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Autore: Sylphs    26/02/2012    8 recensioni
Questa fanfic racconta cosa accadde tra Erik e Christine mentre Raoul e il Persiano si destreggiavano nei sotterranei, soffermandosi sulle manovre del fantasma e della sua musa fino alla scena della messa nuziale e della messa funebre.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 MI AMI, CHRISTINE?

 
 

L’oscurità della Dimora sul Lago accolse Erik nel suo pastoso abbraccio, smorzando per sempre le grida provenienti dai piani soprastanti dell’Opera e i clamori scatenati dal suo inatteso e geniale rapimento, e il silenzio in cui era vissuto da quando aveva fatto propri quei domini fu quasi un sollievo per le sue orecchie poco abituate al frastuono. Finalmente era tornato su un territorio a lui congeniale, e nessuno era in grado di destreggiarsi nella dimora di Erik, a parte Erik stesso, ovviamente. Le trappole che aveva sistemato a difesa dell’ingresso erano ben funzionanti e si sarebbero attivate nel caso qualche seccatore avesse voluto dar noia a lui e alla sua sposa.
“Ci penserà la Sirena!” borbottò a se stesso ridacchiando come un demonio esaltato: “Ci penserà la mia Sirena ad aprire!”
Il corpo inerte di Christine Daaé sobbalzava sulle sue spalle ricurve (la fanciulla, vinta dalla fatica per la recente esibizione e dallo choc per la brutalità del ratto aveva perduto conoscenza durante il tragitto sotterraneo, favorendo i progetti del suo rapitore) e gli occhi infossati del mostro scintillavano per quel dolce peso svenuto che non causava il minimo impedimento alla sua schiena abituata all’esercizio fisico (non a caso chi ha molto viaggiato e chi si è dovuto difendere ha un corpo pronto e scattante). Oramai era tutto stabilito, la decisione era stata presa: sarebbe divenuta sua moglie, entro l’indomani sera alle undici, e si sarebbe unita a lui in ogni modo umanamente possibile, in modo tale da essergli fedele quale consorte devota e da trascorrere al suo fianco quel che restava loro da vivere. Era il proposito che più avrebbe giovato ad entrambi, poiché lui avrebbe trovato la sua vita normale e lei avrebbe smesso di pensare all’Altro che con le sue lusinghe le dominava i pensieri, confondendola e impedendole di vedere cosa era migliore per lei. Ma una volta legata a Erik dal sacro vincolo del matrimonio, avrebbe convenuto con lui d’aver evitato la rovina.
“Sarà una cerimonia coi fiocchi!” gongolò il Fantasma dell’Opera con la sua risata da demonio esaltato: “Un matrimonio alla Madeleine come non si è mai visto!”
Lasciò che la ragazza gli scivolasse dalle spalle e con infinita delicatezza (era così fragile, squisita e preziosa che aveva timore di frantumarla con un tocco troppo intenso) la adagiò sul letto che le aveva fatto da giaciglio durante il suo primo soggiorno in quei domini, deponendole la testa bionda sui guanciali morbidi. Una volta che l’ebbe sistemata in quella maniera, e che ebbe coperto il suo corpo ansante e seminudo (la gonna s’era stropicciata a furia di strusciare contro la sua schiena e il corpetto pendeva sbilenco sui suoi candidi seni) Erik si prese qualche istante di pausa e sedette accanto a lei, beandosi della sua visione e della consapevolezza ch’era di nuovo sua e di nessun altro.
La bellezza dei suoi lineamenti non era stata alterata dallo svenimento né dal terrore provato mentre veniva rapita e il suo volto serico riusciva a comunicare un’intensa sensazione di rilassamento e di dolcezza, come suggerivano la piega delle labbra rosse e carnose e il modo in cui le lunghe ciglia chiare le accarezzavano le guance diafane. Era eccessivamente pallida (un tempo le sue gote erano accese di colore) e le tremavano le palpebre, mentre i suoi lunghi capelli biondi si spargevano sui cuscini come un’aureola di luce.
Preoccupato che la brutalità necessaria del ratto potesse averla atterrita in modo eccessivo, Erik le scostò i capelli dal volto per rinfrescarlo con le correnti gelide che pervadevano la Dimora sul Lago e prese una caraffa di cristallo che aveva appoggiato al divanetto stile Luigi Filippo, la quale tintinnò argentina tra le sue dita scheletriche. Insinuando una mano sulla nuca della giovane, le sollevò il capo e appoggiò l’orlo del contenitore alle labbra morbide, facendole scivolare in gola qualche sorso d’acqua. Christine strinse le palpebre, turbata, ed emise un mugolio.
“Buon segno” pensò Erik rincuorato. Per fare un lavoro sopraffino sarebbe stato raccomandabile, secondo la logica, aprire lo strettissimo corsetto che le impediva una normale respirazione e strapparlo dalla sua vita già sufficientemente sottile, ma si era sempre considerato un gentiluomo malgrado gli altri non fossero d’accordo con lui e sarebbe stato davvero disdicevole da parte sua privare una signorina dei suoi abiti, specialmente se il pezzo faceva parte della biancheria intima. Se si fosse ripresa vedendolo mentre armeggiava con il corsetto, il suo ben noto pudore l’avrebbe spinta a vergognarsi terribilmente di lui e per convincerla a sposarlo avrebbe penato molto di più. Non l’aveva certo condotta nei suoi domini una seconda volta per approfittarsi della sua virtù e per dare una pessima immagine di sé, comportandosi come un volgare profittatore o come un ubriacone dalle vene sporche che non era neanche capace di resistere all’immagine di una bellissima fanciulla priva di sensi.
Anche se l’idea che fosse totalmente indifesa, e che lui avesse il potere di farne ciò che voleva, senza una sua opposizione, soprattutto dopo che l’aveva tradito, escogitando una fuga con l’Altro…
Scosse con forza la testa, scacciando quelle fantasie: “Tutto a suo tempo, tutto a suo tempo” si rassicurò: “Ricorda, Erik, che l’hai portata qui per farne la tua sposa, il che accadrà entro le undici di domani. Non appena sarete uniti legalmente, non dovrai più temere riguardo a questo”.
Ora capiva veramente quanto pericoloso fosse il giovane Visconte DeChagny per Christine: non tutti vantavano il suo autocontrollo e la sua capacità di ritrovarsi, e certamente quel bamboccio non avrebbe resistito alla visione scandalosa che la fanciulla svenuta offriva in quel momento. Come tutte le donne, esisteva allo scopo di tentare l’uomo, e quasi tutti quelli che le si avvicinavano non l’amavano certo, se non per il candore eccitante della sua pelle e per la flessuosità delle sue curve messe in risalto dall’abito sgualcito. Sposandola e tenendola al sicuro, l’avrebbe protetta dalla loro libidine, da quel branco di cani in calore che sbavando accorrevano e fiutavano, fiutavano…
“Stai tranquilla, Christine” sussurrò accarezzandole i capelli e indugiando con lo sguardo fiammeggiante sulle sue braccia snelle e delicate che facevano capolino timidamente dal raso della coperta: “Con me sarai al sicuro”.
Approfittando del fatto che lei fosse priva di sensi e quindi incapace di provare ribrezzo, lasciò scorrere le sue dita di cadavere sulle guance color pesca della giovane e poi giù, lungo la curva del collo e il punto in cui s’innestavano le clavicole delicate come rami di pesco. La luce fioca delle candele, che oscillava nell’oscurità gettando riflessi tutt’intorno, cadeva a fiotti sulla capigliatura dorata di Christine e la faceva brillare di platino, d’argento, d’ambra e di topazio.
“Così…bella” pensò Erik, incantato, accarezzandola piano in modo che non se ne avvedesse: “E presto sarà solo mia”.
Le sue mani gelide, percorse da un visibile tremito d’eccitazione e d’aspettativa, raccolsero il lungo velo di tulle che aveva richiesto a Madame Giry qualche giorno prima e che la donna aveva acquistato in una delle più prestigiose boutique di Parigi e lo sistemarono con una cura quasi maniacale sulla graziosa testa della fanciulla, lasciando che le incorniciasse il viso candido e che alcune ciocche bionde ne fuoriuscissero e smorzassero l’aura sacrale che le conferiva. Tra esso e il candore purissimo della veste che le rivestiva il corpo flessuoso, Christine Daaé era abbigliata esattamente come una sposa il giorno delle sue nozze e in quanto all’anello, Erik aveva provveduto non appena gli era stato possibile.
Qualche tempo prima le aveva fatto dono di una fede e l’aveva edotta sul suo significato: fintantoché l’avesse portata al dito, egli l’avrebbe considerata la sua fidanzata e non avrebbe avuto nulla da temere da lui, trovandosi sotto la sua indiscutibile protezione. Nel caso in cui tuttavia l’avesse perduta, le conseguenze sarebbero state terribili, per l’Opera e per “parecchi membri della razza umana”.
La sua Christine, smemorata come tutte le donne e troppo presa dalla corte insistente e fastidiosa del giovane Visconte, aveva lasciato cadere sbadatamente il suo regalo ed Erik, che non la perdeva mai di vista, s’era affrettato a raccoglierlo e ad infilarlo al sicuro dentro al suo giustacuore. Allora il suo disappunto e il suo dispetto erano stati grandi, tanto che aveva trovato godimento nel terrorizzare il Visconte senza cercare lo scontro diretto, ma non doveva dimenticare che ormai quell’insetto non costituiva più un impedimento per le sue trame e, contro al suo naturale orgoglio, avrebbe restituito la vera perduta alla legittima proprietaria, raccomandandole di aver maggior cura dei suoi gioielli. Se Christine non l’aveva reputata preziosa quando la loro relazione era clandestina e sotterranea, avrebbe cambiato atteggiamento una volta celebrato il matrimonio.
Ripensando al pericolo che aveva corso solo poche ore prima a causa della fuga che i due giovani avevano deciso di mettere in atto, Erik contrasse quella sua specie di faccia in una smorfia sgradevole e aumentò la pressione delle dita sulla guancia serica della fanciulla, al punto che se fosse stata sveglia ne avrebbe sofferto. Aveva rischiato di perderla per sempre e di consegnarla nelle mani lussuriose e inesperte di quell’enfant senza accennare una mossa ed era un’esperienza, questa, del tutto nuova per lui. Finora nessuno era mai riuscito ad ingannare Erik senza che Erik se ne accorgesse con largo anticipo, prendendo i dovuti provvedimenti, ma soprattutto Christine non era stata capace di prendere alcuna decisione senza interpellarlo in merito, essendo una sua proprietà.
La colpa, gli doleva assai ammetterlo, era unicamente sua. Aveva riposto una fiducia eccessiva nella capacità di giudizio di Christine e l’intensità dei suoi sentimenti per lei gli aveva annebbiato una mente sempre perfettamente lucida, inculcandogli l’illusione che ella non l’avrebbe mai tradito perché lo amava per quello che era. Ma naturalmente Christine era una donna, debole e spaurita e soprattutto giovanissima, poco più che una bambina, e come tutti gli infanti non calcolava le conseguenze delle sue azioni e non aveva la capacità di vedere cosa era giusto e cosa sbagliato per lei. L’odioso Visconte, infiammato dal desiderio impaziente e superficiale di tutti i giovanotti della sua età, l’aveva tormentata senza interruzione allo scopo di farla cedere prima possibile e naturalmente lei si era arresa per sfinimento, dando il suo consenso ad una fuga che non soltanto l’avrebbe rovinata socialmente, ma avrebbe costituito in modo irreparabile una fonte di continue disgrazie.
Fortunatamente Erik se ne era avveduto in tempo e il suo intervento riparatore era stato rapido e salvifico tanto per se stesso quanto per Christine. Certo, era stato costretto a ricorrere ad un piano che normalmente avrebbe giudicato dilettantesco e fin troppo plateale (l’aveva rapita durante uno spettacolo, abbastanza in fretta da farsi scorgere soltanto da una ballerina ma scatenando a causa di questo un’ondata di confusione) ma l’importante era che aveva riconquistato la sua Christine e che si sarebbe comportato in modo tale da evitare simili errori in futuro. Essendo lui più vecchio della sua amata  avrebbe dovuto rimproverarla con la severità necessaria di una figura più matura e più accorta di lei, ma alla fine l’avrebbe perdonata e si sarebbe proposto a lei. E la fanciulla, comprendendo i propri sbagli e desiderosa di ottenere la sua approvazione, avrebbe acconsentito immediatamente e con letizia, perché lo amava per quello che era.
Rassicurato, portò la caraffa d’acqua alla bocca senza labbra e bevve un lungo sorso che gli scivolò in gola e purificò il suo animo teso. La freddezza della fede che gli accarezzava il torace, nascosta dallo spesso tessuto che costituiva il suo giustacuore, lo rassicurava piacevolmente e la presenza della fanciulla sdraiata sul letto leniva l’apprensione che gli aveva attanagliato il cuore (sempre che ne avesse uno) durante quelle ultime terribili ore. In futuro, si ripromise solennemente, non l’avrebbe mai lasciata sola, per evitare che commettesse errori fatali e per non darle modo di contrariarlo. Non avendo alcun obbligo sociale in quanto mostro, la sua presenza fuori non sarebbe stata richiesta in nessuna occasione e avrebbe potuto trascorrere i suoi ultimi anni nella sua nuova casa di uomo sposato, una casa normale, con porte e finestre e una moglie sorridente che gli preparava la cena calda, rammendava i suoi abiti e la sera si sedeva sulle sue ginocchia accanto al fuoco, ascoltandolo e annuendo con attenzione. Non avrebbe più avuto una Camera dei Supplizi in cui rinchiudere gli indesiderati seccatori, né tantomeno un lago a pochi passi dal letto su cui andava a coricarsi la sera. Sarebbe divenuto a pieno titolo un essere umano e avrebbe avuto per consorte una donna che parecchi gentiluomini più belli e più facoltosi di lui non potevano neanche sognare. E tutto questo entro le undici della sera seguente!
“Non dovrò più preoccuparmi dell’Altro” convenne lietamente: “La mia Christine, pia com’è, crede fervidamente nell’istituzione del matrimonio e quando saremo uniti di fronte a Dio non oserà guardare a nessun altro e cercherà in ogni maniera possibile di compiacermi per adempiere con successo ai suoi doveri di coniuge”.
Un fremito di eccitamento gli attraversò la schiena quando la sua mente partorì l’immagine della sua Christine che, abbigliata di un vestito castigato e con i capelli raccolti come si conveniva ad una donna sposata, sedeva comodamente in poltrona con un ricamo sulle ginocchia e i piccoli piedi nascosti dall’ampia gonna e gli tendeva le braccia, proferendo dolcemente: “Vieni da me, marito mio”.
Non l’avrebbe più temuto per il suo aspetto e lui avrebbe potuto baciarla quando più gli aggradava, e la notte, senza che alcun disonore ricadesse su di loro, si sarebbero coricati nello stesso letto e lui avrebbe potuto far suo senza vergogna quel diafano corpo che finora aveva potuto solamente immaginare, nascosto com’era dai casti abiti che la società imponeva alle signorine.
Con quel fare infantile che a volte s’imponeva nel suo portamento, Erik non poté fare a meno di sfregarsi le mani con intima soddisfazione, gaio per la piega che aveva preso la situazione e perso dietro a fantasticherie erotiche che finora non si era mai neanche permesso. Alla fine dei fatti, contro ogni aspettativa, aveva vinto. E nessuno l’avrebbe messo in discussione.
La fanciulla distesa tra i guanciali, colta da un brivido di freddo (in quei sotterranei la temperatura era molto bassa) strinse le labbra scarlatte come petali di rosa e turbò la perfetta tranquillità dei suoi lineamenti con il lieve cipiglio che solitamente preannuncia il rinvenimento. Erik sussultò, strappato alle sue vittoriose fantasie, e con quella premura che le aveva sempre dimostrato (fuorché quando gli aveva tolto la maschera a tradimento) si chinò su di lei e le passò un braccio intorno alle spalle con delicatezza, aiutandola a mettersi seduta. Folti ciuffi di capelli biondi piovvero sulle maniche della sua giacca elegante e l’intenso profumo di lavanda che la ragazza s’era spruzzata prima di apparire in scena accarezzò le narici frementi dell’uomo deforme, che istintivamente rafforzò la stretta sulla sua pelle con atteggiamento possessivo.
Le palpebre tremarono come se avessero timore di sollevarsi, poi mostrarono le mille sfumature azzurre dell’iride, che andavano dal celeste più puro al blu più profondo, fondendosi in un colore che imitava l’acqua del mare più limpido, increspata di riflessi chiari e scuri. Christine Daaé, confusa e non ancora del tutto in sé, li sbatté varie volte per mettere a fuoco il lugubre scenario che la circondava e la macabra figura china su di lei (fortunatamente Erik aveva avuto l’accortezza di celare l’orribile volto dietro la maschera) e per qualche minuto faticò a dare un senso alla situazione. Poi, allorché ebbe ricordato il rapimento di cui era stata fatta oggetto poco tempo prima e riconosciuto la terribile Dimora sul Lago e l’identità del suo carceriere, divenne ancor più pallida del solito e mostrò un’espressione di terrore, mentre dalla bocca le usciva un grido strozzato e le membra si irrigidivano in un inutile tentativo di liberarsi dalla presa del mostro: “No!”
“Suvvia, Christine” la rimproverò lui con severità bonaria, per nulla turbato da quella reazione ostile: “Credo di averti detto più di una volta che non intendo farti alcun male, e l’esperienza che hai avuto qui qualche giorno fa dovrebbe avertelo confermato. Sei perfettamente al sicuro con me”.
Anziché rassicurarla come aveva immaginato, quelle parole sembrarono ottenere l’unico effetto di atterrirla ancora di più. Sbarrandogli addosso i begli occhi lucidi di lacrime, la fanciulla cercò di divincolarsi dal suo abbraccio e trasalì nell’accorgersi di essere sdraiata su quel letto, con le gote che le avvampavano per il pudore e l’orrore: “Cosa volete da me ancora?!” la sua voce era un misto di implorazione e di collera: “Perché mi avete condotta qui contro la mia volontà, sapendo quanto l’esperienza mi avesse sconvolta la volta precedente?!”
Tentando di non farsi accorgere da lui, infilò una delle sue piccole mani nella coperta di raso e tastò freneticamente la veste che le rivestiva il corpo, specialmente nel punto in cui era allacciato il corpetto, sbilenco ma ancora saldo sul suo torace sottile. Per un attimo un’ombra di sollievo le passò sul volto e parve ricominciare a respirare dopo una lunga apnea.
Erik comprese cosa significava quel gesto e scagliò scintille dagli occhi, preso da un’autentica ondata d’ira: “Credi forse che mi sia approfittato di te come un volgare bandito?!” ruggì, furioso per la scarsa fiducia che la ragazza gli dimostrava: “Dovresti saperlo che con te mi sono sempre comportato da gentiluomo e ti ho sempre mostrato il rispetto che meritavi! Mi giudichi un mostro fino a questo punto, capace di abusare della tua presenza in casa mia dando prova d’essere un pessimo ospite?”
Christine deglutì, spaventata da quella reazione brusca, e si strinse la coperta intorno al corpo, come se avesse potuto difenderla dalla furia del suo rapitore: “Mi avete portata in questo luogo a braccia, senza rispettare la mia persona e senza interpellarmi in merito!” trovò la forza di obiettare. Probabilmente avrebbe voluto dare alla propria voce soave un tono sicuro, ma il suo accento era debole e tremante: “Cosa volete che pensi, Erik? La vostra condotta non è certo degna di un gentiluomo, bensì, come voi stesso avete affermato, del peggiore dei banditi! Perché avete compiuto un gesto simile? Che cosa ho fatto per meritarmelo?”
Mentre parlava a questo modo trasudava disperazione e sincerità e si era ritratta subito da lui, cercando scampo sul lato opposto del letto e ammucchiando le coperte tra di loro per celarsi al suo sguardo ardente, ma Erik, irritato dalla sua ingratitudine (come si permetteva di trattarlo così dopo che l’aveva salvata dalla peggiore sciocchezza della sua vita?) le rivolse un sorriso spietato e si espresse con il suo ben noto sarcasmo: “Davvero non lo sai, mademoiselle Daaé? La cosa mi sbalordisce molto, perché mi pare che invece tu ti sia comportata in maniera alquanto disdicevole nei miei confronti. O forse eri troppo presa ad amoreggiare con il tuo amante per pensare a me?”
Un rossore colpevole infiammò il bel volto della giovane e i suoi occhi azzurri si distolsero di scatto dal suo viso mascherato, posandosi sul comodino con sopra la caraffa quasi vuota: “Non…non capisco cosa intendete dire” balbettò pateticamente, dando prova per l’ennesima volta della sua incapacità nel mentire.
Erik le scoppiò a ridere in faccia, godendo nel tormentarla e nello scorgere la vergogna sui suoi lineamenti angelici. In fin dei conti se lo meritava, aveva agito in maniera sconsiderata e aveva infranto tutte le promesse che gli aveva fatto, dunque se la trattava così era soltanto per il suo bene: “Oh, io sono sicuro che invece lo comprendi benissimo. Non fingere con me, Christine, sai bene che capisco sempre quando mi menti. Tu ricordi, non è vero, le parole che ti dissi durante il tuo primo soggiorno qui, che i miei occhi erano ovunque e che vedevo qualsiasi cosa, almeno entro il perimetro dell’Opera”.
La speranza stava rapidamente abbandonando la fanciulla: “Sì…sì, ricordo” bisbigliò, non osando intuire cosa sarebbe venuto dopo. Il sorriso malevolo del Fantasma dell’Opera si fece ancora più ampio, sebbene il dolore che gli aveva causato l’avvenimento che andava a rimembrare gli facesse stringere gli occhi per la rabbia e la gelosia: “Non avresti dovuto condurre il giovane Visconte sul tetto del teatro ieri sera, cara Christine. Come ti ho spiegato, io seguo ogni tuo movimento perché sei sotto la mia protezione e non posso permettere che qualcuno ti arrechi danno…dunque ho udito ogni parola che tu e il tuo cicisbeo vi siete rivolti, e ho assistito anche al…” strinse i pugni, per quanto bruciava il ricordo: “…al bacio che gli hai concesso”.
Aveva cercato con tutto se stesso di allontanare i pensieri dall’orribile ricordo, ma ogni suo sforzo fu vano e nel rammentare l’accaduto l’immagine che l’aveva perseguitato durante quelle ore di travaglio si stagliò chiara nella sua mente, come se fosse stato ancora nascosto dietro la statua d’un uccello di pietra, circondato dal cielo puntellato di stelle, nella notte peggiore della sua vita. Christine, la sua Christine, portava una mantella rossa bordata di pelliccia sopra all’abito di scena per difendersi dal rigore di quella sera invernale e il suo viso spaventato, ombreggiato dal cappuccio che s’era calata sulla fronte, era rivolto in alto, verso quello attraente e superficiale del Visconte Raoul DeChagny, avvolto in un ricco completo di moda e con le basette più curate di Parigi, le braccia intorno alla vita sottile della ragazza simili a vermi che strisciavano su un fiore.
Ogni parola che si erano scambiati su quel tetto Erik l’aveva udita alla perfezione e in ognuna di esse aveva trovato un motivo di ulteriore sofferenza, che aveva inflitto al suo cuore pugnalate e staffilate così profonde da mozzargli il fiato. Il suo sconvolgimento e il suo dolore nello scoprirsi ingannato avevano raggiunto l’apice quando era venuto a sapere della fuga e aveva sentito il giudizio che Christine gli aveva tenuto nascosto:
“Desidererei sapere” aveva commentato Raoulparlando lentamente: “Quale sentimento Erik vi ispira, dal momento che non lo odiate”.
“Orrore!” aveva esclamato subito la fanciulla, e aveva scagliato quella parola con una tal forza da coprire gli aliti della notte.
Erik, straziato da essa come se fosse stata una lama di coltello che l’aveva trafitto dalla testa ai piedi, era stato colto da un grave mancamento e si era dovuto sorreggere alla statua per non scivolare e palesare la sua presenza ai due giovani innamorati. Dunque, ecco la verità. Christine non lo amava affatto come invece gli aveva fatto credere durante la loro convivenza di due settimane lusingandolo e compiacendolo, bensì era profondamente disgustata da lui e non bramava altri al di fuori del suo Visconte. La sua era mera illusione. D’altra parte, come poteva un essere puro e bellissimo come lei concedere il suo affetto al Figlio del Diavolo?
Ma miracolosamente la ragione, benevola come sempre, era arrivata a sorreggerlo in quel momento di grave tribolazione e gli aveva suggerito il da farsi, scacciando i dubbi e le sofferenze che il dialogo tra i due aveva scatenato in lui. Se Christine parlava in quel modo, era solamente per dire al suo amante ciò che voleva sentire, considerato il suo animo spaurito e accomodante, poiché aveva giurato a Erik la sua fedeltà e la sua devozione imperituri e, dimostrandosi spergiura, sarebbe venuta meno alla sua incrollabile fede e sarebbe divenuta una peccatrice, una conseguenza, questa, che la faceva inorridire. Dunque il suo giuramento era stato sincero, e il suo mutamento di opinione era dovuto unicamente alla seduzione che il Visconte aveva operato su di lei, soggiogandola e incantandola con le sue false promesse. Era suo dovere, oltre che piacere, strapparla alle sue grinfie e spezzare l’incantesimo in modo da restituirle la sua stabilità e sottrarla alla spirale di peccato che minacciava di risucchiarla. Nel caso in cui invece avesse nutrito davvero orrore nei suoi confronti…bene, il tempo fa miracoli e loro erano fatti l’uno per l’altra, presto non avrebbe più badato al suo aspetto e si sarebbe abituata.
“Mi avevi assicurato di non provare nulla per lui” continuò sibilando come una serpe e tenendo a bada la rabbia a stento: “Lo avevi giurato sulla tua anima, Christine! Eppure, nonostante questo, appena ti ho permesso di allontanarti dalla mia dimora ti sei precipitata da lui e gli hai raccontato tutto su di noi, concedendogli di rubarti un bacio! Come devo interpretare la tua condotta?”
La giovane cantante rimase in un silenzio carico di angoscia, fissandolo coi suoi begli occhi azzurri spalancati e celandosi dietro alla massa di capelli chiari, come se il suo più recondito e forte desiderio fosse quello di svanire da quel luogo maledetto e da quelle accuse secche e perentorie. Irritato dal suo mutismo e dalla sua espressione di paura (non voleva certo che la repulsione per il suo volto mostruoso venisse accresciuta anche dallo spavento), Erik si trattenne dal toccarla ma alzò la voce in un ordine che non ammetteva repliche: “Rispondimi, Christine! Fino a prova contraria, mi hai giurato la tua devozione ed io non ti ho liberata dal giuramento, di conseguenza non avevi alcun diritto di legarti ad un altro mentre eri ancora impegnata con me e ti sei comportata al pari di una sgualdrina, cosa che non sei mai stata! Quel giovane ti ha forse costretta a farlo? Ha preteso che ricambiassi le sue attenzioni? Se è così non hai nessuna colpa e sono anche disposto a chiederti perdono, ma voglio sentirlo dalle tue labbra, e saprò se mi stai mentendo”.
La fanciulla abbassò lo sguardo sulle proprie mani affusolate che tormentavano disperatamente un lembo della gonna e rifuggì ai suoi occhi infuocati e traditi, che la fissavano con bramosia dai due fori nella maschera bianca. Lentamente, e con un visibile tremito, scosse la testa in segno di diniego e poi chiuse gli occhi aspettando il castigo.
Erik la fissò: “Con questo cenno intendi dirmi che non hai fatto quel che hai fatto sotto ricatto o minaccia?”
“No” sussurrò lei pianissimo, con le labbra che le tremavano convulsamente.
“Quindi hai accettato la corte del Visconte di tua spontanea volontà, sebbene ricordassi benissimo il tuo impegno nei miei confronti”.
“Io…”
“Non ti sto permettendo di giustificarti. Limitati a rispondere”.
“Era un…momento particolare. Raoul e io…ci conoscevamo fin da bambini e lui…è sempre stato molto gentile con me, anche se…anche se ero povera”.
Erik perse la pazienza di fronte a quel terrore remissivo: “Forse io non sono stato gentile con te?!” ruggì in un improvviso impeto di rabbia che strappò alla poveretta un gemito e un gridolino di paura. S’appiattì al muro, coprendosi il volto come per difendersi da una percossa, e le uscì un singhiozzo: “Insomma, cosa volete da me? Che cosa vi ho fatto?”
Erik provò una morsa di senso di colpa, ma la scacciò. Aveva ogni diritto di sottoporla a quell’interrogatorio, era la sua promessa sposa e gli aveva mancato di rispetto in modo molto grave, non soltanto sentimentalmente, ma anche umanamente, rivelando i suoi segreti più reconditi ad un terzo che non c’entrava nulla con la loro relazione. Non si sarebbe lasciato commuovere dalle sue arti femminili che già in passato l’avevano tratto in inganno.
“Non mostrare un pudore che non ti appartiene, Christine. Tu sei mia e lo sai. Non mi interessa che genere di legame unisse te e quell’idiota o da quanto tempo andasse avanti, voglio solo che tu mi spieghi per quale motivo volevi abbandonarmi dopo tutte le tue promesse”.
La fanciulla ansimò come una bestiola in gabbia: “Non lo so, cosa volete che dica? Ero spaventata, spaventata da morire! Il periodo presso di voi mi aveva posta in uno stato di grave instabilità, così ho confidato quel che mi era successo…avrei potuto farlo con chiunque, solo che…c’era lui…”
Erik rise, scagliandole contro quella risata come se le avesse rivolto un’ingiuria: “Quindi vorresti farmi credere che le cattiverie che hai detto sul mio conto erano dettate dallo spavento del momento? Se la mia compagnia ti riusciva così sgradevole o il mio aspetto ti ripugnava a tal punto, avresti potuto dirmelo nel corso della nostra convivenza e avrei trovato un rimedio immediatamente. Sai quanto mi dia piacere soddisfarti”.
Christine parve trovare una via di scampo, e con sforzo gli sorrise dolcemente: “Voi non mi ripugnate affatto, Erik”.
Lui ebbe un fremito, ma se in passato quelle parole l’avrebbero indotto a calmarsi, la sua diffidenza era stata accresciuta dagli avvenimenti delle ultime ore e non permise al suo sguardo di ammorbidirsi: “Me l’avevi fatto sapere anche la settimana scorsa, ma a giudicare dalla tua confessione sul tetto, le tue erano solamente astute menzogne che avevano l’unico scopo di…” ammetterlo era difficoltoso, per un’indole orgogliosa come la sua: “…di tenermi buono e spingermi a renderti la libertà”.
La giovane tremò: “Avete sentito tutto, dunque?”
“Ogni parola”.
Il suo volto delicato si tese nello sforzo del pensiero: “Ascoltate, Erik, sono pronta a giurarvi che nulla mi lega a Raoul in modo definitivo…”
Erik emise uno sbuffo sarcastico: “Secondo te credo ancora ai tuoi giuramenti?”
Christine avvampò: “Siete ingiusto e villano!” esplose, con sorprendente indignazione: “Mi avete rapita brutalmente e trascinata qui con la forza e in più avete spiato la mia conversazione, dimostrando di non avere alcun riguardo per la mia intimità e di non avere alcuna fiducia in me!”
“Come hanno dimostrato gli eventi, avevo tutte le ragioni di diffidare di te e non devi dimenticarti che mi appartieni e che sono in diritto di controllare ogni tuo movimento”.
Gli occhi chiari della giovane lo trafissero come lame affilate: “Siete in errore, Erik. Voi mi avete strappato parole di cui poi mi sono pentita con le minacce ma tra noi non v’è mai stato alcunché di ufficiale, neanche…” esitò, pudica, ma vinse le sue limitazioni: “…neanche un rapporto fisico che avrebbe potuto renderci quantomeno amanti! Per quello che so, siete il mio mentore e il mio benefattore e quindi vi offro la mia amicizia, ma non c’è nulla di amoroso tra di noi”.
Erik non aveva mai avvertito il desiderio, prima, di usare violenza sulla creatura che più amava al mondo. Certo, il giorno in cui gli aveva strappato la maschera la sua furia aveva raggiunto un livello vertiginoso e le aveva urlato e inveito contro fino a farle perdere i sensi per lo spavento, ma a parte quell’incresciosa eccezione di cui lei era l’unica colpevole (gliel’aveva ripetuto di non toccare la maschera!) l’aveva sempre trattata col riguardo che merita una signorina e s’era attenuto a tutte le regole del galateo, fuorché nelle occasioni in cui l’aveva rapita (ma era stato costretto a farlo, in modo che lei si abituasse alla sua vista e gli si affezionasse prima delle nozze).
Tuttavia, dinnanzi ad un discorso così crudele e fasullo, provò l’impulso di avventarsi su quella bianca figura indignata, scagliarla tra i guanciali e castigarla per l’impudenza con cui gli si era rivolta, a lui, il suo signore e futuro marito, strappandole di dosso gli abiti e facendola sua, per darle la conferma che era una sua proprietà e che tra loro c’era amore, e dei più profondi.
Christine parve intuire le sue violente intenzioni e un pallore mortale si diffuse sul suo bel viso animato, facendo risaltare ancora di più l’azzurro intenso delle iridi e il rosso della bocca carnosa che lui non si era mai permesso di baciare: “Erik” sussurrò, più conciliante, notando che egli aveva assunto d’un tratto uno sguardo fosco e poco raccomandabile, che le si conficcava nel cervello al pari d’un affilato artiglio: “Erik, non guardatemi a quel modo”.
Appuntando gli occhi ardenti su quella splendida bocca di rosa e lasciando che spaziassero poi sul corpo della fanciulla (ne aveva il diritto, avendolo lei offeso) Erik prese fiato e s’espresse con quel tono calmo, rassegnato e docile ch’era tra i suoi più terribili, poiché significava che egli in quel momento era capace di tutto, dell’atto più efferato e del supremo sacrificio: “Sei sconvolta, Christine” proclamò freddamente: “Se non ti fossi appena ripresa dallo choc certamente non parleresti così, perché sai che tra noi c’è amore” tacque e poi aggiunse, con maggior forza: “Sei sconvolta”.
“Sì” articolò lei a fatica, incapace di muoversi dalla paralisi che la teneva inchiodata tra le coperte: “Sì, sono…sono sconvolta” un fievole guizzo di disperazione le agitò i tratti, ma riuscì a riprendere il controllo prima che lui se ne avvedesse e fece un debolissimo cenno d’assenso col capo: “Sono sconvolta”.
Erik sorrise, soddisfatto ma non del tutto chetato (le parole improvvisamente temerarie della giovane erano andate a sollevare la cortina sotto cui teneva le verità scomode e sgradevoli che cercava sempre di evitare e avevano dato corpo a timori sotterranei) e le si fece da presso lentamente, per darle il tempo di registrare, e temere la sua fatale avanzata: “Non intendevi dire quel che hai detto”.
La faccia della cantante era bianca come una tonda luna piena ed ella era fin troppo consapevole di trovarsi in un luogo chiuso, segreto, alla mercé del suo aguzzino, dove i suoi veri sentimenti e i suoi viscerali diritti non avevano alcun rilievo. In quei domini oscuri la sola parola ad avere qualche potere di sorta era quella di Erik, e nel corso delle due settimane che aveva trascorso in sua compagnia aveva appreso che mai, mai era il caso di contrariarlo. Si sarebbe tramutato nuovamente nella belva che l’aveva aggredita dopo che gli aveva tolto la maschera e avrebbe vinto in ogni caso.
“Non intendevo dire quel che ho detto” ripeté ubbidiente, mentre nella sua mente formulava il desiderio d’avventarsi su quell’essere repellente e tramortirlo con un colpo alla testa.
Ma Erik non aveva mai cercato di indagare a fondo nella sua anima e sentì scemare lentamente la crisi di rabbia che gli si stava presentando, mentre l’amore e la premura nei confronti di lei tornavano. Tuttavia non era ancora del tutto soddisfatto, e voleva che l’inquietudine se ne andasse completamente: “Noi abbiamo una relazione, non è così, Christine?”
La fanciulla avrebbe emesso un gemito, se avesse potuto. La sua dolce voce di soprano sapeva di pianto: “Abbiamo una relazione, Erik”.
“Dunque lo sai bene quanto me, e mi sbalordisce che tu l’abbia messo in dubbio. Ma sappiamo entrambi che non eri in te”.
“Infatti. Non…non ero…in me”.
Egli gongolò, ora completamente felice, e le prese la bianca mano, che rimase totalmente inerte nella sua, senza ricambiare la stretta, ma senza nemmeno opporre resistenza: “Mi ami, Christine?”
La ragazza chinò la testa, lasciando che i lunghi capelli biondi si riversassero sul corpetto rovinato e sulla gonna stropicciata, e le uscì una lacrima, che rotolò silenziosa lungo la guancia pallida. Erik la vide e assunse un’espressione sinceramente accorata mentre si allungava ad asciugarla: “Piangi, Christine? Non devi. Non volevo metterti a disagio con le mie profferte…ah!” si tirò su, raggiante, come se avesse intuito la ragione di quel cedimento: “Ora capisco. Si tratta del tuo ben noto pudore, vero? Le mie audaci domande ti hanno intimidita e spaventata” scosse la testa, rammaricato: “Perdonami se ho osato troppo, non volevo certo metterti a disagio, mia cara. Ma non temere, perché presto non avrai più alcun motivo di vergognarti di me”.
La ragazza gli lanciò un’occhiata allarmata: “Cosa…cosa intendete dire?”
Sul volto del mostro comparve un’espressione enigmatica: “Tutto a suo tempo, mia dolce Christine, tutto a suo tempo. Non mi sembra il momento adatto a rivelare la ragione per cui ti ho condotta qui, sei visibilmente sconvolta e hai bisogno di sistemare la tua persona in modo più adeguato. Perciò ti lascerò sola e andrò a visitare il mio banchiere, poiché ho numerose faccende di cui discutere con lui. Così avrai tutto il tempo di ricomporti con decenza (nell’armadio troverai un abito pulito e nel bagno il necessario a provvedere alla tua toletta personale) e di presentarti a me senza alcuna ansietà. Perché, come ben sai, sono un gentiluomo e rispetto il pudore di una signorina ammodo come te”.
Lo sguardo che Christine gli rivolgeva era insieme terrorizzato, allibito ed esterrefatto, ma Erik fece come se non se ne fosse accorto (e una simile evenienza non era da trascurare, nel suo caso) e alzò quel suo grottesco corpo, dando una sistemata ai propri abiti. I suoi occhi gialli scintillavano dell’assoluta sicurezza che aveva prontamente riconquistato e tutta la sua silhouette pareva emanare trionfo. Chinatosi sulla sua amata, si concesse un lusso che finora aveva evitato e le baciò la mano come aveva imparato dai nobili che si presentavano all’Opera, incurante del brivido che aveva squassato il corpo di lei e della smorfia di raccapriccio che le aveva torto la bocca.
“A più tardi, mia cara” commentò gaiamente: “Ricorda che non hai alcuna ragione di sentirti intimidita nei miei riguardi né devi coltivare il timore di apparire sfacciata se mi dichiari i tuoi sentimenti. Ti amo con tutto me stesso e, come vedi, non mi faccio problemi ad ammetterlo”.
Ella attese che fosse uscito, poi sussurrò, con una disperazione terribile: “Oh, povera me!!”
 
Quando Erik fece ritorno, alcune ore più tardi, camminava con fare soddisfatto e s’arrischiava persino a fischiettare un motivetto lugubre di sua invenzione. Durante la visita che aveva fatto al suo banchiere aveva accomodato le cose nel migliore dei modi e aveva richiesto che il denaro che possedeva passasse direttamente nelle sue mani, affinché potesse procurarsi una casa onorevole e il sostentamento necessario a mantenere la sua futura moglie, che certamente come tutte le donne avrebbe reclamato vestiti nuovi, cosmetici, profumi e gioielli. Non era mai stato un uomo che amava sperperare il proprio denaro (poiché la sua genialità gli permetteva di costruire da solo quel che occorreva) e gli era stato assicurato un futuro prestigioso per lui e per Christine. Sarebbe persino potuto uscire a passeggio con lei la Domenica senza suscitare scalpore, avendo fabbricato da poco una maschera capace di dargli l’aspetto di un uomo comune. La sua sarebbe stata un’entrata in società davvero degna di questo nome!
A braccetto con la sua splendida sposa, camuffato da persona normale, avrebbe fatto il suo ingresso nei salotti della buona società e chissà se la sua famiglia avrebbe cambiato opinione nei suoi riguardi, vedendolo tanto abile a destreggiarsi nel mondo! Forse avrebbe avuto il buon nome che gli era stato negato, un titolo nobiliare e una famiglia che lo invitasse a pranzo durante le festività e ai balli mondani.
“Ma io rifiuterò tutto questo” convenne compiaciuto: “Poiché la solitudine mi è ormai divenuta cara e non baderò ad altri che a Christine. Però saprò che me lo hanno proposto”.
Cercò nella tasca del giustacuore e tirò fuori la piccola fede che Christine aveva perduto ma che intendeva renderle quando le avrebbe comunicato le loro prossime nozze, un evento, questo, ormai vicinissimo. La ragazza si era senz’altro ripresa dallo sconvolgimento e aveva recuperato la piena padronanza di sé. Sicuramente lo stava attendendo comodamente seduta in poltrona, abbigliata in modo appropriato, con le guance rosse per il suo delizioso e verecondo pudore. Lui si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi, le avrebbe mostrato l’anello e si sarebbe proposto a lei. Con un gridolino d’eccitazione, la fanciulla se lo sarebbe fatto infilare al dito e gli avrebbe ricoperto di baci quella sua orrenda faccia di morto, strappando la maschera e offrendosi a lui senza la minima esitazione. Sarebbero stati felici.
Aprì la porta di gran carriera, ringalluzzito dagli ultimi eventi, ed esclamò con tono lieto: “Christine! Sono tornato, mia amata!”
I suoi occhi caddero sulla camera Luigi Filippo e s’appuntarono, subito, nel punto in cui la fanciulla si trovava. Vennero animati dallo stupore, che contorse il suo volto sotto la maschera, quindi da un’espressione di choc e d’ira allo stato puro. Un ruggito di furia demoniaca gli fuoriuscì dai polmoni, un ruggito pieno di delusione e meraviglia e contrarietà e collera. I potenti muscoli delle braccia si serrarono e una vena bluastra si gonfiò sulla fronte pallida, pompandogli sangue nelle orecchie frementi: “No!”
Christine Daaé aveva indossato l’abito che lui le aveva lasciato nell’armadio, un morbido tessuto color crema con la gonna a balze e il corpetto ricamato di fiori color oro, e aveva abbandonato sul letto pieno di drappeggi la veste bianca con cui era entrata in scena. Ma a fare da contrasto alla castità e all’ordine che il vestito emanava c’era l’espressione stravolta e disperata sul suo dolce viso e le grida lancinanti che le sfuggivano dalle labbra mentre continuava a battere ripetutamente il cranio contro il muro, con la risoluzione di chi è deciso a spezzarselo. La sua faccia era ormai divenuta un’impressionante maschera di sangue che aveva nascosto totalmente i lineamenti cesellati, sgorgando copioso dai tagli e dalle ferite che aveva sulla fronte, e la sofferenza che doveva provare era grande, ma nulla di tutto questo aveva il potere di frenare il suo impulso suicida e seguitava a battere quei tremendi colpi senza sosta alcuna. Il rumore della sua povera testa che s’infrangeva sulla parete era secco e disgustoso ed echeggiava per tutta la stanza con sempre maggior violenza. Sul lato sinistro del viso la fronte era un ammasso tumefatto e sanguinolento che aveva impastato i capelli biondi e li aveva incollati alla gota ricoperta di sudore e di lacrime.
Impietrito dalla collera e dall’orrore, Erik restò immobile per una manciata di spasmodici secondi, fissando il tentato suicidio con occhi luccicanti di terribile sorpresa e un petto che si alzava ed abbassava a ritmo frenetico. Perché Christine aveva deciso di ricorrere a quel gesto estremo?! Perché s’era approfittata della sua assenza per cercare di togliersi la vita?! Voleva forse sfuggirgli nell’unico modo possibile e rovinare così i suoi piani? Ma no, come poteva essere possibile, dal momento che aveva dichiarato di amarlo?
Non c’era tempo, non c’era tempo!
Ringhiando come una fiera nell’atto di balzare sulla sua preda, Erik si scagliò su di lei prima che potesse dare un altro colpo e l’afferrò per i fianchi sottili, premendo contro di sé quel corpo straziato e tremante e avvertendo l’incessante fremito che le attraversava le membra. Stordita e rintronata, Christine ciondolò la testa, gli occhi vacui e offuscati, e si divincolò per continuare con la sua opera, mentre il sangue le colava lungo il collo e si allargava sul davanti dell’abito tingendolo di un vermiglio osceno.
Erik aumentò la stretta su di lei, cingendola per la vita e allontanandola dal muro su cui risaltava un’ampia chiazza di sangue (l’odore metallico e dolciastro impregnava l’aria) e notando che ella, nonostante lo stordimento, non abbandonava i suoi propositi, gridò a pieni polmoni: “Smettila! Smettila, dannazione!”
Si spaventò nell’udire che la propria voce era terrorizzata, oltre che furiosa.
Risalì, afferrandole le spalle, e la voltò a forza verso di sé, rabbrividendo dinnanzi allo stato in cui era ridotta. Non riusciva più a intravedere gli amati lineamenti sotto al sangue fresco e tutta la capigliatura ne era impastata, mentre gli occhi azzurri fissavano il vuoto senza vederlo davvero. Se fosse arrivato solo qualche minuto più tardi lei sarebbe potuta…
“Perché l’hai fatto, sciocca?!” lo spavento e la preoccupazione si erano impossessati di lui e agì senza riuscire a controllarsi, scrollandola con violenza come se sperasse di farle schizzare fuori dal cervello quei malsani propositi: “Perché hai compiuto un gesto simile?!”
La testa di Christine ciondolò avanti e indietro, sollecitata da quegli scossoni, e il suo corpo inerte si lasciò scuotere senza alcun segno di ribellione. Era inanimata come una bambola di porcellana e i suoi occhi spalancati e vitrei, pieni di un fioco riflesso di terrore, gli incutevano un insensato timore, come se fosse tutta colpa sua. Ma non poteva essere colpa sua!
La scrollò con maggior foga: “Rispondimi, maledizione! Vuoi morire?! Sei stanca di vivere, è questo il motivo? Se è ciò che desideri sarò ben felice di accontentarti e moriremo insieme, come era nei piani se mi avessi respinto. Ma ricorda che mi risponderai alle undici di domani e non prima di allora, perciò non hai il permesso di disubbidirmi!”
Le lacrime fuoriuscirono dagli occhi di Christine e rigarono di bianco le guance striate di sangue, facendosi strada in mezzo allo sfacelo. Adirato per quel silenzio perpetuo e indefesso, Erik ruggì e le diede uno spintone, sbattendola contro la parete. L’esile corpo s’infranse su di essa con un tonfo appena percettibile e il fragile equilibrio che finora era stato in grado di sostenerla in piedi si ruppe. Scivolò sui tappeti che coprivano il pavimento senza alcuna grazia, accasciandosi letteralmente su se stessa, e giacque immobile e svenuta, i capelli allargati tutt’intorno come raggi di sole. Il sangue, sgocciolando dalla fronte e dalla stoffa ormai zuppa dell’abito, formò una piccola pozza sotto di lei.
Colto all’improvviso da un’ondata di nausea, Erik barcollò, arretrando in modo scomposto dal corpo disteso a terra, e appoggiò la schiena ricurva al muro opposto, scaricandovi tutto il suo peso. Si lasciò scivolare contro di esso, senza più alcuna energia, e sedette pesantemente sul tappeto, tirando le ginocchia al petto e coprendosi il viso fra le mani. Lentamente il cuore cessò di battere impazzito nel suo petto ansante e il sangue smise di pulsare dolorosamente nelle sue arterie, permettendogli di ragionare. L’aria aveva l’odore acre e penetrante del sangue fresco e non osava soffermarsi sulla macchia coagulata sulla parete di fronte. I rivoli arrivavano a toccare il pavimento su cui lei giaceva immobile. Non l’aveva mai impressionato una scena cruenta, essendone stato l’artefice la maggior parte delle volte, ma quell’inaspettato tentativo di suicidio era riuscito nell’impresa impossibile di sconvolgerlo. Ritrovare una parvenza di lucidità era uno sforzo notevole.
Si chinò in avanti, tremando in modo incontrollabile, e vomitò un getto di liquido scuro che s’allargò al suolo ed esalò un fetore ancor più rivoltante di quello del sangue. L’uomo si tirò su asciugandosi la bocca con la manica del completo elegante e rimettendosi a posto la maschera e guizzò uno sguardo colmo di panico alla ragazza distesa poco lontano. Con quei capelli appiccicosi, quella faccia scarlatta e quel vestito macchiato offriva una visione dalla tragicità quasi affascinante.
È…morta?
No! Non poteva essere morta! Non sarebbe stato corretto! Le aveva dato tempo fino alle undici! Allora l’avrebbe sposato o sarebbero morti tutti e due…non aveva il diritto di togliersi la vita in anticipo! No! No! No!
Strisciò fino a lei, cercando di ignorare quanto puzzasse di dolce, e la raccolse fra le braccia, maneggiandola con delicatezza. Era docile come un manichino ma la sua pelle emanava un rassicurante tepore. Le dita di Erik la percorsero in una carezza lunga e impaurita e si appoggiarono sul collo morbido e inerte. La vena giugulare pulsava sotto la sua pelle e irradiava linfa in quel povero corpo martoriato.
“È viva!” un sorriso di gioia si dipinse sull’orrido volto di Erik ed egli lasciò andare l’ossigeno che aveva trattenuto fino a quel momento: “Ah! Lo sapevo!”
La strinse al petto con nuova impetuosità, avvertendo il battito del suo cuore che si fondeva al proprio, e affondò il volto tra i suoi capelli, inspirando il suo profumo percepibile in mezzo al lezzo del sangue che iniziava a seccarsi. Parte di quello che le imbrattava l’abito macchiò i pantaloni di Erik, ma egli non vi badò, tale era il suo sollievo. La sua bocca senza labbra depositò sulla pelle martoriata di Christine baci delicati come farfalle e registrò il pulsare incessante delle arterie sotto la rosea epidermide. A parte il respiro leggermente irregolare, la fanciulla era ferita solo superficialmente, sebbene la quantità di sangue perso lo avesse messo in allarme. Probabilmente l’aveva interrotta poco dopo che ella aveva iniziato il suo lavoro mortale.
Perché aveva fatto una cosa del genere? Perché era arrivata a pensare che non ci fosse via d’uscita? Forse non lo amava? Forse non desiderava sposarlo?
…no! No, non era possibile! Christine doveva amarlo. Era rimasta al suo fianco per due settimane e se inizialmente la sua deformità l’aveva atterrita e raccapricciata, con l’andare dei giorni era riuscita a guardarlo e perfino a sorridergli. Se anche non l’avesse amato, ce l’avrebbe fatta ben presto. Erano fatti l’uno per l’altra e uno spirito fragile, spaurito ed emotivo come il suo aveva bisogno della fermezza e dell’integrità di Erik per andare avanti (prova il suicidio che aveva mandato a monte).
D’altro canto, era costretto a prendere in considerazione l’ipotesi che ella, pia e casta com’era, desiderasse rimanere vergine per l’eternità conservando la propria purezza o mantenere l’impegno che aveva scioccamente preso con il Visconte per non venir meno alla parola data. In tal caso, sarebbe stato lieto di uccidere tutti e anche se stesso con gli altri se ciò si fosse verificato, ma solo dopo le undici, perché era un tipo che manteneva le sue promesse.  
L’epilogo migliore per lui e per parecchi membri della razza umana sarebbe stato senz’altro un fastoso matrimonio alla Madeleine, ma se Christine aveva scelto di morire non le avrebbe negato il libero arbitrio. Sotto all’Opera c’era abbastanza esplosivo da far saltare in aria un intero quartiere parigino. Sarebbe stata una conclusione che Shakespeare avrebbe molto approvato.
“Ma” non dimenticò di precisare a mezza voce: “Ci sposeremo o moriremo solamente dopo le undici!”
Quindi avrebbe dovuto impedire in qualche modo alla giovane di arrecare danno a se stessa, essendo lei in uno stato di chiara instabilità mentale.  Sarebbe morta solo e soltanto quando lui lo avesse deciso, poiché era una sua proprietà, ma le avrebbe fatto comprendere chiaramente che sarebbe stato molto migliore se avesse acconsentito alle nozze.
Andò a prendere una robusta fune di canapa che non poteva certo mancare nella dimora d’un genio come lui e sollevò il corpo svenuto di Christine, appoggiandolo alla parete di fronte a quella dove era situata la Camera dei Supplizi. La ragazza emise un gemito e strinse le palpebre. Sicuramente sarebbe rinvenuta a momenti. Con gesti abili e veloci, Erik le legò strettamente i polsi e le caviglie in modo che non potesse fare il minimo movimento e saldò le corde con un doppio nodo scorsoio che saggiò con un paio di strattoni. Nessuno a parte lui era in grado di sciogliere un’opera così sopraffina, ma soprattutto Christine non sarebbe stata in grado nemmeno di strisciare. Poteva ritenersi soddisfatto di sé.
La povera fanciulla, avvertendo l’orrendo contatto del canapo intorno a mani e piedi, aprì gli occhi ancora offuscati dal dolore della violenza fisica che aveva operato contro se stessa e subito li sbarrò allorché s’accorse che nulla era cambiato e che la Dimora sul Lago incombeva su di lei, così come incombeva su di lei la smorfia severa e appassionata del Fantasma dell’Opera. Un lungo e disperato gemito emerse dai più profondi recessi del suo essere e le squassò il corpo ferito mentre iniziava a piangere e a contorcersi nella morsa delle funi senza riuscire ad allentarle neanche un po’. Il suo sguardo, nuovamente consapevole per quanto appannato, si posò su Erik ed egli colse chiaramente la domanda muta che le risaltava nelle pupille dilatate.
“Non avrei voluto legarti, Christine” proruppe con rammarico misto a rimprovero: “Sei stata tu a obbligarmi, lo sai, con il tuo gesto sconsiderato e folle. Non ha il diritto di morire fino alle undici di sera, quando sceglierai, definitivamente e senza ulteriori rinvii, tra la messa nuziale e la messa funebre!”
Sotto al sangue rappreso che le aveva coperto la faccia, Christine impallidì visibilmente e si fece immobile come pochi istanti prima. Tuttavia non parlò e non cercò ancora di liberarsi dai legami, si limitò a fissarlo con silenzioso orrore mentre le lacrime le scorrevano sulle guance.
Erik andò avanti imperterrito: “Hai capito, Christine? Se non acconsentirai a divenire mia moglie davanti al sindaco e al parroco della Madeleine, salteremo in aria tutti quanti, io, te, il tuo fidanzato e tutta l’Opera! È una scelta facile, mia cara, solo due parole. Sì e no; se è no, saranno tutti morti e sepolti!”
Scrutò l’espressione della fanciulla per vedere che effetto le facesse la minaccia, ma trovò soltanto una terrorizzata e inorridita immobilità, un muto e profondo pianto che le attraversava i lineamenti senza che ella emettesse il minimo singhiozzo o rantolo. S’accigliò, corrucciato, e fece un passo verso di lei: “Non voglio certo essere presuntuoso, ma mi permetto di suggerirti che un sì sarebbe senz’altro raccomandabile per tutti quanti. Non vorresti certo aver sulla coscienza le decine di parigini che in questo momento si stanno godendo una rappresentazione sopra di noi, vero? No, certo che no. D’altra parte, se avessi in questo momento una stabilità mentale che ti permettesse di ragionare lucidamente, capiresti da te che sposarmi è la migliore alternativa che ti viene offerta. Il mio amore per te è immenso, Christine, e in una società come la nostra un matrimonio benedetto dall’amore è una vera rarità”.
La giovane cantante strisciò all’indietro come per mettere una maggiore distanza tra sé e il suo carceriere e urtò la schiena sul muro. Le corde che la vincolavano stavano iniziando ad affondare nella carne e i suoi piccoli denti candidi si conficcavano con forza nel labbro inferiore per non mostrare quella sofferenza al suo premuroso aguzzino.
Egli le rivolse un ampio sorriso che, se fosse stato scolpito su un volto normale, sarebbe potuto sembrare perfino amorevole. Su quella bocca deforme era più che altro un ghigno: “Prendere o lasciare, Christine: la messa nuziale o la messa funebre”.

 
  
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