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Autore: BeaterNightFury    22/02/2012    4 recensioni
Giovanni de'Medici ha cinque anni, e ha un sogno.
Giovanni ha undici anni, e l'ha perso.
Giovanni ha dodici anni, e ha trovato un maestro.
Giovanni ha quattordici anni, e la sua città lo ha cacciato.
Giovanni guarda l'orizzonte, e ha perso le speranze.
Giovanni ha quasi quindici anni, e non si volterà indietro.
Giovanni diventa un soldato, combatte per sé stesso e la sua famiglia.
Giovanni ha diciotto anni, e torna a casa.
Giovanni non ha mai avuto un padre, ma ha trovato un fratello.
La parte 1, "Guarda Avanti", si è classificata seconda all'Assassin's Creed contest indetto da Silvar tales.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Parte 2

Non voltarti

 

Firenze, Novembre 1516

 

Era bello essere a casa.

Certo, non era il ritorno che Giovanni si sarebbe aspettato. Niente applausi, niente festeggiamenti, niente scuse formali per il bando di qualche anno prima.

Non era il ritorno di un eroe.

Non ancora.

Oh, beh, si disse nella testa nel tentativo di consolarsi da sé, alla mia età, Ezio Auditore era ancora un fuorilegge, a Firenze.

Era solito paragonarsi al Mentore da sempre, ovvero da quando sua madre lo aveva intrattenuto con tutte le storie sul potente Assassino che aveva salvato più volte la sua famiglia, ma era da tre anni che aveva smesso di cercarlo.

Non appena era stato grande abbastanza, aveva iniziato a far parte della Confraternita, ma già allora, Ezio Auditore era andato via, sparito, chissà dove.

Giovanni intanto si era fatto un nome, nel bene e nel male. Aveva persino assassinato un soldato corrotto, a Roma, prima che potesse attentare al Papa. Si era fatto un nome, ma non era né un dannato, né un eroe.

Il ritorno a casa sarebbe stato soltanto una tappa.

Un giorno, avrebbe avuto una sua armata. Un giorno, il suo nome sarebbe stato gridato da un angolo all’altro del Sacro Romano Impero, magari accompagnato a qualche soprannome altisonante.

Al momento, però, doveva semplicemente sopportare un vecchiaccio che lo stava guardando con aria un po’ troppo curiosa.

Doveva essere un contadino di certo. Aveva l’orlo dei vestiti sporco di terra.

Per non parlare del moccioso che aveva a cavalluccio sulle spalle. In quanto tempo avrebbe sbavato sui capelli del vecchio?

Il moccioso aveva iniziato a balbettare qualcosa, indicando Giovanni con le braccia.

Oh, magnifico, ci si mette anche il piccoletto.

“Che hai visto, Marcello? Dillo a papà, che hai visto?”

Oh, che SCHIFO. Ma dico, mia madre ha parlato mai così, con me?

Non gli ci volle molto per concludere che doveva averlo fatto di certo, ma il contadino non sembrava volersene andare.

Il piccoletto aveva iniziato a protestare a colpi di “Ma, ma, ma” e pernacchie, ma l’unica cosa che l’uomo disse fu “Adesso ci andiamo da mamma e Flavia, papà sbriga una faccenda e poi abbiamo finito”

Giovanni alzò gli occhi al cielo e fece per andarsene, ma proprio allora il vecchio decise che aveva perso la pazienza. O meglio, che suo figlio l’aveva persa, a quanto pareva.

“Giovanni di Giovanni de’Medici, giusto?” chiese, mentre il pidocchio gli scompigliava i capelli grigi nel tentativo di giocare

“Che vi importa?” chiese Giovanni, la mano che indugiava pigra sul pugnale

“Io fossi in te non lo farei” disse l’uomo in tono calmo “Ho sentito dire che presto ti metteranno a capo di un esercito”

Cosa? Chi glielo ha detto?

“So cosa starai pensando al momento. Ti basti sapere che... me l’ha detto un uccellino” disse l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla.

La mano sinistra.

Sulla quale Giovanni riuscì a distinguere una vecchia bruciatura.

Un Assassino? Con i vestiti impolverati, il moccioso in spalla e i capelli grigi? E disarmato, per giunta?

“Chi siete?” chiese, prendendolo per il polso

“Un amico. Sempre che tu mi consideri tale”

“Cosa volete?”

“Ho una spada che potrebbe interessarti, una delle migliori mai forgiate. Se ti farai trovare qui tra sette giorni, sarà tua”

Tutto qui?”

“Tutto qui. Machiavelli mi ha parlato di te, e anche molto bene devo dire. Soltanto, dovrai promettermi di non snudare mai più un’arma senza ragione”

Fece per allontanarsi.

Ma Giovanni non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Mah. Come si permetteva di dargli ordini per una semplice vecchia spada?

“Chi vi credete di essere?” sillabò a voce alta “Non siete mio padre né il mio maestro”

L’Assassino più anziano non fece una piega.

“Quando avevi l’età che i miei figli hanno adesso, saresti stato disposto ad accettare me sia per una cosa che per l’altra” disse in tono piatto “Ti sarai anche dimenticato il mio volto, ma io non ho scordato il tuo”

Giovanni rimase fermo e zitto sul posto, quasi paralizzato dalle parole dell’uomo.

Di nuovo!

Ezio Auditore. Aveva apostrofato Ezio Auditore!

Sentiva che stava per morire dalla vergogna. Non lo fermò quando si incamminò, verso quella che Giovanni riconobbe come la moglie, e una bambina appena più grande di Marcello.

Aveva avuto un’ultima occasione, e l’aveva sprecata.

Ma d’altra parte, era sempre stato un povero illuso.

Non valeva niente.

Non era niente, non comandava nien...

“Ciao Vanni!” squittì Marcello dalle spalle del padre, girando la testa verso di lui e aprendo e chiudendo il pugnetto nel tentativo di salutare

Giovanni sorrise e alzò la mano a sua volta.

“Ci vediamo!”

Forse non tutto era perduto.

 

Sette giorni dopo, stesso posto

 

Il secondo principio del Credo diceva di essere tutt’uno con la folla, e Giovanni era più che capace di applicarlo. Non era più il dodicenne che schizzava come un matto, faceva un sacco di rumore per strada e metteva qualsiasi guardia sul chi va là: Jacopo Salviati, il suo padrino, si era a malapena accorto che era uscito di casa, e nelle strade di Firenze era stato niente altro che l’ennesimo ragazzo in giro, senza fretta né destinazione.

Eppure, era in Piazza Santa Maria Novella ed Ezio Auditore non c’era.

Che gli avesse dato buca per quella brutta risposta?

Certo, a Giovanni non interessava tanto la spada. Ma voleva rivederlo. Voleva essere certo che il vecchio Mentore lo avesse perdonato.

Perché, perché gli aveva risposto male quando lui si era soltanto appellato a un po’ di senso di responsabilità?

Perché capiva le cose soltanto quando era troppo tardi?

Non era degno di fare parte della Confraternita. L’indomani sarebbe andato da Ludovico Ariosto e gli avrebbe restituito la lama celata e...

Vanni!”

Marcello Auditore era a due passi da lui, mostrando i pochi denti che aveva in un sorriso.

“Marcello! Cosa ci fai qui?”

“Papà di là” balbettò Marcello indicando una stradina laterale “Papà ha ‘ppada. Veni!”

Prese un lembo del suo farsetto e fece per tirarlo. Giovanni si chinò e gli diede la mano.

Proprio come Marcello aveva detto, Ezio Auditore era appoggiato contro un muro, una spada legata alla cintura. Per certi versi, si sarebbe ancora potuto riconoscerlo, adesso, senza bambino piccolo sulle spalle e armato.

“Bravissimo, Marcello. Ottimo lavoro” fu il suo primo commento mentre Marcello rideva e batteva le mani “Ora, Giovanni... il tuo tono l’altro giorno non mi piaceva, ma questa spada deve passare di mano”

“Non mi importa la spada, Mentore” Giovanni rispose “Volevo soltanto... il vostro perdono”

“Da che mi risulti, il Mentore adesso è Ludovico”

“Per me siete ancora voi”

Ezio abbozzò un sorriso e gli mise di nuovo una mano sulla spalla.

“Penso che quello che ti è successo sette giorni fa ti sia servito di lezione. Non snudare un’arma senza ragione... e non impugnarla senza valore, ricordalo sempre” disse slegando spada e fodero dalla cintura e mettendoglieli in mano “Le guerre riprenderanno, ne sono certo. La Confraternita avrà bisogno di uomini come te per portare la pace”

“Farò il possibile. Lo prometto.”

“Mi fido di te. Spesso la pratica è meglio di qualsiasi lezione. Fa’ che sia così anche per come ti rivolgi alle persone, e andrà tutto bene”

Giovanni si legò la spada alla cintura e fece per andarsene, ma qualcosa, o meglio qualcuno, lo tirò per i vestiti. Girò la testa e vide che Marcello sghignazzava stringendogli l’orlo del farsetto.

“Vanni!” pigolò, ma Giovanni capì dai suoi gesti che voleva dire qualcosa di più del suo nome: aveva lasciato la stoffa e alzato le braccia, aprendo e chiudendo le mani nel gesto di voler prendere qualcosa.

Giovanni si chinò per terra e gli mise una mano sulla spalla.

“Cosa vuoi, pulcino?”

Marcello fece un altro passo in avanti e gli mise le braccia al collo.

Giovanni ricambiò l’abbraccio, dando una pacca sulla spalla al bambino piccolo.

Istintivamente, la sua mente andò a quel giorno di tre anni prima in cui, come sette giorni prima, aveva incontrato Ezio Auditore senza riconoscerlo.

Quel giorno, a nemmeno quindici anni, aveva augurato al bambino che sarebbe dovuto nascere – e poi si era rivelato essere una bambina – di poter conoscere suo padre e avere un fratello minore.

Non avrebbe mai pensato che quell’augurio si sarebbe avverato, o meglio, che si sarebbe avverato in quel modo.

“Sì, ti voglio bene anche io, pulcino”

 

Gennaio 1525, Roma, Acquedotto Marcio

 

Ancora una volta, Giovanni de’Medici lasciava Roma.

Si ricordava delle prime volte che era stato in quel posto, un quindicenne dall’aria stupida e dalle idee ancora più stupide.

Era stato proprio sotto quegli archi di pietra antica che aveva preso la decisione di andare per la sua strada.

Aveva intrapreso il suo cammino da solo, eppure stavolta non era solo.

Un ragazzo di dieci anni camminava al suo fianco, voltandosi indietro di tanto in tanto, ma senza smettere di camminare.

“Non voltarti, pulcino”

“Perché... maestro?”

“Prima di tutto, non chiamarmi maestro. Per te sono sempre Giovanni, ricorda. Siamo una Confraternita... è come se io fossi il tuo fratello maggiore”

“Perché non devo guardarmi indietro, Giovanni?”

“Perché il mondo è avanti. Non devi pensare a quello che è stato, non quando dovresti pensare a quello che è, e a quello che sarà. Non si può tornare piccoli o mandare il tempo all’indietro. Però si può crescere, ed è questo che io voglio che tu faccia”

“Giovanni...”

“Sì?”

“Ma sul serio è come se tu sei mio fratello?”

“Sì, pulcino. Sul serio”

Marcello Auditore sorrise.

Grazie

   
 
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