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Autore: TwinStar    04/10/2006    17 recensioni
I delitti sono proporzionati alla purezza della coscienza,
e quello che per certi cuori è soltanto un errore,
per alcune anime candide assume le proporzioni di un delitto.
(Honorè de Balzac)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota doverosa di inizio capitolo: Eccoci dunque al terzo e ultimo capitolo di questa storia. Come al solito ringrazio chi ha avuto la santa pazienza di leggere e recensire, e apprezzare il mio/i miei personaggi, a chi si è affezionato a me, al mio modo di scrivere, o al mio Sirius almeno un pochetto. La psicologia di Sirius è una cosa che mi rende molto fiera.

Ora, una nota esplicativa abbastanza importante. Dai commenti ho notato che molti/e sono rimasti spiazzati/e dal comportamento di James. E’ sembrato troppo buono, forse, troppo poco umano (in fondo lo dice anche il mio Sirius, chiunque si sarebbe incavolato almeno un po’). O dall’altro lato troppo comprensivo del disagio di Sirius. Ecco, quello che mi preme far capire è che non è così. Ma lascio la parola a Nykyo (che ringrazio da morire per il suo appoggio e la sua immensa sopportazione – anzi, sua e di boll11 – perché da betare sono veramente fastidiosa! XDD) che nella sua recensione l’ha delineato molto bene e in poche parole! ^^

“James (non lo amo, ma sarò obiettiva) è perfetto. James è la persona normale, sana, ancora integra, che è curiosa di superare i limiti, ma non i propri, quelli altrui. A lui manca l'autolesionismo di Sirius. Lui non è tarato, sa di esistere, si basta. Può spingere il pedale dell'acceleratore, ma non spingerà mai il bottone dell'autodistruzione, mentre Sirius quel bottone lo sta prendendo a martellate da un pezzo.”

Invito gli interessati, se desiderano approfondire, a leggere il mio commento a Ny in cui affronto l’argomento più nel dettaglio. Grazie per l’attenzione, non vi tedio oltre e vi lascio alla fic. ^^

Un bacio a tutti.

Twinstar

 

LO SMISTAMENTO

 




 

2 settembre 1972

 

 

Due porte.

Ecco quanto si frapponeva tra lo studente e la libertà.

Una che dava sull’interno, piuttosto modesta: semplice, spartana, con un grosso lucchetto di ferro mezzo arrugginito forzabile tramite un banalissimo Alohomora.

L’altra, che dava sull’esterno, decisamente più ostica; enorme, imponente, di metallo e legno finemente lavorati, talmente gonfia di protezioni di varia natura, conosciute e non, che un qualsiasi Incantesimo di Apertura scagliatovi contro aveva come unico effetto quello di rimbalzare malamente addosso al malcapitato proiettandolo a molti metri di distanza.

Tra di esse solo pochi metri di spazio in cui stare fermi ad aspettare che venisse chiusa la prima e aperta la seconda.

Misure precauzionali introdotte quell’anno per la nostra sicurezza, dicevano: l’impressione però era che temessero fughe in massa di studenti, neanche fossimo stati prigionieri di guerra.

Non mi piaceva affatto quell’idea di costrizione.

Nessuna meraviglia che avessi cominciato a cercare delle vie d’uscita da quel confino.

C’erano dei passaggi segreti, nel castello. Quest’estate Andromeda, ritenutici degni, ne aveva rivelati un paio a me e a mio fratello tra quelli che utilizzava al tempo per incontrarsi di nascosto coi suoi ragazzi, perché ne facessimo un buon uso; ce n’era ad esempio uno che, passando per l’infermeria, portava a uno dei cortili posteriori, e poi un altro, nascosto dietro un arazzo nel corridoio del sesto piano, che dava sulle serre.

Non avendo una ragazza, né avendo intenzione di averne a meno di trovarmi con una bacchetta puntata alla tempia, posti di quel genere erano totalmente inutili per me, ma la loro mera esistenza dava adito a riflessioni decisamente più intriganti.

Tanto per cominciare la certezza che non potessero essere gli unici: dovevano esistere un’infinità di passaggi segreti, più o meno celati alla vista, talmente numerosi che nemmeno i quattro fondatori sarebbero riusciti a ricordarli con precisione.

Qualcuno di essi avrebbe pur dovuto rappresentare una via di fuga verso l’esterno.

Io volevo trovarle tutte quante.

James naturalmente era rimasto folgorato dall’idea.

Gliel’avevo proposto la sera prima, un po’ come una sfida, conscio del fatto che sarebbe bastato quello a farne un mio valido alleato. Del resto, da solo non sarei riuscito a combinare granché.

Lui l’aveva trovato divertente.

Così ogni sera, dopo cena fino al coprifuoco delle nove, avevamo deciso di gironzolare per il castello alla ricerca di stranezze architettoniche che avrebbero potuto celare qualcosa allo sguardo.

Avevo trascinato anche Remus in quella storia.

Quando avevamo deciso di cominciare era stato subito chiaro che sarebbe stato molto più saggio agire in coppia, per vari motivi, primo tra tutte la mia assoluta incapacità di fare attenzione, di notare i particolari. Io e James, però, non andavamo mai in ricognizione insieme, eravamo troppo sospetti.

Per qualche inspiegabile motivo quando qualcuno ci scorgeva insieme a bighellonare per il castello, anche se con l’aria più innocente del mondo, diventava immediatamente sospettoso e si teneva alla larga da noi due, o peggio ancora chiamava qualche insegnante prima che si potesse fare alcunché. Ci si renderà conto che lavorare in quelle condizioni era decisamente impensabile.

Nemmeno con Peter era stato possibile, benché si fosse offerto subito, entusiasta. Quel ragazzo era pieno di buone intenzioni, ma anche terribilmente incapace.

Quel dannato fifone squittiva di terrore ogni volta che incrociavamo lo sguardo di qualcuno: una volta si era addirittura inginocchiato in lacrime ai piedi del preside Silente implorando pietà solo perché, al suo passaggio, aveva sorriso sornione. Era stato fortunato di essersi trovato in compagnia di James che sopportava bonariamente quelle idiozie facendone al massimo il tema di irresistibili, dissacranti prese in giro. Io l’avrei riempito di calci nel sedere.

Così, dopo un primo momento di frustrazione mi era venuta l’idea geniale di portarmi dietro l’Innocentino, di renderlo partecipe dei nostri piani anche se ogni volta era una ben dura lotta schiodarlo dai libri di scuola. Sembrava voler passare il minor tempo possibile con noi, al punto da entrare in dormitorio solo per riposarci (e a volte neanche di quell’onore ci degnava). Come se avesse potuto trovare in tutta la scuola una compagnia migliore della nostra, figuriamoci.

Alla fine, però, la mia insistenza aveva avuto la meglio.

Non era una particolare predisposizione nei suoi confronti, la mia, anzi (lo trovavo un tipo decisamente scialbo), ma semplicemente la scelta più logica: il ragazzo, a dispetto della noia che emanava con la semplice presenza, aveva un sangue freddo invidiabile, l’ammirevole qualità di tenere la bocca chiusa a meno che non fosse strettamente necessario, e soprattutto quella faccia angelica da bravo ragazzo che tediava me, che procurava ripetuti orgasmi ai professori e che, soprattutto, in quei casi si rivelava immensamente utile. Quando ero con lui, tra le altre cose, assumevo sempre l’aria contrita di chi sta ricevendo una strigliata.

Ottimo.

La prima sera toccava a noi andare in avanscoperta: ci si era messi d’accordo per partire “dal basso” e andare in direzione dell’aula di pozioni, giù nelle segrete, in un punto in cui avevamo notato il pomeriggio stesso una parete dall’aria decisamente sospetta. Le gambe però (e quelle assurde scale) mi avevano trascinato invece al corridoio del terzo piano e Remus, docile come sempre, mi aveva seguito senza un fiato.

Tanto qualcosa l’avremmo trovato di sicuro, me lo diceva l’istinto. Remus invece si era dimostrato tacitamente scettico, ma non aveva obiettato. A lui non importava dove si andasse, purché si tornasse in fretta.

Naturalmente, nell’atto pratico avevo finito col controllare nicchie, sollevare cornici e palpare pareti lungo tutto il corridoio sotto lo sguardo indolente del mio compare (perché non esisteva che mi desse una mano, proprio come coi compiti di scuola, anche se tra noi due era decisamente quello più attento ai particolari) fino a farmi diventare le mani nere senza rinvenire un emerito nulla.

Volsi lo sguardo in direzione della scalinata, detergendomi il sudore dalla fronte con un gesto meccanico. Nemmeno mi avvidi delle lunghe ditate scure impresse nella pelle. Remus non prestava la benché minima attenzione né a me né tantomeno ai due lati del corridoio, nel caso in cui fosse arrivata gente (che razza di palo!): se ne stava a fissare incantato la statua di un’orrida strega gobba a grandezza naturale, facendo scorrere pigramente, curioso, le dita contro la superficie compatta, saggiandone la consistenza e le imperfezioni in ogni suo centimetro, nello sguardo una viva curiosità. Da come se la palpeggiava avrei detto che quella vecchiaccia fosse il suo tipo ideale.

Chissà che idiozia da secchione aveva trovato.

Non mi preoccupai di reprimere uno sbadiglio spalancando la bocca fino al massimo consentito dalla mascella.

Mi ero stufato.

“Qui non c’è niente.”, avevo sentenziato ficcandomi le mani nelle tasche e facendo per avviarmi in direzione della torre del Grifondoro. “Torniamocene in dormitorio, così mi fai copiare il tema di Trasfigurazione.”, azzardai con un mezzo sorriso, non troppo convinto delle mie stesse parole.

“Non contarci.”, mi era stato risposto con aria altrettanto annoiata.

Ma me l’aspettavo. L’avevo detto al solo scopo di irritarlo. Lui d’altro canto faceva lo stesso con me. Era un tacito gioco, il nostro, deciso di comune accordo.

Azzardai qualche passo in direzione della scalinata per poi girarmi nuovamente nella sua direzione, cercando di capire cosa avesse intenzione di fare. Niente di veloce, a quanto pareva.

Rimasi con le mani in mano, intrecciate sullo stomaco, puntellando le spalle contro il muro, e lo osservai voltare il palmo verso il viso e scrutarsi i polpastrelli luridi con aria critica: arricciò le labbra in una smorfia disgustata, dopodichè si strofinò distrattamente le dita contro il lembo della veste, prima di afferrare saldamente la bacchetta e azzardare un paio di colpetti contro la pietra. Era come estraniato dalla realtà, come se fosse solo. A quanto pareva non aveva alcuna intenzione di seguirmi.

Non che mi interessasse di fargli da balia, ovviamente (benché desse l’aria di un tipo decisamente bisognoso di aiuto, con quelle occhiaie scure a cerchiargli perennemente le orbite e il pallore della pelle), ma l’idea di essere ignorato a tal modo da uno come lui era, dal mio punto di vista, decisamente seccante.

“Lupin, torniamo dagli altri.”, ordinai con piglio deciso.

La mano che teneva la bacchetta, dopo un primo momento di incertezza sul da farsi, rinfoderò l’arma tra le pieghe della veste (anche se avevo l’aritmantica certezza che per un istante avesse seriamente ponderato l’ipotesi di Schiantarmi se non fosse stato così ligio alle regole) e mi si avvicinò a passi lenti e calcolati, non senza gettare un’ultima occhiata da sopra la spalla.

Ci incamminammo poi spalla a spalla per le scale.

“Cos’hai trovato di interessante vicino a quella brutta statua?”, domandai dopo un paio di gradini, incapace di trattenere l’infantile curiosità che mi contraddistingueva.

“Niente che ti riguardi.”

“Dimmelo lo stesso.”

“Scordatelo.”

Alle mie pressanti insistenze sollevò gli occhi al cielo fissandomi poi con uno sguardo esasperato e dai denti fuoriuscì uno sbuffo acuto, quasi un sibilo di serpe. “Santo Merlino, Black, sembra che tu ne faccia una vera e propria missione del tuo essere insopportabile.” Si passò una mano tra i capelli, stizzito, tirandosi indietro la frangia troppo lunga con un gesto scostante nella sua meccanicità, e non potei fare a meno di notare nel più totale disinteresse, nel breve istante in cui la stoffa della veste si era sollevata sull’avambraccio, un’impietosa cicatrice scarlatta a percorrergli l’arto superiore in lunghezza. “Perché non vai a scocciare tuo fratello, tanto per cambiare?”

Mi fermai di colpo, voltandomi nella sua direzione con gli occhi accesi: ma lui era lì, con lo sguardo mogio e discreto fisso sul mio viso, in un atteggiamento non di sfida, quanto piuttosto di pacato rispetto, e di placido interesse e curiosità, e come avrei potuto rimproverarlo di qualcosa?

Improvvisamente mi venne da ridere.

Gettai la testa all’indietro abbandonandomi a una risata rumorosa, sguaiata, folle, che mi scosse da capo a piedi al punto che dovetti reggermi allo spesso corrimano di pietra per non perdere l’equilibrio.

Ridevo, e ridevo ancora, fin quasi a spremermi le lacrime dagli occhi, mentre Remus mi fissava perplesso, la nuca leggermente piegata di lato, non sapendo come interpretare la mia reazione. Comprensibile, in un certo senso.

Anche a me, del resto, quell’allegria pareva in qualche modo immotivata.

“Non sprecherò di certo il mio tempo con quell’idiota di Regrettulus!”, ululai divertito, e il suono di quel crudele, infantile nomignolo che io stesso avevo affibbiato a mio fratello quando eravamo più piccoli ad echeggiare nel corridoio deserto fece scattare in me qualcosa di nuovo e in qualche modo malinconico nella sua insipidezza.

Di colpo smisi di ridere, e le iridi seminascoste dietro le ciglia ignorarono l’espressione senz’altro pregna di significati sul volto del mio compagno di scorribande e si fissarono incantate sulla punta delle mie scarpe impolverate, le labbra raggelate in una smorfia obliqua, incerta.

Tornammo insieme ai dormitori senza più scambiarci una parola.

L’idea di essermi fatto raggiungere dai pensieri e dai ricordi mi aveva irritato.

 

 

Una notte di fine agosto avevo avuto un risveglio cupo e tumultuoso per un incubo dai contorni indefiniti, con una innaturale sensazione di gelo sulle guance congestionate da un leggero raffreddore estivo che mi aveva costretto a letto per tutta la giornata. Subito avevo aguzzato gli occhi ancora sopiti nel buio alla mia sinistra, come facevo sempre appena sveglio, alla ricerca della sagoma familiare di mio fratello a rigonfiare le lenzuola, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere nel giaciglio accanto al mio nessuna traccia di presenza umana.

Il cuscino pareva gonfio, intonso.

La coperta azzurra piatta e innaturalmente tesa.

Non era una novità svegliarmi da solo in una stanza vuota, la notte, e in quei momenti mi sentivo non inquieto, quanto piuttosto sollevato. Le assenze notturne di Regulus erano uno dei punti fermi su cui poggiavano le fondamenta della mia esistenza. Con la testa ancora un po’ annebbiata dal sonno e dai rimasugli di febbre ipotizzavo dove mai fosse potuto andare a quell’ora tarda.

Forse non riuscendo a dormire era andato in giro a bighellonare per i corridoi deserti alla ricerca di qualche occasione per giocare qualche nuovo tiro ai parenti in occasione della festa di fidanzamento di nostra cugina Bellatrix che si sarebbe tenuta lì proprio l’indomani. Forse era in cucina a rubacchiare dalla credenza in alto un paio di quei Biscotti della Fortuna che ci aveva portato lo zio Alphard dal suo ultimo viaggio in Cina. A dispetto del nome non portavano affatto fortuna, la loro unica qualità era donare il buonumore per un giorno intero, e secondo lo zio nostra madre ne avrebbe avuto un gran bisogno. Oppure, congettura decisamente meno verosimile, non aveva in mente nulla di losco ed era semplicemente andato in bagno in preda ad irrimandabili esigenze.

Un anelito di brezza, un soffio appena, mi scorse fresco e umido giù per la spina dorsale assieme al sudore bollente che m’impregnava la pelle, in un contrasto energico che mi provocò un improvviso sussulto.

Quel deficiente di mio fratello, fregandosene bellamente del mio malore, doveva aver aperto la finestra non riuscendo a sopportare il caldo afoso dell’estate inoltrata. Adesso però lui non c’era e io stavo tremando di freddo.

Imprecai a fior di labbra stringendo la bocca in una linea esangue, perché nostra madre non voleva che usassimo certe parole e quell’idiota di Kreacher era sempre dietro a qualche parete a farsi i cazzi degli altri.

Mi volsi dall’altra parte allungando un braccio verso il comodino per accendere una candela di modo tale che mi rischiarasse la strada fino alla finestra, ma mi resi conto che la stanza era già impregnata della luce liquida e azzurrina della notte. Una luna tonda e piena pendeva a metà strada tra l’orizzonte e la cima del cielo, gocciolando latte nelle cime degli alberi del viale e sui tetti puntuti e lucidi di pioggia delle case attigue. E lì, davanti alla finestra spalancata, con le dita dei piedi nudi poggiate su un corto sgabello di legno per raggiungere il cornicione coi gomiti, la sagoma scura di mio fratello a voltarmi le spalle accogliendo su di sé quei tiepidi raggi. Aggrottai le sopracciglia, infastidito. Aveva indosso solo i pantaloni del pigiama leggero, e la pelle d’oca a sollevargli impietosa la pelle della schiena.

Si prenderà un malanno e poi darà la colpa a me.

Anche se a lui non importava di malato bastavo io in casa.

“Regulus… Chiudi la finestra.”, lo chiamai incerto, assonnato, e sull’ultima sillaba sentii la voce incrinarsi, piegata in una supplica rauca. Così non sembravo stanco, ma moribondo, e quel che peggio immensamente lagnoso. Ma non riuscivo a strappare alla mia gola altro tono di voce. La malattia era uno stato d’essere che mi distruggeva, benché detestassi pozioni medicamentose di qualsiasi genere, cosa che mi portava a restare indisposto molto più del normale.

Regulus era rimasto immobile, assorto, a fissare il cielo stellato come se vedesse scritto in quel puntini di luce il senso della vita: era come se avessi parlato all’aria, e quel che forse mi parve paradossalmente più strano fu il fatto che non me n’ero stupito neanche un po’.

Non ero mai riuscito ad imporre la mia supremazia di fratello maggiore con Regulus. Naturale, pensavo, dal momento che non potendo né volendo, per indole, star dietro a quel suo animo indisciplinato non vedeva in me una figura d’autorità. Io non lo seguivo in continuazione nelle sue pazzie come mia cugina Andromeda.

Non frenavo le sue folli corse come nostra madre.

Fluttuavo a metà strada tra i due estremi.

Quindi, per lui non esistevo.

Sospirai stizzito, scotendo la testa.

“Che stai facendo?”, domandai con voce più ferma.

Lo vidi sussultare quasi impercettibilmente come se solo in quell’istante si fosse accorto della mia presenza nella stanza, con fare che avrei potuto definire solo teatrale dal momento che sapevo che stava solo simulando l’atto della sorpresa, per poi voltarsi nella mia direzione con un gesto secco che fece saltellare le corte ciocche scure della testa riccia sulla fronte e le orecchie. La luce lunare gli colpiva la faccia e le spalle nude come una secchiata d’argento.

“Hai un aspetto orribile, Siri.”, sentenziò serio posandomi addosso il suo sguardo critico: sui miei occhi gonfi, il naso arrossato e gocciolante, la pelle sudata. Ero pienamente consapevole di non essere al massimo dello splendore, ma anche se non era piacevole sentirselo rimarcare la cosa che più mi urtava era l’uso di quel nomignolo sciocco che mi avevano affibbiato le mie cugine.

Mi asciugai il naso contro la manica del pigiama.

“Sono malato, idiota, che aspetto dovrei avere secondo te?”

Per tutta risposta sulle labbra comparve un sogghigno divertito.

“Mio caro ragazzo…”, cominciò, sollevando con fare saccente l’indice e chiuse gli occhi tirandosi indietro una ciocca di capelli immaginaria, in una superba imitazione di nostra madre che mio malgrado mi fece sollevare verso l’alto un angolo della bocca, nella patetica imitazione di un sorriso. “Un vero Black sa sempre come presentarsi al meglio, con grazia, eleganza e fascino, in qualunque occasione si presenti, sia essa il matrimonio più lieto o il giorno del proprio trapasso…”

Alzai gli occhi al cielo mentre Regulus continuava a sciorinarmi addosso un discorso di cui conoscevo pause e virgole, anche se detto con quell’aria cretina sembrava quasi divertente.

Quella era una delle lezioni preferite di nostra madre: di quelle che, in quanto erede, mi toccava sorbire ogni giorno affinché venissi “consapevolizzato”. Era importante per lei che venissi a conoscenza fin dalla più tenera età del mio ruolo, che dovessi sapere da subito cosa ci si aspettasse da me. Regulus non era obbligato ad ascoltarli ma restava lo stesso, seduto al tavolo della sala da pranzo con le gambe a ciondoloni sulla sedia e il mento poggiato tra le mani a sopportare quelle lagne. E poi me le riproponeva nei momenti più impensati, solo per farmi dispetto.

Inutile voltare la testa o chiudere gli occhi, invocare mentalmente un alito di vento a spazzar via i pensieri. Quelle parole mi si erano talmente incastrate nel cervello da non poter più fare a meno di ascoltarle.

Accolsi con sollievo la decisione di Regulus di tacere, un minuto dopo o poco più. Lo osservai con curiosità assumere un’aria meditabonda portandosi l’indice e il pollice della mano destra al mento. Poi sollevò la nuca per fissarmi dritto negli occhi, le iridi azzurro pallido a risaltare contro la pelle inscurita dalle ombre definite della notte, e aggiunse, con aria insolitamente seria:

“Fratello, mi sa tanto che ti hanno adottato.”

Proprio non riusciva a fare a meno di quelle malignità.

“Va’ a dormire se non vuoi che ti prenda a sculacciate!”, minacciai artigliando le lenzuola con le unghie fino a sentirmi tremare il tessuto nei palmi, pronto a scostarle per mettere in atto le mie promesse, e fu con una certa soddisfazione che lo vidi tentare istintivamente un passo all’indietro, contro la parete. Non gli avevo mai alzato una mano addosso, ma sapeva che ero perfettamente in grado di dargli una battuta.

Ero più grande e più forte di lui, dopotutto.

“E chiudi quella finestra, sto gelando!”

“Non posso.”, sbottò con quel tono stridulo e cocciuto che ne rivelava l’effettiva giovane età a dispetto del suo atteggiarsi alla vita ironico e distaccato. Indicò col dito la luna piena. “Sto cercando dei licantropi.”

“Che stupido.”, gemetti affranto abbandonandomi contro il cuscino, il dorso della mano a coprirmi teatralmente la fronte in un moto di spossatezza mentale totalizzante. “Non ci sono licantropi a Londra. Non in questa zona. Il Ministero non permette certo che quelle bestiacce girino per le strade in mezzo ai Babbani.”

Incrociò le braccia. “Bella ha detto di sì.”

“Bella è pazza!”

Nelle mie parole era molto, troppo udibile mio malgrado, una sottile ma inconfondibile nota di isteria infantile. Questo perché da piccolo, a causa di quelle storielle paurose che vengono raccontate ai bambini per non far dare loro fastidio, mi era stata inculcato un terrore feroce verso i lupi mannari, al punto che persino molti anni dopo l’arrivo alle spalle di Remus, con quel suo passo sottile e il respiro lento, controllato, mi avrebbe fatto sobbalzare come una molla.

Regulus sembrò trovare la mia reazione estremamente divertente nella sua prevedibilità e cominciò a scuotere le spalle in una placida risatina. “Probabilmente hai ragione, non ci sono…” replicò rivolto alla strada, gli occhi attenti ad ogni ombra fugace della notte, e io sapevo benissimo che non ne era affatto convinto, che lo diceva solo per non umiliarmi più di quanto non fosse necessario al suo dileggio. “Ma te la immagini la faccia della mamma se vedesse uno di noi due in compagnia di quegli animali?” Lanciò un’occhiata fugace oltre la spalla, godendosi l’espressione senza dubbio eloquente sul mio viso smunto. La stavo immaginando veramente, la faccia della mamma. “Non ti viene la tentazione di andar fuori a vedere?”, mi chiese con fare birbante.

Poi piegò le labbra in uno dei sorrisi che mi rapivano.

Quando accantonava quell’infantile, subdola malizia che a noi Black veniva inculcata nel sangue assieme al nutrimento materno (veniva da chiedersi dove fosse andata perduta la mia, dal momento che non ero mai stato l’uomo delle sfumature) Regulus aveva un modo di ridere delizioso. Tra il timido e lo sfrontato, come se non riuscisse mai a decidersi tra l’abbandonarsi alla contentezza e il tirarsi indietro. Il mio sorriso ha sempre dato adito a pochi dubbi.

Sfrontato e basta.

A volte irritante, o minaccioso, ma niente di più.

Nulla nel mio comportamento che mi tornasse davvero utile nel momento in cui si necessitava di istigare negli altri una qualche forma di perdono o perlomeno di simpatia. Regulus era diverso, a lui si perdonava sempre tutto, non importava quanto la combinasse grossa; se rovinava la festa di fidanzamento della cugina o riempiva la caraffa del vino di Pozione Lassativa il giorno dell’arrivo dei nonni.

Per lui era sempre pronto l’indulto.

L’ultima volta che avevo alzato la voce mi era arrivato uno schiaffo. Non mi ero mai spiegato come fosse possibile questa differenza di trattamento. E in quel momento, con la luce della luna a impregnare la notte e col suo sorriso ancora caldo nella testa, la curiosità aveva preso il sopravvento e le mie labbra si erano mosse da sole nel formulare quella domanda che mi premeva nel petto da una vita.

“Come fai, Regulus?”

Mio fratello mi aveva fissato inarcando un sopracciglio sottile con fare perplesso. “Salto giù dalla finestra e mi arrampico per la grondaia.”, disse. “L’ho fatto altre volte.”

Scossi la testa, sogghignando tristemente e pensando a tutte le volte che l’avevo visto sparire oltre il cornicione e correre per la strada, per poi tornare solo all’alba, un istante prima che Kreacher entrasse in camera con la colazione.

Non era decisamente quello che intendevo.

“Tu non hai mai paura di farti cancellare dall’arazzo di famiglia?”

“Perché, tu sì?”, aveva replicato divertito.

Io però non avevo risposto.

Non lo sapevo.

E all’improvviso avevo la testa così confusa…

I pensieri mi giravano attorno come boccini impazziti.

Premetti la guancia incandescente contro la federa del cuscino, e mi lasciai sfuggire un mugolio indistinto.

“Sirius, a volte viene il sospetto che tu non appartenga a questa realtà, o che sia stato tenuto rinchiuso ad Azkaban fino adesso…” La voce di Regulus era impietosamente dura e fredda contro le pareti doloranti della mia testa, eppure berciata suo malgrado di un’insolita, temperata dolcezza. Doveva essersi accorto, se non del disagio che le sue parole mi avevano causato, del peggioramento improvviso del mio stato di salute causato dal freddo preso a causa sua, perché aveva chiuso la finestra cercando di fare il minor rumore possibile e mi si era avvicinato, inginocchiandomisi accanto.

Presi una nota mentale dell’avvenimento.

Era necessario fare pietà a mio fratello per farmi ascoltare.

“Sei più grande di me, sei il primogenito, e ancora non hai capito come funzionano le cose in questa casa.”, cantilenava come una nenia con quella vocetta infantile ridotta ad un soffio che continuava a incalzarmi con il sapore dolciastro di un tenero bacio, mentre la sua mano fresca saliva a scostarmi dalla fronte una ciocca di capelli fradicia di sudore. “Tutti quei discorsi che devi sorbirti ogni giorno e che tu ti rifiuti di ascoltare dicono solo una cosa: che finché non oltrepassiamo il limite noi Black possiamo permetterci tutte le sciocche pazzie che vogliamo.”

Ma dov’era quel dannato limite?

Fino a dove ci si poteva spingere?

Il silenzio e l’incoscienza mi agguantarono come avrebbe fatto quel grosso cane nella casa di fronte alla nostra, per la vita, e mi trascinarono lontano dilaniandomi la pelle con le loro zanne a uncino. E lì in quella casa, tra i parenti, o nel buio di una stanza che in quel momento era davvero solo mia, stavo come un fantasma che c’era e non c’era.

Nella famiglia Black, del resto, funziona così.

Gli errori non si pagano.

Più semplicemente, si cancellano.

 

 

Finalmente, spinto dalla noia ignava di quelle rare serate pigre ed indolenti in cui non ci veniva in mente assolutamente niente da fare, ero riuscito ad addormentarmi ad un orario abbastanza decente, ma il mio sonno era talmente leggero da intrecciarsi con l’insulsa, statica realtà che mi circondava, negandomi la consolazione di un oblio concreto.

Alla mia sinistra avvertivo l’indistinto scricchiolio della punta della piuma d’oca sbrecciata di Remus che si imprimeva sulla pergamena spessa in maniera così totale da vedermelo nella testa, lussuriosamente spaparanzato sul letto a baldacchino con l’immancabile libro di turno sul cuscino a fare da base al foglio: le labbra leggermente dischiuse, le sopracciglia folte color miele, una delle quali scheggiate da uno spacco trasversale, a suggerire una capacità di concentrazione quasi dolorosa, tutto intento a ricopiare degli appunti di chissà che materia con quella sua scrittura fine e minuscola da ragazzina oppure, forse, impegnato a scrivere l’ennesima missiva alla madre malata. Mi ero sempre domandato cos’avessero da dirsi di tanto interessante da sentire il bisogno di scriversi ogni settimana.

Ma erano affari suoi.

Come sempre del resto.

A destra mi giungeva l’inconfondibile, basso e costante russare di Peter, e mi parve impossibile non provare un moto di indicibile invidia nei confronti di una persona che riusciva ad abbandonarsi tanto interamente ad un sonno ristoratore. Del resto, se c’era una persona in grado di fare del sonno una vera e propria componente base dell’esistenza, questo era proprio Peter. Anche se poi con tutti quei rumori rendeva impossibile il sonno a noialtri.

Un sospiro giunse dalle parti della finestra. Era James che contemplava melanconico la sagoma del campo di Quidditch che nereggiava contro la notte argentata. La sua era diventata una vera e propria ossessione da quando l’anno prima, il giorno in cui per togliermelo dai piedi l’avevo praticamente obbligato a prender parte alle selezioni della squadra in qualità di Cercatore, era stato tacciato di profonda incompetenza ed escluso senza possibilità di ricorso. Era stata anche una conclusione della vicenda piuttosto scontata dal momento che, miope com’era, riusciva a malapena a trovarsi la scopa sotto alle chiappe, figurarsi un boccino, ma lui l’aveva presa su un piano personale e da quel momento aveva deciso che il sogno della sua vita era sempre stato fare il Cacciatore, e che solo lui avrebbe potuto portare la “sua” squadra alla vittoria, se solo gliene avessero dato la possibilità.

La realtà si intrecciava col sogno e col ricordo di una figura impettita seduta lontana, su uno sgabello di legno malfermo: la luce orgogliosa nello sguardo impavido e il viso teso nella mia direzione in attesa di qualcosa di inesplicabile, il sorriso sicuro e quell’elegante cappio verdeargento ben annodato al collo.

Mi svegliai di soprassalto con un sussulto ma senza sollevare le ciglia, col corpo che, contravvenendo agli ordini perentori della mente, cocciutamente rifiutava di svincolarsi totalmente a quei pensieri. Le parole che avevo detto la sera precedente a James, sibilate amaramente con un ghigno perfido nel momento in cui il Cappello Parlante aveva pronunciato la sua sentenza, mi risuonavano ancora nella testa.

Ora spaventosamente vacue nella loro giustezza.

“Serpeverde è il luogo adatto per gente come lui.”, avevo sentenziato.

Eppure, per un breve, infinitesimo istante avevo davvero sperato che non lo fosse.

Ma avrei dovuto saperlo.

Del resto aveva imparato presto a destreggiarsi, il piccolo Regulus.

Io sono sempre andato avanti a tentoni nella vita, arrancando a fatica, spingendomi sempre avanti di un poco alla volta, come il neonato che azzarda i primi passi incerti. Mio fratello, al contrario, fin dall’inizio della sua esistenza ha inceduto sicuro nei confini che gli erano stati imposti dal credo di famiglia e dalle imposizioni sociali con una naturalezza che sconvolgeva la mente.

Il carattere, poi, crescendo era decisamente maturato, ma me n’ero accorto solo una volta tornato a casa, all’inizio delle vacanze estive. Andava somigliando sempre più a nostra madre: benché con me mantenesse sempre quell’atteggiamento di strana, contrastata complicità che ci aveva caratterizzati da sempre si era fatto freddo, un po’ taciturno, a tratti placidamente scostante, e aveva abbandonato quel vizio infantile di mettere il broncio come le bimbe chiudendosi in un cocciuto silenzio quando le cose non andavano alla sua maniera.

Non l’avevo più visto combinare pazzie.

Non glielo permettevano, mi aveva detto quella notte in un cui, con mio totale stupore dal momento che non avevamo sentito il bisogno di simili manifestazioni d’affetto neppure quando eravamo molto piccoli, era venuto a cercare il mio abbraccio sotto le coperte in seguito a un incubo.

A quelle parole, pronunciate con la più innocente sincerità senza biasimi di sorta, le spalle mi si erano incurvate sotto il peso di un insopprimibile senso di colpa e avevo sentito il bisogno, per la prima e ultima volta nella mia vita, di scusarmi con lui. Scusarmi davvero. Sapevo che mia madre non mi avrebbe mai perdonato.

Non poteva.

Nemmeno volevo che lo facesse, perché non era da lei che cercavo il perdono. Ma Regulus le meritava quelle scuse.

Per tutta risposta, contro ogni mia aspettativa, mi derise proprio come faceva sempre. Perché non avrei dovuto credermi il centro supremo dell’universo, né delle scelte educative di mamma e papà. Perchè sarebbe dovuto crescere in ogni caso, dal momento che era si era stufato di cercare i licantropi fuori dalla finestra.

Quello fu l’equivalente della più sentita delle assoluzioni.

Ma io non sono Regulus, e non lo sono mai stato.

Io non indulgo nemmeno con me stesso.

Semplicemente, distolgo lo sguardo.

Come il giorno in cui Regulus, prima ancora che volgersi a quelli che sarebbero diventati i suoi compagni di casa, prima ancora di specchiarsi nel gelido orgoglio screziato di sollievo di Narcissa, incatenò i suoi occhi nelle mie palpebre serrate, e in quel gesto di rifiuto non vi trovammo altro che una domanda.

Com’è potuto accadere?

D’improvviso mi parve tutto molto buffo.

Ironico.

Preso da un irrefrenabile istinto mi abbandonai ad una risata solitaria, muta, che in un attimo si tramutò in cascata silenziosa, pioggia dissennata che mi sconquassò il corpo come una tempesta.

James sospirava ancora alla finestra, il naso e i polpastrelli a premere contro il vetro come se potesse passarvi attraverso per un miracolo del desiderio.

Peter continuava a russare.

Remus fu il solo ad accorgersi di quella mia desolazione. Sdraiato su un fianco nel letto accanto al mio, nella mia direzione, con le tende a baldacchino spalancate ad accogliere la luce della notte sulle pagine di un libro dall’aria decisamente importante trafugato dalla Sezione Proibita della biblioteca, taceva. Troppo preso dalla lettura per alzarsi, si limitò a fissarmi con occhiate fugaci, gli occhi indifferenti ma anche sbalorditi.

Perché i singhiozzi senza voce sono come lampi senza tuoni.

Qualcosa di mutilo e sgraziato.

 

FINE

 

 

Commenti di fine capitolo

Doverosi, direi a questo punto.

Bene, la storia si conclude qui.

Si conclude così, in maniera volutamente castrante e inconcludente. Perché lo sappiamo tutti come continuerà, lo sappiamo tutti che questa non è la fine e una morte ma un inizio e una “rinascita” di Sirius, perché mi piace pensare che quel pianto di Sirius sancisca un lasciarsi tutto alle spalle. Per cui, dire altro sarebbe risultato veramente troppo. E se proprio non riesce a piacervi questo finale, apprezzate almeno che l’ho conclusa, questa storia! XD
Ah, si necessita di una noticina in più: mi ha fatto giustamente notare Rik Bisini un paio di cose che necessitano giustamente di una breve spiegazione (magari son cose che io do per scontato perchè sono l'autrice! XDDD): allora, innanzitutto si chiede come da questo Regulus, di questa storia possa uscire fuori il Mangiamorte che tradisce Voldemort. Io la spiegazione ce l'ho pure, ma ci sarebbe da scrivere una fic intera e la fic nn parla di Regulus. Per cui, può darsi che scriverò una fic sull'argomento e ne rimarrete sorpresi! ^_-
Dubbio numero due, la fine frettolosa. Ammetto che in un'altra fan fic avrei visto questo esser frettolosa come un mio limite, una mia voglia di sbrigarmela in fretta (d'altronde, mica sono Pigra con la P maiuscola per niete! XDD), ma in questa la vedo come un traguardo raggiunto. E spiego: l'elemento castrante e inconcludente per cui ero sicura (ho i testimoni! XD) che questo finale non sarebbe piaciuto a tutti erano dovuti proprio a cose come questa. ^^ Il fatto è che è una cosa che si sente e c'è per tutta la storia questa realizzazione. E' nei non detti, tra le righe. Lo sa anche Sirius che c'è, è parte di lui. Per questo la realizzazione arriva così, di punto in bianco, coem la cosa più normale del mondo.
Naturalmente ringrazio da morire Rik per avermi permesso di cogliere l'occasione a spiegarmi su questi punti. ^^

Ne approfitto per ringraziare sentitamente chiunque abbia avuto il buon cuore non solo di leggere (ma anche quello merita un plauso! XD) questa umile trilogia (E che san George – Lucas – abbia pietà della nostra anima blasfema), ma anche di apprezzarla.

Piccola nota esplicativa sul capitolo: il Regretto (da cui REGrettULUS, il nomignolo che Sirius affibbia al suo fratellino. Mi piace inventarmi i nomignoli anche se sono stupidi! *.* ma non si nota, noooooh! XD) è il rammarico, il rincrescimento. Viene anche utilizzato per indicare i lamenti che si indirizzano ai morti e per esteso è sinonimo anche di lamento, di piagnisteo. In pratica non è un nomignolo molto lusinghiero quello che Sirius dà a suo fratello.

 

Lasciando un commento naturalmente farete la mia gioia sempiterna. ^^

Passiamo ora ai commenti individuali.

 

Kar: Ora io mi chiedo, sinceramente, come fai a leggere fic di un fandom che non conosci! XD No, sul serio, immagino me a leggere una fic di (nome a caso) Lost, che non ho mai visto in vita mia se non tramite i racconti entusiastici di Boll, sarebbe frustrante da matti! XDDD A parte che non ci capirei niente e mi perderei ¾ delle cose. Insomma, non so se ammirare il fatto che leggi comunque o pensare “ma perché lo fa?” XDDD

Nel dubbio, propendo per una placida incertezza silenziosa! XD Anzi, no, aggiungo che mio marito è felicissimo di essere trattato così da me, lui si diverte a leggere le mie storie perché è come se leggesse la vita sfigata di qualcun altro, e poi si sente di buonumore per un po’ di sbattipancia. : P Le parolacce sono una triste necessità, mi devo sverginare da esse, in genere le evito come la peste anche dove ci vorrebbe un bel sanpetronio. Si fa quel che si può con la graforrea! XDDDD

 

Alexia: Azz, e io adesso sono tutta vogliosa di sapere COSA non vuoi/volevi spoilerare (di Regulus I suppose, o forse di James visto che il commento in cui facevi riferimento allo spoiler era quello per il capitolo 1), io spero di saperlo nel commento a questo capitolo. Lo sai che le tue recensioni mi fanno sbavare perché in poche parole riesci a dare una pennellata chiara e netta ai miei personaggi, manco li avessi scritti tu. Le frasi finali in cui dipingi Sirius (tra le altre cose fai anche capire che la sua visione egocentrica dell’universo lo spinge naturalmente a filtrare la realtà attraverso il suo giudizio) sono da sturbo, è ufficioso! Uffa, sono un po’ invidiosa di questa capacità, sai quante pagine mi risparmierei se avessi le tue doti di sintesi? XD Che dire sul tuo commento (anzi, sui tuoi commenti)?

Che come al solito mi spiazza piacevolmente.

Perché punti sempre sulle cose giuste! XD

Quella frase: “è interessante, perché non gli viene naturalmente [fare lo stronzo]” è pura estasi. Perché è vero, è proprio così. Al di l delle parole che usa per farcelo sapere in tutti i modi. Ecco, io penso che il punto da te sollevato sul fatto che sia James a dare un’identità a Sirius (la sua, come annoti sempre più giustamente tu) sia abbastanza pregnante anche in luce di questo episodio. Ma non dico niente, non voglio spoilerare! XDDD Da questo punto di vista il mio James tu sia stata una delle poche persone ad aver veramente compreso il mio James.

Per il resto, arrossisco come una pupattola di fronte ai complimenti che vengono da una scrittrice straordinaria come te.

 

Nykyo: Sperando che il commento di questo capitolo non ti dia problemi (azz, ma non lo faccio apposta a fare i capitoli difficili da recensire per te! T_T Non ho il Dono di altre persone!!! XD), chiacchieriamo un po’ dal momento che cosa dovrei dirti?

Hai fatto un’analisi perfetta! XD

Non c’è bisogno che dica che su James ci hai preso TOTALMENTE, ti ho già incensata abbastanza nelle note di inizio capitolo. XDD Poi ti abitui troppo ai complimenti, basta! XD Che dire, paradossalmente proprio perché tu non lo sopporti ti sei avvicinata più di tutti alla mia visione del personaggio in questa storia (ma un po’ in linea generale a dire il vero). Perché a volerlo vedere obiettivamente è vero. James è una persona fondamentalmente normale nel suo essere infame. Vuole trasgredire ma per gioco, non per effettivo “bisogno”. Lui è felice della sua vita e di quello che è, per cui perché rovinarsi? Al tempo stesso però c’è la voglia di spingersi oltre, di osare. O d ivedere fin dove si può osare. Ed ecco Sirius. Ora, io naturalmente non dico che sia SOLO questo, che sia un’amicizia ipocrita la loro. Si volevano bene. Ma c’è anche questo, nel mezzo, altrimenti mai nella vita secondo la mia modesta visione delle cose Sirius e James si sarebbero mai potuti trovare, dal momento che sono due portati per carattere a primeggiare su CHIUNQUE.

Su Sirius, che dovrei dirti, che sbagli?

Ma non sbagli per niente! T.T

In niente.

Io per prima sono del parere (e qui la maggior parte delle fan di sirius vorrà le mie chiappe su un vassoio) che Sirius e Severus siano in fondo in fondo due facce della stessa medaglia. Molto simili per certi aspetti, profondamente diversi in altri (naturalmente, altrimenti avremmo due gemelli! XDDDD). Come dici tu la differenza sostanziale sta nel fatot che Sirius, checché ne dica Walburga, è un Black fino al midollo. Severus no, ma questo non è necessariamente un male se essere Black significa essere come il mio Sirius. ^^ Questo volevo esprimere, questo tu hai colto (e detto da una pitonica, che soddisfazione, permettimi! XD). Ma anche se così non fosse non poteri mai offendermi per una simile frase, perché so quanto ami Severus e so quanto per te significhi dare a Sirius questo appellativo. ^^

Un appunto. Quando tu mi chiedi “possibile che nessuno senta il suo grido di aiuto?” a me, non so perché, viene subito in mente Neville. Neville lo stupido, Neville l’ignorato. Neville che più di Harry meriterebbe affetto da chi gli sta intorno, Neville che non lo ottiene. Per cui mi viene da risponderti “sì, è tremendamente possibile, ed è reale.”

Ehehehehe, sì, so come ci si sente a leggere qualcosa su un personaggio che proprio non si vorrebbe vedere nemmeno col lanternino e trovarsi ad adorarlo. Lo so maledettamente bene, brutta Pitonica impenitente!!! XDDDD

Infine, arrossisco per i complimenti ma segretamente godo.

Grazie a te per le soddisfazioni che mi dai, come beta e come scrittrice! ^^

 

Starliam: Uuuuh hai commentato veramente! XD Basta, ora mi sento in colpa per il mio rifiuto infantile di non leggere le tue soltanto i virtù della coppia (io non sono cosìììì è che mi disegnanooo) appena il tempo me lo concederà devo assolutamente. In fondo ho fatto trenta leggendo le fic di Boll e Ny, facciamo 31 e leggiamoci quelle con Piton e Harry, che cavolo! XDDD Tanto poi se la sofferenza sarà troppa ho sempre il jolly (la traduzione lily/james) da affrontare! ^_- L’idea di far vedere i Malandrini quando ancora non sono Malandrini mi solletica da un pezzo, ne avevo un’altra in cantiere ma la tematica mi affascina molto!!!! *ç* Anche se TEMO che, come Harry, Ron ed Hermione, CASUALMENTE in realtà abbiano diviso lo stesso vagone dell’Espreso di Hogwarts!!!! XD Massimo rispetto per le idee dell’autrice, ma preferisco la mia versione, è pù realistica! XD Detto questo, ti ringrazio un sacco per i complimenti. Difficile in effetti che tu avessi potuto leggere una mia fic, operiamo in ambiti troppo diversi (veramente opposti! XD), ma in virtù di questo apprezzo veramente moltissimo i tuoi complimenti!

 

Anachan: Stavolta non ci finisce nella m****, Sirius, apprezza lo sforzo, perché in realtà dovevo fargli fare ben di peggio, poi ho pesato a te che dovevi disegnare e mi sono trattenuta! XDDDD Heheheheeh ooooh, l’hai notato che c’era Remus in sto capitolo. Brava, brava, non era facilissimo, è un acceno veramente infimo (come poi infimi sono tutti gli altri per Sirius)! ^.^ Un po’ di Wolfstar ce l’ha solo che non è molto dolce. Diciamo che in questa fic tra le righe ci sono le MIE basi supreme del perché li vedo così bene insieme anche se secondo me si odiano. \(^.^)/ Hooray! Hehehehe ma povero Peter, sono stata cattiva con tutti io per lui provo molto affetto (giuro, mi fa tenerezza in qualche modo, anche se è un infame! XD). Ah, e il mio Sirius non è che l’ho fatto schizzato forte. E’ schizzato forte! XD

 

MoMo: Dal tuo commento entusiastico mi pare di intuire che forse hai una passione per Sirius? XDDDD Hehehehe, personalmente ti capisco, anche se ammetto che QUESTO Sirius (cioè di questa fic) averlo accanto deve trasformare la vita in un lungo lento suicidio premeditato! XDDD Insomma, obiettivamente, che pazienza che bisognerebbe avere! XDDD A parte quello, io ti ringrazio da morire per i complimenti (oddio, diventare scrittrice proprio no, c’è gente che decisamente lo meriterebbe più di me! ^^).

 

Anna Mellory: Grazie mille, sono molto felice di trovare un’altra persona che condivida questa visione di Sirius. Il mio spavento più grande è che sia così diverso dal tipico carattere di Sirius del fandom che la gente fatichi a vederlo come il Sirius della Rowling! Commenti come questo mi fanno molto piacere, come anche i complimenti, mi fanno arrossire. Grazie per aver letto, apprezzato e commentato la mia storia! ^^

Lizzyluna: *.* Wow. E’ poetica la tua recensione. Spero davvero di essere riuscita a creare, come dici tu, un personaggio che sotto la scorza ha la sua luminosità, la sua stella, accidenti! Perché il problema con personaggi come i miei (ne prendo atto, tremendamente irritanti! XD D’altronde se non lo fosse non potrei amarlo, è proprio vero che la donna è fondamentalmente masochista! XDDD), è che fai  fatica a far comprendere che alla fine quello che vuoi intendere non è che questo tipo ha solo oscurità e che finge, ma che riesce a trovare quel fragile baluginio che lo porta ad andare avanti. Veramente, grazie per la tua recensione! ^^

 

Francesca Akira89: Hehehehe, non c’è Remus? E secondo te chi è il secchione di poche parole a cui Sirius chiede i compiti? ^_- Distrattona! XD No, scherzo, era sottile il riferimento a Remus (volutamente sottile ma sarebbe un discorso molto complicato da dire! XDDD). Sì io James me lo immagino con la voce un po’ nasale! XDDD Mi sa da supponenza la voce nasale.

 

_Vale_: Cavolo, che dire di fronte alla tua recensione? Che sono profondamente felice! Non so se tu dia all’espressione “uscire dal foglio” la stessa che gli do io, per me è una cosa molto importante e molto seria. Per me quando un personaggio “esce dal foglio” ha quella scintilla che gli può conferire solo una persona che questo personaggio lo ama veramente. Quindi, non hai idea del piacere che mi hai fatto con le tue parole (tu hai dovuto rivalutare Sirius, e se la mia storia c’è riuscita almeno di quel pochetto sono onorata, per me è proprio amore e venerazione estrema e totale per il personaggio! XDDD). E non ti preoccupare per la lunghezza delle recensioni, per me non è importante che una persona si sforzi di allungare la broda se proprio non gli viene da dire più di un tot. ^^ Sul serio, non è che perché sono una logorroica persa allora apprezzo solo le recensioni lunghe (schifo non mi fanno, però, specifichiamolo! XDDDD). Si può benissimo esprimere tutto quello che si vuole in poche parole, se queste sono quelle che servono. ^^ Non so se sarà una delusione, ma il balzo temporale da me saggiamente adoprato m’ha risparmiato di spiegare come questi due diventano amici dall’odio totale e supremo che provava Sirius! XDDD Cioè, c’è scritto, ma molto tra le righe e lascia al lettore la libertà di pensarla come vuole.

Hehehehe grazie per aver notato la mia nota sulla scopa, a me fare questi particolari stupidi piace troppo, ci starei su delle ore solo per questo!!!! ^^

Un bacio anche a te.

 

Free: Grazie per i complimenti, Free, mi fanno molto piacere! X) (questo è il faccino da “come sto fremendo di gioia, sìììì!” XDD). Che dire, che ora son curiosa di vedere se anche il secondo capitolo e la fine ti troveranno “adorante” nei confronti di Sirius (che perde la connotazione da uccelletto di bosco e assume sfumature decisamente più tragiche) oppure se dovrò sudare freddo! XDDDD Ciao e grazie ancora! ^^

 

Redistherose: Mi fa MOLTO piacere la tua recensione, io sono felicissima quando una mia fic induce un lettore a lasciarmi un segno del suo passaggio. Quando poi questo segno è riflettuto e ponderato è un orgasmo in più! ^_- Su James mi sono espressa nelle risposte a Ny e di inizio capitolo per cui qui non dico niente. In linea generale è vero che in genere Potter senior sembra decisamente senza cervello, ma credo sia normale quando una persona normale come lui (perché è davvero normale, un normale ragazzino con una normale amorevole famiglia e un normale carattere/psicologia) si trova a dover fare i conti con persone decisamente non normali come sirius e remus (peter nemmeno lo sto a nominare, lui è il più matto. Ma non abbiamo notizie sul suo background e non so se sia normale come james o no! ^^ Suppongo abbia lui pure la sua bella dose di traumi! XD). Su Sirius in un certo senso hai ragione e in un certo senso no. E’ vero che cerca di farsi amare, e apprezzare, ma non dalla madre, quanto piuttosto da se stesso. Ma questo è chiaro nel terzo capitolo, nel secondo era facilmente fraintendibile, ho fatto apposta! XDDD Sono bastarda? Sì! XD Non sarai mica sorpresa! ^_- Io con sti film di HP sto già ridendo come una matta, quindi Lewis sarebbe il meno (e poi visto che mi piace da impazzire Fenrir non vedrei nemmeno tanto male la scelta! XDDD). Argh, mettere Thewlis e Sirius nella stessa frase, muoio!!!!! XDDDDDD Mi attaccherò alla canna del gas esilarante pensando ai frementi baffetti di Remus e sognando di vederli sul viso di Fiennes! ^_-

 

Chii: Con calma a recensire, non c’è bisogno che si sforzi nessuno o che si tiri fuori dalla gola le parole a viva forza. Quando te la sentirai io sarò sempre lieta di ricevere una tua recensione (visto che sono così fighe!!!! *.*). Lo so, anche a me dispiace di aver tagliato la scena della “maledizione del dormitorio femminile”, ma avrebbe allungato la broda, ahime!!! XD Già Sirius è abbastanza pipparolo di suo, allungare ulteriormente sarebbe stato da suicidio! XDDD Su james ho spiegato tutto sopra, per cui non dovresti più avere dubbi a riguardo! ^^ Da un certo punto di vista io credo che tu abbia afferrato pienamente quello che Sirius è agli occhi degli altri. Sul serio, credo che sia la prima volta che capita. ^^ E’ una descrizione perfetta, la tua, di quello che Sirius vuole sembrare, è quello che poi obiettivamente vediamo. Nella realtà invece è un personaggio fragile, molto “pitoniano”, come me l’hanno definito in altra sede! XD E’, per dirla poeticamente, una stella che ancora non brilla.

E che forse non brillerà mai se non di luce riflessa.

Chi può dirlo? Può darsi che mi sbagli! ^_-

Grazie mille per i complimenti, sorellina adorata, arrossisco! *.*

Prima o poi finirò tutte le mie fic, giuro e spergiuro! XD

  
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