La mia
vita da inquilina è difficile e noiosa, posso affermarlo in tutta onestà.
Il caso
vuole però che la mia attitudine sia pacata, diplomatica, perlopiù noncurante.
Don’t worry, be happy diceva
un mio vecchio amico.
Non
sono mai riuscita a rispecchiare totalmente quel tipo di filosofia, ma di
sicuro non ho mai avuto problemi ad applicarne la prima parte: non mi
preoccupo, non mi sono mai preoccupata, anzi, se volete sapere tutta la verità…
io me ne frego.
Francamente, me ne infischio.
Licenza
poetica di un altro amico di vecchia data, un bravo ragazzo, ma tanto
irresponsabile.
Dovete
perdonarmi, è che sono peggio dei vecchi: mille storie e anche di più da
condividere… e nessuno che le ascolti o le capisca.
La mia
vita da inquilina è difficile e noiosa. Uno strano ossimoro, no? Qualcosa di
difficile raramente comporta la noia, perché l’azione richiede impegno, e
l’impegno richiede movimento fisico o intellettivo; la noia dovrebbe richiedere
l’opposto, la stasi, non siete d’accordo?
Ma
sapete come vanno le cose in un condominio: i muri di scarso spessore ed ancora
più scarsa qualità ti costringono a sentire ogni sorta di rumore!
Scarpe
con il tacco martellante, pantofole strascicate, voci umane e della TV,
eventuali versi animali, poi i mobili che, chissà per quale motivo, vengono
perennemente spostati, e quando questo accade, il muggito legnoso prodotto
dall’attrito tra mobile e suolo sembra quasi un lamento, quello che precede il
tuo, che te ne stai al piano inferiore, in cerca di un po’ di pace che sembra
non esistere.
Lo
ammetto, mi danno fastidio.
Lo so,
manco di umanità, di sensibilità, ma cosa vi aspettavate?
Eppure
una parte di me, una minuscola parte, puntualmente interviene, mi dice di
pensare ad altro, che non sono queste le cose importanti…
E io
cedo, sempre.
Forse
perché, alla fine, è anche noioso prendere in considerazione la lenta ed
insipida vita di Horace.
Tommy
ha due anni e mezzo ed è il secondogenito di Olga ed Alexander, che prima di
lui hanno avuto Nicky, quattro anni tranquilli.
Tommy
in realtà è un errore.
O un
“piacevole imprevisto”, come potrebbe definirlo chi è più sensibile di me.
Olga lo
ha tenuto per rispettare i propri principi cristiani, ed oggi lei e Alexander
si ritrovano con un bambino lento ad apprendere e viziato come pochi proprio
per colpa di questa sua deficienza.
Ha
imparato tardi a parlare, oggi sa dire solo cinque o sei parole, e non cammina
molto bene, lo dimostra il fatto che inciampi di continuo in qualsiasi cosa,
anche nei suoi stessi piedi: ogni giorno sento le sue piccole ginocchia
cicciottelle scontrarsi con il parquet, e mi sorbisco i conseguenti pianti
disperati.
Tommy
piange prima per il dolore, poi per il disappunto nei confronti di se stesso,
ed infine per l’odio represso verso sua madre, quella vacca grassa e
nullatenente che lo ha messo al mondo deliberatamente, senza capire che quel
povero piccino non doveva nascere, non per vivere come un piccolo ritardato.
Per
questo i suoi genitori credono che sia solamente un capriccioso incallito, e si
incolpano a vicenda di qualcosa che è ben lontano dal vero e proprio errore che
in realtà hanno commesso.
Il vento
si alza, e dalla finestra aperta uno spiffero improvviso smuove le pagine del
libro che sto sfogliando senza troppo interesse, ho rinunciato da un po’ a
concentrarmi sulla lettura.
Sta
blaterando non so bene cosa, di sicuro l’ennesima accusa da muovere al marito,
che non si occupa abbastanza di Tommy e Nicky, che non la dà una mano in casa,
che è sempre troppo preso dal lavoro… che respira troppo rumorosamente, forse…
Glielo
hanno sempre detto in tanti, ha finito per convincersene.
Alexander
urla contro la moglie per la prima volta nel loro squallido matrimonio.
Urla
contro di lei, contro Tommy che si è messo a piangere più forte, contro i muri
di cartapesta.
Sono
parole che non riesco a distinguere nettamente, ma che devono essere terribili,
perché Olga non ha né la forza, né il tempo di replicare.
Alexander
ringhia, si sgola, è impietoso persino nei confronti di suo figlio, sembra che
i suoi pianti fomentino ancora di più la sua collera.
Tutti
questi rumori mi fanno scoppiare la testa.
Chiudo
gli occhi con un sospiro pieno di insofferenza.
Tommy
si mette a correre chissà dove piangendo.
Per un
attimo m’incuriosisco e cerco di prestare attenzione con le orecchie per
sentire il baccano che certamente seguirà.
Ma un
fortissimo attacco di tosse di Horace mi costringe a rinunciare ai miei
intenti.
Quando
risollevo lo sguardo, Tommy è di fronte a me, in piedi.
Si
tiene in equilibrio appoggiandosi al muro con una mano, e mi fissa.
Ha gli
occhi rossi e gonfi per il pianto, ma ha un’aria tranquilla, direi quasi
curiosa e felice di vedermi.
Mi
avvicino, gli prendo la manina appoggiata alla parete e gli domando: “Non
capisci perché lo ha fatto, vero?”
Tommy
sembra capirmi e scuote la testolina, smarrito; poi mi accarezza una guancia
con la mano paffuta e sorride.
Confesso
che in momenti come questo preferirei essere chiunque all’infuori di me stessa.
Lo
prendo in braccio e, cercando di non dargli troppa confidenza, gli scompiglio
dolcemente i capelli e gli spiego con calma: “Neanche lui lo sa, tranquillo. E
in futuro se ne pentirà. Andiamo adesso…”
Mi
avvio verso l’uscita attraverso la porta spalancata, sentendomi felice ed
appagata, proprio come il piccolo Tommy.
Ma
esattamente come Tommy, negli anfratti più reconditi della mia mente penso che
c’è qualcosa che non quadra.
Sento
in lontananza il campanello della vecchia bicicletta di Horace.
È
uscito, la tosse è passata.
Per
ora.
L’ha decisamente
scampata bella e non lo saprà mai…!
Entro
nell’ascensore vecchio, puzzolente e logoro del condominio, fidandomi
ciecamente della sua funzionalità, che negli anni non mi ha mai tradita e mai
lo farà.
Premo
l’unico pulsante presente sulla tastiera e mi volto ancora una volta verso
Tommy.
E a me
dispiacerà non potergli fornire le risposte che sicuramente cerca.
Perché
neanche io ci capisco niente in questa storia, nonostante la mia esperienza.
... No?