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Autore: Fair_Ophelia    08/02/2012    3 recensioni
Dopo la caduta di Galbatorix, un altro pericolo incombe su Alagaësia e soprattutto su Nasuada: un nemico che silenziosamente stringe intorno a lei la sua rete, separandola dai suoi alleati. Riuscirà a liberarsi dal suo aguzzino e a sciogliere i nodi di questa intricata matassa, alla scoperta del vero essere del Waìse Néiat? Scopritelo con me attraverso un viaggio pieno d'azione e romanticismo... Spero che diate almeno un'occhiatina :)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1-FORZA E DEBOLEZZA

Nasuada spalancò il portone.
Rimase sulla soglia con le braccia tese e le mani sui battenti, un’espressione feroce che deformava i bei lineamenti. Fece guizzare lo sguardo accigliato da un lato all’altro della sala, poi s’incamminò a passo svelto verso lo scranno, il vestito porpora svolazzante che la faceva somigliare ad un fulmine di pece affogato nel sangue. Si buttò sulla sedia intagliata con uno sbuffo; la attendeva un lungo tavolo straripante di fogli e pergamene, proprio come ai tempi dei Varden. Dopotutto, rifletté lei, la situazione non era cambiata molto da allora: le solite carte da leggere per ore e le battaglie orali con persone che cercavano di manipolare lei e il suo popolo erano il pane quotidiano. Aveva appena finito di litigare col Consiglio degli Anziani al gran completo e l’irritazione per quei quattro vecchi, che avevano perso la loro battaglia ma erano ancora decisi a lottare pur di metterle i bastoni fra le ruote, la faceva andare in bestia: di lì l’espressione dipinta sul suo volto. Ormai Jörmundur  non si considerava più parte di quella masnada di decrepiti.
La regina si lasciò sfuggire un sorriso al pensiero di quella che era stata una vera propria battaglia: una contro quattro, dalle loro bocche uscivano fendenti e stoccate che l’avversario prontamente schivava con una battuta. Ad un certo punto tutti e cinque si erano trovati in difficoltà; ripensò ancora al silenzio che regnò sulla sala per qualche istante, la tensione immateriale che si manifestava con le espressioni sui visi e la contrazione involontaria delle dita. Se fosse stato un duello si sarebbe potuto dire che i due avversari in quel momento avessero le lame incrociate all’altezza dell’elsa, in attesa di qualche mutamento. Ma con quella che si sarebbe potuta definire “osservazione a cui nessuno avrebbe mai pensato” o “rapido movimento del polso” si era liberata dalla situazione di stallo. Infine, con una rapida stoccata orale che aveva messo con le spalle al muro i vecchi e soprattutto fatto rimanere a bocca aperta Umerth, aveva lasciato la stanza con un sorrisetto di scherno che la fece diventare ancora più odiosa agli occhi dei quattro. Dopotutto era quella la sua abilità: pensare soluzioni a cui nessuno avrebbe mai pensato, spericolate ed ambiziose quanto efficaci idee che le permettevano di mantenere con successo la sua posizione.
Eppure vincere quelle scaramucce non erano certo una soddisfazione: il “duello” l’aveva stressata, e al pensiero che avrebbe ancora dovuto leggere quattro rapporti prima della fine della giornata si fece prendere dallo sconforto. Cose che prima della partenza di lui riusciva benissimo a sopportare ora le sembravano faticosissime e più che impegnative. Senza di lui tutto le sembrava più difficile, complicato, le avversità diventavano insormontabili, i colloqui duravano il doppio, solo la sua forza di volontà e l’affetto che provava per il suo popolo le avevano impedito il suicidio, e la sua promessa di tornare.
Senza di lui non riusciva a vivere.
Affondò la testa fra le braccia poggiate sul tavolo. Dopo un po’ la rialzò e notò una fiaschetta di idromele e due calici, rimasti da un incontro con Jörmundur di quella mattina. Sebbene sapesse che anche una mera quantità di alcol bastava a stordirla, ne bevve un calice quasi pieno per farsi passare la malinconia. Il dolce liquore al miele la fece sentire un po’ meglio; forse non ne aveva neanche bevuto abbastanza da farla sentire male.
-Sei stanca, mia signora? –
Senza che se ne accorgesse, Elva, che l’aveva seguita al colloquio col Consiglio, era rimasta sulla soglia. Lei pensava che se ne fosse andata, come faceva di solito. La bambina la fissava con i suoi occhi d’ametista; i capelli corvini nascondevano il dono di Saphira sulla sua fronte. Ormai dimostrava nove anni.
-No, sono solo... un po’ giù.-
-Lo sapevo.-
Lei si accigliò. -E allora perché me l’hai chiesto?-
-Volevo sapere se mentissi a te stessa... Questo non potevo prevederlo. È dalla nascita dell’impero che sei un po’ giù.- replicò lei sottolineando le ultime parole.
Ha ragione.
 La bambina continuò con tono distaccato:-Smettila di pensare a Murtagh, a momenti soffro più io che tu. Anche se cerco di ignorarlo è troppo forte... Mi stai per costringere a non assisterti più-
Le parole di Elva le gelarono il sangue nelle vene. Involontariamente strinse le dita sui braccioli dello scranno come se avesse voluto staccarli con la sola forza delle mani.
-Di solito quando parli porti conforto, non aggiungi dolore al dolore-. La sua voce era diventata un sibilo tremolante. -Se proprio non vuoi sentire il mio dolore, vai via o di’ qualcosa che mi risollevi. Dopotutto è la cosa che sai fare meglio, no?-
Elva la fissò.
-Risparmiati quel tono gelido con me. E comunque, per certe cose non posso fare proprio niente... La soluzione deve venire da te. Ora ti saluto, non sono la tua balia, voglio andarmene in giro.-
Ciò detto, richiuse i battenti dietro di sé con un tonfo. Prima che finissero di chiudersi, però, la regina ebbe modo di constatare che dodici guardie erano decisamente troppe. L’ingresso somigliava più d una sala d’attesa che ad una porta presieduta.
Il broncio tornò ad incupire il volto della regina e a spegnere i suoi vivaci occhi color liquirizia, mentre Occhigialli, il pacioccone gatto mannaro che aveva scelto di vivere con lei, le saltava in grembo. Come al solito si accoccolò e si addormentò, sotto le carezze delle dita distratte della donna. Una parola, un nome pronunciato da Elva aveva smontato il suo già fragile equilibrio, cosa che succedeva tutte le volte che pensava a lui.
Murtagh.
Prima ancora che le lacrime le allagassero gli occhi si costrinse a ricacciarle indietro, perché gli aveva promesso che sarebbe stata forte, che in nome del loro amore avrebbe dato il suo meglio anche in sua assenza, e lei aveva cercato di onorare quel patto come meglio poteva. In un anno e mezzo solo due volte non ce l’aveva fatta e aveva pianto, un risultato di cui andare orgogliosi, ma le sentiva, erano sempre sull’orlo delle palpebre, cadevano e non cadevano, le lacrime, minavano la sua determinazione e le creavano un’instabilità mai provata prima.
È sempre così, quando si ama? si chiese digrignando i denti, sforzandosi di non cedere. Ma ecco di nuovo l’immagine di lui, il suo profumo dolce e penetrante che le riempiva le nari quando si appoggiava al suo petto, la sua voce decisa e rassicurante, a volte velata d’ironia che per lei si trasformava in un distillato di dolcezza, il suo gesto spontaneo di portarsi indietro con le dita una ciocca dispettosa,  il suo sguardo che sapeva leggerle nell’anima e le faceva fondere le viscere... La stessa sensazione che provava ora, insieme ad un caldo tremendo e a brividi che le risalivano lungo i fianchi fino alle spalle.
Provi emozioni forti per quell’ uomo, fece Occhigialli mentre le sue fusa riberveravano nelle dita di Nasuada.
Ti ci metti pure tu? Non mi stavi spiando la mente, come diamine fai a saperlo? Perché non ti fai gli affaracci tuoi?
Alla prima domanda rispondo sì, alla seconda che le tue emozioni sono così forti che si espandono verso le altre menti, alla terza che i tuoi affari sono molto più divertenti dei miei.

Fai anche lo spiritoso, adesso... Comunque io non ho mai sentito le emozioni di una persona espandersi senza che questa lo volesse, per quanto fossero intense.
Il gatto aprì un occhio topazio. Questo perché no sei un gatto mannaro. E lo richiuse.
Agli occhi di Nasuada ora Occhigialli stava diventando veramente odioso.
Si riempì di nuovo il calice e bevve un altro sorso di idromele, poi una delle sue idee imprevedibili le attraversò la mente. Con un gesto improvviso versò il resto della bevanda contenuta nel recipiente sull’animale.
Dopo qualche istante un miagolio irritato che somigliava di più ad un misto fra un ruggito ed un urlo acuto riecheggiò nella stanza ed anche fuori. Il gatto mannaro estrasse gli artigli e saltò giù, mentre la sua reazione strappava a Nasuada una risatina sotto i baffi. Se non fosse stato per la tristezza che la permeava avrebbe riso di gusto, ma sentiva che se si sarebbe lasciata andare avrebbe rasentato la pazzia. Gli artigli del gatto le avevano bucato la veste e segnato le cosce con profonde ferite, ma dopo le torture subite a Urû’baen quasi non se ne accorse.
Tutto qui, micetto? lo schernì lei, guardandolo con occhi maliziosi.
 Lui ricambiò con uno sguardo pieno d’odio; gocce della bevanda gocciolavano dal suo pelo sul pavimento.
Forse le ferite non ti fanno male, ma ho rovinato il tuo vestito preferito.
Per questo Occhigialli aveva ragione: il suo bell’abito rosso, scollato e decorato con fili verdi e dorati intrecciati, era ormai inservibile.
Lo farò sistemare da un mago si schermì, per non dargli la soddisfazione di averla danneggiata.
Un mago, già... Dopo le sue insistenze nel fondare l’ordine dei maghi, non ne avrebbe trovato uno che le facesse un favore neanche se l’avesse costretto col vero nome dell’Antica lingua. Da quando aveva annunciato la sua decisione al Du Vrangr Gata e chiesto il loro parere, aveva perso tutto il loro sostegno. C’erano voluti mesi e mesi di trattative per riappacificarsi con loro, almeno in parte, ma soprattutto c’era voluto tempo per lei, per capire che un potere come la magia non poteva essere regolato da mere leggi terrene. Il suo progetto, aveva concluso, era semplicemente un’utopia: a fin di bene, ma pur sempre un’utopia.
A parte quella divergenza, nelle campagne la vita era nettamente migliorata, ma, dalla partenza di Eragon, a Dras-Leona e Gil’ead erano scoppiate rivolte guidate dai seguaci di Galbatorix: senza l’aiuto di un Cavaliere, controllare un territorio abitato anche da persone che non le erano devote dall’inizio sarebbe stato davvero arduo.
Murtagh, tutti hanno bisogno di te. Sei insostituibile, Arya non può occuparsi di due regni, le uova di nessuna delle quattro razze si sono schiuse, ma soprattutto io ho bisogno di te.
Amore, dove sei?
   
 
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