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Autore: Callie_Stephanides    22/02/2012    6 recensioni
Leya di Trier ha sette anni, la notte in cui il Destino le regala un fratello: ha le pupille verticali e la coda di un rettile; nelle sue vene scorre il sangue degli uomini-drago. Due decadi più tardi, quando l’armata dei liocorni neri è ormai a un passo dallo stringere d’assedio la Capitale, l’inevitabile scontro tra gli ultimi discendenti di una stirpe perduta è solo l’inizio di un profetico riscatto.
(...) Per questo ora scrivo, in uno studio pieno d’ombra e all’ombra della mia memoria.
Scrivo perché nessuno possa celebrarmi per quello che mai sono stata: coraggiosa e nobile e bella.
Scrivo perché nessuno dimentichi di noi l’essenziale: che l’ho odiato di un amore dolcissimo e amato di un odio divorante.
Come un drago (...)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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2.
Uccellagione

È un paradosso atroce, ma ti accorgi della vita quasi solo quando ti scivola dalle mani.
È in quel momento, mentre ti aggrappi disperato alle ultime briciole d’opportunità, che riconosci il valore di ogni respiro, di ogni pensiero, di ogni speranza.
Non ci stai a scivolare via. Non puoi arrenderti.
 
Non potevo io, zuppa del sangue dello Shire e terrorizzata da un’insopportabile evidenza: lui stava arrivando.
Vinus mi avrebbe massacrato senza che potessi fare nulla per impedirglielo.
 
Il mio cuore galoppava furibondo, mentre contavo i suoi passi e il brontolio di una fiera che solo un dracomanno avrebbe chiamato amico.
Strinsi i denti e mi sollevai sulla carcassa fumante della povera cavalcatura.
C’era stato un tempo in cui una simile vista mi avrebbe rovesciato lo stomaco, perché non conoscevo la morte se non come ipotesi. Dopo mesi di guerra e viscere scoperte, non mi curavo nemmeno del velo vischioso e nauseante che si rapprendeva sulla mia pelle.
I fianchi della fossa erano ripidi e coperti di pietrisco, ma l’ipotesi di trovarmi senza unghie, i palmi abrasi sino a scoprire la carne viva, non mi preoccupava quanto l’eventualità di fronteggiare Vinus da una posizione di manifesto svantaggio. Era la mia preda, né potevo arrendermi a una scontata inversione dei ruoli.
La Storia mi aveva già dimostrato che gli dei potevano cadere, che i draghi perdevano le ali, che il nemico poteva cedere all’imprevedibilità di un atto magnanimo.
Mi aveva insegnato, soprattutto, che le donne sapevano odiare come un uomo non sarebbe mai arrivato a concepire.
“Coraggio, Leya… Tu non hai mai avuto paura.”
Le pietre aguzze s’incuneavano sotto la pelle, stracciavano la stoffa dei miei abiti da soldato, si disfacevano, friabili, come un torrentello di polvere per la pressione del mio corpo: eppure avanzavo.
Schiumando bestemmie e maledizioni, m’issai oltre l’orlo della trappola mentre Vinus la raggiungeva dall’altro capo della radura.
Fu un istante e fu l’eternità: i nostri occhi s’incontrarono senza che le labbra osassero emettere un suono.
Ci squadravamo a distanza, cervo e cacciatore insieme.
Le iridi rosate, solcate da quell’inquietante unghia nerastra, mi studiavano senza apparente curiosità.
Il suo viso si era affilato e indurito, ma la bocca era la stessa che ricordavo; così il sorriso, quando dischiuse le labbra e mostrò le zanne.
Gli diedi le spalle e cominciai a correre. Il cuore in gola e la treccia disfatta, mi consegnavo all’ombra umida della foresta come una fiamma ondeggiante, incurante dei rami che mi sferzavano la pelle quanto più mi addentravo nel folto del bosco.
Mi stava seguendo, Vinus? O aveva liberato il liocorno perché mi sbranasse?
Non osavo guardarmi alle spalle, perché tanto mi avrebbe rallentato e, soprattutto, avrebbe incrementato il panico che già mi mozzava il respiro.
L’avevo torturato e umiliato e trascinato su un patibolo che aveva comunque bevuto il suo sangue: potevo farmi illusioni su quel che mi sarebbe capitato?
Mi mancava il fiato, ma avrei forse raggiunto correndo i confini stessi di Elithia, se un’altra trappola non mi avesse colto.
Fu uno strappo secco e la terra scomparve da sotto i miei piedi. Vinus mi raggiunse poco dopo, un ghigno soddisfatto su quell’irresistibile muso.
Stretta alla caviglia da un robusto laccio di cuoio, mi dimenavo invano.
“Ma che piacevole sorpresa…”
Il sangue mi rombava nelle tempie e i muscoli della coscia destra erano paralizzati dal dolore.
“Quando si dice un’uccellagione abbondante!”
Avevo la bocca secca, ma tentai comunque di sputargli addosso il mio disprezzo. Per tutta risposta, Vinus recise il laccio e mi lasciò precipitare in terra.
Un’esplosione di bianco, di nero e di rosso mi accecò, poi non vidi più niente. Quando ripresi conoscenza, ero legata mani e piedi quasi fossi un capretto da arrostire.
La pioggia cadeva ora su una tettoia di rametti e foglie. Il crepitio di un modesto fuoco era una voce amica nel silenzio della notte.
Tossii, ma riuscii solo a inghiottire una manciata di polvere.
Vinus non si vedeva e quell’assenza non mi rincuorava.
Chiusi gli occhi.
Potevo solo sperare che mi sgozzasse: per quanto ne sapevo, era una morte rapida e quasi indolore. Se avesse voluto, tuttavia, la tortura sarebbe durata abbastanza da farmi perdere il lume della ragione.
Strinsi i denti, ma non riuscii a ostacolare un fiotto di bile mista a sangue – nella caduta dovevo essermi tagliata la lingua.
 
“Già sveglia? Immaginavo che fossi resistente, ma sei comunque riuscita a stupirmi.”
 
La voce di Vinus mi parve fioca. Stavo perdendo i sensi per l’ennesima volta e tutto moriva inghiottito da una soffice coltre.
Come già in passato, sognai Lukas.
La stella brillava sul nostro mondo perfetto e i suoi capelli ne bevevano la luce.
“Resta,” lo supplicavo. “Ti farai ammazzare.”
Lukas mi stringeva a sé, incollando alla mia pelle un odore che ben conoscevo. Sapeva di polvere e cuoio e fieno. Il nostro addio profumava d’estate e l’aveva cancellata dal mio cuore.
“Non morirò, se non è già scritto.”
Cercavo la sua bocca e la mordevo e suggevo la sua lingua.
“Allora sarò io a scegliere il finale.”
Un sospiro o un singhiozzo: mi svegliai con gli occhi pieni di lacrime.
Ero ancora legata, ma riposavo sul fianco. Davanti al fuoco, Vinus sonnecchiava stretto alla spada di Zauror. Aveva usato il mantello per proteggermi dal freddo notturno e la sua pelle candida era ora del tutto esposta. Dalla nuca, in corrispondenza delle vertebre, correvano piccole placche perlacee.
Se Rael ne aveva di spesse e brunite, escrescenze callose che sposavano un incarnato olivastro e culminavano nella robusta coda da frustone, in Vinus erano traslucide e somigliavano, piuttosto, alle scaglie di un pesce depigmentato.
Ripensai alle parole di Nephyl – al drago bianco della profezia – e trattenni un gemito inorridito.
Sapevano quel che stavano facendo, il mio pazzo padre e il mio fratello traditore?
Sapevano a che avrebbe condotto l’avvento di una nuova Bestia?
Mi portai le ginocchia al petto; a quanto pareva, Vinus mi aveva sottovalutato: non si era preoccupato di perquisirmi, dunque non si era accorto del pugnale che avevo legato al polpaccio sinistro. Nonostante il pessimo servizio che mi aveva reso la sua trappola, non si era mosso.
“Coraggio,” imprecai, mentre mi contorcevo come una larva nel tentativo di recuperare la lama.
Impiegai pochi istanti a estrarla, ma mi parvero eoni.
Sudavo e tremavo e pregavo la dea di non tradirmi, anche se sapevo che ero l’unica cui avrei dovuto domandare aiuto. Solo quando i legacci che mi segavano i polsi caddero a terra, ripresi a respirare.
Un fugace sguardo a Vinus – non si era mosso – e liberai anche le caviglie.
Un sorriso mi sfregiò le labbra: dunque era davvero tanto semplice?
Era una preda così accessibile, il promesso Signore dei Draghi?
La mia gloriosa illusione non durò dieci passi: prima ancora che gli fossi abbastanza vicina da poter essere considerata un pericolo, Vinus mi aveva puntato la lama al cuore.
Il suo sguardo non tradiva sorpresa, né odio.
La bocca, immobile, non mi concedeva le parole di scherno che mi sarei aspettata.
“Torna al tuo posto e non farmelo ripetere due volte.”
Rafforzai la stretta sul pugnale, quasi potesse davvero difendermi.
“È ancora un amichevole consiglio, Magistra, o potrei dimenticare che mi servi viva.”
Arretrai di un passo. Qualcosa di colloso e caldo mi scivolò lungo il collo: a sovrastarmi, una massa nera e fremente che avevo imparato a conoscere mio malgrado.
Avrei urlato, se solo mi fosse rimasto il coraggio di farlo, tanto mostruoso appariva il liocorno alla fioca luce del bivacco.
La pelliccia, tesa sul lungo muso, era lorda di sangue. Brani del mio povero Shire penzolavano dalle sue fauci di predatore. Come se non bastasse, emanava un odore immondo.
“Non hai scampo.”
Vinus si era rialzato. Rispetto a me, era un gigante: mi umiliava con la sua statura e pretendeva che me ne sentissi schiacciata.
 “Rael ha un’opinione troppo alta di te. Sei stupida almeno quanto crudele.”
Mi strinse il mento tra le dita, per costringermi a guardarlo.
“Che vuoi fare… Di me?”
Vinus sorrise, ma non c’era calore sulle sue labbra. “Addomesticarti e venderti, perché no? Con un po’ di carne addosso, saresti una puttana convincente.”
E poi, davanti al mio orrore, proruppe in un’irrefrenabile risata. Rideva di me e quel suono mi riusciva insopportabile.
“Smettila!” ringhiai. Vinus, per tutta risposta, serrò la presa sulla mandibola sino a farmi lacrimare.
Con una sola mano avrebbe potuto fracassarmi il cranio: ai suoi occhi, ero un insetto, non un avversario degno di nota.
Faceva male come mai avrei immaginato.
“Stavo scherzando,” riprese, poi posò il palmo sul muso di Niktos.
Zaren,” sussurrò e la fiera smise di alitarmi sul collo.
Mi tremavano le ginocchia e non potei impedirgli di accorgersene.
“Se ti comporterai bene, non ti accadrà nulla. Ho un debito di riconoscenza con qualcuno che ti ama come certo non meriti. Risparmiarti la vita sarà il mio modo per ringraziare.”
Rinunciai a rispondere. Fu un bene, immagino, perché non ero abbastanza lucida da offrire qualcosa di sensato a quell’imprevista possibilità.
“Ti userò come scudo o come riscatto: se i tuoi soldati mi dessero la caccia, li costringerai a desistere. Se dovessimo incontrare l’esercito di Koiros…”
Non completò la frase, ma indietreggiò con un’occhiata che, sola, bastò a farmi correre un brivido lungo la schiena.
Caddi in ginocchio, svuotata all’improvviso d’ogni energia.
“Il pugnale.”
Vinus aveva dita lunghe e ben modellate: le mani di un principe, se cicatrici sottili non avessero richiamato alla memoria il sangue che aveva reclamato e speso.
“Adesso.”
Rinunciai alla mia arma senza guardarlo in viso. Sconfitta, ai suoi piedi, somigliavo forse a un cane che attenda la carezza del padrone.
Una carezza che non venne.
Tutto quel che Vinus fece, piuttosto, fu lanciarmi un boccone di carne annerito dalla brace e quasi crudo all’interno. Ero tanto affamata che avrei inghiottito persino pugni di terra, ma non riuscii a portarmelo alla bocca: davanti al fuoco, il drago senza colore maciullava il cuore del mio cavallo.
 
“Domani riprenderemo la marcia.”
Le sue labbra erano una rosa di sangue.
La mia vita senza futuro, il capriccio di un imprevedibile guerriero.

   
 
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