fu breve. Ad un certo punto Angelo si fermò e gli indicò un fianco della montagna completamente spoglio: «Adesso scenderemo di lì». Staccò un pezzo di corteccia particolarmente grosso e lo portò fino al punto indicato. Lo pulì e lo aggiustò e lo poggiò sulla neve. Poi chiamò la ragazza: «Avanti, sali!» Lei era sempre più diffidente. «Cosa dovrei fare?»

«Te l’ho appena detto! Sali, così scenderemo più velocemente!»

«Ma potevamo volare!»

Lui scosse la testa: «No, non potevamo. È rischioso quando sei cercato da Cacciatori volare, potrebbero scorgerti più facilmente».

«Pensi che qui non ci scorgano? Siamo i soli su questo picco disabitato!»

Lui sorrise: «Ma loro pensano che siamo volati via il più velocemente possibile, perciò inizieranno a cercarci molto più lontano da qua. Certo, torneranno indietro, ma noi saremo più al sicuro». Lei non si mosse. Lui allora si avvicinò e le afferrò un polso. Poi, sotto le continue proteste della ragazza la prese in braccio e la mise a sedere sulla corteccia. Prima che lei potesse fare qualche altro movimento anche lui si sedette di fianco a lei, dandosi una spinta forte. Il pezzo di legno iniziò a scivolare. Scendevano ad una velocità folle, sobbalzando e affondando nella neve; Angelo cambiava direzione poggiando semplicemente un piede a terra e tracciando solchi sulla neve, sollevandola addosso alla ragazza. Lei aveva le lacrime agli occhi per il vento freddo. Era incredibile come riuscisse a manovrare quella corteccia esattamente come una delle più moderne e attrezzate slitte. Improvvisamente la rudimentale slitta volò a causa di uno spuntone di roccia. Lei si sentì sbilanciare. Il ragazzo invece sorrideva divertito e aprì le ali, frenando la caduta come se avesse fermato il tempo, l’espressione sul suo viso felice. Jandel avvertì con precisione il momento in cui le richiuse o le rese invisibili. Non lo vedeva ma sentì la velocità aumentare senza nessuna spinta. Non seppe esattamente quanto tempo ci misero a scendere. Si accorse solo che il ragazzo frenò verso destra, evitando per un pelo di finire contro un albero ai margini del bosco. Jandel si alzò subito e scese, guardando verso l’alto. Avevano percorso un gran pezzo di strada in pochissimo tempo. Lui si alzò e si spazzo via la neve dai vestiti e dai capelli. Stranamente la ragazza non ne era stata colpita ogni volta che lui frenava. «Benvenuta nel ducato d’Alfan!» Disse lui. Lei si spaventò e si chiese perché erano scappati proprio nella terra in cui viveva il loro persecutore, ma non espose i suoi dubbi. Era ancora scossa per la brusca discesa. Si incamminò dietro il ragazzo nel bosco e insieme raggiunsero i piedi della montagna. La discesa fu un incubo come la salita. Aveva preso un sacco di storte e molte volte era caduta, finendo nella neve, per seguire Angelo, che quasi correva. Ai piedi della montagna c’era un’immensa pianura. Il ducato d’Alfan era sempre stato ricco e prospero. I suoi confini erano delimitati da una catena di montagne piuttosto alte e difficili da valicare, tranne per pochi passi alpini. Sembrava che un dio avesse spazzato via i monti dalla pianura lasciandoli ai margini come difesa di quella terra. Il ducato era l’unico territorio dell’isola che non si affacciava sul mare. Molto tempo fa si era pensato di insediare lì la capitale a causa della posizione difendibile della terra ma si era preferito lasciarla sulla baia, per via della ricchezza dei commerci. L’isola che ospitava la capitale del vasto regno si trovava già al centro di un arcipelago. Il ducato allora aveva fondato la sua ricchezza nell’estrazione dei metalli nelle montagne al loro confine e nella produzione agricola. In quella regione scorreva il fiume Rivher più grande dell’isola e vi affluivano i maggiori affluenti, che scendevano dalle montagne circostanti. Il fiume disegnava un percorso tagliando a metà la vasta pianura, voltando, formando una curva sinuosa e uscendo da una stretta valle, per poi gettarsi nel mare formando un ampio delta a pochi chilometri di distanza della capitale. Il resto dell’isola era montuoso, con coste frastagliate a strapiombo. Solo la regione della capitale, oltre al ducato, poteva vantarsi di possedere qualche pianura. Anche la regione di Otilion, sempre situata nell’isola che ospitava la capitale, era pianeggiante, ma era disabitata perché interamente palustre. Nel ducato d’Alfan si potevano scorgere già alcuni centri abitati, con le case dai tetti rossi. Angelo si diresse sicuro verso un piccolo paesino ai piedi della montagna. Era decisamente di ridotte dimensioni agli occhi della ragazza, abituata alle grandi città. Raggiunsero in fretta il centro, dove stava una piccola fontana d’acqua gelida. Le persone erano chiuse a casa al caldo. Era quasi terminato dicembre. Angelo si diresse oltre e si fermò davanti ad un edificio a più piani e vi entrò. Jandel lo seguì. Si trovavano in una specie di bar, con un bancone e dei tavoli, la maggior parte occupati da persone che quando entrarono li guardarono sospettosi. Angelo parlò con un uomo dietro un bancone che dopo una piccola disputa gli diede un paio di chiavi. Il ragazzo, con espressione infastidita, la invitò a seguirla ed entrarono in una stanza piccola. Conteneva a stento un letto e un divano, aveva un bagno minuscolo e sembrava che da mesi non fosse stata pulita. Jandel storse il naso, poi disse: «Non ce n’era una migliore?»

Angelo sorrise di uno dei suoi sorrisi beffardi: «Ringrazia che abbiamo una stanza. Bisognerà procurarsi i soldi per pagarla… Sai, i ragazzi, soprattutto se stranieri, non vengono trattati bene, neanche se girassero con una borsa piena zeppa di monete d’oro». Avanzò come per guardare meglio la stanza e poi passò un dito sullo sgangherato comodino vicino al letto. «Altro che un dito di polvere! Qui ce ne saranno almeno quattro! Ti affido il compito di rendere vivibile questa stanza, io intanto andrò a recuperare qualcosa». Se ne andò senza lasciar il tempo di protestare alla ragazza. Ora la trattava anche come una serva! Ma come si permetteva? Tuttavia, notando che non poteva nemmeno sedersi sul divano si fece venire la voglia di agire. Sistemò la stanza come meglio poté, utilizzando la magia e consumando parecchie energie. Angelo arrivò molto tardi. Lei lo aspetto tutto il tempo, fino quasi all’alba, resistendo al sonno. Quando arrivò aveva un’espressione soddisfatta e sembrava allegro: «Ah, sei sveglia?- gli chiese quando la vide- ho buone notizie! Su fatevi vedere!» Da dietro di lui sbucarono Tempesta e Lyu. Jandel si precipitò verso il suo drago, felice, e lo prese in braccio, riempiendolo di coccole. Si sedette sul letto e cadde addormentata mentre ancora accarezzava il suo piccolo Lyu.

 

 

 

RINGRAZIAMENTI:

Angelo: «Bene, eccoci qui finalmente...»

Jandel: «Purtroppo le vacanze sono finite...»

Kia: «Che ne volete sapere voi? Se siete sommersi dalla neve! E poi, fate i ringraziamenti, per piacere...»

Il Bello d’Alfan: «mancate totalmente di professionalità... Ora faccio io!»

Per damned88: Certo, quelle bestiacce le ho prese io... peccato che mi sono sfuggite! Sgrunt! (Hihihihihihihihihihihihi! ndDue draghi) (Ah, la mia Tempesta è imbattibile! ndGelo) Allora,ci scusiamo per l’enorme ritardo e speriamo che questi due capitoli vi siano piaciuti... Grazie anche della recensione (O_O ndGelo+Jandel) (Che ne volete sapere voi di buone maniere? ù.ù ndil Bello d’Alfan)

Per Shia: Certo che li ho presi io... Come poteva fallire una persone bella e brava come me? (Seeeeeeeeee ndGelo) (Cosa? ndil Bello d’Alfan) *Angelo e il Bello d’Alfan vengono sbattuti fuori dall’autrice, in modo che si possano chiarire indisturbati* Beh, che dire, l’hai scritto tu stessa no? Quei due sono troppo stupidi per capirlo... E poi ho già in mente un modo veramente spettacolare... (Ehi, siamo noi gli addetti alle recensioni! ndGelo con un occhio nero) (Fate pure! ^_^ ndKia che si volatilizza) (... ndTutti) Beh, allora grazie della recensione e speriamo che i capitoli ti siano piaciuti. Ancora scusa per il ritardo... (O_O quando sei così gentile mi preoccupi... ndJandel) (Umhpf! ndGelo)

FINE RINGRAZIAMENTI

 

 

Beh, che dire, non ho la più pallida idea di quando riuscirò ad aggiornare...

Farò il possibile!

Quindi, spero che questi capitoli vi siano piaciuti!

Grazie a chi legge e a chi recensirà!

Il prossimo capitolo sarà:

CAPITOLO XXI

In cui Angelo va a farsi un bagno al fiume

Ancora grazie e...

Al prossimo capitolo ^.-

KiaeAlterEgo

  
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