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Autore: Silene Nocturna    12/02/2012    1 recensioni
Un altro scritto dedicato a questo particolare giorno, che ritengo appropriato per alcuni personaggi. Buona lettura!
"Soltanto perché ho voglia di assaggiare il tuo vino." ci tenne a precisare Arthur alzandosi per recuperare due calici, e il francese lo seguì, prendendone delicatamente uno tra le dita affusolate.
"Permettimi di versartene, allora." asserì galante, mentre Inghilterra spalancava impercettibilmente le palpebre, deglutendo.
"M-Ma certo… Che devi! Razza di stupido francese."
"Possibile che tu debba dimostrare quanto sei rozzo anche mentre beviamo del vino insieme?" commentò Francia riacquistando il suo tipico tono di superiorità, portando alle labbra il calice.
"E tu smettila di darti tutte queste arie, ricordati che sono un pirata, non un’insulsa concubina da corteggiare."
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Valentine’s Day with…

[di Nihila]

 

 

Love, Amour, Lieben.

 

Tra i difetti più impensabili che potesse pensare verso quel freddo e quasi inospitale Paese –in cui non erano in grado neanche di cucinare un alimento semplice come delle comunissime patate- spiccava sicuramente il rigido senso del dovere che tutti anteponevano a qualche fugace attimo di svago.

Il ragazzo calciò distrattamente una pietra, mentre le campane del paese suonavano i dodici rintocchi del mezzodì; un filo di vento gli scompigliò i fini capelli castani, mentre con le mani in tasca, stremato dall’allenamento conseguito quella mattina, si apprestava a rientrare nell’enorme casa in cui era ospite. I brontolii dello stomaco che bramoso chiedeva cibo invasero i suoi timpani e al contempo le sopracciglia s’inclinarono. Fortunatamente per lui, Germania pareva essersi trattenuto in compagnia di Giappone, probabilmente con l’intento di continuare la serie di flessioni che lui aveva deciso di ignorare. Sospirò aprendo la dispensa, dopotutto era una così bella giornata di sole: l’inverno rigidissimo, soprattutto in alta montagna, a quanto pareva era stato clemente nel donare quel fugace momento di sereno. Aveva trascorso momenti di inquietudine, credendo che la tormenta non si sarebbe arrestata confinandoli per sempre in quel luogo chiuso e austero.

Mordendo voracemente una salsiccia secca e del formaggio, si sporse quanto bastava per non essere individuato; facendo poi scorrere lo sguardo attento sul tedesco, formulò il pensiero che Germania incutesse timore al solo vederlo alzarsi e abbassarsi ritmicamente, sostenuto dalle proprie braccia nude. Sfidava gli elementi senza remore. Nonostante la temperatura fosse lievemente più alta, il freddo inclemente penetrava le ossa provocandogli i brividi, forse dovuti anche alla figura che dinanzi ai suoi occhi compiva meticolosamente la centesima flessione; i piccoli occhi passarono in rassegna del volto, perennemente corrucciato in certe situazioni e tipicamente severo di Germania. I muscoli vibravano sostenendo il suo peso mentre un unico rivolo di sudore scese imperterrito lungo la tempia, solcandogli gli zigomi ed infine le labbra sottili… Non ricordò di aver mai visto un soldato così perfetto. Feliciano socchiuse le palpebre, disturbato da un raggio di sole. Destandosi dal suo momento di silenziosa contemplazione, dovuto al fatto che ora l’attenzione di Ludwig fosse focalizzata sulla sua figura, sobbalzò facendo cadere maldestramente la salsiccia in parte mordicchiata. Un rossore appena accennato sulle proprie guance fece inarcare ancor più il sopracciglio dell’uomo che con agilità s’era rimesso dritto, guardando cosa succedesse oltre la piccola finestra da cui Italia lo stava spiando.

Il ragazzo si chinò nel tentativo di rimediare all’ennesimo pasticcio e, soprattutto, per nascondersi da quegli occhi gelidi che lo scrutavano con diffidenza.

<> pronunciò sommessamente, squadrando la salsiccia ormai impolverata. Poco male. Quei cosiddetti wurstel erano così tremendamente ambigui per il suo palato sopraffino che non era uno spreco neanche buttarli.

Infine, con l’intento di abbandonare la cucina e intrattenersi in un’occupazione più proficua come fare provviste, dette uno veloce sguardo al calendario…

Giorno 13 Febbraio

Voltò il capo e proseguì dritto.

Un momento. 13 Febbraio?!

Italia prese il pezzo di carta tra le mani tremolanti osservando bene la data. Tanto interesse e soprattutto estrema emozione traspariva dal suo volto gioioso, in quanto esattamente ventiquattro ore dopo sarebbe stato San Valentino, il giorno degli innamorati… questo voleva dire che avrebbe potuto farsi una scorpacciata di cioccolato, abbandonando gli insipidi wurstel. Già, ma da chi avrebbe mai potuto ricevere una sublime barretta, nella dimora isolata del tedesco? Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, era anche vero che lui poteva definirsi un ottimo cuoco, ma in quanto a questioni di cuore, le sue innumerevoli conquiste si basavano puramente sul bell’aspetto, proprio e altrui. Come valorizzare, quindi, quella ricorrenza? Trovò decisamente appropriato fare affidamento su qualcuno che aveva molta più dimestichezza per quel genere di cose.

-Nii-san, nii-san ti prego, devi aiutarmi!- l’attimo successivo era già aggrappato alla cornetta del telefono con la voce più accorata che avesse.

-Oui, Italia! Che cosa succede, Germania si comporta male con te?- rispose stranamente cordiale il maggiore, forse poiché il ragazzino non l’aveva disturbato durante le ore notturne.

-N-No- continuò l’italiano; cosa c’era di strano se Germania si comportava male con lui? -Ascolta, nii-san, domani è un giorno molto importante e io… Io l’ho dimenticato! Veeeh… Che cosa posso fare?-

Dall’altro capo dell’apparecchio, Francis inarcò un sopracciglio non comprendendo la preoccupazione del giovane, forse aveva soltanto bisogno di un consiglio.

-Ma certo! Ti sei rivolto a me perché sono un professionista dell’amore…- asserì melenso, - Dammi retta Italia, ignora subdole scatole di cioccolatini e mazzi di fiori: devi fare ciò che proviene dal cuore.

-Ciò. Che. Proviene. Dal. Cuore.- ripeté Feliciano corrugando la fronte, non del tutto sicuro di aver compreso il senso di quella frase.

-Oui- ridacchiò l’interlocutore, guadagnandosi un silenzio carico di significato. Francia capitolò spazientito.

-Insomma, perché non cucini una torta a forma di cuore?- consigliò il biondo, ricordando quanto fosse duro di comprendonio colui con cui stava avendo a che fare. Il sorriso sulle labbra di Italia parve accendersi e conferire un’aria più allegra anche al resto della stanza.

-Grazie, nii-san Gra-

Il francese interruppe subito la conversazione rendendosi conto quanto fosse in ritardo sulla tabella di marcia. Parigi era in festa, gli innamorati continuavano a scambiarsi effusioni sulla Senna in attesa di scorgere la Torre Eiffel completamente illuminata al calar del sole e lui… Beh, non avrebbe perso occasione per recarsi da una certa persona in quella speciale data. Doveva soltanto decidere quale delle due bottiglie, decorate con un finissimo fiocco rosso, avrebbe portato con sé, gustandola sullo scomodo divano di Inghilterra. Un lieve sorriso si fece largo sul suo volto.

Dal canto suo, Feliciano osservò l’apparecchio telefonico, rimettendolo subito al suo posto; indubbiamente il fratellone gli aveva dato una buona idea e non gli restava altro che metterla in atto, pensava rimboccandosi le maniche.

-Italia-kun.- lo salutò Giappone entrando dalla porta nel medesimo istante.

-Giappone, Giappone! Domani è San Valentino!- esclamò entusiasta la nazione, mentre il mite ragazzo si trovò ancora una volta sopraffatto dal suo entusiasmo.

-Oh, questo ti rende così felice.- disse semplicemente, prima di sedersi a tavola e consumare silenziosamente il suo pasto. Italia si accomodò di fronte.

-Voi festeggiate San Valentino, veh?- domandò Feliciano incuriosito, facendo imporporare le guance del suo interlocutore, il quale fu ben lieto di spiegare il tutto.

-Sì. Nel nostro caso sono le donne a dare in dono ad una persona il proprio regalo.-

In quello stesso momento, Germania entrò in cucina con soltanto la canotta nera indosso e i suoi pantaloni da allentamento. Si prodigò di prendere dell’acqua, bevendola avidamente; alcune ciocche ribelli scendevano sulla fronte ormai madida.

-Veh, continua.- disse Italia mentre il tedesco prendeva posto per consumare il suo pasto frugale. Kiku annuì.

-Ci sono due tipi di cioccolato che vengono utilizzati come doni: Honmei Choko è riservato a coloro verso cui si prova affetto. Solitamente è un cuore. Giri Choko viene utilizzato per rendere omaggio ad un datore di lavoro, un collega, un amico, un fratello…

-Eh?! Ma è bellissimo! Ascolta, Giappone, io…

-Italia.- lo richiamò Germania tenendo gli occhi sul proprio piatto. -Potresti mettere tutte queste energie nell’allenamento, piuttosto che…

Feliciano, nel frattempo, era già sparito oltre la porta con al seguito un Kiku decisamente affranto di aver lasciato così maleducatamente il suo superiore da solo con una frase pregna di significato, ricca di saggezza, completa soltanto a metà. Riuscendo a liberarsi dalla stretta di Italia per la breve frazione di un secondo, raggiunse nuovamente la porta della cucina facendo un inchino.

-Chiedo scusa, Germania-san.- asserì prima di raggiungere nuovamente il ragazzo.

-Ma…?!- pronunciò il tedesco battendo le mani sulla superficie lignea. Questo voleva dire soltanto altri guai in un momento delicato; possibile che fosse l’unico a preoccuparsi del lavoro, di ciò che accadeva e di coloro che avrebbero dovuto fronteggiare in battaglia? Erano trascorsi giorni, in cui Italia non dedicava tempo o non prestava maggior attenzione agli insegnamenti. Sospirò aggrottando la fronte, prima di sedersi e tornare a mangiare. Solo fiato sprecato.

***

-Ho in mente un piano.- esclamò il ragazzo mentre i capelli gli solleticavano il viso a causa della discesa percorsa sul sentiero. Erano diretti in paese.

-Dovresti chiedere scusa a Germania-san… Di che piano stai parlando, Italia-kun?

Feliciano arrestò d’improvviso la sua corsa facendo impattare violentemente Kiku contro le sue spalle; per poco il giapponese non si ritrovò sul selciato.

-Oh, guarda quanti fiori, veh!- disse prima di voltarsi verso la nazione che attendeva con aria seria la risposta alla domanda posta. Italia sorrise. -Stiamo andando a comprare del cioccolato. Voglio fare una torta!

Giappone corrugò ingenuamente la fronte.

-Una torta?- poi, arrossendo, pensò che quello fosse lo speciale regalo di Italia-kun a Germania-san. Non aggiunse nient’altro, seguendo silenziosamente l’italiano ed accompagnandolo in tutte le sue commissioni. Intanto Feliciano già pregustava il sublime sapore di quel dolce che avrebbe consumato fino all’ultima briciola: che bell’idea quella di cucinarsi un regalo di San Valentino!

Giorno 14 Febbraio

Lo studio era freddo, proprio come la presenza che l’occupava. Il mobilio color noce conferiva all’ambiente maggior austerità e soprattutto, il tocco spartano dava la sensazione che fosse utilizzato solo e unicamente per importanti lavori da sbrigare. La mano scorreva veloce sul plico di fogli mentre lo sguardo percorreva la calligrafia graffiante del superiore che non faceva altro se non addossargli altro lavoro; comunque sia nessuno sbuffo, sospiro di troppo o gesto d’impazienza trasfigurava il suo volto concentrato.

“Per un po' di tempo la Germania e la Russia sono state impegnate in uno scambio d'opinioni su un nuovo possibile atteggiamento per quanto riguarda le loro relazioni politiche. La necessità di giungere a questo genere di conclusioni si è venuta a creare dalla situazione generale della politica mondiale che coinvolge entrambe le potenze dell'Asse…”

Riconobbe perfino il tono imperioso con cui quelle parole potevano essere pronunciate nella sua lingua madre. Sicuramente, la durezza non bastava ad esprimere il senso intrinseco che marcava ancora una volta quanto fossero arretrati.

Giunto quindi all’ultima carta, una lettera in risposta a quanto pareva, si apprestò a rilassarsi sullo schienale per leggere il contenuto; giudicato di poca importanza però, chiuse il tutto velocemente e per la prima volta si concesse un respiro più profondo dei precedenti. Avrebbe parlato al più presto con gli alleati.

***

-E’ permesso, mon amie?

-No che non lo è: dovresti saperlo, stupido francese!

Francis, per nulla turbato dalla secca risposta ricevuta, si accinse a chiudere la porta alle sue spalle per riversarsi nella casa del dispotico Inghilterra. Ridacchiò alla vista dello sguardo per nulla cortese riservato alla sua figura, dopodiché l’affiancò sul divano, porgendogli il cesto di vimini in cui spiccava una delle sue migliori bottiglie.

-Non ti piace il giorno degli innamorati?- domandò inquisitorio, la risposta la conosceva già.

-Non ho tempo da dedicare a queste sciocche manifestazioni create soltanto per vendere inutili oggetti.

Francia si rilassò contro la spalliera, mantenendo il sorriso sornione; Arthur indossava anche quel giorno la sua divisa, lui aveva perso tempo a scegliere la camicia che più gli donasse.

-Mi auguro che tu non la pensi allo stesso modo del mio vino!- commentò mettendo un finto broncio che la nazione ricambiò aggrottando ancor più le folte sopracciglia. Ma si limitò a distogliere lo sguardo bofonchiando qualcosa di incomprensibile. Dal canto suo, Francia recuperò il cavatappi dal cesto intrecciato conficcando subito il metallo puntuto nel sughero nel tentativo di sfilarlo con forza. Le dita cominciarono a sudare al pensiero che esso potesse rompersi e imputridire quel costosissimo nettare della terra.

-Da qua’!- pronunciò spazientito Inghilterra tirandogli la bottiglia dalle mani.

-Quindi non vuoi che me ne vada.- Francis sogghignò beffardo.

-Soltanto perché ho voglia di assaggiare il tuo vino.- ci tenne a precisare Arthur alzandosi per recuperare due calici, e il francese lo seguì, prendendone delicatamente uno tra le dita affusolate.

-Permettimi di versartene, allora.- asserì galante, mentre Inghilterra spalancava impercettibilmente le palpebre, deglutendo.

-M-Ma certo… Che devi! Razza di stupido francese.

-Possibile che tu debba dimostrare quanto sei rozzo anche mentre beviamo del vino insieme?- commentò Francia riacquistando il suo tipico tono di superiorità, portando alle labbra il calice.

-E tu smettila di darti tutte queste arie, ricordati che sono un pirata, non un’insulsa concubina da corteggiare.- Arthur indurì i lineamenti facendosi vanto del suo passato burrascoso, prima di ingoiare il liquido vermiglio in un sol colpo, forse per marcare ancor più il concetto. Il francese, perso momentaneamente a focalizzare l’immagine dell’interlocutore con indosso gli abiti di una cortigiana, per poco non strabuzzò i chiarissimi occhi tossendo il buon vino che nella sua infuocata discesa lungo l’esofago, parve diventare quasi insopportabilmente incandescente. Cercando di allontanare quella visione –che non seppe se definire ambigua o sublime- Francis tornò a prendere posto sul divano, seguito dall’inglese, intento a tracannare già il secondo bicchiere.

La luce rossastra del camino illuminava i loro volti pensierosi, persi ognuno nelle personalissime quanto strane considerazioni su quel particolare giorno. Il giovane dai lunghi capelli era sicuro che avrebbe ricordato per sempre un simile San Valentino, mentre Arthur si arrovellava il cervello per trovare una razionale spiegazione a quell’atmosfera venutasi a creare senza neanche rendersene conto: il suo corpo era vicinissimo a quello di Francia, il quale sorseggiava tranquillamente il rosso di Borgogna con un braccio steso lungo lo schienale, esattamente dietro la sua testa. Come se non bastasse, già avvertiva un lieve capogiro dovuto sicuramente alla gradazione della bevanda. Portò una mano a massaggiarsi le tempie, attirando l’attenzione del suo ospite che, inarcando le sopracciglia gli domandò gentilmente:

-Che cosa ti succede?

Inghilterra mugugnò. -Perché ti comporti così?- disse con gli occhi chiusi, dopo aver tracannato il quarto bicchiere. Francis improvvisamente si fece serio, le pupille parvero adombrarsi concentrandosi sul fuoco scoppiettante sui ceppi, il quale proiettava le ombre di entrambi sui muri scuri, avvolti dalla penombra.

-Ehi, sto parlando…

Senza pensarci due volte, poiché sarebbero state troppe per tornare indietro e troppo poche per fermarsi, il giovane gli sfilò il calice dalle mani e, prendendogli dolcemente il mento tra le dita, raggiunse finalmente le sue labbra mettendo a tacere le sue proteste. Inghilterra spalancò all’istante le palpebre, aprendole sul bellissimo viso del francese, rilassato, le sopracciglia leggermente incurvate e… la sua lingua gioconda nella propria bocca, così calda, insieme alle movenze sicure riuscì a donargli una sensazione maledettamente piacevole, neanche il suo cuore rispondeva più come avrebbe dovuto. Inizialmente provò a ribellarsi ma vedendo Francis chinarsi col corpo su di lui, fu come –colpevole sicuramente il vino- abbandonare ogni difesa per una causa già persa da principio.

-I-Inghilterra…

E quello sicuramente aveva sortito l’effetto di un fragoroso tuono.

Sullo stipite della porta se ne stava, le labbra lievemente spalancate, emblema di muta sorpresa, America.

Arthur allontanò bruscamente da sé il francese, le cui mani gli avevano cinto passionalmente le braccia e, cercando forzatamente di non incrociare il suo sguardo, si ricompose quando la figura apparsa sulla porta gli aveva già voltato le spalle, diretta verso l’uscita.

-America!- lo richiamò correndogli dietro, lasciando Francis, che trovò dannatamente inopportuno obiettare, con un’espressione di mal celato rammarico.

***

-Su, su Giappone, mi passeresti le uova?

-A me non sembra una buona idea.

-Oh, allora le prenderò da solo…

-Non intendevo questo.

Imperturbabile alle preoccupazioni di Kiku, Italia continuò il suo lavoro canticchiando tra sé un motivetto composto da singolari “veh”; il giovane dai capelli corvini deglutì osservandolo ondeggiare pericolosamente con quei fragili gusci tra le mani. Come previsto, uno non arrivò a destinazione, riversandosi sul lucidissimo pavimento e Giappone, per quanto serafico fosse, si lasciò sfuggire un’espressione a dir poco sconcertante, facendo spaventare non poco Feliciano. Non solo l’aveva pulito soltanto poche ore prima, ma quello… era il pavimento di Germania-san! Intimò a Italia di non muoversi neanche un millimetro, mentre lui si recava nello sgabuzzino armandosi di spazzolone. Qualche istante dopo tutto brillava come prima, anche se l’odore non era di certo gradevole.

-Veeeh, i miei complimenti, Giappone!

Kiku tornò a sedersi mentre Feliciano mescolava energicamente i tuorli con lo zucchero, fu inutile la raccomandazione di fare più piano. Toccò quindi all’aggiunta di farina e, prima che l’italiano commettesse qualche altra disastrosa azione, Giappone era già pronto ad afferrare il pacco e versargliene quanto bastava… Ma, quanto bastava?

-Dov’è la ricetta?- chiese ingenuamente.

-Quale ricetta?- doveva dopotutto aspettarsi una simile risposta; per quanto ammirasse le doti culinarie e artistiche di quel ragazzo, il più delle volte restava basito dinanzi al suo… manchevole ingegno. Sospirò afflitto vedendo Italia tornare al lavoro, anche se inconsciamente aveva lasciato la farina alla sua distruttiva mercé; poco dopo lo strappo dell’involucro che la conteneva, una nuvola biancastra per poco non li soffocò diffondendosi velocemente nell’ambiente.

-Siamo sotto attacco!- urlò Feliciano colto irrimediabilmente impreparato, mentre Giappone compì l’ennesimo sbuffo d’anidride carbonica dalle narici.

-Forse, Italia-kun, hai aperto con poca delicatezza la farina.- asserì preparandosi ad una lunga tortura psichica, ma abbandonò l’idea di ripulire quel disastro, dato che la nazione ne avrebbe compiuti il doppio, una volta sistemato il resto e così sarebbe stato fino alla conclusione dell’impasto.

-Che diavolo sta succedendo?

Purtroppo Kiku si ritrovò dinanzi alla consapevolezza che la sua fredda logica quella volta aveva fallito. Sotto l’arcata della porta infatti, se ne stava un rigidissimo Germania-san sconvolto dal caos che regnava nella cucina in cui Feliciano aveva rotto almeno due piatti, imbrattato le pareti di schizzi giallognoli e cosparso il tutto di farina; scattò immediatamente sull’attenti balbettando miriadi di scuse nella propria lingua, finché il tedesco, superandolo, si ritrovò faccia a faccia con Italia, il quale, finendo di rovesciare il contenuto ormai bruno –reso tale dal cacao e non da un qualche errore di procedura- nell’apposito stampo dalla caratteristica forma a cuore gli riservò uno sguardo sereno.

-Oh, Doitsu! Lo vedi? Sto facendo una torta.

-Lo vedo.- rispose tagliente il giovane stringendo convulsamente le mani, facendo scricchiolare i guanti di pelle.

-Italia…- cominciò pacatamente, una nota minacciosa giunse immediatamente alle orecchie del giapponese.

-Ascolta, Doitsu, credo che dovresti comprare della farina migliore la prossima volta, e le uova non erano così fresche, dovresti andare nelle campagne, lì i contadini le sottraggono ogni giorno alle mamme chiocce, mentre il burro… Beh, quello va bene ma…

-Italia!- lo interruppe tanto bruscamente da farlo sobbalzare, piagnucolando il consueto intercalare.

-D-Doitsu?- chiese ingenuamente, inclinando colpevole le sopracciglia.

- Fa’ silenzio! Cosa è successo qui dentro? E perché anche stavolta sei venuto meno all’addestramento?

-Io stavo facendo una torta, è il 14 Febbraio.- disse abbozzando un sorriso, formulando l’ingenuo pensiero che forse quella spiegazione addolcisse anche Germania. Ma a dispetto di ciò, il biondo assottigliò lo sguardo riservandogli con tono gelido altre accuse.

-Capisco che sia difficile per te comprendere una simile situazione, ma siamo in guerra. C’è un patto tra noi, un’alleanza, che sono anche tenuto a sciogliere nel caso ce ne fosse bisogno, Italia.- fece una pausa capace di mozzare il fiato al giovane, sapeva benissimo quali punti toccare. -Spero che da questo momento le cose cambieranno, altrimenti credo che possiamo anche fare a meno di te.- ultimò più mesto, mentre Feliciano lasciò cadere nello stesso istante un cucchiaio. Possibile che quello fosse un incubo? Sì, doveva essere decisamente così, pensò rabbrividendo.

-Ma… Doitsu è mio amico. Veh?

-Giappone.- disse irremovibile Germania prima di voltargli le spalle. -Giappone, smettila di ripulire i pasticci causati da Italia e seguimi.

Lanciando un’ultima occhiata densa di rammarico, Kiku si apprestò a raggiungere il suo superiore mentre Feliciano veniva soffocato dal silenzio in cui era piombata la stanza.

***

Altrove, invece, finalmente il britannico era riuscito a raggiungere ed afferrare il pesante giubbotto, arrestando il suo incedere. Ansimava lievemente quando si rivolse a lui: -A-America, non è come sembra.- disse sicuro, prima che il ragazzo ruotasse sul posto per incrociare lo sguardo con la nazione.

-Credevo di trovarti solo, Inghilterra.- sorrise. -Sai, è bello vedere che neanche tu trascorri un giorno come questo in solitudine!- commentò acquisendo un tono più sarcastico, mentre Arthur pensò che quelle parole non erano mai state più serie.

-Ero solo venuto per chiederti di salvare il mondo; dato che sei occupato, ripasserò.- disse scrutandolo intensamente e Inghilterra non trovò le parole per ribattere. Che cosa avrebbe potuto dirgli poi? L’aveva visto crescere, un buffo bambino dai grossi occhioni azzurri, e adesso, vedendolo voltargli le spalle, non era neanche riuscito a racimolare il coraggio per dargli una spiegazione, dopo anni di maledetta convivenza, giochi sereni, nel buio del sentiero che lo conduceva lontano dalla sua casa, Arthur provò un barlume di rimorso. Una sensazione ormai dimenticata a causa del tempo inesorabilmente trascorso, sprecato, con inutili contraddizioni dettate dal suo stupidissimo orgoglio, poiché prima di tutto vigeva il dovere. Inghilterra strinse i pugni, quando ormai Alfred era già invisibile ai suoi occhi.

Prima che il freddo di Febbraio lo congelasse del tutto, si apprestò a rientrare, ricordandosi di avere un francese quasi steso sul suo divano e quando mise piede nel salotto, evitò volutamente lo sguardo cristallino che seguiva i suoi movimenti con apprensione. Si sedette poi, senza elargire una sola parola.

-Sarà meglio che vada.- espose Francia ricomponendosi. Il silenzio di Inghilterra lo stava facendo sentire maledettamente a disagio.

-Ti ho mai detto…- finalmente Arthur gli si rivolse. -…che voi francesi siete anche dei pessimi baciatori?

Francis sorrise maliziosamente prima di catturare nuovamente le sue labbra.

Talvolta il passato era meglio lasciarselo alle spalle, chissà poi se in futuro avrebbe nuovamente bussato alla porta ma, in quel momento, anelando inconsciamente colui che gli stava dinanzi, contava soltanto il presente.

***

Più tardi, invece…

Alfred rincasò dopo un lungo tragitto, finché riversandosi nella sua accogliente e confusionaria abitazione venne piacevolmente investito dal calore dell’impianto di riscaldamento.

“Bentornato” gli disse Tony nella sua lingua incomprensibile, sparendo lentamente in uno dei bui corridoi. La nazione raggiunse quindi la stanza in cui era ben in vista la console di gioco e lanciando distrattamente il giubbotto sul divano rimirò per un solo istante lo schermo nero del televisore, il pensiero per un millesimo di secondo rivolto a Inghilterra.

-Ehm… S-Sono desolato, A-America.

Il giovane balzò sorpreso colto improvvisamente dal panico e, riversandosi ad accendere le luci, scrutò ogni angolo del piccolo ambiente, vedendo muovere l’indumento che s’era da poco sfilato.

-Chi è là?! Oggi è la festa degli innamorati, chi mai potrebbe volere una disputa con l’eroe dell’Alleanza in questo giorno?- chiese piccato.

-A-America, e-ecco io…

-Esci fuori, codardo! Prima che venga lì e faccia “boom”, ho una pistola!

-La prego, non spari!

E Canada sbucò da sotto il giubbotto tremando vistosamente.

-M-Ma… sei Canada.- esclamò Alfred inforcando meglio gli occhiali, esprimendosi poi con la sua classica risata; il timido ragazzo si ritrovò a chiedergli sommessamente scusa per essersi presentato senza preavviso, ma America non l’aveva neanche ascoltato, buttandosi pesantemente sul divano. Invitò Canada che restio e alquanto imbarazzato l’affiancò stringendo convulsamente a sé Kumajirou.

-Io ero venuto per chiedere una cosa…- azzardò sommessamente Matthew.

-Yes.- Incalzò sicuro la nazione.

-Ma… l’ho dimenticato. Ora, mi dispiace ma…

Alfred ridacchiò nuovamente per poi prendere dal giubbotto un cofanetto, sventolandoglielo sotto gli pupille chiarissime che ne seguirono il movimento. Canada non comprese il gesto, almeno finché America non accese il teleschermo inserendo un dischetto nella console; Matthew sospirò, lo stava nuovamente ignorando. Si alzò quindi, pronto a lasciare l’abitazione, quando si ritrovò la mano della nazione ad un centimetro dal suo corpo, mentre gli porgeva un controller… Canada spalancò impercettibilmente le labbra sorpreso, prima di afferrare titubante l’aggeggio e Alfred gli elargì un sorriso.

-Ricorda, io sono l’eroe.- asserì sicuro.

-Sì, America!

***

Il campanello del forno riempì l’ambiente silenzioso, annunciando la cottura della torta ormai gonfia. Feliciano, facendo per una volta attenzione, si prodigò di estrarla con un apposito guanto di stoffa constatando orgogliosamente che non si fosse bruciata neanche un po’. Eppure… Perché tutto a un tratto non aveva neanche più voglia di addentarla? Ignorò quell’ultimo pensiero, forse avrebbe dovuto prima guarnirla: afferrando quindi una buona dose di panna montata, cominciò a tracciarne il contorno, i bordi, e senza che se ne rendesse conto compose una scritta che recava un semplice “Buon San Valentino”. A lavoro compiuto, si disse che prima di mangiarla tutta avrebbe dovuto offrirla anche a Giappone e Germania, magari quest’ultimo l’avrebbe perdonato, come sempre.

“No”.

Quella parola gli rimbombò inesorabile nella testa, facendolo rabbrividire. Non aveva neanche compreso il motivo di una simile reazione, eppure aveva soltanto marinato l’addestramento, rotto due piatti, imbrattato la cucina per… cucinare. Era risaputo che il tedesco non si concedesse neanche per un istante simili momenti. Italia concluse il tutto mettendoci delle rosse fragole sopra. Già, era tutto lavoro, lavoro, lavoro: Ludwig era severo, irascibile e soprattutto… soprattutto… Feliciano corrugò le sopracciglia, per la prima volta stava provando a formulare quelle parole sottoforma di insulti.

Gli aveva mentito.

Ricordò quando avevano mangiato insieme le salsicce, godendosi il panorama sulla collina, durante l’alleanza con Russia…

Non erano amici.

Scrivergli una lettera, la volta precedente, era stato un fallimento. E in quel momento non se la sentiva di disturbare ancora una volta Francia nii-san; anche se, portandosi l’indice al mento, appurò sicuramente che gli avrebbe consigliato di mostrargli le natiche. Dopotutto che male c’era? Si disse prendendo la torta. Gliel’avrebbe portata come simbolo di pace e soprattutto, avrebbe dimostrato coraggio affrontandolo. Avanzò quindi nei corridoi e… dopo il terzo passo già sudava, deglutendo nervosamente. Sicuramente Germania era nel suo studio, ma perché doveva essere tanto vicino?! Prese un bel respiro non rendendosi conto neanche di andare in apnea.

-D-D-Doitsu…- lo chiamò, senza ricevere risposta. Si sporse un millimetro, e gli sembrò anche troppo. -S-Sono I-I-I…-

Poi il tremore cessò.

Ludwig era chinato sulla scrivania, le braccia gli circondavano il capo e una mano teneva ancora ben stretta una penna. Le palpebre chiuse e un’espressione vagamente più rilassata solcavano i lineamenti spigolosi, alcuni ciuffi ricadevano scompostamente sulla fronte. Feliciano scrutò i minimi dettagli; quando avevano dormito insieme, era troppo occupato a sonnecchiare stancamente per prestargli attenzione.

Un lampo lo folgorò, le dita strinsero con più forza il vassoio.

Talvolta, l’ingenuità che prevaleva in lui veniva tramutata necessariamente in egoismo.

Germania era sommerso di lavoro, appurò vedendo miriadi di documenti sparsi qua e là; si avvicinò quindi, poggiando la torta e si prodigò di sfilargli la penna dalle dita per dare un’occhiata veloce alle scartoffie. Anche uno come lui comprese che quello non doveva essere un bel periodo. Un mormorio di disappunto lo distolse, tremante alla vista di Ludwig quasi del tutto sveglio.

-Italia?- chiese cercando di darsi un contegno, la vista ancora lievemente appannata.

Feliciano strinse i denti ignorando la soggezione, quindi si limitò a rispondergli con un saluto militare, battendo troppo forte la mano contro la sua fronte.

-Agli ordini Capitano!

Il tedesco rimase per un attimo basito, poi riprese la sua espressione accigliata e il tono duro sistemando le carte.

-Non ho tempo per… qualsiasi cosa tu stia cercando di fare, Italia.

-Veh, veh, veh, aspetta Doitsu!- disse vedendolo alzarsi per lasciare la stanza. -Ho fatto una torta per… p-per…- il ragazzo incespicò sulle sue stesse parole borbottando qualcosa, mentre Germania cominciava ad essere spazientito, credendo si trattasse delle solite scuse. -PER NOI DOITSU!!!- urlò a squarciagola Feliciano, talmente forte da farlo mantenere alla scrivania. Eppure il biondo credé di non aver capito bene. -A-Ascolta, tu lavori sempre e urli, urli, urli…- commentò Italia quasi sull’orlo di culminare con un pianto. -M-Ma adesso ho capito perché urli. Non sciogliere la nostra alleanza! I-Io sarò un buon allievo, lo giuro, lo giuro, lo giuro…

Ludwig, ormai esasperato dalle parole rotte dai singulti e da quelle urla capaci di perforargli i timpani, si apprestò a cercare il giusto modo per rivolgersi a lui, e soprattutto per farlo smettere, dato che aveva anche cominciato ad agitare forsennatamente le braccia.

-Italia, ascolta…- disse avvicinandosi.

-Veeeh! Non mandarmi via, non farmi del male!-

-Dannazione, smettila, Italia!- esclamò prendendolo per le spalle e Feliciano, intimorito, abbassò lo sguardo senza proferire parola. Il tedesco sospirò serrando le palpebre, conscio di aver intrapreso una lotta all’ultimo sangue con il proprio orgoglio e soprattutto contro il suo dovere di soldato; lo lasciò andare voltando il volto di lato, la smorfia delle labbra si accentuò, poi i chiarissimi occhi incontrarono la forma di un’invitante torta al cioccolato.

-Non ho detto di volerti mandare via.- ammise infine, pur ricordandosi della discussione avvenuta.

Ma io non ti servo a nulla. Pensò l’italiano rabbuiandosi, quando il consiglio di nii-san divenne ormai l’ultima risorsa. Cominciò a slacciarsi forsennatamente la cintura, poi i pantaloni, mentre Ludwig abbandonava la sua maschera d’indifferenza per riservargli un’espressione a dir poco sconcertata, le guance in fiamme.

-Che stai facendo, idiota?!-

Per sua fortuna Italia gli dava la schiena mentre abbassava i boxer. Suo malgrado, invece, l’espressione che gli riservò l’aveva spiazzato… La mano portata all’angolo della bocca, stretta a pungo simboleggiava la sua timidezza; l’espressione dispiaciuta, quasi sofferente, marcava gli zigomi arrossati. Perché sembrava maledettamente uno di quei tizi dei suoi DVD erotici?!

Proprio in quel momento, qualcun altro fece capolino sulla porta.

-S-Sumimasen, non era mia intenzione interrompere!- si scusò Kiku scomparendo velocemente.

-G-Giappone! Dove stai andando?! Non è come pensi!

Le parole volarono al vento mentre piccoli brividi percorrevano la schiena del tedesco.

-E tu che aspetti a ricomporti?!

-Umh.- asserì Feliciano rialzandosi le brache. -Nii-san aveva detto che avrebbe funzionato.

-Dovresti smetterla di dar retta a quel pervertito!- commentò Ludwig respirando con difficoltà, stranamente il colletto della camicia risultava fin troppo stretto. “Soltanto quello?” gli parve di sentir mormorare nella sua testa, scuotendola poi con forza volendo dimenticare quella scena. -Cosa dicevi a proposito del “buon allievo”?- domandò serio, e Italia gli si rivolse speranzoso: -Farò ciò che il mio Capitano chiede!

Germania abbozzò una resa, probabilmente non ci credeva neanche lui a ciò che stava dicendo.

-Ma… Ci vogliono le giuste energie per affrontare l’addestramento! Veh.- esclamò Italia portandosi l’indice al mento compiaciuto, riferendosi ovviamente alla torta. Si avvicinò pimpante alla scrivania tagliandone un’enorme fetta, servendola a Germania, ancora in difficoltà: non si sarebbe mai abituato ai tempestosi cambiamenti d’umore di Italia. Gustarono silenziosamente il dolce, ed era ottimo, come sempre.

Se Feliciano riuscisse a far confluire quelle passioni anche verso gli scopi belligeranti, la discussione non sarebbe mai avvenuta.

***

Inghilterra boccheggiò, la fronte imperlata da minuscole goccioline. -A-Aspetta.-sussurrò nel silenzio di quella camera da letto, l’effetto dell’alcol quasi del tutto svanito. Francia si staccò dal suo corpo, avendo raggiunto il limite massimo, scrutando serenamente quei cocci di bottiglia verdi che esprimevano un buffo disappunto. -E smettila di guardarmi, stupido francese.

-Questo è stato il più be…

-Shit! Il più strano.- lo corresse Arthur e Francis ridacchiò, forse intimamente compiaciuto di quella vittoria su America.

-Comme vous le souhaitez: il più strano San Valentino che abbia mai passato.

***

“Ti aiuterò ogni volta che sarai nei guai, quindi non preoccuparti.”

A Italia sembrò di dormire talmente bene quella notte… che vi riuscì finché un incubo non lo costrinse a invadere il letto di Germania. Ma fece tanta attenzione da non svegliarlo, poiché quel giorno era stato lungo e intenso per tutti; ma soprattutto, era riuscito a comprendere quanto potesse essere piacevole dividere una torta al cioccolato, piuttosto che mangiarsela tutta in una volta sola. Sorrise facendosi spazio sul materasso ripercorrendo i momenti trascorsi in compagnia del tedesco, da quando avevano siglato il patto a quando l’aveva visto abbandonato sulla scrivania. Si sporse lievemente per scrutare il volto di Ludwig, la cui fronte era completamente coperta dai ciuffi lisci e biondi: lo preferiva così, pensò arrossendo. Meno spaventoso… Poggiò il capo sul cuscino deciso ad assopirsi, quando gli occhi gelidi di Germania lo inchiodarono sul posto. Italia sobbalzò sorpreso, ma prima che potesse proferire parola, Ludwig l’attirò prepotentemente a sé tappandogli la bocca con la propria, strappandogli un gemito quando le lingue s’intersecarono. Le mani finalmente nude percorsero le braccia esili dell’italiano bloccandogli i polsi mentre Germania lo sovrastò, chinandosi poi sull’esile collo.

-D-Doitsu…

-Stille.

Quella era l’ennesima promessa che gli stava facendo, a modo suo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oh che emozione, è finita! Spero davvero che la oneshot vi sia piaciuta. E’ la prima volta che mi cimento in una cosa simile e… finora i pairing che prediligo sono appunto Germania x Italia, Francia x Inghilterra, America x Inghilterra o America x Canada. Ho cercato di renderli al meglio, mi auguro siano piaciuti anche a voi e… se volete lasciate un segno del vostro passaggio per farmi sapere se le storia è piaciuta o meno^^ Grazie mille a coloro che la leggeranno dedicandomi un po’ di tempo!

* La lettera che Germania legge è tratta davvero da un documento di Hitler riservato a Mussolini.

* Comme vous le souhaitez = Come preferisci

* Stille = Silenzio

   
 
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