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Autore: Rosebud_secret    05/03/2012    2 recensioni
Spoiler: ambientata tre anni dopo la 2x03
Sono passati tre anni dalla morte di Sherlock.
Ora probabilmente vi aspettereste un John che sta tanto male, che soffre, che ha sempre stampata negli occhi l'immagine dell'amico che si schianta al suolo.
Beh, vi state sbagliando.
John sta bene, ha una compagna, una vita, persino una figlia, non pensa al passato, l'ha lasciato dietro di sé.
Lui non ha più un passato.
Sherlock lo osserva da lontano e lo osserva da vicino, ma John non sembra proprio accorgersi di lui, lo ha dimenticato.
È passato oltre e Sherlock ne soffre.
Mai avrebbe pensato che il suo amico, la persona più importante per lui potesse dimenticarlo, lasciandolo da solo a vagare nel nulla. Non pensa nemmeno di poter uscire dal loop in cui è caduto, nemmeno gli importa, fino a che una frase di Mycroft non lo risbatte nel passato:
«Hanno arrestato Gregory.»
Ma vorrà tornarci, senza John?
Nota: nessuna Mary Sue, i personaggi originali saranno secondari, odio le Mary Sue.
Buona lettura!
Ros.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Siedo su questa panchina.

Ormai nemmeno mi nascondo, John.
Sei a meno di venti metri da me, di fronte, ma non mi vedi.
Sono come... invisibile.
Sono trascorsi tre anni dalla mia morte e tu mi hai dimenticato.
Chi è la ragazza con te? Come si chiama?
E quella bimba?
Oh, so bene che non è tua figlia, è troppo grande.

È la figlia della tua fidanzata che...

No.
Metto a freno la mia mente.

Per una volta non voglio sapere chi sia lei, non voglio dedurre cosa faccia.
Non voglio sapere cos'ha di speciale...
Non voglio pensare che sei felice anche senza di me.
Hai sofferto, lo so che hai sofferto, ma mi illudevo che mi avresti aspettato, che...
Ho un groppo in gola, sono stato così male solo a Baskerville, ma lì ero sotto l'effetto di una droga psicotropa, ora non ho preso niente.
Nemmeno la cocaina che, in questi anni, è quasi diventata la mia migliore amica.
Com'è potuto succedere, John?
Io avevo previsto tutt'altro, ma... mi sono sbagliato.

Il Destino non è stato di parola, questa volta.

Il Destino, bah! Non credo nel destino!
IO non sono stato di parola con il mio stesso cuore.
Mi sono illuso di essere speciale, di essere prezioso, di essere insostituibile.
Invece...
Invece tu ridi, tu vivi, mentre io sono morto, più morto che se fossi morto davvero.
Che sottile ironia...
Una mano su una spalla e mio fratello compare accanto a me. È stato talmente silenzioso che mi ha ricordato uno spettro.
O forse sono io ad essere distratto?
Si siede al mio fianco e ti guarda. Chissà se anche lui ti vede come ti vedo io.
Non credo.
Sei così... rilucente.

«Quanto ancora aspetterai, prima di andare da lui?»

Me lo avrà chiesto si e no un centinaio di volte, non ho mai risposto, ma penso che questa volta lo farò.

«Non andrò da lui, Mycroft. Non c'è più posto per me.»

Il suo sospiro snervato mi irrita.

«Non puoi andare avanti così. Ti stai lentamente uccidendo, Sherlock e non ho alcuna intenzione di lasciartelo fare.»


«Il mondo si è abituato alla mia assenza, Mycroft e anche John mi ha dimenticato. Che senso avrebbe, adesso, ricomparire? Distruggere la sua vita?»

Non mi condividi.
Lo so.
Non ho bisogno nemmeno di guardarti per capirlo.
Quanto vorrei che le cose fossero diverse, Mycroft.
Quanto vorrei che tu non avessi mai dato a Jim Moriarty le armi per distruggermi.
Perché sei stato tu, te lo ricordi, vero?
La vita ha proprio dei risvolti imprevedibili, alle volte.
Non ti porto rancore.

Ognuno ha le sue priorità, la tua è il Regno Unito e questo non lo metterò mai in discussione.
Eppure mi hai levato tutto.

Certo, stai cercando di rimediare, ti sei occupato di me per questi anni, mi hai protetto, mi hai nascosto.
Non credere che io non riconosca i tuoi sforzi, ma il rammarico per aver perduto ciò che avevo prima, no.

Non riuscirai a levarmelo nemmeno in un milione di anni.
Non è vero che la vita continua nonostante tutto.
La vita non va proprio da nessuna parte, ma è tempo di finirla di rivolgermi mentalmente a te o a lui...
Mi alzo e mi sollevo il colletto del cappotto, incamminandomi verso John a capo chino.
Mio fratello si tende, alzandosi in piedi, pensa che andrò da lui.
No, non lo farò.
Gli passo accanto e gli lancio uno sguardo mentre si rotola nell'erba con un cane e la sua "figlioletta".
Non mi nota.
Io non esisto.




«Hanno suonato alla porta! Sono sotto la doccia, vai tu, John?»


John uscì dalla camera da letto, sbadigliando. Chi era il cafone che si presentava a casa della gente alle undici e mezza?

Lanciò uno sguardo nella stanza della piccola Patricia. Era riuscito a farla addormentare per miracolo, non aveva le energie per ripetere l'impresa.
Fortunatamente non si era svegliata.
Un altro trillo al campanello e John bestemmiò sottovoce.


«Arrivo! Arrivo!» sibilò.

Socchiuse appena la porta e si sorprese nel vedere il detective Lestrade, bagnato fradicio e con un'espressione sconvolta.
Tolse la catena e spalancò l'uscio.


«Greg? Che ci fai qui?»

Erano anni che non lo vedeva.

Almeno due e lo spaventava un po' l'idea che si fosse ripresentato così.

«Mia moglie mi ha lasciato. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e nella mia breve lista sei l'unico amico che ho, John. So che è tardi e se mi caccerai lo capirò, soprattutto dato com'è finita l'ultima volta che ci siamo visti...»

John si fece da parte.

«Accomodati.»

Era passato tanto tempo, molta acqua era passata sotto i ponti ed era inutile insistere con rancorose recriminazioni.
John lo aiutò a levarsi l'impermeabile.

«Ti sto bagnando tutto il pavimento...» il detective barcollò un poco, forse quella mezza bottiglia di whisky non avrebbe proprio dovuto berla.

Era frastornato e ricordava in maniera molto confusa l'ultima e definitiva litigata che aveva avuto con Sofia.

«Non ti preoccupare.»

John lo scortò sino al salotto, dove lo fece sistemare su un divano.

«Torno subito.»

Salì al piano di sopra e socchiuse la porta del bagno. Denise si stava asciugando i capelli.

«Chi era alla porta, tesoro?» gli chiese.

«Un vecchio amico. La moglie l'ha appena lasciato, per l'ennesima volta, cerco di tirarlo un po' su. Tu vai pure a letto, ti raggiungo più tardi.»

Denise gli stampò un bacio sulle labbra e sorrise.

«Finalmente compare qualcuno del tuo passato.» scherzò. «Iniziavo quasi a pensare che tu non ne avessi uno.»

John fece uno sbuffetto divertito e richiuse la porta.
Era così: lui non aveva un passato.
La sua vita era finita ed era ricominciata. Quel che c'era stato prima, chi c'era stato prima non avevano più alcuna importanza.
Greg si trovava un po' a cavallo tra il punto A e il punto B, per questo lo aveva fatto entrare, per questo si era offerto di aiutarlo, proprio per il fatto che fosse, almeno in parte, nel punto B, perché se fosse stato solo nell'A, beh, non gli avrebbe nemmeno aperto la porta.
John non era più l'uomo di un tempo.
Quell'uomo era morto, portandosi nella tomba tutti i suoi dolori e le sue rabbie.
Era rinato ed ora aveva una vita perfetta, senza più alcun dubbio o preoccupazione.
Recuperò due birre in frigo e tornò in salotto.


«Sono convito che riuscirete ad appianare le vostre divergenze, Greg. Ti ho visto sbattuto fuori di casa tante di quelle volte.» cercò di cominciare il discorso con il tono dello scherzo per tentare di tirar su l'amico.

«Non questa volta. Mi ha detto che ha un altro... Non credo di aver mai provato tanta rabbia prima, John. Me ne sono andato perché, altrimenti, avrei perso la testa. Come ha potuto..? Io la amo, l'ho sempre amata! Mi ha accusato per anni di tradirla, quando non ho mai fatto niente di male ed ora prende e se ne va con il primo figlio di puttana che incontra?! E' una troia, una lurida zoccola!»

John sussultò, guardando allarmato le scale che portavano al piano superiore.

«Non urlare, la bambina...»

Greg assunse un'espressione davvero desolata.

«John scusa! Se ti creo problemi, io...»


«Nessun problema, solo, tieni basso il tono della voce, oppure, se preferisci, mi vesto e usciamo.»

Il detective scosse la testa.

«No, no. Ora mi calmo, anche perché non è proprio il caso di farmi partire un infarto per colpa sua.»

John si sedette in poltrona e ascoltò pazientemente tutte le parole di rabbia e dolore che uscirono dalle labbra del suo vecchio amico.
Non si fece coinvolgere, le ascoltò con animo leggero e, con profonda calma e dolcezza, gli diede consigli.
Gli disse che il tempo avrebbe aggiustato le cose, che tutto poteva essere superato e che, a conti fatti, nei quindici anni di matrimonio con la moglie Lestrade ne aveva passati quanto meno dieci cumulativi fuori di casa, per colpa della folle gelosia di Sofia.
Riuscì a calmarlo, almeno temporaneamente e si sentì molto soddisfatto del risultato.

«Grazie, John. Non so che avrei fatto, senza di te.» mormorò Greg, alzandosi dal divano.

John sorrise e gli diede una pacca sulle spalle.

«Quando vuoi, la mia porta è sempre aperta.»

Era sincero, ma, nonostante questo non gli avrebbe offerto ospitalità.
La presenza di qualcuno nelle condizioni di Greg, benché fosse una pasta d'uomo, non era consona alla bambina e lui era un padre responsabile, anche se non biologico.

Lo scortò alla porta.

 

«Vuoi che ti chiami un taxi? Hai bisogno di soldi?» gli chiese con premura.

 

Greg scosse la testa.

 

«No, no, grazie. Ho la macchina, andrò in albergo e finirò di sbronzarmi. Non ho alcuna voglia di rientrare a casa.»
 

Era palese che una parte di lui volesse che John lo accompagnasse, che stesse con lui, come ai vecchi tempi, come lui aveva fatto, immediatamente dopo la morte di Sherlock.

Ma John era cambiato e lui non gli avrebbe chiesto di restare in sua compagnia. Forse anche perché in quel modo la sua compagnia nemmeno la voleva.

Non perché fosse stato sgarbato o disinteressato alla sua situazione.

Anzi, probabilmente gli aveva dato consigli migliori di quelli che il vecchio John avrebbe mai saputo tirar fuori.

Ma non era la stessa cosa...

Gli mancava il suo vecchio amico impulsivo, sempre con i nervi a fior di pelle per qualche follia di Sherlock Holmes.

Cielo, Sherlock! Da quanto tempo non pensava a lui!

Al “grande impostore”.

John aveva combattuto con così tanta costanza per difendere il suo onore, agli inizi, ma piano piano il suo furore si era spento ed era sopraggiunto il silenzio.

Aveva passato dei brutti momenti, John, ma ora stava bene e Greg era contento per lui.

Lo salutò con un cenno e si allacciò il cappotto fradicio.

Non sarebbe tornato da lui, qualche anno prima c'era il fantasma di Sherlock a pendere sulla loro instabile amicizia, un blocco insormontabile.

Non credeva che la sua assenza potesse essere persino peggio.

 

 

 

 

Soluzione al 7%...

Chissà, magari non è solo una specifica, magari la cocaina è davvero una soluzione, la risoluzione del 7% dei miei problemi attuali.

Peccato solo che non possa essere incrementata.

Finalmente ho scoperto qualcosa di peggio della noia: la depressione.

È un'amica presente, molto attenta a non farti mai dimenticare quanto stai male. Beh, spero che non mi lasci anche lei, perché altrimenti la situazione diventerebbe davvero comica.

Scosto le tende e guardo la brughiera. È qui che abita Mycroft, in brughiera.

Un ambiente del tutto consono al suo personaggio antisociale e misantropo.

A me non importa di essere qui o altrove.

Albeggia appena e la luce soffusa, timidamente, tinge di grigio i prati.

Non ho niente da fare ma, a ben vedere, non ho nemmeno voglia di fare niente.

Pensavo che John sarebbe stato la mia spinta, la mia propulsione, ma si è arreso, chiudendo i condotti, lasciandomi in sospeso.

Non posso tornare indietro e non posso andare avanti.

Sono qui, perso in un eterno presente, vittima di un uomo che non ha un passato e che preclude a tutti il futuro.

Sento Mycroft entrare in salotto. Non lo guardo.

Sta per uscire per andare a Londra, in ufficio, fa così ogni maledetta mattina.

Ora si siederà in cucina, aspetterà che il caffè sia pronto, mangerà i soliti due biscotti, laverà tutto con precisione certosina e poi mi lascerà solo.

Non che frema all'idea della sua compagnia, ma la solitudine è pesante da sostenere, alle volte.

Questa mattina è una di quelle volte.

C'è qualcosa di strano, però, di diverso: non è ancora entrato in cucina.

Mi volto e lo guardo.

Sembra combattuto tra l'idea di ignorarmi o di dirmi qualcosa.

 

«Ebbene?» lo sprono.

 

«Hanno arrestato Gregory.»

 

   
 
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