Capitolo
10
Clara
capì che era tutto finito quando lui finalmente si
alzò, uscendo da lei e
dandole le spalle. Non si era aspettata che quel momento di imbarazzo,
che
naturalmente seguiva un rapporto sessuale tra estranei, fosse colmato
da frasi
altisonanti e dichiarazioni di amore imperituro. Non era una sciocca.
Eppure il
silenzio che scese tra di loro, a riempire lo spazio lasciato da gemiti
e
sospiri che si erano susseguiti fino a poco prima, la lasciò
disorientata. A
fatica si sollevò, percependo un lieve fastidio alla schiena
laddove era stata
premuta contro la solidità del legno dal peso di Giulio.
Mentre il professore
si rivestiva, lei recuperò l’intimo e
sistemò il vestito leggero che aveva
scelto quella mattina e che era rimasto arrotolato in vita,
poichè la foga
della passione aveva impedito loro di spogliarsi completamente. Avrebbe
voluto
specchiarsi per constatare lo stato dei suoi capelli, sicuramente
arruffati per
via delle carezze di Giulio, ma si accontentò di passarvici
le mani e legarli
in una coda ordinata. Mentre
recuperava
le proprie ballerine, finite chissà come dietro una sedia,
notò la cravatta del
giovane, ugualmente abbandonata sul pavimento.
«Cercavi
questa?» esclamò canzonatoria quando si accorse
che Giulio era alla ricerca
piuttosto frenetica di qualcosa.
«Proprio
così» ammise lui, allungando una mano per farsela
consegnare e degnandola di
un’occhiata per la prima volta da quando si era allontanato
da lei. Fu
questione di una manciata di secondi, perché il suo sguardo
si sottrasse
velocemente a quel contatto, rivolgendosi alla parete dietro di lei.
Cosa ti succede?
Avrebbe
voluto porgli quella e un altro centinaio di domande per capire il
motivo di
quel suo atteggiamento inspiegabilmente distaccato, ma la paura di
udire parole
che l’avrebbero ferita, proprio quand’era
più vulnerabile, la frenò.
Voltandosi
recuperò la propria borsa e vi infilò
rabbiosamente gli appunti che aveva
dimenticato sulla scrivania, passati inevitabilmente in secondo piano
alla luce
degli sviluppi del loro incontro.
«Maledizione»
imprecò Giulio, strattonandosi nervosamente la cravatta
intorno al collo. Clara
lo osservò in silenzio, captando segnali di insofferenza nel
lieve tremolio
delle sue mani e negli sbuffi che emetteva ripetutamente.
«Lascia
fare a me» si offrì, vedendo che il professore non
otteneva alcun risultato, se
non quello di stropicciare ulteriormente la sua cravatta.
Giulio
si arrese, a malincuore, consegnandogliela e rimanendo immobile in
attesa che lei
svolgesse il compito affidatole. Clara si sistemò di fronte
a lui, gli sollevò
il colletto e vi fece scorrere intorno il morbido tessuto per poi
concentrarsi
sul nodo da creare. La sua vicinanza non la aiutava a mantenere la
lucidità
necessaria e ci volle tutta la sua forza di volontà per
escludere dalla mente
le immagini dei loro baci appassionati e richiamare i ricordi degli
insegnamenti di suo padre, che aveva accontentato il suo desiderio di
bambina
di imparare ad annodare una cravatta.
«Finito»
annunciò soddisfatta.
«Grazie»
rispose Giulio, arretrando impercettibilmente. «Ti
sarò sembrato un impiastro,
ma di solito me la cavo».
Entrambi
colsero immediatamente il doppio senso che quella frase portava con
sé,
nonostante il giovane l’avesse pronunciata per alleggerire la
tensione
palpabile che aleggiava tra di loro.
«Scusami,
ma ora ho del lavoro da sbrigare» continuò,
recuperando la giacca dallo
schienale della sua sedia.
Non ho
più tempo per te.
Era
quello il messaggio sottointeso, affiancato da un implicito invito ad
andarsene
da quello studio e, forse, dalla sua intera esistenza.
«Sì,
certo. Capisco» balbettò Clara, che non si
aspettava di essere liquidata così
sbrigativamente.
Afferrò
le proprie cose e si avviò verso la porta, senza avere il
coraggio di chiedere spiegazioni
o di protestare. Si era illusa di aver condiviso con lui molto
più di un
rapporto sessuale e ora ne scontava le dolorose conseguenze.
«Clara»
la fermò lui, quando lei aveva già la mano sulla
maniglia della porta, pronta a
uscire.
La
ragazza si voltò, trovandolo a pochi passi da lei. Avrebbe
potuto toccarlo, se
solo avesse allungato il braccio e si fosse sporta verso di lui.
«A
presto» concluse, sorridendole insicuro.
Quanto presto?
Non
c’era nulla di confortante nelle sue parole, nulla che le
facesse presagire la
sua volontà di rivederla ancora e di istaurare tra loro una
relazione che
esulasse da quella che avevano come alunna e professore. Nonostante
ciò, Clara
ne fece tesoro e si aggrappò con tutte le proprie forze a
quel barlume di
speranza che da esse poteva trarre.
«A
presto».
A
passo spedito si avviò lungo i corridoi che aveva
attraversato solo qualche ora
prima, facendo affidamento sul suo senso di orientamento per ritrovare
gli
ascensori che l’avrebbero condotta al piano terra.
Tirò un sospiro di sollievo
quando li raggiunse e premette il bottone argentato su cui campeggiava
una
freccia rivolta verso il basso.
«Fermati»
le ordinò una voce conosciuta, mentre lei stava mettendo
piede all’interno
dell’ascensore che aveva risposto alla sua chiamata.
Clara
ubbidì, arretrando e fissando incredula Giulio, che si
avvicinava ansimante
dopo quella che molto probabilmente era stata una corsa. Per un attimo,
mentre
lui riprendeva fiato, si cullò nell’idea che si
fosse precipitato lì per
implorare perdono e stringerla nuovamente tra le sue braccia.
«Avevi
scordato questo» esordì invece, consegnandole il
manuale che aveva promesso di
prestarle per agevolarla nello studio.
«Grazie»
disse lei, riconoscente. «Me ne ero dimenticata, che
stupida».
Si
fissarono per qualche istante, il tempo che un altro ascensore
arrivasse al
piano lasciando scendere alcune persone che li ignorarono, dirette ai
loro
uffici.
«Ora
devo andare» ammise Clara, ribaltando le posizioni di poco
prima. Ora era lei a
volersi sottrarre velocemente a quella situazione per rifugiarsi nella
sicurezza di casa sua, dove avrebbe potuto riflettere con calma sui
recenti
avvenimenti.
«In
bocca al lupo per l’esame» le augurò
Giulio.
Rimase
lì, immobile, ad aspettare che lei scomparisse e il suo
sguardo penetrante fu
l’ultimo dettaglio che Clara riuscì a scorgere
prima che le porte si
chiudessero tra di loro.
È
finita.
Era
un pensiero dal retrogusto amaro quello che
l’accompagnò fuori dall’edificio,
dove una ventata di aria calda e umida le fece rimpiangere la frescura
garantita dall’impianto di condizionamento interno. Cercando
di non sprecare
ulteriori minuti si diresse verso la fermata del tram, ma un suono
breve e
acuto del suo cellulare l’avvisò che aveva
ricevuto un messaggio, così si fermò
all’ombra di un palazzo per leggerlo.
«Sei
in università? Pranziamo insieme?».
L’invito
di Marta era allettante, non poteva negarlo. In quel momento, confusa
com’era,
poter ascoltare il consiglio di un’amica fidata le sembrava
indispensabile. D’altra
parte, la sua coscienza le ricordò che l’esame
incombeva e che lei si era già
concessa troppe distrazioni.
«Un
panino al volo» rispose, sentendosi meglio per quel
compromesso con se stessa.
«Perfetto.
Ti aspetto al solito posto».
Clara
raggiunse il bar in cinque minuti scarsi e individuò subito
Marta, seduta a
quello che insieme avevano eletto come il loro tavolo preferito,
perché si
trovava in un angolo tranquillo ma dotato di una buona vista sul resto
del
locale e sull’esterno.
«Eccoti!»
la salutò l’amica, dimostrando
un’allegria che la ragazza si ritrovò a
invidiare.
Sfogliarono
l’ampio menu scambiandosi qualche breve riflessione sul loro
livello di
preparazione, senza che Clara riuscisse a introdurre
l’argomento che più le
premeva discutere e che le aveva persino sottratto l’appetito.
«C’è
qualcosa che non va?» le chiese Marta, preoccupata.
Tutto.
Giulio
aveva appena fatto il suo ingresso e si stava facendo largo tra sedie e
tavoli
per raggiungere dei colleghi che Clara notò solo allora,
seduti a poca distanza
da loro. Marta, vedendo che l’amica non rispondeva,
seguì la direzione del suo
sguardo e riconobbe il professore.
«Non
dirmi che ti tormenta ancora!» esclamò, mal
interpretando l’espressione
corrucciata dell’altra.
Non immagini
quanto.
«Abbiamo
fatto sesso».
Dirlo
ad alta voce lo rese infinitamente più reale di quanto fosse
stato fino a quel
momento.
«Voi
che cosa?» urlò Marta, non riuscendo a
trattenersi. Così facendo attirò
l’attenzione
di tutti gli avventori, compreso lo stesso Giulio, che non si era
accorto della
presenza della ragazza.
I
loro occhi si incontrarono, mescolando sorpresa e imbarazzo. Il giovane
non
impiegò molto a collegare lo stupore di Marta al rossore che
colorava le guance
dell’amica e il suo sguardo si velò di delusione e
amarezza, di cui la ragazza
era l’unica destinataria. Se solo avesse potuto, Clara si
sarebbe alzata per
spiegargli che aveva frainteso, che il loro segreto sarebbe rimasto
tale e che
lei non avrebbe provocato problemi. Rimase invece seduta, inchiodata al
suo
posto da un ruolo che era chiamata a interpretare e a cui non poteva
rinunciare
senza che la sua carriera e quella di Giulio fossero irrimediabilmente
compromesse.
La
mano di Marta, che stringeva comprensiva la sua, fu il solo conforto
che poté
concedersi.
Considerazioni
Pensavate
che, dopo lo scorso capitolo, fosse tutto rose e fiori eh? Invece no,
la
situazione tra i due inevitabilmente si complica, com’era
prevedibile se
consideriamo che il loro rapporto non dovrebbe nemmeno esistere.
Secondo voi
cos’è successo a Giulio? Cosa gli è
passato per la testa? E Clara, avreste
agito nel suo stesso modo? Non è stato facile scrivere
questo capitolo, perché temo
che l’evoluzione dei sentimenti provati dai due personaggi
possa risultarvi
inaccettabile. Fatemi sapere se vi sembra logica oppure campata per
aria.
Ovviamente sarò disponibile a spiegare più
dettagliatamente ciò che qui si può
solo leggere tra le righe e ipotizzare.
Detto
questo, spero di leggere le vostre opinioni e vi ringrazio per essere
ancora
qui a leggere la storia.
A
presto!
Lexi