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Autore: Maricuz_M    09/03/2012    11 recensioni
Sospirai, posando la penna accanto al foglio pieno di frasi appena scritte. Ero su una baita in montagna, ed era la Vigilia di Natale. In quel periodo, forse per la neve che vedevo cadere aldilà della finestra della mia camera o per una semplice casualità, sentivo particolarmente la rinomata atmosfera natalizia, e chissà perché, ne traevo ispirazione inconsciamente. Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di magico e fatato, e quella sera, prima di andare a dormire, mi ero decisa. Non avevo un computer con me, ma carta e qualcosa con cui sporcare il foglio sì.
Piegai leggermente la testa di lato, riprendendo fra le mani la pagina e rileggendo. Non avevo ancora ideato la trama, a dir la verità. L’unica cosa certa era che da quel prologo sarebbe uscito qualcosa di incantato e straordinario. Straordinario nel senso di non ordinario, ovviamente.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


C’erano molte cose che non sapeva spiegarsi, a cui non sapeva dare un perché.
Prima fra tutte, perché si chiamava proprio Ruth? L’aveva chiesto molte volte ai suoi genitori, ma l’avevano sempre liquidata con una scrollata di spalle ed un “Ci piaceva il nome”. Aveva fatto tante ricerche su internet, considerata la fissazione del padre per il significato delle parole, e la maggior parte dei siti gli attribuivano la traduzione di amica. Non le sembrava niente di particolare, non abbastanza da ricevere l’approvazione del sopracitato, ma evidentemente era sulla pista sbagliata.
In secondo luogo, ogni volta che a casa prendeva in mano un libro per ordine della madre, si domandava perché dovesse far finta di studiare. Sì, far finta, perché a lei non serviva farlo. Aveva una memoria incredibile, tanto che dopo una semplice spiegazione di qualunque materia fatta da qualunque insegnante riusciva a ripetere tutto alla perfezione, pause annesse. Era una capacitàche si era sviluppata sempre più col trascorrere del tempo, facilitandole anno dopo anno la sua carriera scolastica. Anche il perché avesse questa memoria, era un mistero.
Non capiva come mai avesse gli occhi di un verde innaturale, che rivedeva solo nei prati durante l’estate, quando il padre li aveva blu come l’oceano e la madre marroni come la sua tanto amata cioccolata.
Si chiedeva perché avesse solo una veraamica, a cui voleva un bene dell’anima. Si chiamava Yvone ed era la figlia di amici di famiglia. La conosceva sin da bambina, era cresciuta con lei ed era l’unica persona con cui fosse riuscita a confidarsi completamente in sedici anni di vita. Non a caso, questa era a conoscenza della storica sbandata di Ruth per Kevin, un ragazzo più grande di lei di un anno che conosceva grazie ad una delle sue più grandi passioni: la pallavolo.
Era bellissimo, non figo, gnocco, bonoo qualunque altro aggettivo venisse usato a quei tempi per fare un complimento, no. Bellissimo. Nessuno poteva dire il contrario, era di una bellezza innegabile, rara, ultraterrena, quasi. Aveva i capelli scuri e non esattamente corti, un sorriso in grado di incantare un centinaio di persone nello stesso istante anche solo osservando l’inclinazione delle labbra e due occhi grigi che ti conquistavano nel momento in cui incrociavano i tuoi­­. Quando parlava di lui a Yvone, sottolineava sempre il fatto che quel grigio non fosse affatto umano. Non secondo lei, almeno, che lo definiva troppo argenteo per esser considerato semplicemente grigio. L’unica pecca, non così trascurabile purtroppo, era il carattere. Odioso all’inverosimile e menefreghista. Sarebbe stato classificabile egocentrico, per tutte le attenzioni che ogni volta raccoglieva, ma quello non lo faceva apposta, anzi, stava spesso e volentieri sulle sue, o quantomeno ci provava. Oltre ad essere attratta da lui, ne era affascinata. Le aveva sempre ricordato il personaggio maschile dei libri che adorava rubare dalla libreria dei suoi genitori, quelli assurdamente bastardi con un passato burrascoso ma che alla fine erano schierati con i buoni. Li amava ed odiava allo stesso tempo, proprio come Kevin.
Però, il perché proprio lui con tutti i ragazzi che esistevano al mondo, non se lo sapeva spiegare.
Ruth, come anticipato precedentemente, viveva di pallavolo. Praticava quello sport da ormai nove anni, e lì, in quella palestra, aveva tutto. Tutta la società era come un’immensa seconda famiglia. Il ragazzo che le piaceva non era altro che il capitano della squadra maschile, così come lei lo era di quella femminile. Tutto ciò che riguardava quell’attività apparteneva ad entrambi, ed avvicinarsi al palazzetto–così era chiamato il luogo dove giocavano- significava vedere l’altro. L’allenamento della squadra di cui faceva parte Ruth si svolgeva precisamente dopo quello di Kevin, ed ogni volta, dopo essersi cambiata il più velocemente possibile, si sedeva sugli spalti per guardarli, o meglio: guardarlo, in azione, in attesa dell’orario in cui lei e le sue compagne avrebbero dovuto prendere il loro posto.
Anche quello, non capiva. Non capiva quel continuo bisogno di stare a contemplare la sua figura tutto il tempo che aveva a disposizione, quel cercarlo con gli occhi senza neanche rendersene conto, la calma che l’avvolgeva quando appurava di averlo nelle vicinanze, il batticuore che la riscuoteva se le vicinanze erano tropporavvicinate, per non parlare del rossore che appariva sulle sue guance nel caso i loro occhi si fossero incrociati.
No, non se lo spiegava.
 
Sospirai, posando la penna accanto al foglio pieno di frasi appena scritte. Ero su una baita in montagna, ed era la Vigilia di Natale. In quel periodo, forse per la neve che vedevo cadere aldilà della finestra della mia camera o per una semplice casualità, sentivo particolarmente la rinomata atmosfera natalizia, e chissà perché, ne traevo ispirazione inconsciamente. Sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di magico e fatato, e quella sera, prima di andare a dormire, mi ero decisa. Non avevo un computer con me, ma carta e qualcosa con cui sporcare il foglio sì.
Piegai leggermente la testa di lato, riprendendo fra le mani la pagina e rileggendo. Non avevo ancora ideato la trama, a dir la verità. L’unica cosa certa era che da quel prologo sarebbe uscito qualcosa di incantato e straordinario. Straordinario nel senso di non ordinario, ovviamente. Sapevo di volerci infilare fate, elfi, gnomi ed altre creature immaginarie, ma non sapevo quale dei personaggi dovesse esserlo.
Poco prima di partire mi ero messa a cercare informazioni su questi esseri, e ne avevo letti talmente tanti che mi ero dimenticata la maggior parte dei loro nomi e le loro caratteristiche, ma non era un gran danno. Alla fine quella voleva essere una storia fantasy, avevo carta bianca.
Avevo scelto me stessa, come protagonista. Volevo vedermi in una realtà non mia, con genitori, amici e conoscenti che in realtà non avevo, in situazioni inusuali che mai avrei vissuto e, perché no, con poteri che mai avrei posseduto.
Kevin non esisteva, o perlomeno non lo conoscevo. Lo avevo inventato di sana pianta e non avevo preso spunto da nessuno. Forse il solo personaggio che poteva esser riconosciuto era quello di Yvone. La mia mente l’aveva rielaborata, ma non era altro che la mia vera migliore amica Grace. Non volevo essere completamente sola, in quella avventura, anche se avrei diretto tutti a mio piacimento, persino la più piccola comparsa.
Comparì un ghigno sul mio volto, quasi ironico. Chissà come sarebbe stato viverla davvero. Quali sarebbero state le emozioni? Per me la differenza tra lo scrivere un racconto e viverlo era proprio la percezione delle sensazioni, sentirle sulla propria pelle, reagire in base a quelle.
Era un concetto abbastanza complicato da spiegare. Io, scrivendo una storia come quella che avevo appena iniziato, avrei potuto rispondere ad una domanda in modo diverso da come avrei fatto realmente, condizionata da dei sentimenti autentici, dalla mia spontaneità, dal mio istinto.
A volte mi mettevo a fare ragionamenti di quel tipo, così, senza motivo. Forse in quel momento cercavo involontariamente qualcosa che mi desse una ragione per non andare a dormire. Avevo sonno, ma non avevo voglia.
“Ruth, ma sei ancora in piedi?” mia madre aprì improvvisamente la porta della stanza facendomi sobbalzare e girare di scatto.
“Tecnicamente, sono seduta.” Replicai piccata, indicando la sedia su cui posavo il mio sedere.
“Vai a dormire, forza! Tra poco è mezzanotte. Se sei sveglia Babbo Natale non te li lascia i regali!” mi rimproverò lei.
Alzai entrambe le sopracciglia. Stava parlando seriamente? Sapeva benissimo che non ci credevo più a Babbo Natale, poteva trovarsi una scusa migliore “Non sia mai che mi metta sotto l’albero del carbone..” dissi.
“Non sfidarlo..” mi sorrise benevola lei “Seriamente, va’ a dormire. Non sei stanca?”
“Sì, un po’. Adesso vado, comunque.”
“Va bene..” si avvicinò, mi carezzò i capelli castani e mi baciò la fronte, come faceva sempre da quando ero bambina “Buonanotte, tesoro. Ti voglio bene.”
“Anche io. Notte, mamma.”
Dopo avermi lasciato l’ennesimo sorriso pieno d’affetto, uscì chiudendosi la porta alle spalle. Mi alzai sospirando e sistemai accuratamente in un cassetto della scrivania il foglio con l’inizio di quella vicenda che mi aveva presa abbastanza da farmi fantasticare da giorni. Mi diressi subito verso il letto e mi infilai sotto le coperte, che poco dopo mi avvolsero col loro calore.
Allungai un braccio verso il cellulare, che segnava le 23:59, poi lo ricacciai al caldo. Un minuto sarebbe stato Natale, il solito Natale che, purtroppo, riuscivo a sentire solamente durante il pranzo e lo scambio dei regali. Le altre Vigilie avevo sempre quel leggero barlume di speranza e aspettativa, ma quell’anno non riuscivo a percepirlo.
Fu così che desiderai di vivere qualcosa di diverso, quel Natale, e lo desiderai esattamente allo scoccare della mezzanotte, poco prima di addormentarmi.
 


Ok, innanzi tutto: Salve.
Non so che dire. Ho scritto questa storia Fantasy (mai fatto qualcosa di Fantasy in vita mia) per lo stesso motivo per cui l'ha fatto Ruth, la protagonista di questa storia. Avevo voglia di scrivere qualcosa di magico e l'ho fatto, tutto qua. .__.
L'ispirazione me l'ha data una mia compagna di classe (e neanche lo sa) che, prendendo appunti in una lezione di letteratura, stava tentando di entrare nel foglio in cui stava scrivendo. La mente è partita e quando mi sono ritrovata abbastanza ispirata mi sono messa su word, comoda comoda davanti al mio caro pc.
A questo punto non dico altro. Sento l'ansia salire e quindi preferisco dileguarmi con finta non-chalance. :D

Ringrazio chiunque abbia letto questo prologo e, nel caso, chiunque lo recensirà (anche se ringrazierò di nuovo nella risposta alla stessa recensione. xD)

Un modesto (e incerto) saluto.

Maricuz
   
 
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