Duty
È un momento. Prima sei lì, perso nella tua
vita, avvolto dal turbine delle tue emozioni, al sicuro nel tuo mondo, al di
qua di limiti che ti sono ben noti, o che sei almeno convinto che lo siano. Ma,
per quanto tu ti possa illudere, sai bene che quel qualcosa è sempre in
agguato, come una voce pronta a sovrastare la musica forse un po’ stonata ma
rassicurante della tua esistenza, come un imperativo che cerca di strapparti
alle tue tranquille regioni. Tendi ad ignorarlo e a fuggirlo, con mille scuse,
perché sei conscio che non è tanto la chiamata a farti paura, sono le
responsabilità che porta con sé, quei pesi che ti costringono ad alzare gli
occhi verso il sentiero lungo il quale fluisce la tua vita e a prendere in
considerazione il disegno più grande di cui esso è solo un mero segmento. Non
lo vuoi, lo temi, perché lo senti come qualcosa di troppo grande per te, non ti
senti le forze per realizzare quanto ti viene imposto. Ti sembra di soffocare.
E a quel punto scatta l’ansia, il respiro
accelera e la mente si fissa su un unico pensiero, su un’unica immagine: fuga,
via. E poi libertà, leggerezza. Scappi. Ovunque, non importa dove, ma lontano
da quell'obbligo, morale o personale che sia, sempre esterno, fuori dalla tua
portata e che per questo non riesci a fare tuo. Ciò che conta è andarsene.
Eppure, qualcosa ti frena ancora: un dubbio, forse un vago senso di colpa, di
codardia, un ostacolo invisibile. Provi a scacciarlo, prendi il largo, vuoi
mettere un intero oceano tra te e la chiamata, il tuo unico obiettivo. Ma non
puoi sfuggirle così facilmente, ed ecco che alla fine ti blocca, ti taglia la
strada e non si sposta, ti si conficca dentro, inevitabile e ti costringe ad
ammettere le tue responsabilità, succhiando via le tue ultime speranze di
scampo insieme all’energia che muoveva le tue gambe.
E inizia la stasi. Indeciso, ondeggi tra la
tua volontà ancora accesa della fuga e un nuovo sentimento che ti spinge a
tornare sui tuoi passi, a rivedere le tue scelte, il risultato del tuo
frenetico travaglio interno. Uno stordimento ti invade le membra ed intorno
tutto diviene buio, e sprofondi, distaccato dal mondo, come separato, rinchiuso
in una barriera invisibile eppure tanto opaca da impedire alla luce di entrare.
L’unico modo per uscire è decidersi ad affrontare la paura dell’inadeguatezza.
La scelta sembra quasi obbligata. Intorno è silenzio, come se fosse già deciso,
ma dentro è ancora guerra.
Finché il rombo si spegne e il tuo sofferto
proponimento vede la luce e ti trascina con sé, fuori dal buio, lontano dal
silenzio, di nuovo nel mondo, di nuovo sul sentiero che è tracciato per te. E
torni, ti carichi quel peso sulle spalle, anche a costo di soccombere sotto di
esso perché le tue forze non sono sufficienti, lo accetti e vinci la tua
riluttante paura. Parti, in fretta, trascinato da una nuova volontà, che è
entrata nel coro della tua esistenza come un acuto. Agisci, esegui quanto ti
viene richiesto. Poi aspetti la realizzazione delle conseguenze che hai
pensato, che ti sono state indicate, forse nella speranza di sfogarti
sull’obiettivo della tua missione.
E cosa se alla fine non va come credevi, se
anche questa tua ultima aspettativa rimane inappagata, prostrata? Un ondata di
sorpresa, di stupore, di sconvolgimento. Che poi diventano delusione,
frustrazione, collera. È stato tutto inutile, i tuoi tormenti, le tue fatiche,
i tuoi sacrifici per quella causa mai tua eppure che ti appartiene, è stato
tutto falso? Hai forse sbagliato? Te lo chiedi, con insistenza, ma alla fine
finisci per scaricare la colpa sull’esterno, su chi ti ha posto su quella
strada. Promesse vane, ferite, mere illusioni disilluse, speranze tradite. E la
colpa è loro.
Ma ancora una volta vieni contraddetto,
vengono ad insegnarti come stanno le cose. La vita non va mai come vuoi credere
che vada, ha le sue leggi, ha le sue ragioni diverse dalle tue. Poco dipende da
te non può essere così facile. È un semplice eppure caotico ciclo di cui ti
sfugge il meccanismo, il senso profondo. Quel poco che ti resta è tentare di
studiarlo, cercare di comprendere la parte che ti spetta. E sperare che forse
il significato non sia così sfuggente e nascosto come sembra.