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Autore: Beatrix Bonnie    29/02/2012    3 recensioni
-Seguito de Il torneo Trecolonie-
Edmund, ormai figlio adottivo del Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda, si lascia alle spalle il suo passato, per diventare Edmund McPride, un giovane ambizioso, bello e pieno di talento. Ma presto dovrà fare i conti con la realtà: l'uomo in cui ha riposto la sua fiducia si rivelerà essere un meschino arrivista, mentre il suo passato verrà a bussargli alla porta nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Un misterioso orologio d'oro con le lancette ferme, una setta di folli scienziati, un codice impossibile da decifrare...
Ma quando, tra il clima di terrore e le sconvolgenti rivelazioni sul suo passato, Edmund non riuscirà più a vedere la luce, nel suo orizzonte si staglierà l'unica cosa certa: l'amicizia di Mairead e Laughlin.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO I
Villa McPride






Edmund Burke non si riteneva un ragazzo testardo; più che altro, gli piaceva definirsi una persona con una grande forza di volontà. L'aveva dimostrata quando aveva cercato di capire cosa contenesse la stanza buia al quarto piano, quando aveva tentato di smascherare la setta degli Eletti o quando si era intestardito a voler scoprire chi si celasse dietro gli Extraiures e le lettere gentili di Priscilla. La sua straordinaria forza di volontà si era poi manifestata agli occhi di tutti quando si era iscritto al Torneo Trecolonie e non solo era stato in grado di affrontare le tre prove, ma lo aveva anche vinto.
Tuttavia, temeva che questa sua caparbietà non fosse altro che un riflesso esteriore del vero e unico impulso che lo spingeva ad agire: la volontà di dimostrare agli altri e a se stesso la sua intraprendenza e il suo valore. Odiava l'inattività, odiava aspettare che le cose accadessero per porvi rimedio, odiava non partecipare attivamente alla risoluzione dei problemi. Nonostante passasse buona parte del suo tempo libero chiuso in biblioteca, lui era fondamentalmente un uomo d'azione perché per lui la conoscenza non era semplice nozionismo, non era mai fine a se stessa: il suo obiettivo non era diventare un'enciclopedia vivente, non voleva sapere le cose per il gusto di saperle. La conoscenza era parte attiva della sua esistenza e lo rendeva una persona completa, con una coscienza critica, in grado di fare delle scelte basandosi su un sapere razionale e concreto.
Per questo, sebbene odiasse McPride e il suo sorrisetto falsamente bonario con tutto il suo cuore, temeva che prima o poi si sarebbe piegato a lui. Perché McPride sapeva come usare il suo carisma naturale per affascinare la gente e portarla dalla sua parte, e di questo Edmund ne era tristemente consapevole.
Inoltre, diventare il figlio del Presidente della Repubblica aveva un che di attraente, e non solo per il prestigio che comportava quel nome, ma anche perché questo avrebbe significato completa autonomia e libertà di agire. Avrebbe significato essere liberi di compiere qualsiasi cosa, restando totalmente impuniti. Sfidare chiunque senza essere sfidati da nessuno.
Libertà tanto anelata.
E questa indipendenza per Edmund significava una sola cosa: autodeterminazione. Diventare finalmente una persona completa, non schiacciata dai dettami di un orfanotrofio Babbano, né dalle regole limitanti del Trinity, né tanto meno dal moralismo a volte un po' bigotto del professor Captatio. Il preside gli voleva bene, Edmund ne era certo, ma ogni tanto era così cieco da non capire che un adolescente aveva tutto il diritto di mandare al diavolo il suo restrittivo concetto di Bene e di intraprendere la strada sbagliata, per poi accorgersi sulla propria pelle che era effettivamente quella sbagliata. Un adolescente come lui aveva bisogno di fare esperienze e di sbatterci la testa, non di sottomettersi a regole moraliste. In fin dei conti, erano anni che Edmund non aveva uno straccio di rispetto per le regole. Una cosa così tipicamente Raloi.
Per questo, quando McPride era venuto a prenderlo alla stazione di Dublino, Edmund gli si era presentato con una cupa rassegnazione. Lo odiava, non avrebbe mai voluto cedere, ma in cuor suo sapeva di non poter resistere in eterno alle sue lusinghe.
E questo lo faceva imbestialire ancora di più.
McPride lo condusse verso uno dei metrombini di Dubh Cliathan e, dopo aver fatto un cenno del capo ai due Auror perché si allontanassero, gli intimò di buttarsi gridando come destinazione “villa McPride”.
Edmund fece una smorfia ma alla fine fu costretto ad eseguire l'ordine.
Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse la villa del suo patrigno ma, dovunque fosse, lì non pioveva, anche se il cielo era grigio e carico di acqua e l'erba umida. Era una pausa tra una tempesta e l'altra. Il paesaggio circostante era decorato da colline placide, verdeggianti e tranquille.
Edmund non ebbe tempo di contemplare altro perché McPride comparve al suo fianco. «Benvenuto a casa» mormorò.
Edmund si concesse un'occhiata alla villa che aveva di fronte: all'apparenza aveva un che di rustico, con il piano superiore in legno scuro e quel mulino che girava placido sul lato sinistro dell'edificio, mosso da un limpido ruscello; eppure era insieme imponente e quasi regale. Due statue di leoni alati decoravano il portone d'ingresso, scrutando arcigni chiunque si avvicinasse.
McPride gli aprì la porta come se volesse essere galante e gli fece cenno di entrare. L'ingresso, in realtà, non era una vera e propria stanza: due scale di legno scuro, poste una di fronte all'altra, conducevano al piano superiore; oltre ad esse, si apriva un salotto arredato in modo elegante ed essenziale. A destra e a sinistra, prima delle scalinate, si trovavano due arcate che conducevano alle altre stanze della casa.
In quel momento, due elfi domestici si materializzarono in ingresso e si sprofondarono in una serie infinita di inchini. Erano servizievoli come Lappy, l'elfo dei Maleficium, ma questi parevano anche terrorizzati alla sola idea di ricevere una punizione.
«Nelly, porta Edmund alla sua stanza» ordinò mollemente McPride.
La piccola elfa si affrettò ad eseguire il comando, facendo fluttuare davanti a sé il misero baule di Edmund. McPride allora si voltò verso il ragazzo con un sorriso affabile. «Sistema pure le tue cose in camera, poi...» si interruppe, per dare un'occhiata distratta all'orologio d'oro che portava al polso. «Fra circa un'oretta dovrebbe arrivare il mio sarto di fiducia a prenderti le misure; sai, per rifarti il guardaroba» e con quelle parole lanciò uno sguardo eloquente alla sua consumata divisa grigia dell'orfanotrofio Babbano. Dopodiché si ritirò verso l'arcata di sinistra, con un breve cenno del capo.
Edmund rimase immobile in mezzo all'ingresso, cercando di raccapezzare le idee. McPride era maledettamente bravo ad accaparrarsi le simpatie della gente: non c'era arma di difesa che reggesse contro i suoi studiati toni gentili. Certo, Edmund lo odiava, ma con che coraggio si sarebbe comportato male con un uomo che era così premuroso nei suoi confronti?
Nelly pigolò qualcosa nei suoi confronti, come se temesse di ricevere qualche punizione per non aver accompagnato il signorino nella sua stanza.
Edmund rifletté che fare dello stupido ostruzionismo non lo avrebbe portato da nessuna parte, tanto più che il miagolio dell'elfa domestica lo stava realmente innervosendo. Tanto valeva assecondare McPride, almeno per adesso. Prese un profondo respiro e si lasciò condurre dall'elfa verso la sua nuova camera.
Osservò distrattamente le stanze che attraversarono: dopo aver salito una delle due scalinate di legno dell'ingresso (ma era indifferente scegliere una o l'altra, perché entrambe portavano al piano superiore), avevano percorso un paio di corridoi, entrambi con i pavimenti di legno scuro arricchiti da quelli che parevano preziosi tappeti orientali. Uno dei due corridoi dava su un cortile interno, porticato a piano terra, dalla bizzarra forma trapezoidale: al centro si trovava un antico pozzo ormai chiuso, mentre il lato opposto all'entrata era chiuso da uno strano edificio circolare, simile ad una torre di un antico castello medievale.
Tutta la casa era permeata da un sapiente gusto per l'essenziale, dal mobilio coordinato alle pareti color panna, ai raffinati tappeti persiani; dava un'impressione più rustica rispetto all'elegante villa Maleficium, eppure traspariva una certa sofisticata ricercatezza nell'arredamento.
Era davvero una bella casa, si ritrovò a pensare Edmund. Sapeva ammaliare, proprio come il suo proprietario.
Nelly si fermò di fronte ad una porta e gli fece segno con la testa per invitarlo ad entrare. Edmund deglutì, come se temesse di dover affrontare chissà quale mostro nascosto dentro la stanza, poi mise la mano sul pomolo della maniglia e infine entrò.
La stanza era particolare, per via del fatto che seguiva la bizzarra planimetria del cortile trapezoidale: era piena di spigoli, ma nel complesso il sapiente arredamento la rendeva piacevole allo sguardo. Di fronte alla porta si apriva un'ampia portafinestra che dava su un balcone in legno, e, a fianco di questa, un divanetto a due posti di un beige piuttosto neutro, ma vivacizzato da alcuni cuscini a strisce rosse e panna; nell'angolo a sinistra, era posizionato un bel letto a baldacchino con lenzuola e tendaggi di un cupo color cremisi, in tinta con la tenda della finestra, mentre nell'angolo opposto si trovava un'ampia scrivania a semicerchio, sormontata da alcune mensole appese alla parete. A fianco della porta, un raffinato armadio a muro di legno scuro completava l'arredamento della stanza.
«Il signorino vuole una mano a sistemare la sua roba?» domandò Nelly, con quei suoi atterriti occhioni spalancati verso Edmund.
Il ragazzo scosse debolmente la testa e allora l'elfa depositò il baule ai piedi del letto e si affrettò a squagliarsela.
Edmund rimase in piedi in mezzo alla stanza, immobile. Avrebbe voluto ribellarsi a quel pensiero seducente che si stava insinuando nella sua mente, ma non ci riuscì; quella camera era creata apposta per lui e rifletteva i suoi gusti: sembrava che McPride avesse capito esattamente ciò di cui aveva bisogno. Era accogliente ma al tempo stesso essenziale; perfetta, ed era sua.
Non si trattava di occupare temporaneamente la stanza degli ospiti di villa Maleficium o di condividere una camerata con mocciosi Babbani: quella era camera sua.
Ma non doveva pensarci. Lui odiava McPride e tutto ciò che veniva da lui. Voleva maledettamente impossessarsene, ma non doveva cedere. Così se ne rimase immobile in mezzo alla stanza, nella speranza di chissà quale miracolo.
Non seppe bene quanto tempo era passato, quando McPride venne a bussare alla sua porta.
«Avanti» mugugnò Edmund.
Il volto sorridente del suo patrigno comparve sull'uscio, subito seguito dall'omino più buffo che Edmund avesse mai visto: pareva che sul suo viso non ci fosse altro che quel naso enorme e i due baffoni scuri. Gli occhi erano stati risucchiati dentro le cavità oculari, completamente nascosti dalle spesse sopracciglia e dagli zigomi pronunciati. Oltretutto, sebbene l'abito da mago che indossava doveva essergli cucito addosso, dava l'impressione di essere infagottato, forse a causa della scarsa altezza.
Alle sue spalle, era entrato un ragazzo biondo e alto, decisamente troppo curato per i gusti di Edmund, che reggeva in mano una valigetta.
«Buonasera, signor McPride» esclamò il maghetto.
Edmund ci impiegò davvero troppo tempo per realizzare che l'omino stava parlando con lui, tanto che non riuscì nemmeno a rispondere. Fu una sensazione assurda sentirsi chiamare con un nome che non era il proprio, che non sentiva come proprio. Ma avrebbe dovuto abituarsi, purtroppo.
Burke era un cognome che apparteneva al passato.
O, forse, non era mai esistito. Dopotutto, gli era stato appioppato dall'inserviente dell'orfanotrofio e non aveva nessun significato. Edmund Burke non era altro che un'etichetta che gli avevano appiccicato addosso.
Edmund McPride, invece, era il suo futuro.
«Ecco, salga pure qui» esclamò l'omino, facendo comparire con la bacchetta una pedana di legno e uno specchio a figura intera.
Edmund, strappato dai suoi pensieri, eseguì l'ordine con titubanza, nonostante il sorriso incoraggiante del suo patrigno.
«Allora, di cosa ha bisogno, signor McPride?» domandò il sarto, con un velato accento francese, mentre un metro cominciava a prendere le misure a Edmund, che venivano segnate su una pergamena da una piuma d'oca.
«Ehm...» cominciò Edmund, non sapendo bene cosa fosse il caso di dire.
«Il guardaroba completo, D'Arman» rispose McPride, con un cenno d'intesa.
Il piccolo D'Arman squittì estasiato. «Ottimo» proferì, come se si trattasse di dare approvazione ad un importante decreto di stato.
Nel frattempo, il metro magico aveva cominciato a prendere a Edmund le misure più assurde, compresa la distanza tra le orecchie.
«Allora facciamo due abiti da cerimonia, un mantello estivo, qualche completo più casual, un paio di camicie di quell'ottimo lino italiano che mi è arrivato l'altro giorno, e direi anche una vestaglia... seta?» chiese, appuntandosi un paio di cose su un foglio di pergamena.
«Ehm...» boccheggiò il ragazzo, senza sapere bene cosa dire.
«Seta» confermò McPride.
«Bene» appurò D'Arman, con un ultimo svolazzo della sua piuma. «Al, fai vedere i tessuti che ci sono arrivati».
Il ragazzo biondo aprì la valigia, che si rivelò contenere più stoffe di quante potessero materialmente starci: la capienza doveva essere stata ampliata con la magia.
«Se volessimo osare, c'è questa meravigliosa seta orientale che le starebbe d'incanto» lo vezzeggiò, scegliendo un rotolo di tessuto di un improbabile colore a metà tra il porpora e il viola. Il ragazzo lo srotolò e gli drappeggiò la seta sulle spalle. «Valorizza la carnagione e gli occhi».
Edmund si ritrovò a guardare la sua immagine riflessa nello specchio, con indosso quell'assurdo tessuto, mentre un ragazzo biondo gli cinguettava all'orecchio. Era decisamente imbarazzante.
«Cosa ne dice, signor McPride?» domandò D'Arman, come se attendesse il responso di un evento bellico cruciale.
Edmund cercò con lo sguardo l'aiuto di McPride.
Lui gli sorrise. «Io direi che possiamo osare, Edmund. Ti sta bene e, d'altronde, se non lo indossi tu, chi potrebbe?»
«Ok» fu l'unica cosa che riuscì a rispondere Edmund.
D'Arman batté le mani estasiato, mentre il biondo Al riponeva il tessuto nella valigetta, lanciando a Edmund una serie di sorrisi languidi.
«Allora, che modelli preferisce, signor McPride?» cantilenò D'Armand, con quel suo buffo accento francese, andando a recuperare quello che pareva un catalogo di moda.
«Ehm...» si trovò a mormorare nuovamente Edmund, guardando dappertutto tranne che in direzione del sorridente Al. Che diavolo stava cercando di fare? Era un maschio, beato folletto!
«Avanti, D'Arman, sai che genere mi piace» intervenne in suo aiuto McPride. «Elegante, essenziale, ma con quel tuo tocco di raffinatezza che lo rende un capo unico».
Il piccolo sarto francese parve estasiato. «Sarà un piacere dare sfogo alla mia fantasia. Vedrà, signor McPride, ne resterà estremamente soddisfatto» esclamò, anche se questa volta non era chiaro a chi dei due si stesse riferendo.
Dopodiché fece un cenno al suo apprendista e i due, con una serie di inchini e saluti vezzosi (corredati da imbarazzanti sorrisetti languidi da parte di Al), lasciarono la stanza, accompagnati da McPride.
Quando Edmund si ritrovò finalmente solo, aveva la mente in confusione come gli fosse esplosa in testa una Caccabomba. La gentilezza di McPride era disarmante e lui gli stava già cedendo dopo nemmeno un giorno. Che fine avevano fatto tutti i suoi discorsi su “quell'uomo non avrà mai la mia mente e il mio cuore”?
Il vero problema era che quel posto era meraviglioso, la casa bellissima, la sua stanza finalmente solo sua... era difficile odiare un luogo così accogliente e così in linea con i suoi gusti.
Ma, d'altronde, che si aspettava? Che McPride vivesse in un oscuro castello in cima ad una montagna aguzza, dove lui sarebbe stato l'eroico prigioniero?
Odiava quella casa perché era maledettamente facile amarla.
Fu preso dall'irrefrenabile impulso di distruggere tutto. Si trattenne, per una frazione di secondo, poi lasciò che la rabbia frustrante gli incendiasse il corpo, scorrendo nelle sue vene come alcool di bassa qualità. Si aggrappò alle preziose tende della portafinestra e le strappò con violenza, cacciando un urlo lacerante; poi buttò a terra i cuscini del del divanetto e li dilaniò, come se loro fossero in qualche modo colpevoli. Ribaltò il comodino, strappò le coperte dal letto, divelse le ante dell'armadio a muro e ruppe la sedia della scrivania, tutto solo per dare sfogo alla sua rabbia accecante.
Non aveva mai pensato che distruggere le cose potesse farlo sentire meglio. Si accasciò a terra, sul prezioso tappeto della stanza, completamente privo di forze. Non aveva risolto un bel niente con quello sfogo di rabbia, ma almeno adesso sentiva un brivido di potere che gli dava una piacevole ebrezza, come se strappare le tende potesse in qualche modo mostrare tutto l'odio che prova nei confronti di McPride e della sua elegante villa.
«Edmund, c'è pronta la cena» annunciò proprio in quel momento il suo patrigno.
«Non ho fame!» urlò di rimando il ragazzo, anche se sentiva lo stomaco brontolare.
McPride socchiuse leggermente la porta, spiando dentro la stanza, ma si bloccò subito nel vedere com'era ridotta. «Beata Morgana, Edmund, che hai fatto qui dentro?» esclamò, entrando nella camera e guardando quello scempio.
Edmund ghignò, nella speranza che McPride si fosse offeso o arrabbiato, che lo sgridasse, per rendergli più facile il compito di odiarlo.
L'uomo invece si concesse un sorriso comprensivo. «Edmund, capisco come ti senti: non sono facili per nessuno i cambiamenti» gli sussurrò, in tono delicato.
Il ragazzo sibilò come un serpente indignato. Perché continuava ad essere gentile con lui?
«Ma ti assicuro che distruggere la tua stanza non ti aiuterà a sentirti meglio» continuò McPride, agitando la bacchetta in aria per riportare la camera al suo ordine originario con un semplice incantesimo.
«Edmund» lo chiamò, inginocchiandosi di fronte a lui.
Il ragazzo non poté evitare di alzare lo sguardo sul patrigno, fino a ritrovarsi addosso quei suoi occhi blu così intensi e perforanti.
«Non angustiarti per il tuo passato. Quello non può più farti del male: ora c'è solo il tuo futuro e chi tu vorrai essere» gli rivelò, mettendogli una mano sulla spalla con fare paterno.
Edmund represse un brivido di stizza, ma non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo e fu costretto ad abbassare gli occhi a terra.
McPride lo interpretò come un segno di vittoria. Si rimise in piedi in tutta tranquillità, poi, prima di lasciare la stanza, gli rivolse un ultimo sorriso incoraggiante e lo invitò nuovamente a cena.
Non sarebbe venuto, no, non quella sera. Ma ce n'erano ancora tante a disposizione.
Mentre scendeva le scale per dirigersi in sala da pranzo, McPride si concesse uno dei suoi migliori sorrisi da squalo: ripensò a Edmund accartocciato a terra come un animale ferito e seppe che non era tanto lontano dal suo intento.
Era più debole di quanto pensasse. L'avrebbe piegato con facilità, portandolo dalla propria parte. Sarebbe diventato un meraviglioso alleato.
Tieniti stretti gli amici, ma più stretti i nemici.





Eccoci qui!
Benritrovati ai vecchi e benvenuti ai nuovi! Vi confesserò che sono un po' emozionata, perché il quinto racconto è davvero quello centrale (l'ho già detto, forse?) e vitale per l'intera economia della saga. Insomma, mi fa un certo effetto aver cominciato a pubblicarlo!
Comunque, il capitolo si apre con una professione di fede da parte di Edmund che sa molto di superomismo nietzchiano (anche se di Nietzsche Edmund non ha letto nulla!): la sua volontà di autodeterminarsi si nutre di conoscenza, sprezzo delle regole e stupide azioni impulsive. Che volete farci, è un Raloi, dopotutto!
Spero che vi sia piaciuta la descrizione di villa McPride. Insomma, il presidente non è un mostro oscuro e ha un maledetto buon gusto! QUI l'immagine che rappresenta alcune stanze della casa (ovvero il portico centrale, l'ingresso e la biblioteca, che farà la sua comparsa nel prossimo capitolo).
La scena con i due sarti è stata descritta per puro divertimento: volevo mettere Edmund in imbarazzo, un po' per le domande di D'Arman su un mondo completamente estraneo al suo, un po' per le ammiccanti advances del giovane e biondo Al. ahahah!
Infine, spero che vi sia piaciuta la disarmante gentilezza di McPride. Che vi aspettavate, fruste e catene? Non è diventato Presidente della Repubblica facendo leva sul terrore, ma grazie al suo fascino ammaliante. ;-) Ovvio che userà la stessa arma anche con Edmund. Ma non fatevi ingannare: la sua è una pura manovra di interesse "politico". Conosce il potenziale di Edmund, sa che potrebbe diventare non solo un grande mago ma anche un ottimo leader e non vuole per nulla al mondo ritrovarselo contro, visto anche la piega che stanno prendendo gli eventi in seguito al ritorno di Voldemort.

Comunque, ora una nota tecnica: considerando che ho scritto meno di quanto avrei voluto, i capitoli sono più lunghi del solito e la storia ha un'importanza notevole, voglio prendermela con un po' più di calma. Ergo, aggiornerò ogni dieci giorni! Lo so, è tanto, ma abbiate pazienza!
Prossimo aggiornamento: VENERDÌ 9 MARZO

Grazie a tutti, a presto!
Beatrix

EDIT: come promesso, ho aggiunto l'immagine di apertura del capitolo, che è stata gentilissimamente preparata da Dira Real, una bravissima autrice di cui ho letteralmente divorato le storie.
Il tutto (un po' trash, lo ammetto!) è nato dal fatto che nei miei (inutili) e infiniti girovagamenti su internet ho beccato un tizio (QUI l'immagine imputata) che non so assolutamente chi sia né che film abbia fatto, ma mi è parso immediatamente la realizzazione "umana" della mia idea di Laughlin. Ergo, ho cercato un volto anche per gli altri protagonisti: per Edmund la scelta è caduta subito sul ballerino Roberto Bolle (QUI un'immagine) perché è moro, con gli occhi azzurri e (al di là dei suoi più o meno presunti gusti) è decisamente un bel tocco di ragazzo! Quanto a Mairead, ho avuto serie difficotà perché nessuna aveva il colore degli occhi, il taglio del viso e i capelli adatti, ma alla fine ho optato per Emma Roberts (QUI un'immagine), appositamente modificata da me medesima.
Spero che vedere i protagonisti in versione reale vi abbia fatto piacere! ^^

   
 
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