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Autore: Walpurgisnacht    05/03/2012    3 recensioni
E cos'è, pensavate che il sottoscritto (efficacemente descritto dalla Fata Turchina come "una pazzesca e incredibile testa di cazzo") potesse esimersi dal buttar giù un seguito a quella cosina deliziosa che è Mamma Mamma? Continuate a sognare, allora.
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A sei mesi dalla fine di Secrets, la situazione a Nerima è molto più... normale. I nostri baldi protagonisti hanno forgiato fra di loro un legame saldo come l'acciaio, splendente come il diamante e tenero come la pastafrolla. Ma uno dei cinque moschettieri ha ancora un po' di malessere residuo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Konatsu, Ukyo Kuonji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Secretception!'
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Tutto bene? Sì, forse. A volte ne dubito, ma poi succedono sempre cose che mi restituiscono la fiducia.
Tipo adesso.
A vedere Ranma e Akane e Shan-Pu e Mousse entrare, mano nella mano, nell’Okonomiyaki Ucchan... non è stato un bello spettacolo, almeno per i primi trenta secondi.
Oh, ma che palle che sei Ukyo. Sempre lì a lamentarti di come Ranma abbia scelto Lei, la malvagia plagiatrice di uomini innocenti.
No, furbi di ‘sto cavolo. Non è per quello.
Io sono felice per loro, sul serio. Sono due coppiette tanto graziose e carine che, in parte anche per merito mio/colpa mia, hanno dovuto superare innumerevoli prove prima di potersi unire come i loro cuori desideravano.
Ho messo una pietra sopra alla mia infatuazione per lui. Non mi fa male vederlo con Akane, come non mi avrebbe fatto male vederlo con una qualsivoglia altra rappresentante del genere femminile che non fosse la sottoscritta.
E poi perché avrei dovuto reagire male nei confronti dei due cinesi? Mai avuto il benché minimo interesse per l’anatroccolo. Per carità, è un bel ragazzo e ha dimostrato in più di un’occasione di avere un cervello funzionante, la lingua svelta e una certa dose di fascino. Ma lo vedo sorridere a Shan-Pu e non posso proprio negare che si completino molto bene.
Niente gelosia. Non per loro in quanto loro, almeno.
La mia gelosia deriva dal fatto che io sono spaiata.
Non c’è nessuno al mio fianco, da un punto di vista strettamente romantico. Sono la quinta ruota, quella che finisce nel bagagliaio e viene tirata fuori solo in caso di emergenza. E spesso finisce col bucarsi perché il proprietario ci butta sopra oggetti appuntiti. Incompetente.
Per quello mi ferisce un po’ vederli venire verso di me, la loro gioia che rischia di infettare ogni essere vivente nel raggio di chilometri trasformandolo in una bertuccia ebete.
Zut. Non è colpa loro e sai che farebbero di tutto per cancellare la tua tristezza, Kuonji. Togliti dalla testa di fare la frignona buaaaaaaaaaaaaaaah nessuno mi vuole bene. Hai sputato sangue per ottenere questi splendidi amici, non affogare ciò che hai di bello in un mare di becera autocommiserazione di serie Z. E no, non sto parlando di Dragon Ball.
Ecco, pianto isterico e immotivato. Beccati ‘sto calcio con piroetta che non sarei mai in grado di eseguire senza arrotarmi su me stessa.
Si siedono al bancone, i maschi in mezzo e le fanciulle alle ali del quartetto. Ranma a sinistra e Mousse a destra, ognuno fiancheggiato dalla rispettiva dolce metà. Ogni tanto mi stranisco ancora a vedere i due di Joketsuzoku così intimi, poi il mio cervello riprende il passo della realtà e mi sovviene che, si può probabilmente dirlo con sicurezza, se non sono fidanzati ufficialmente poco ci manca. Mi è sfuggito il loro discorso, impegnata com’ero a percuotere i miei demoni verdognoli, quindi non capisco perché Ranma stia prendendo a buffetti Mousse sulla spalla.
“Ecco, così impari ad allargarti con me. Orbo che non sei altro” esclama, le risa che gli interrompono la frase in più di un frangente. L’altro, fintamente spaventato, risponde con una faccia da bimbo colpevole che si prende il giusto rimprovero del papà arrabbiato.
“Scusascusascusascusa, non lo faccio più. Ma per favore, babbo Saotome, non farmi la bua”.
Maledizione, la loro ilarità è peggio della varicella. Saprebbe contagiare anche una statua di sale, facendola scoppiare letteralmente dal ridere. E chi sono io per dire che su di me non ha effetto? Mi porto una mano alla bocca, è maleducato e poco professionale farsi vedere da dei clienti mentre non riesci a mantenere un decoro sul posto di lavoro.
Akane si avvede subito del mio cedimento. Mi guarda allegra, salutandomi con un ampio gesto della mano e venendo subito imitata dagli altri.
“Buongiorno e benvenuti nel mio umile ristorante, sconosciuti che non ho mai visto prima in vita mia. Cosa vi posso servire per mandare le vostre papille gustative in un’estasi paradisiaca?”.
“Sei divertente come pianta grassa” mi apostrofa Shan-Pu, ma l’evidente ironia nella sua voce è quasi tenera da sentire. Prima del Grande Casino la frase più gentile che mi avesse mai rivolto è stata stupida giapponese che si veste da uomo.
“Va bene, va bene” dico alzando le braccia, con la migliore faccia offesa che sono capace di imbastire “ciancia alle bande... ehm, bando alle ciance e fuori le ordinazioni, che io sono una cuoca impegnata”.
“Ma se non c’è nessuno a parte noi, in questo buco di okonomiyaki-ya?” si permette di affermare quello screanzato di Ranma.
“Senti un po’ Ranchan, ti devo far conoscere la mia segretissima ricetta per caso? Quella che amo chiamare Picchia gli Amici di Infanzia fino a Spedirli in Ospedale per i Successivi Dieci Secoli?”.
“Non ne saresti capace. Ti piaccio ancora troppo per farti arrivare al punto di mettermi le mani addosso”. Guarda le libertà che si prende 'sto cafone.
“Non sottovalutare la mia capacità di uscire da una cotta impossibile da realizzare. E comunque, per tua informazione, so diventare manesca se vengo provocata nella giusta misura”.
“Confermo” esclamano Mousse e Akane, all’unisono. Si guardano per decidere a chi tocca parlare, poi la cavalleria ha la meglio e lui le fa un gesto per lasciarle il passo. “Molte grazie. Quel che Ukyo sostiene è vero, c’ero quando ha gonfiato come una zampogna il qui presente quasi-ragazzo/ex promesso sposo/futuro promesso sposo. Era stato durante l’ultimo Tanabata, no? Quando lui si era permesso di prenderla in giro per il desiderio che aveva scritto sul tanzaku. Non te lo ricordi, Ranma, che quando tu e Shan-Pu siete tornati con le bibite aveva la faccia deformata? Dai. Sono passati due mesi, mica vent’anni”.
“Oh sì, è vero. Come posso aver scordato quella scultura di arte moderna? Esilarante, sul serio. Che tecnica hai usato, Ucchan?”.
“Questi” minaccio alzando i pugni chiusi di fronte a me “i miei cari ferri del mestiere che sanno diventare violenti come degli schiacciasassi. Spera che adesso non sia il tuo turno”.
Riesco a strappargli un rumoroso inghiottire di saliva, volutamente accentuato per maggior effetto comico.
Dove sono le telecamere? Questa non è la mia vita, questa è una sit-com scema con delle caricature al posto delle persone. Mi sono sempre piaciute le sit-com sceme.
“Ok, basta con le intimidazioni e dedichiamoci alle faccende serie. Adesso cucino per tutti. Dunque: uno con i gamberetti, uno con il polipo, uno con la carne e un modanyaki con una tonnellata di yakisoba”.
“Sai la fatica, mangiamo le stesse cose dalla notte dei tempi”. Oggi Ranma ha voglia di farsi massaggiare con intensità, pare. Se continua così lo accontenterò molto volentieri.
“Fammi il piacere di star zitto, maiale con un’idrovora al posto dello stomaco. Sei quello che mi fa spignattare e sudare di più, lo sai?”.
“Certo che lo so. Lo faccio apposta”.
Ecco. Adesso una sana scarica di sberle non gliela leva proprio nessuno. Per sua immensa fortuna gli altri mi convincono a desistere. Il tutto, ci terrei a precisarlo, si è svolto fra risolini e occhiate da ragazzini dispettosi. L’atmosfera è totalmente rilassata, giocosa, amena. Quasi ubriaca di brama di goderci i nostri sedici anni, fino a pochissimo tempo addietro ingobbiti dal peso di faide mortali, vendette trasversali, leggi insulse e quant’altro.
Mousse, sarai una delle persone che ringrazierò per tutto il resto della mia vita. Mi e ci hai liberati da un fardello sin troppo pesante da sostenere. Potevamo schiattare tutti dolorosamente, è vero, ma come dicono negli Stati Uniti no pain, no gain. Se bene vuoi stare un po’ hai da rischiare. E poi, se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato un trolley ma, indovina un po’, non le aveva.
“Konatsuuuuuuuuuuuuuuuuu!” urlo a pieni polmoni. Dov’è finito quel lavativo?
Spunta dal piano superiore, l’aria di chi è appena stato beccato con le mani nella marmellata che non avrebbe dovuto toccare. Fai bene a temere, ciccio. Non puoi permetterti il lusso di scansare il lavoro.
“Oh mamma, chiedo umilmente scusa! Ero su a... cacchio...”.
Le sue giustificazioni svaniscono con il mio collaudato Sguardo Spaventa Stipendiati Numero Cinque. Gli faccio cenno con la testa di coprirmi al bancone mentre io vado nel retrobottega a recuperare alcuni ingredienti mancanti.
Mi sbrigo più veloce che posso.
Quando riemergo lo vedo, impalato come uno stoccafisso, che non trova l’immensa fermezza necessaria per spiccicare mezza parola.
Poveretto. In presenza di altra gente si irrigidisce in simile, orrida maniera. Ultimamente con me ha imparato a essere più naturale, ma ancora ha delle notevoli difficoltà con chiunque non sia io.
Però c’è da dire questo: ha cominciato a vestirsi da maschio, esattamente come mi aveva detto quel giorno. L’aria di cambiamento radicale che è calata su Nerima ha investito tutti con la forza di un maremoto. Tutti tranne quegli squinternati dei Kuno ma vabbe’, per quanto mi riguarda sono troppo matti per fare testo.
Mi fa male vederlo così imballato di fronte a dei coetanei che tratta come se fossero i padroni del mondo, con una deferenza anacronistica e per certi versi squallida. Purtroppo è stato educato così da quelle schifose della matrigna e delle sorellastre che, all’occorrenza, lo correggevano anche a nerbate. Anzi, a volerla dir tutta è già un mezzo miracolo che abbia il coraggio di parlare in generale.
Non è giusto. Per quanto mi possa approfittare di lui non mi prendo in casa qualcuno che non reputo una persona meritevole di affetto e comprensione.
Torno alla postazione senza staccagli gli occhi di dosso. Gli altri non sembrano accorgersi del fatto che lo fissi con tale insistenza, e ciò mi va bene.
Prendo a cucinare, ma sono troppo distratta e finisco persino con il bruciare la modanyaki. Ben ti sta, Ranma.
Questo mio grossolano errore non manca di farmi guadagnare spernacchiamenti assortiti da tutti quelli che stanno dal lato sbagliato del tavolo di cottura. A loro riservo lo Sguardo Spaventa Clienti Numero Settantaquattro, quello che prevede il vapore dal naso e l’illusione della faccia da drago.
Ricomincio in silenzio, fumando rabbia farlocca. Gli altri quattro ceffi continuano a ridermi dietro, insensibili.
Poi, finalmente, riesco a finire e consegno gli okonomiyaki a chi di dovere. Non si fanno troppi riguardi nell’ingurgitarli alla velocità della luce, eccezion fatta per Akane che consuma il proprio pasto con grazia e un minimo di civiltà. Shan-Pu non è da meno degli uomini, in questo senso, e si ingozza come il più zotico dei marinai nella bettola del porto. Ci manca solo il rutto, madamoiselle.
Non pensavo di avere degli amici così cafoni.
“Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuurp”.
Oddio. Mi giro all’indietro. Non voglio vedere chi è stato, mi fanno tutti vomitare allo stesso modo. La coda dell’occhio, però, mi cade involontariamente su Shan-Pu che si copre la bocca con una mano.
Kami. Siamo arrivati in fondo al fosso.
Gli sguardi scioccati di tutti si posano su di lei, nauseati almeno quanto il mio. Al che la colpevole volge la testa verso il muro, imbarazzata, e mormora qualcosa a propria difesa. Qualcosa tipo “Beh? Non si usa digerire rumorosamente in Giappone?”.
“Per favore, non siamo degli animali. Anche se è vero che ci piace fare casino mangiando...” concede Ranma.
In tutto questo Konatsu continua nella sua eccellente imitazione di un baobab muto. Rimane lì in piedi, laconico come ai funerali, per nulla scalfito dalla simpatica scenetta da osteria che abbiamo appena messo in piedi.
Ora posso dirlo senza alcun dubbio: sono preoccupata. Non è normale sorridere neanche un po’ di fronte a una farsa del genere.
“Konatsu, tutto bene?” gli chiedo, evidente il tono impensierito.
Si scuote leggermente e mi risponde senza parole. Un risolino stentato, striminzito. Cenni di pallore cadaverico nelle guance.
Ok. Tempo della terapia d’urto.
Lo prendo per le spalle e lo scrollo, cercando di svegliarlo dall’intorpidimento in cui è precipitato. Ci riesco solo dopo qualche tentativo, tirando un sospiro di sollievo.
“Ukyo... che c’è?”.
“Konatsu, dimmi cos’hai. Sei rimasto imbambolato per parecchi minuti. Vero, ragazzi?”.
Tutti rispondono affermativamente con la testa. Non mi sono immaginata niente ma un po’ di supporto esterno fa sempre comodo.
“Dici... dici sul serio? Ma... ma io... io...”.
“Shhhhh. Tranquillo, qualunque cosa fosse se n’è andata”.
“Non... non ne sono sicuro...”.
Cosa? Perché?
“Ecco, vedi... io... ho paura a espormi con... con qualcuno che non sia tu... mi sento a disagio, mi viene da sudare... balbetto... o addirittura non parlo, come adesso... non so perché, non mi era mai successo... non in modo così grave, almeno...”.
“Tesoro, non essere così inquieto. Loro quattro non sono capi di stato in visita, non sono VIP che scendono dalla loro nuvoletta di broccato per omaggiare noi comuni mortali della loro presenza. Sono delle persone semplici come lo siamo io e te, e con le quali ho instaurato ultimamente un importantissimo legame. Con tutti loro. Anzi, sai che facciamo adesso? Prendi una sedia, ho una storia da raccontarti”.
“Tu... a me?”.
“Certo. Che c’è di strano?”.
“No, niente... è che... non me l’aspettavo...”.
Non rispondo a questa sua ultima uscita, limitandomi a guardarlo bonariamente. Sento un forte impulso ad aiutarlo e spero che i miei compagnucci possano darmi una mano.
Gli dico di accomodarsi a un tavolo, facendo cenno agli altri di mettersi attorno a noi a semicerchio due da un lato e due dall’altro, e mi pongo di fronte a lui.
Sembra nervoso. Si stropiccia le mani e non può evitare di far correre la propria espressione su tutti i presenti, soffermandosi un po’ più a lungo su di me. Ah, i vantaggi di essere l’oggetto del suo ammore. Sì gente, è un errore voluto.
Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse finto. Si comincia.
“Bene, caro Konatsu. Non sarà una cosa breve, quindi mettiti pure comodo. Quello che voglio spiegarti è lungo e per certi versi complesso, ma non temere. Sarà una cavalcata a lieto fine. Volevi che ti raccontassi di me e di quel che mi... ci era successo? Sto per accontentarti. Le quattro persone che vedi qui, vicino a noi, sono coloro che considero i miei migliori amici. Tutti, senza alcuna distinzione. Abbiamo condiviso un’avventura davvero incredibile, sei mesi fa. Tutto è cominciato quando Mousse la Papera ha alzato un po’ troppo la testa di fronte al trattamento che Shan-Pu la Gatta e sua nonna gli riservavano. Oh cara, ritira pure il tuo faccino da vipera, è vero e lo sai. La Papera ha sfidato la Gatta a duello e l’ha battuta, causando grandi cataclismi nell’equilibrio, invero fragile, che esisteva nelle nostre vite. Ti risparmierò i dettagli sulle odiose leggi amazzoni, che se devo essere sincera non ho mai capito, e mi limiterò a dire che è saltata fuori una cosa curiosa. Forse non lo sai, ma Shan-Pu avrebbe dovuto sposare Ranma, stando ai dettami cinesi, ma la cosa curiosa a cui mi riferivo prima è che, improvvisamente, il suo promesso è diventato Mousse. Il quale però, e se mi è concesso dirlo aveva tutte le ragioni del mondo, non ne voleva più sapere nonostante la sua centenaria cotta per lei. Problema: se un’amazzone non si sposa con chi deve sono dolori. Grossi. Allora noi cinque e la vecchia Obaba si è cercata una soluzione alternativa, anche se io sono subentrata in un secondo momento e per un puro caso, visto che passavo dalla via del Nekohanten per andare a scuola. Fatto sta che è venuta fuori la storia che una donna di Joketsuzoku può evitare lo sposalizio solo per due motivi: sterilità od omosessualità. Su, non farmi quella faccia da pesce lesso, si parla per finta. Shan-Pu non è lesbica, come avresti notato da te se non ti fossi affaccendato a scimmiottare un cieco. Sono riusciti a convincermi a interpretare la parte della sua ragazza. È stato... sgradevole, per tanti motivi. Non per ultimo il fatto che la mia identità di donna è sempre stata in discussione a causa di eventi remoti che tralascio, sono ininfluenti ai fini di questo discorso. La cosa mi ha sconvolta, lo ammetto. Ero impaurita, insicura, piena di dubbi su cosa andava fatto e come. Un po’ come te ora, se vogliamo. E lì, nel momento più buio, ho intravisto un barlume di luce in fondo al tunnel. Era la verità che mi chiamava. La verità su Ranma e Akane. Ti ricordi, vero, come mi trastullavo in sogni infantili in cui mi vedevo sposata col mio caro amico di infanzia, non cucinavo più e accudivo amorevolmente i nostri figli? In quel momento quelle sciocche fantasie sono evaporate. Mousse, che non finirò mai e poi mai di ringraziare per questo, ha passato la spugna sui miei vagheggiamenti romantici, lasciandomi di fronte alla realtà: Ranma ama Akane. Mi ero sempre rifiutata di ammetterlo, ma lo si sapeva. Tutti lo sapevamo. È stato doloroso riconoscerlo, ma alla lunga ha portato solo benefici. A me, che mi sono tolta dalle spalle una chimera, soffocante come il più stretto dei lacci attorno al collo. A loro che, anche grazie al mio modesto lavoro di angelo custode, hanno finalmente confessato i propri sentimenti. All’altra coppietta qui presente, che è riuscita a giungere a un compromesso di rispetto sviluppatosi ora, parrebbe, in qualcosa di più. Eddai, non serve che diventiate rossi come peperoni, mi sembra piuttosto evidente. Specialmente tu, Mousse. Ti sei meritato quello che stringi fra le mani ora. Si, mi riferisco proprio alle dita della tua quasi forse consorte. Bene, se questa fosse stata una fiaba si sarebbe conclusa qui: il gatto con gli stivali fa il suo dovere e le due principesse sposano i principi, vivendo tutti felici e contenti. Ti piacerebbe, illuso. La vita, soprattutto le nostre, non va mai così liscia. Dalla Cina sono giunte due losche figure, una dietro all’altra. Erano un’emissaria del Gran Consiglio di Joketsuzoku e nientemeno che il Decano Millenario del suddetto Consiglio, arrivate in terra giapponese per controllare l’ambigua situazione instauratasi fra la loro connazionale e me medesima. Capisci, è sospetto che una ragazza scopra di essere dell’altra sponda così, dall’oggi al domani. Quindi siamo stati costretti a proseguire con la scenata, che peraltro si è rivelata inutile quando la Signora Suprema delle Cazzabubbole ha detto con nonchalance ah voi due, so del vostro teatrino, potete smetterla di palparvi i sederi. Sono successe mille cose, davvero troppe per essere riportate con precisione. Alla fine, volendo stringere un po’... anf, ho la gola secchissima. Puoi darmi un bicchiere d’acqua, per favore?”.
“Certo”.
In pochi minuti ne stringo uno pieno fin quasi all’orlo. Me lo scolo tutto d’un fiato.
“Oooooof. Ci voleva proprio. Dunque, dov’ero arrivata? Ah sì, la conclusione. Proverò a non essere troppo egocentrica, ma diciamo che a nessuno dei presenti ha fatto piacere quando quel vecchio rottame ci ha condannati a metterci in circolo, più o meno come siamo adesso, e ad ammazzarci di botte fra di noi. Secondo lei era l’unica punizione sufficiente per noi oh così tremendi criminali, la cui colpa principale era quella di non abbassare la testa tipo muli dinnanzi a regole scritte dalla trisnonna di Matusalemme. Secondo lei ci saremmo dovuti uccidere tipo gladiatori nell’antica Roma, senza il minimo riguardo per noi stessi o per qualunque dei nostri complici. Assurdità, come capirai da te. E per fortuna i qui presenti Ranma e Mousse hanno sfoderato l’acume tattico di un Rommel o di un Patton, riuscendo a capovolgere una situazione disperata come quella. Ah già, perché mi ero dimenticata di dirti che Wei-Zan, così si chiama quella dittatrice in miniatura, si era appollaiata sulla spalla di Shan-Pu tipo carogna, minacciando di sgozzarla se non avessimo ubbidito ai suoi ordini. Posso capire perché stai facendo quella faccia, probabilmente era la stessa che avevo io in quei momenti. Comunque, dopo un pericoloso procedimento che ha rischiato di lasciare me e le altre ragazze a dormire per sempre, Obaba è riuscita finalmente a metterla KO. Poi, dal dottor Tofu, tutto si è finalmente concluso per il meglio.
Questa è la mia storia. La nostra storia. Qualcuno dei miei co-protagonisti vuole aggiungere qualcosa? Correggere? Rimarcare?”.
Si alza, un poco timida, la mano di Akane.
“Prego, di' pure”.
“Volevo solo far presente a Konatsu quant’è fortunato a vivere con te. Sai, vero, che ti considero la persona più nobile, gentile e di buon cuore del mondo? Il tuo altruismo macchiato di volontà autolesionista, quando ti sei fatta da parte nei confronti di Ranma, risplenderà per sempre come una gemma preziosa dentro di me”.
Avvampo d’imbarazzo. Non perde mai occasione, pubblica o privata che sia, per ricordare questo aneddoto. E anche se mi fa piacere venire incensata, non posso negare che penso di non meritarmi tutti questi complimenti.
“Ukyo, non essere così in disagio. Quel che dice Akane vero. Tu splendida ragazza” rincara la dose Shan-Pu, venendo presto emulata da tutti gli altri.
Ebbasta, dai. Volete proprio farmi esplodere. Begli amici del cavolo.
Dopo qualche rimostranza riesco a farli smettere, ma non ad eliminare i loro sorrisetti. Anche se è bello essere circondati da persone che ti vogliono bene e hanno una così alta opinione di te.
“Veniamo a noi, Konatsu”.
“A... a noi? Cosa... cosa intendi?”.
“È molto semplice” dico appoggiando i gomiti sul tavolo e facendo riposare la testa sui palmi delle mani “Che ne diresti se un giorno di questi... provassimo ad uscire?”.
La mia intraprendente proposta viene accolta da sguardi stupiti e, pochi istanti dopo, da un piccolo giro di applausi. Cari.
“C-c-c-c-c-c-c-c-c-cosa? U-u-u-u-u-u-uscire? Io e te? Da soli?”.
“Sì, io e te. Da soli. Un caffè e una passeggiata. Senza impegno, lo voglio sottolineare subito per non darti false speranze. Non ti sto assicurando niente, ma trovo giusto che la tua dedizione nei miei confronti abbia almeno una piccola ricompensa. Sono dell’idea che, insistendo, prima o poi qualche risultato lo si ottiene. E so per certo che anche Mousse la pensa così”.
“Non posso proprio dire di no” conferma, rosso in viso, mentre si passa una mano sulla nuca.
“Allora, signor kunoichi? Cosa pensi di questa idea?”.
Lui non riesce a trattenersi. Schizza in piedi sbuffando fumo da ogni cavità corporea, la faccia che passa mille e più tonalità dei colori più accesi, e comincia a vagare come uno spirito maledetto per il locale mormorando parole senza senso compiuto.
“Ma io non perché dai proprio a me siamo sicuri non è uno scherzo non ci credo questo non è reale adesso mi sveglio nel mio lettuccio misero tutto sudato dai dai dai dai non è possibile...”.
Lascio che una risatina esca dalla mia bocca, mentre gli altri sgranano gli occhi osservandolo mentre si rende ridicolo. Non troppo tempo fa avremmo reagito tutti così.
“Konatsu!”. Uso il Tono Marziale Numero Dodici.
Lui si blocca, una reazione inconsulta che ha la meglio sul suo attuale stato psicologico. Si volta piano verso di me, tremando come una fogliolina.
“Non hai bisogno di tutta questa scenata. So che adesso potresti morire felice perché ti senti realizzato appieno. Rispondi di sì. E stai tranquillo, tutto quel lusso sfrenato sarà a mio carico”.
La faccia beata che mi regala è il premio migliore per la mia buona azione.
   
 
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